Gilded Cage.

Marcel

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    L'estate era scivolata via dannatamente in fretta, fino a fermarsi ed arrestare la sua corsa solo poche settimane prima, di lì c'era stato posto solo per un gelido inverno. Le parole, gli sguardi, persino l'aria che si respirava in Alaska pareva essere divenuta gelida, ma non si trattava di condizioni climatiche, bensì di fragile e precaria umanità che costringeva ogni essere umano a essere imperfetto, a portare rancore per avvenimenti che non erano minimamente soggetti al nostro controllo. Che cos'era poi il controllo se non una misera utopia che ognuno di noi si augurava di raggiungere e mantenere. A me il controllo era sfuggito ormai così tanto spesso dalle mani che avevo smesso di tenerne il conto, cominciavo a credere che forse fosse meglio lasciarsi trascinare pigramente dagli eventi senza tentare di fare nulla per contrastarli. Se era destino essi si sarebbero compiuti con o senza il nostro benestare, quella era l'unica spiegazione, l'unica verità che mi era rimasta. Io li combattevo, tentavo di fare il possibile per contrastarli e allontanarli, ma loro si abbattevano sempre più duramente su di me. Solamente il battito costante e ben marcato del cuore di Axel sembrava riuscire a tranquillizzarmi in certi momenti. Poggiavo la testa sul suo petto, chiudevo gli occhi e ascoltavo il suo cuore pulsare e pulsare. Era un suono rilassante e rassicurante. Mi ricordava che nonostante tutto aveva deciso di restare al mio fianco, di accettarmi qualsiasi cosa sarebbe accaduta, non che ci fossero molte alternative, quello che si sarebbe abbattuto su di me sarebbe stato solo l'ennesimo evento non voluto, l'ennesimo evento non richiesto, frutto di un destino che non immaginavo di dover percorrere.
    Le ore trascorse sul treno diretto ad Hogwarts passarono in fretta e in un batter di ciglia ci ritrovammo ancora una volta a percorrere i caldi e accoglienti corridoi del castello. Salutai il Bulgaro diretto in presidenza e imboccando la via opposta cominciai a salire le scale per lasciare un paio di cose in camera prima di dirigermi verso il banchetto. Prima di entrare nella sala grande riuscii a scambiare ancora un paio di parole con il Serpeverde, che allegramente, o almeno così voleva apparire ai miei occhi per rendermi allegra e spensierata a mia volta, fece una sciocca battutina sulla spilla che portavo appuntata al petto. «Ah ah ah, simpatico, a te dovrebbero darne una uguale allora. Sarebbe utile per ricordare a tutti che sei un coglione» Sibilai provocatoria rivolgendogli un elegantissimo e amichevole dito medio prima di prendere posto al tavolo dei Corvonero. A differenza degli altri anni prestai poca attenzione alla cerimonia di smistamento, applaudendo distrattamente di volta in volta non appena sentivo udire il nome della mia casa, segno che l'ennesima matricola di quell'anno era pronta a unirsi a noi. Scarabbocchiai poi figure imprecise e dai contorni confusi come il mio umore per buona parte del discorso del preside, ma quando le mie orecchie udirono il nome della futura professoressa di Antiche Rune rimasi come pietrificata. Alzai lo sguardo prima verso il tavolo dei professori nella speranza di aver udito male e poi, cosciente che le mie orecchie ci avessero sentito più che bene, verso la tavolata dei Serpeverde per cercare con sguardo allarmato la sagoma del Bulgaro. Non era ormai più seduto al suo posto e non feci in tempo a voltare del tutto il capo verso la porta d'ingresso che lo vidi scomparire oltre i suoi contorni. Merda. Questa non ci voleva, non erano forse abbastanza i problemi con i quali avremmo dovuto fare i conti nel prossimo futuro? Dovevamo davvero sorbirci per mesi e mesi la presenza della madre di Axel fra le mura di Hogwarts? Quello era un incubo, un dannato e schifosissimo incubo. Averla così vicino significava che avrei dovuto annullare me stessa e nascondere la vera me ancora più intensamente del solito, certa che il suo vigile sguardo non avrebbe perso occasione per studiare il mio comportamento e ritegno lontano dal castello dei Métis o dalla tenuta dei Dragonov. «Prego da questa parte, seguitemi» Esclamai con tono alto e autoritario verso i primini che avrei dovuto accompagnare fino alla sala comune dei Corvonero, una volta giunta lì i miei compiti da Caposcuola sarebbero però continuati, difatti quell'anno avrei avuto l'onere di dover fare da balia a un cosiddetto ragazzo problematico. Così mi era stato descritto nella lettere che era giunta pochi giorno dopo quella con in allegato la spilla da caposcuola. Era un ragazzino poco più piccolo di me, ma nonostante la sua giovane età si era già cacciato così tanto nei pasticci da finire addirittura in riformatorio per motivi privati che non mi erano stati comunicati. Io mi sarei dovuta solamente preoccupare che non combinasse guai e che seguisse ogni lezione come richiesto dal regolamento dell'istituto. Probabilmente gli sarei dovuta stare persino con il fiato sul collo per accertarmi che svolgesse ogni settimana i compiti assegnatogli dai professori e già che c'ero avrei potuto imboccarlo pure. Perché no? Che palle. Sbuffai sollevando una ciocca di capelli biancastri dalla fronte. Almeno c'era un lato positivo nel dovergli fare da babysitter, ancora una volta avrei avuto bisogno di restare il meno possibile sola con i miei pensieri e lui pareva essere un perfetto candidato per tenermi lontana da essi.
    Bussai due volte sulla spessa porta del suo dormitorio, speranzosa che come da direttive del preside in persona si trovasse già al suo interno come il resto degli studenti. Se così non fosse stato saremmo partiti dannatamente male per essere solo il primo giorno di scuola, anche perché una caccia all'uomo non era esattamente l'attività che mi ero ripromessa di svolgere durante quella serata, certo, in quella che avevo in mente era pur sempre presente un altro uomo, ma quello mi piaceva e non avevo minimamente bisogno di cercarlo per tutto il castello, perché sapevo benissimo dove mi avrebbe atteso.
    ★ ★ ★
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    Marcel Anhalt-Dessau | III | Ravenclaw

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    Dopo l’inizio disastroso alla cena di apertura, tra approcci non richiesti e rotture di coglioni assortite, Marcel aveva finalmente potuto levarsi dai coglioni e andarsi a fumare una meritata sigaretta.
    Quella stronzata di cena era durata persino abbastanza a lungo da consentirgli di uscire, fumare e rientrare prima che si decidessero a mostrargli le loro stanze.
    Anche le stanze, come tutto il resto del castello, erano molto più spartane di quanto non fossero quelle della precedente scuola francese. In compenso erano meglio delle celle del riformatorio.
    Uno a uno, palla al centro, avrebbero detto i babbani.
    Marcel si era quindi trovato in una stanza con una manciata di sconosciuti con cui avrebbe dovuto dormire per i prossimi mesi, niente di nuovo, niente di interessante. Una veloce occhiata gli aveva anche confermato che no, non parevano molto scopabili, cosa che gli aveva fatto perdere rapidamente qualsiasi possibile interesse residuo nei loro confronti.
    Afferrato il necessario per la doccia dal proprio baule li aveva abbandonati a loro stessi per andarsi a fare una doccia. Non gli interessava socializzare, potevano benissimo condividere lo spazio evitando inutili convenevoli come scambi di nomi e simili scemenze. Tu nel tuo, io nel mio e sconosciuti come prima.
    Una volta nella doccia si liberò della divisa che aveva indosso, gettandola da parte affinché se ne occupassero gli elfi domestici.
    Aperto il getto dell’acqua si godette l’acqua calda sulla pelle nuda, rivoli bollenti che scorrevano giù lungo lo il petto e la schiena e poi ancora più giù lungo i fianchi e le gambe.
    Il calore un toccasana per i muscoli tesi, Marcel rimase per un momento immobile sotto il getto, godendosi ad occhi chiusi il calore dell’acqua e del vapore, le spalle e la schiena che si rilassavano finalmente dopo il lungo viaggio prima dal Lussemburgo e poi da Londra.
    Marcel non era un tipo atletico in senso stretto, non riusciva a rispettare regole e compagni, ma non era neanche abituato a stare seduto così a lungo come lo era stato quel giorno.
    Le ferite sulla schiena protestarono, ma l’unguento che aveva applicato prima di partire ne aveva anticipato la guarigione e le ferite erano ora già solo di un rosso acceso ma non più sanguinolente. Un bel passo avanti considerato che risalivano al solo giorno prima.
    Ovviamente non sarebbero guarite del tutto, alcuni dei segni più vecchi erano ancora visibili, per quanto ormai pallidi. Il suo patrigno, l’adorato paparino, gli aveva lasciato un bel ricordino per la vita.
    Marcel sentì la rabbia montare dentro di sé, stringergli d’assalto la gola e i pugni. Avrebbe così volentieri spaccato qualcosa, qualsiasi cosa, solo per sfogare quel senso di impotenza che sentiva feroce dentro di sé.
    Fanculo. Si sarebbe vendicato un giorno, avrebbe ripagato quello stronzo con la stessa moneta. Non sapeva come né quando, ma l’avrebbe fatto.
    Sbuffò sonoramente, afferrando il sapone per iniziare a lavarsi, per togliersi la polvere e la puzza del treno di dosso.
    Si insaponò con cura il corpo e i capelli prima di risciacquare via la schiuma del sapone.
    Restò ancora un’istante sotto la doccia prima di decidersi finalmente a chiudere l’acqua e tornarsene in camera, un asciugamano mollemente stretto attorno i fianchi.
    Non gli importava cosa avrebbero visto i suoi compagni, onestamente non gli importava di un cazzo di nulla.
    Tra l’altro, apparentemente, gli avrebbero anche affibbiato una sorta di guardia, un secondino se vogliamo, che lo tenesse d’occhio.
    Avevano forse paura che facesse fuori uno dei loro preziosi studenti? Stronzate e stronzate.
    Non aveva bisogno di una guardia almeno quanto non aveva bisogno di una baby sitter che gli si attaccasse alle palle.
    Annoiato e infastidito alla sola prospettiva, si liberò dell’asciugamano e essendo ormai praticamente asciutto si infilò un paio di pantaloni di cotone, mentre dai capelli bagnati ogni tanto cadeva una goccia d’acqua che gli inumidiva i muscoli del petto e delle spalle.
    Stava per iniziare ad asciugarli quando, dalla porta, giunsero dei colpetti, il suono di qualcuno che bussava.
    Perfetto, è arrivata pure la guardia a cagare il cazzo.
    Marcel si diresse alla porta con una bestemmia sottovoce e aprì la porta, in volto la solita espressione truce.
    Espressione truce che però scomparve rapidamente quando si trovò davanti a un’adorabile biondina dagli occhi chiari.
    Oh, finalmente iniziamo a ragionare.
    Un sorriso, forse più un ghigno che un sorriso, comparve sul volto del lussemburghese mentre squadrava da capo a piedi la ragazza di fronte a lui.
    Ma buonasera, posso aiutarti?” chiese, una guardia del genere avrebbe reso l’essere tenuto sotto controllo molto più affascinante, eccitante persino.


    Edited by Marcel N. - 16/9/2022, 17:53
     
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    Ero eccitata per i compiti che la spilla dorata apuntata al mio petto portava con sé. Durante l'anno precedente non mi era mai stato chiesto di tenere d'occhio soggetti potenzialmente problematici all'interno delle mura di Hogwarts e il fatto che ora stesse invece succedendo mi faceva sentire in un qualche modo orgogliosa dei traguardi da me raggiunti. Era una responsabilità non indfferente e per quanto non ero entusiasta di dover fare da balia a non uno ma ben due studenti problematici, se questi erano i doveri di un caposcuola ero ben più che disposta a provarci. Non sapevo se sarebbe stato facile riuscirci e anzi forse ero segretamente scettica su tale punto, ma tirarmi indietro non era una possibilità e avrei fatto di tutto pur di riuscire a ottenere anche solo qualche piccolo risultato. In fin dei conti si trattava di tenere un Corvonero e un Serpeverde il più possibile fuori dai guai e su questo -grazie a Vanja-, ero diventata piuttosto brava in passato. Certo, con lei al tempo c'era un rapporto decisamente più stretto e intimo, rapporto che però, evidentemente, non era stato per lei abbastanza importante da ritenere necessario informarmi del suo allontanamento da me, da Ellie e dal castello stesso. Era iniziato tutto con una lettere della maggiore fra le tre, Ellie, che mi informava che necessitava di un periodo lontano da quelle mura e poco importava se tale periodo di distanza ne avrebbe messa pure fra di noi, poi era stato il turno di Vanja che in seguito alla sua stupida e imbarazzate bravata che le era costata la sospensione si era come fatta di nebbia e di lei non avevo più avuto notizie. Provavo costantemente a scriverle, mi chiedevo dove diamine si fosse cacciata, ero preoccupata come poche altre volte ero stata in vita mia, ma per ogni mia lettera ciò che ricevevo in cambio era solo silenzio, silenzio e nulla più. Era frustrante e doloroso al tempo stesso e nemmeno se mi sforzavo con tutta me stessa riuscivo a farmi una ragione di come da un rapporto speciale come il nostro fosse potuta rimanere solo tanta indifferenza. Più ci pensavo e più nella mia mente si concretizzava la paura che nulla sarebbe mai realmente durato nella mia vita e che l'unica costante sarebbe sempre stata la solitudine. Forse pure Axel prima o poi si sarebbe allontanato da me e davanti a tale timore non riuscivo proprio a ragionare lucidamente.
    Terminai in tutta calma la risalita dei piani con alle spalle diversi primini che si guardavano attorno con occhi increduli e solo quando fino all'ultimo di loro ebbe trovato il proprio dormitorio passai alla fase successiva del programma della serata: incontrare ragazzo problemato numero uno e parlargli. Cercai sulle svariate porte del dormitorio maschile il suo cognome e quando finalmente lo individuai bussai un paio di volte contro la spessa e scura porta della camera. Non ci volle molto prima che un giovane e attraente ragazzo poco più alto di me l'aprisse con aria svogliata e subito rimasi interdetta. «Ciao io sono Skylee e tu sei...» Mi interruppi per qualche secondo facendo scendere lo sguardo verso il busto del ragazzo per poi tornare velocemente a incrociare il suo sguardo stupita. «Nudo...» Constatai deglutendo imbarazzata mentre sentivo le gote arrosarsi senza che io potessi controllare il loro colorito in alcun modo. Ok, il ghiaccio in un qualche modo si era rotto, non nel migliore da me augurato, ma pur sempre rotto. «Sono qui per la storia del... hum... supervisore...» No ok, non ero decisamente abituata a far valere la mia autorità se davanti a me si trovava un ragazzo mezzo nudo, non ci ero affatto abituata e come se ciò non bastasse le continue goccioline che rigavano prima il suo collo e poi il suo petto -petto che non stavo guardando minimamente, sia messo agli atti-, continuavano a distrarmi facendomi perdere il filo del discorso. «Facciamo così, ora tu ti asciughi, ti rivesti e poi mi raggiungi in sala comune, ok? OK!» Mi risposi da sola facendo dietro front per lasciarmi porta e ragazzo alle spalle per dirigermi verso i divanetti della sala comune, salvo poi cambiare direzione all'ultimo come richiamata dal lungo e maestoso pianoforte al lato della stanza. Amavo la musica, ne ero sempre stata attratta fin da quando ne avevo memoria e immaginavo che mai avrei smesso di sentirmi legata a essa seppure altrnavo periodi durante i quali mi sentivo particolarmente ispirata ad altri dove la concentrazione necessaria a suonarli non c'era affatto. Quello ad esempio era uno di quei periodi con l'ispirazione sotto ai piedi durante i quali faticavo a suonare più di un paio di note dietro l'altra, ma decisi di sedermi ugualmente sul seggiolino in pelle posto davanti allo strumento difronte a me e con fare distratto presi a sfiorare i piccoli tasti color avorio senza troppe difficoltà. Come da previsione non mi sentivo per nulla dell'umore giusto a suonare un brano complicato, ma contro ogni aspettativa riuscii a riprodurre una melodia piuttosto orecchiabile e allegra con la quale mi aiutai a far passare il tempo in attesa del Corvonero e complice la distrazione o l'abitudine che mai sarebbe del tutto svaita le mie dita presero a muoversi in automatico e cominciarono a riprodurre un brano nettamente più difficile. Se fosse bastato farsi trasportare dal momento come in quel caso per ogni aspetto della mia vita sarebbe stato fin troppo bello, ma se suonare spesso si rivelava per me naturale, affrontare di petto i problemi che continuavano a inseguirmi non lo era per nulla e come argilla in balia di esperte mani calde mi lasciavo piegare e deformare ogni volta da essi.
    ★ ★ ★
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    Marcel Anhalt-Dessau | III | Ravenclaw

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    Marcel era molte cose, ma né un ingenuo né un cieco erano tra queste. Si era guardato, e ammirato, allo specchio abbastanza da sapere di essere attraente.
    Probabilmente il suo aspetto era l’unica sua caratteristica saliente, non era né brillante né carismatico e neanche piacevole, ma era bello.
    Sin da quando era stato più giovane, probabilmente sin da quando era un bambino, le persone l’avevano sempre definito tale. Era stato il tipo di bambino per cui i genitori ricevono complimenti dai passanti.
    E un certo punto, quando era ancora solo un ragazzino, da “che bel bambino!” era passato ad essere “che bono!”; a dodici anni le coetanee ridacchiavano e arrossivano al suo passaggio, a tredici adulti fin troppo gentili gli facevano complimenti non richiesti, a quattordici anni- be, non aveva importanza.
    Ora, a quasi diciassette anni, poteva entrare in un locale, magico e babbano, e scegliere tra un’ampia selezione di candidate e candidati volenterosi.
    Non fu quindi sorpreso di vedere la bionda caposcuola arrossire, anzi, se possibile il suo rossore lo divertì ancora di più.
    Non mi sembra di essere nudo, Skylee.” Rispose con disinvoltura e una punta di divertimento, poggiandosi a braccia incrociate contro lo stipite della porta, i muscoli tonici delle braccia in bella mostra.
    La verità era che, in un modo forse perverso, a Marcel piaceva essere guardato e ammirato, era un suo piccolo piacere perverso.
    E gli piaceva contestare e indispettire l’autorità, Merlino quanto gli piaceva, persino quelle tutto sommato piccole come Skylee Metis.
    Peccato, speravo fossi qui per ragioni personali.” Rispose in tono flirtante, un sorriso divertito sul volto “Ma posso accontentarmi. Per ora.
    Ci stava davvero provando con lei? Sì, forse un po’, in modo più goliardico che altro, anche se non si sarebbe certo tirato indietro se la biondina si fosse proposta.
    Non si tirava mai indietro per quelle cose, solo se l’altra persona non era davvero in sé o se davvero, davvero, non era attratto da quella persona. Ma erano casi relativamente rari.
    Era promiscuo, lo sapeva bene, ma non gli importava davvero.
    Si divertiva e non faceva del male a nessuno, non fisico quantomeno, e se era fisico era perché la controparte lo aveva chiesto esplicitamente.
    Come vuoi principessa, non volevo esserti di distrazione.” C’era un velo di compiaciuto stronzaggine nella sua voce? Assolutamente. Era ben più di un velo? Assolutamente.
    Chiusa la porta con una risatina, Marcel si diresse verso il suo baule, tirando fuori una canotta e infilandola sul torso ancora leggermente umido.
    Avrebbe potuto asciugarsi i capelli con un incantesimo, ma non ne aveva alcuna voglia, così si limitò a tamponarli rapidamente con un asciugamano e a sistemarli con le dita.
    Erano ancora un po’ disordinati ma era parte del suo fascino, come fossero appena stati scompigliati dal vento della riviera o stronzate simili, almeno così credeva lui.
    Resosi appena più presentabile. i capelli erano ancora appena umidi e le braccia e spalle toniche restavano in bella mostra, uscì dal dormitorio raggiungendo la sala comune vera e proprio.
    La delicata musica del piano giunse subito alle sue orecchie facendolo sorridere, ovviamente qualcuno tra quei secchioni suonava il pianoforte, e anzi, fu ancora meno sorpreso quando scoprì che a suonare era la biondissima e perfettissima caposcuola.
    Ovviamente una come lei suonava il pianoforte, probabilmente lo suonava sin da bambina o robe simili, era una delle tante fisse da alta società. Persino lui, quasi a sorpresa, sapeva suonare uno strumento classico.
    Non era un fan o un virtuoso del violino, ma da bambino l’avevano forzato a suonarlo abbastanza da renderlo in grado di produrre qualcosa che non somigliasse a un lamento felino.
    Possedeva persino ancora un violino, sebbene giacesse abbandonato da anni nella Sala da musica del palazzo, toccato solo dagli elfi che lo pulivano e dal liutaio che periodicamente veniva ad accordare gli strumenti della famiglia. Anche quelli raramente utilizzati.
    Erano solo un modo, l’ennesimo, per esplicitare la propria ricchezza, l’ennesimo status symbol in un mondo come quello purosangue che viveva di vecchi simboli polverosi.
    Quando hai finito, principessa.” Disse, come ad annunciare la propria presenza, lasciandosi cadere pesantemente su una delle morbide poltrone della sala comune.
     
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    «Lo sei abbastanza per una conversazione in un luogo dove undicenni possono girare indisturbati» Lo rimbeccai rigida e ancora imbarazzata per quella nudità parziale che non mi aspettavo di ritrovarmi davanti una volta spalancata la porta. Ero cresciuta con severe regole e un pudore degno di una rigida famiglia dell'ottocento. Al castello dei Métis non erano tollerati comportamenti maliziosi o discorsi sconvenienti quali quelli riguardanti la sessualità, la nudità o qualsiasi altra cosa si distanziasse troppo dalla loro confort zone fatta di protocolli ed etichette sociali. Tutto ciò che sapevo sulla sessualità lo dovevo interamente a Ellie, Vanja e beh, l'esperienza sul campo se così si poteva dire e non ne avevo mai avuta molta, il che mi portava ad arrossire dinnanzi un ragazzo con solo i pantaloni del pigiama addosso o ad atteggiamenti particolarmente flirtanti. Spesso non li coglievo nemmeno, ma quando lo facevo mi sentivo terribilmente in imbarazzo anche se presa bene potevo rispondere a tono o con atteggiamenti altrettanto provocatori, mentre se presa in un qualsiasi altro momento tutto ciò che avrei voluto fare sarebbe stato scomparire implodendo. L'unica persona con la quale fin da subito mi ero sentita a mio agio, o quasi, era stato axel e se si ignorava come la nostra storia fosse realmente cominciata, dato che il tutto era nato da una tacita sfida che avrebbe visto come perdente il primo a tirarsi indietro in quel provocatorio e sadico giochetto nato dallo scherno e dall'odio reciproco, si poteva dire per me un traguardo importante quello di essere sempre riuscita a tenergli testa nonostante le "regole" del gioco fossero per me sempre state un tabù. «Spiacente di deluderti» Feci spallucce cercando di combattere l'imbarazzo col sarcasmo. Quello sì che mi veniva piuttosto bene, nascondevo la stragrande maggioranza delle mie emozioni dietro al sarcasmo e seppure davanti riusicvo così ad apparire inscalfibile e per nulla provata dalle varie situazioni dentro di me un tumutlo di emozioni era solito investirmi a piena potenza e spesso quelle provate non erano per nulla emozioni positive. «Troppo gentile...» Continuai fingendo di stare al gioco del Corvonero palesemente divertito dalla situazione. Pezzo di merda. Non ero mai felice di dare un simile vantaggio mentale al mio interlocutore, averlo significava potete e potere significava che il rispetto che gli studenti avrebbero dovuto darmi per la mia nuovissima carica di Caposcuola rischiava di venire meno, ma diamine, non era certo colpa mia se la famiglia nella quale ero cresciuta era stata così dannatamente rigida da mettermi in testa che la nudità, come l'intimità andasse concessa e riservata solo per determinate persone e contesti e quello non era sicuramente uno di quei contesti. Non era come vedere ragazzi o ragazze in costume da bagno o in abiti succinti ad una qualche festa, quelli erano contesti sociali ai quali ormai da tempo mi ero abituata, nemmeno ci facevo più caso, ma lì, con un ragazzo semi nudo che nemmeno conoscevo sulla soglia di camera sua, tutto cambiava. Era imbarazzante, lo era e basta e io non avrei dovuto vederlo in tali vesti non sapendo quasi nemmeno come si chiamasse. Era sbagliato. «Ti aspetto in sala comune» Tagliai corto lasciandomi buona parte dell'imbarazzo provato alle spalle per concentrarmi su quanto gli avrei detto di lì a pochi minuti.
    L'inebriante suono della musica prodotta dal pianoforte mi aiutò a schiarirmi almeno in parte le idee e senza nemmeno accorgermene mi ritrovai totalmente assorta dalla musica tant'è che quando il Corvonero fece finalmente il suo ingresso nella sala comune, questa volta adeguatamente vestito, nemmeno me ne resi conto. «Hum, perdonami» Mi scusai senza nemmeno pensarci prima di abbandonare la postazione musicale per raggiungere il giovane ragazzo sul divanetto blu notte. Non era raro che mi lasciassi assorbire totalmente dalla musica, faceva parte di me e della mia stessa essenza, la musica era un modo per fuggire dalla realtà e che fosse prodotta da me o da un aggeggio babbano sparato a tutto volume nelle orecchie poco cambiava, l'importante era che mi permettesse di isolarmi dal mondo. «Mi dispiace per poco fa, non era mia intenzione disturbarti nella privacy della tua stanza, ma credevo fosse giusto presentarci subito visto che si suppone passeremo abbastanza tempo assieme quest'anno» I compiti illustrati sulla lettera mandatami dalla presidenza erano chiari, avrei dovuto assicurarmi che il ragazzo difronte a me non combinasse nessun casino, che non si facesse coinvolgere in nessuna rissa e che svolgesse sempre i compiti assegnati da bravo studente modello. Non potevo sapere in anticipo se il Corvonero mi avrebbe dato o meno filo da torcere nel portare a termine tali incarichi, ma speravo sinceramente che fra noi si sarebbe andato a creare una sorta di rapporto basato sul rispetto reciproco, dove io non gli stavo perennemente col fiato sul collo e lui permetteva a me di dedicarmi pure ad altro che non fosse fargli costantemente da babysitter. «So che prima frequentavi l'istituto di magia Francese... se in futuro ti trovassi in difficoltà con i compiti o con lo studiare su testi inglesi sarò lieta di aiutarti. Parlo abbastanza bene il francese, quindi se non capissi qualcosa puoi usarmi come traduttore personale» Sorrisi con in volto un'espressione gentile nel tentativo di apparire il più disponibile possibile. Rispetto reciproco. Questo era l'obiettivo e se per ottenerlo mi sarei dovuta avvalere persino di una lingua stupida come il francese, me lo sarei fatta andare bene. Non la sopportavo quella lingua, era piena di fronzoli inutili e regole grammaticali prive di senso, ma per i Métis era una lingua così raffinata e melodiosa che non si poteva non studiarla e quindi eccomi lì a sfruttare a mio vantaggio gli insegnamenti imposti dalla mia famiglia. «Sei già riuscito a farti un giro del castello?» Domandai poi curiosa di capire se avrei dovuto o meno fargli da guida turistica.
    ★ ★ ★
    Caposcuola Corvonero | Scheda | Mailbox | Pensatoio
     
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    Marcel Anhalt-Dessau | III | Ravenclaw

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    Effettivamente un torso maschile potrebbe sconvolgere per sempre la povera mente di un ragazzino. Per fortuna che ci sei tu che pensi ai bambini.” Rispose Marcel, la voce che quasi letteralmente colava sarcasmo, ma non del tipo cattivo, più del tipo divertito.
    Se prima aveva avuto il dubbio, ora aveva la certezza assoluta della purosanguità di Skylee Metis, solo quei poveri mentecatti crescevano figli così ridicolmente pudici nell’anno del signore 2022.
    Loro e i culti cristiani americani, ma visto che erano nel Regno Unito e non in qualche stato americano buco di culo propendeva maggiormente per la prima opzione.
    La sua stessa famiglia del resto era piuttosto pudica, non aveva mai visto sua madre in nulla meno che un abito da mare, durante le vacanze sulla riviera francese, e già si trattava per lei di qualcosa adatto solo e unicamente alle dorate spiagge francesi, persino i ristoranti dello stabilimento richiedevano alla duchessa madre un cambio d’abito.
    Per il suo patrigno valeva più o meno lo stesso, Marcel l’aveva visto in meno che giacca e camicia solo quando gli era capitato di vederlo allenarsi. Nonostante l’età, l’uomo era ormai sulla quarantina, Marcel doveva ammettere che si portava bene i suoi anni e poteva permettersi di stare senza camicia.
    Marcel però, dal canto suo, non possedeva neanche l’ombra del pudore. Avrebbe girato nudo fosse stato per lui, esponendo il suo culo sodo a chiunque avesse occhi e buongusto.
    Forse era stato il riformatorio, forse era veramente una troia senza speranza, fatto stava che la nudità – sua o altrui – davvero non lo impressionava. Soprattutto quella parziale come in quel caso.
    Possiamo lavorarci, principessa.” Ribatté, serio solo in parte, la principessa dei ghiacci di fronte a lui sembrava essere in imbarazzo, cosa che lo divertiva enormemente, ma Marcel non era il tipo da giocare al predatore.
    Preferiva mille volte qualcuno che fosse sulla sua stessa lunghezza d’onda, o che comunque necessitasse solo un piccolo incoraggiamento, rispetto a qualcuno da convincere o, orrore, dover corteggiare.

    Una volta che si fu staccata dal pianoforte la biondissima caposcuola prese posto di fianco a lui sul divanetto blu notte e iniziò la sua lezioncina da brava maestrina. Davvero poco impressionante.
    Tranquilla principessa, non mi sento violato e nemmeno la mia privacy.” Ribatté con un ghigno, allungandosi con le braccia nude sullo schienale del divanetto, il braccio che si tendeva fin quasi a sfiorare la bionda, in un gesto solo parzialmente innocente.
    Non vedo l’ora di passare un sacco di tempo costruttivo insieme.” Continuò maliziosamente con un sorrisetto, osservando la sua reazione con la coda dell’occhio.
    La verità era che si divertiva, e neanche poco, ad essere un problema e una bestiaccia molesta, soprattutto quando la controparte era una precisina facile all’imbarazzo come la giovane Metis.
    Seria e purosangue, una delle sue combinazioni preferite in una “vittima”.
    Sempre se di vittima si poteva parlare, in fondo non stava facendo niente di male, solo infastidendo un po’, sarebbe sopravvissuta senza problemi.
    Magari si sarebbe persino sciolta un po’, le stava quasi facendo un favore a ben guardare.
    Di fronte alla proposta di farle da traduttrice però si ritrovò ad inarcare un sopracciglio castano.
    Gentile da parte tua, ma sono lussemburghese, siamo quasi tutti poliglotti. E il francese non è neanche la nostra prima lingua.” Era una delle più parlate nel paese, assieme al lussemburghese e al tedesco, più anche del tedesco, ma per lui l’inglese non era un problema, come anche testimoniava la sua parlata chiara, quasi priva di accento, se non per un’inflessione più dura su alcune lettere.
    Le lingue, quelle correnti e quelle morte – come il latino – erano parte di quelle che il suo patrigno riteneva materie fondamentali per l’educazione di un purosangue che si rispetti.
    Era una delle poche cose, probabilmente l’unica, su cui Marcel concordava con lo stronzo bastardo.
    Nah.” Rispose tornando a sorridere, non gli interessava granché parlare di roba scolastica, al contrario “Ti stai offrendo come guida turistica? Scommetto che puoi farmi fare un bel giretto.” Tornò alla carica, persino più apertamente flirtante e divertito di poco prima, interessato a virare la discussione sui più divertenti campi di ciò che loro potevano fare insieme, magari soli soletti.
     
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    «Posso solo immaginare...» Borbottai dopo aver fatto fuoriuscire molto lentamente l'aria dalle narici. Non ero convinta che quello che voleva passare assieme a me fosse realmente del tempo costruttivo, ma ignorai il suo braccio disteso vicino a me e convinsi me stessa, per il bene di entrambi, che fosse realmente ciò che pensava e con uno smagliante sorriso in volto continuai a spiegargli ciò che mi era stato chiesto di fare per lui e quanto altro avrei potuto fare se solo ne avesse avuto la necessità, ma almeno per il francese non sembrava essere necessario. «Grazie al cielo, detesto il francese» Ammisi lasciando che per una manciata di secondi la mia bocca parlasse senza filtri. «Senza offessa chiaramente, se a te piace ben venga... insomma è solo un parere personale il mio...» Mi corressi in fretta grattandomi nervosamente la nuca. Non mi sentivo a mio agio quando permettevo al mio interlocutore di carpire anche sole poche e piccole informazioni vere su quanto mi ronzasse in testa. La verità era spesso sinonimo di debolezza e se una persona conosceva le mie debolezze mentre io non conoscevo le sue passavo velocemente in svantaggio e ciò non mi piaceva per nulla. «Hum...» Guardai distrattamente l'orologio a pendolo posto sulla parete ovest della sala comune e cercai mentalmente di capire quanto ci sarebbe voluto per fare almeno un veloce giro della scuola. «Se ci sbrighiamo potremmo farcela, manca ancora un oretta al coprifuoco...» Affermai non appena ebbi concluso i miei calcoli mentali. Tutti gli altri compiti da caposcuola li avevo già portati a termine e visto che il primo giorno ci era richiesto di accompagnare gli studenti nelle sale comuni un po' prima del coprifuoco, così da permettere loro di sistemare con calma le proprie cose e ambientarsi, di tempo ne avevamo ancora un po' e questo significava che potevo permettermi di fare da personale guida turistica al ragazzo. «E giro turistico sia... però non puoi certo farlo in pigiama» Constatai sorridendo divertita mentre lo squadravo velocemente per capire se quello che si sarebbe preso uscendo vestito in quel modo sarebbe stato solo un raffreddore magico o qualcosa di più serio. Per chi come me era abituato a temperature ben più rigide il fresco clima scozzese pareva più che accettabile, ma per molti non era così e per i maghi non originari del territorio tale brezza fredda risultava spesso micidiale, obbligando ogni anno molti studenti a fare scorta di fazzolettini da naso e seppure il ragazzo fosse stato abituato al freddo, girare in pigiama per tutta la scuola non sarebbe stato per nulla opportuno, come d'altronde non era opportuno girare mezzi nudi per le sale comuni. «Pare che questa sera il tema scottante sia il tuo vestiario...» Esclamai divertita mentre sfilavo la mia bacchetta dalla fondina legata alla coscia sinistra, subito sopra il limitare della gonna della divisa per evitare che sbucasse fuori, non mi piaceva far sapere in anticipo dove si trovava il mio catalizzatore magico e se quando indossavo i pantaloni o vestitini troppo corti optavo per nasconderla al lato degli anfibi che ero solita indossare in ogni occasione, a scuola, con quei ridicoli mocassini che eravamo tenuti a portare ai piedi, la soluzione più furba era quella del sotto gonna. «Vestis» Sussurrai con un filo di voce e tanta sicurezza nel tono mentre gli abiti del Corvonero mutavano forma e diventavano più caldi e coprenti. «Ora possiamo andare, seguimi» Esclamai autoritaria alzandomi dal divanetto per raggiungere la porta d'uscita a passo svelto. «Come immagino tu sappia già al momento ci troviamo in una delle torri di Hogwarts, ma quello che forse non sai ancora è che questa scuola è piena di torri, ce ne sono veramente tantissime e alcune non hanno minimamente senso di esistere. Le più importanti sono quelle dove si trovano le sale comuni e i dormitori di Grifondoro e Corvonero, quella di astronomia e quella dell'orologio, mentre le altre bene o male le puoi pure ignorare...» Affermai lasciandomi andare a una quasi impercettibile risatina divertita. Io le avevo esplorate tutte quante e se pure il ragazzo aveva un indole curiosa come la mia magari avrebbe fatto lo stesso, ma era giusto avvisarlo che non ci avrebbe trovato nulla di così tanto interessante, salvo qualche piccola eccezione. «Scendiamo dai...» Feci cenno al ragazzo di seguirmi e scesi silenziosamente le scale fino ad arrivare al settimo piano. «Mi raccomando attento, alle scale piace cambiare e se non sei veloce rischi di perderti o di finire da tutt'altra parte rispetto alla meta prefissata» Affermai pentendomi velocemente di aver perso tempo a voltarmi per fargli capire quanto concreta fosse la possibilità che ciò accadesse. Non feci in tempo ad appoggiare il piede sulla piattaforma che ci avrebbe portati nei pressi della stanza delle necessità che la scala cambiò repentinamente direzione e mi fece appoggiare letteralmente il piede nel vuoto facendomi perdere l'equilibrio. «Porco di quel...» Trattenni a stento un imprecazione che non ero solita usare ma che spesso sentivo uscire dalla bocca del Bulgaro e che dire, in quell'occasione mi era decisamente concessa visto che se non mi fossi riuscita prontamente ad aggrappare da qualche parte avrei rischiato di cadere nel vuoto.
    ★ ★ ★
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    Marcel osservò la bionda con un sorrisetto sempre più divertito.
    Doveva renderla davvero nervosa a giudicare dal mondo in cui si correggeva e muoveva, probabilmente anche un po’ a disagio.
    La cosa però divertiva enormemente Marcel. Creare problemi, essere il problema persino, era una delle poche cose che divertiva Marcel. Voleva turbare, essere fuori luogo, come uno di quegli artisti concettuali del cazzo che piacevano tanto ai babbani. Come si chiamava la stordita del museo?
    Non ci vedeva neanche niente di male, cos’era il suo essere un po’ stronzetto e fastidioso in un mondo di merda? Sky sarebbe sopravvissuta, forse si sarebbe persino divertita un po’ con lui.
    E un giorno, probabilmente da lì a non più di quattro o cinque anni, sposata a un vecchio purosangue bavoso, avrebbe potuto ricordare a quel momento e godersi almeno un orgasmo in solitaria.
    Meglio di niente.
    Rimase quindi piuttosto sorpreso quando – invece di capire cosa ovviamente intendeva davvero – quella si mise in moto per andare davvero a fare un giro. Un giro vero. Una passeggiata.
    Ma tu guarda ‘sta deficiente.
    E’ davvero una fortuna che Corvonero sia la casa delle menti brillanti.” Disse con un sorrisetto sarcastico, pensa un po’ come sono gli altri tre.
    E normalmente le avrebbe detto di andare a farsi fottere, che di andare davvero a farsi una passeggiata con lei non gliene poteva fregare niente, che starla a sentire era l’ultima cosa che voleva da lei, ma sentiva di essere forzato ad andarle dietro.
    Soprattutto quando la bionda – cazzo, avrebbe dovuto carpirlo dai capelli – si mise a pasticciare con i suoi vestiti. Di sua iniziativa. Senza chiedergli un cazzo. ‘Sta stronza.
    Ehy, non te lo aveva chiesto nessuno.” La riprese, una nota dura nella voce, lo sguardo molto meno divertito ed amichevole rispetto ad un momento prima “Magari la prossima volta chiedi prima di fare quel cazzo che ti passa per la testa, eh.
    Ma chi cazzo si pensava di essere per sindacare come si vestiva? Per modificare i suoi vestiti? Nessuno glielo aveva chiesto e onestamente gli dava fastidio. Molto. Enormemente.
    Chi cazzo pensava di essere? Stronzetta arrogante.
    Odiava che le persone toccassero i suoi vestiti, poteva tollerare di essere spogliato se sapeva che stava per succedere – se aveva modo di prepararsi mentalmente – ma quando succedeva d’improvviso come in quel momento allora reagiva inevitabilmente male.
    Non dovevano toccare i suoi vestiti. Nessuno. Trigger, fastidio, reazione, non importava come lo classificavano, a Marcel dava fastidio punto e basta.
    Faceva scattare qualcosa dentro di lui, qualcosa di oscuro e nauseante, qualcosa di inclassificabile ma che scatenava in lui una reazione aggressiva. Dovevano tenere le cazzo di mani a posto, non era chiedere tanto!
    Non me ne frega nulla, onestamente. E tra l’altro perché questo posto è così squallido?” la interruppe rudemente mentre quella iniziava a elencargli una serie di stronzate sul castello in cui si trovavano.
    Non gliene fregava assolutamente niente. E quel posto era una merda, piccolo e miserevole, le stalle di Beauxbatons erano più lussuose e luminose di quel mucchio di pietre che chiamavano pomposamente castello.
    Perso l’interesse per la bionda, sotto il punto di vista sessuale, era tornato il solito Marcel stronzo e sgradevole e basta. La gentilezza serviva a fottere e considerando che ora la bionda gli stava momentaneamente sulle palle anche la gentilezza era divenuta inutile.
    Il fatto che si fosse permessa di toccare, seppur con la magia, i suoi vestiti lo aveva infastidito oltre ogni dire e ora era pronto a tirare fuori il peggio di sé.
    Anche alle scale non piace stare qui, encomiabile.” Rispose con un tono che traboccava di noia e sarcasmo, accennò persino uno sbadiglio mentre quella parlava.
    Le scale però davvero non volevano stare lì – o forse era il karma per aver toccato i suoi vestiti - perché scelsero proprio il momento in cui Sky mise lì il piede per decidere di spostarsi lasciando la bionda a precipitare nel vuoto.
    Anche le scale sono stronze qui! – pensò rapido mentre istintivamente si sporgeva verso l’altra purosangue, il corpo forte che scattava come una molla, le mani che trovavano le braccia pallide di Sky, stringendosi attorno alla carne e poi tirandola con forza verso di sé, verso la salvezza.
    Wat der Däiwel!” proruppe incredulo, continuando a stringere a sé la bionda.
    Che razza di idiota metteva una roba simile in una scuola? Erano così palesemente un’idea del cazzo che quasi gli facevano male al cervello!
    Ass alles OK?” le chiese istintivamente mentre la lasciava andare, ben attento a controllare che entrambi fossero coi piedi ben distanti dal neocreato strapiombo “Cioè, tutto a posto?” aggiunse poi, tornando a parlare in inglese.


    "Ma che cazzo!"
    "Tutto a posto?"


    Edited by Marcel N. - 14/10/2022, 20:23
     
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    Al commento palesemente sarcastico del ragazzo seguì una reazione fisiologica sul mio volto, che immediatamente si dipinse di sfumature rossastre al realizzare ciò che in realtà, con ogni probabilità, mi aveva proposto fra le righe di fare. Un bel giretto assieme a lui. Un giretto decisamente non turistico e immediatamente mi sentii terribilmente in imbarazzo. Forse persino un po' stupida e ingenua per aver interpretato la sua frase in maniera assolutamente non maliziosa. Non ero particolarmente capace d'intuire quando un ragazzo, o perché no, una ragazza tentasse di flirtare con me e anzi, la maggior parte delle volte confondevo totalmente le loro intenzioni, come in quel caso per esempio. In alternativa ero solita reagire innalzando delle barriere protettive attorno a me, come se i commenti della persona che avevo davanti fossero in realtà ostili o derisori. Non ero proprio abituata a sentirmi desiderata da qualcuno, forse era per via della reputazione che mi ero fatta al castello che ora davo per scontato che tutti si ponessero nei miei confronti con modi carini o flirtanti solo per ottenere un qualche favore da una caposcuola, o peggio ancora per poter andare a dire in giro che ero rigida -o come preferivano chiamarmi solitamente: palo in culo- pure al di fuori delle mie responsabilità scolastiche. Scossi la testa e tentai di fare finta che nulla di tutto ciò mi fosse passato per l'anticamera del cervello fingendo totale ingenuità, ammettere che avevo capito ma solo in ritardo era forse più imbarazzante del passare per una sprovveduta in tale contesto e così continuai a portare avanti la mia proposta del giro turistico senza aggiungere altro. La prima mossa fu quella di rendere gli abiti del Corvonero consoni all'ambiente verso il quale ci saremmo addentrati, ma il ragazzo non apprezzò per nulla il mio gesto e anzi, con modi bruschi e stizziti mi rimproverò persino le mie azioni. «Che c'è? Preferivi forse che ti trasfigurassi una divisa femminile?» Domandai sarcastica non riuscendo a vedere nulla di male nel mio gesto. Cosa avevo mai fatto di così sbagliato per farlo reagire in quel modo? Quella che gli avevo trasfigurato addosso era solamente la divisa che da quel giorno fino alla fine dei suoi studi avrebbe indossato per la maggior parte del suo tempo al castello, c'era davvero qualcosa di così sbagliato nell'aver accorciato i tempi risparmiandogli l'ennesimo cambio di abiti? Lasciai che ancora una volta il discorso decadesse e mordendomi la lingua per non dare ragione alle voci che mi dipingevano scorbutica e un po' stronza, uscii dalla sala comune assieme al Corvonero musone. «Beh dovrebbe visto che dovrai passare in "questo squallido posto"» Lo citai imitando la sua voce annoiata. «I prossimi quattro anni della tua vita... Sai, sono un po' lunghi da passare in un posto che non conosci minimamente» Non pretendevo che come me si interessasse alla storia del castello e alle varie leggende che lo abitavano, ma almeno conoscerne i luoghi mi pareva fondamentale per non perdersi ogni giorno alla ricerca di una delle tante aule ubicate in posti strani e per nulla intuibili come poteva ad esempio essere l'aula di babbanologia, la quale non avrebbe potuto suggerire in alcun modo la sua posizione all'interno delle mura come invece potevano fare le serre di erbologia che grazie al loro nome, persino il più stupido degli studenti, avrebbe potuto intuire di dover cercare una struttura che gli ricordasse appunto una serra. «La smetti? Stai partendo prevenuto, questo è un posto straordinario nel quale studiare» Sibilai severa concludendo la frase con un urlo trattenuto fra i denti.
    Improvvisamente sotto ai miei piedi non vi era più niente e tutto ciò che calpestavano era della misera aria. Sentii le braccia del ragazzo stringersi attorno al mio esile corpo e immediatamente tutto il fastidio provato per le sue parole e il suo atteggiamento di poco prima lasciò il posto a un tacito e sincero sentimento di gratitudine per il non avermi fatto precipitare nel vuoto.
    Come se da quello dipendesse la mia vita, cosa che ironicamente rispecchiava il vero, mi aggrappai a mia volta a lui con il terrore negli occhi e la voglia di sopravvivere nel corpo, che spaventato cercava di non cadere di sotto stringendosi all'unica ancora di salvezza presente nei paraggi, Marcel. Rimasi immobile per qualche secondo, ancora stretta fra le sue braccia che sapevano di salvezza e come un automa privo di vita mi estraniai da tutto ciò che mi circondava per cadere in una sorta di trance durante la quale tutto attorno a me divenne più sfuocato e confuso mentre il cuore prese a battermi in una maniera decisamente troppo veloce e sconnessa rispetto al solito, alternando attimi di tachicardia ad altri con battiti meno incalzanti ma pure sempre irregolari. Stavo avendo un attacco di panico, lo sapevo, mi ricordavo cosa si provasse in quei frangenti di puro sconforto, eppure nonostante ormai da anni avessi imparato a conviverci in quel momento proprio non ricordavo come uscirne o come fare per affrontarli.
    Non sentii nemmeno le parole del ragazzo, che come una leggera brezza autunnale mi sfiorarono solamente, incrementando unicamente il panico che provavo. Quasi non capivo più dove mi trovassi e immediatamente alla mia mente tornarono tanti episodi che mi avevano vista più volte rischiare la vita e che volta dopo volta mi avevano segnata sempre più facendomi perdere per strada piccoli frammenti di me, frammenti che forse non sarebbero mai più tornati al loro posto lasciandomi crepata per sempre. Ero rotta, me lo ripetevo ormai da mesi ed era esattamente così che mi sentivo mentre percepivo di star andando sempre più verso l'iperventilazione piuttosto che verso una respirazione normale. Ero rotta.
    ★ ★ ★
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    Non c’erano che due persone al mondo a conoscenza di ciò che si celava davvero dietro quello che era stato lo scandalo dell’anno in Lussemburgo neanche tre anni prima, sarebbero state tre, ma la vittima di un omicidio non può essere anche testimone. È parte della sua natura stessa di vittima.
    Marcel era una di quelle persone mentre l’altra era il suo patrigno, Albert Von Nassau. Nessun’altro sapeva la verità, nessuno poteva immaginare cosa si nascondesse dietro la maschera di freddezza e disprezzo di Albert o quella promiscua e priva di freni di Marcel. Dietro al terrore che, ancora tre anni dopo, coglieva Marcel quando forze estranee interferivano coi suoi vestiti.
    Non Amelie, non Stephanie, non il giudice che l’aveva condannato, non la famiglia babbana di Gideon, nessuno. Solo loro due.
    Certamente non Skyleen Metis, che incontrava Marcel quel giorno per la prima volta.
    Non era certo colpa sua se il brusco cambiamento d’umore del lussemburghese l’aveva colta di sorpresa o lasciata amareggiata, non poteva sapere cosa si agitava nella mente di Marcel, da quale oscuro baratro giungessero le sue paure, i suoi trigger e le sue ansie.
    Non mi piace che mi si tocchino i vestiti, okay? Okay” rispose piccato infatti Marcel, chiaramente desideroso di chiudere l’argomento una volta per sempre.
    Non voleva parlarne. Non voleva spiegare. Era solo sgradevole. Odioso. Repulsivo.
    Fortunatamente però anche l’altra ragazza sembrava essere dello stesso avviso e insieme proseguirono per il loro giro del castello.
    Sono stato due anni al gabbio, penso che me la caverò.” Rispose mantenendo di proposito il tono neutro, appena annoiato, notando quanto sembrasse infastidire la sua guida improvvisata.
    Normalmente non avrebbe rivelato con tanta tranquillità il proprio passato – non intendeva nasconderlo, certo, ma neanche tirarlo fuori per primo a quel modo – ma immaginava che la caposcuola fosse già a conoscenza dei suoi trascorsi visto che l’avevano messa a fargli da babysitter. Non aveva senso far finta di nulla con lei.
    La scuola non lo spaventava né lo impensieriva, era lì solo perché il suo patrigno aveva deciso così e perché così facendo avrebbe avuto l’occasione di stare al fianco di sua sorella e recuperare il tempo perso mentre si trovava in galera. Era l’unica cosa che voleva: tempo per sua sorella Amelie.
    Tutto il resto era solo accessorio ai suoi occhi: i soldi, il titolo, il sesso, la scuola, persino la magia stessa erano cose di cui avrebbe fatto a meno in un baleno per Amelie, per renderla felice, per tenerla al sicuro, per proteggerla dalle brutture di un mondo infelice.
    Era l’unica luce, l’unica ancóra in un mondo che gli aveva dato poco e nulla se non dolore e umiliazione.
    Come no.” Borbottò sarcastico, rivolgendole un sorriso condiscendente che però sparì immediatamente quando la ragazza quasi cadde dalle scale nel nulla del baratro sotto di loro.
    Fortunatamente Skylee non oppose resistenza alcuna al salvataggio di Marcel, anzi, le sue braccia esili si strinsero attorno a quelle del giovane corvonero, aiutandolo ad allontanarla dal pericolo e a metterla al sicuro da quelle stupide scale del cazzo.
    Ohi” chiese ancora quando la ragazza non parve dar alcun cenno di averlo sentito le prime due volte.
    Merde.” Borbottò malamente, riconoscendo nel pallore e nel tremore della ragazza davanti a sé i sintomi chiari e ovvi di un attacco di panico. Attacco forse giustificabile, ma che era veramente un’enorme scocciatura per uno come Marcel che decisamente non possedeva l’indole del crocerossino.
    Ohi, qua stringimi il braccio. Forte. E respira piano e con il naso.” Le disse, prendendo la sua mano e – se le l’avesse lasciato fare – guidandola fino a stringere il proprio polso sinistro “Cerca di seguirmi, un’azione fisica ridurrà l’effetto dell’adrenalina e del cortisolo, okay? È solo quello, un rush di cortisolo e adrenalina, okay?” continuò, mantenendo un tono di voce quanto più fermo ma rassicurante possibile.
    Marcel non era di per sé un soggetto rassicurante, al massimo il contrario, ma aveva il pregio di essere un bugiardo e un attore più che discreto.
    Okay, principessa? Ascoltami. Stringi e respira, stringi e respira, è solo un rush e finirà prima che tu te ne renda conto.” Continuò, prima di alzare la mano libera e darle un paio di – quantomeno sperava lo fossero – rassicuranti pacche sui capelli “Sei lontana dalle scale e sei al sicuro, devi solo respirare e vedrai che tornerai un palo in culo in men che non si dica.
    In realtà Marcel non era esattamente un esperto, aveva un’idea piuttosto concreta delle alterazioni chimiche che un attacco di panico causava in un cervello, ma la parte del consolare e aiutare era più improvvisazione che altro.



    "Ma che cazzo!"
    "Tutto a posto?"
     
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    Nulla aveva importanza in quel momento, né il caratteraccio del ragazzo -o il mio-, né la scoperta che era stato al gabbio, né l'incomprensione sul cambio d'abito. Tutto ciò che importava in quel momento era sopravvivere e le sue braccia allungate in mia direzione erano l'unica alternativa allo spiaccicarmi al suolo, per questo le avevo afferrate senza fare troppi complimenti e per questo mi ero lasciata sollevare come un sacco di patate per farmi portare in salvo. L'orgoglio era un sentimento pericoloso e di tanto in tanto si doveva riuscire a metterlo da parte e io in quel momento lo avevo fatto eccome, altrimenti col cazzo che avrei permesso a qualcuno di vedermi in un momento di simile debolezza.
    Stavo iperventilando, l'ossigeno che mi arrivava al cervello era probabilmente meno di quello che mi sarebbe servito per pensare lucidamente e calmarmi e così, tra un tentativo di riprendere il controllo del mio respiro e l'altro, avevo lasciato che la mia mente si estraniasse ancora una volta da tutto ciò che c'era attorno. Non vi erano più scale, quadri o persone attorno me, solo un buio crescente che tentava di lacerarmi da dentro. Col tempo avevo imparato a tenere sotto controllo i miei attacchi di panico, o almeno questo era ciò che per svariati anni avevo creduto, ma la realtà era ben diversa. Non ero stata più la stessa dall'incidente in Bretagna, quando sostituendomi alla morte stessa avevo deciso le sorti di una persona strappandogli la vita dal petto. Anzi forse non ero più stata la stessa pure da prima, da quando Vanja, quella che un tempo consideravo come una sorella, aveva perso la bambina. Insomma, non ero più me stessa da fin troppo tempo e questo mi aveva portato a fare molta più fatica a controllare il mio corpo e la mia mente quando mi capitava qualcosa che sfuggiva totalmente dal mio controllo. Ero diventata in un qualche modo fragile e ora bastava veramente poco a farmi reagire in maniera esagerata a stimoli esterni. Certo, rischiare di cadere da tipo sette piani di scale non era poi un così piccolo e sciocco stimolo esterno, ma reagire facendosi venire un attacco di panico era decisamente troppo per i miei standard di autocontrollo e seppure il mio corpo non rispondeva alla mia mente, dentro mi stavo dando della stupida in almeno sette lingue differenti, e vedete bene, io tutte quelle lingue nemmeno le sapevo. Tentai ancora una volta di calmarmi cercando di rallentare il respiro ma era difficile e fu con fare provvidenziale che la voce di Marcel giunse finalmente alle mie orecchie. «Il il braccio cosa?» Chiesi confusa balbettando appena nel tentativo di controllare almeno la voce visto che per il respiro non sembravano esserci miglioramenti.
    Il tocco delle fredde dita del ragazzo sulla mia pelle mi fece sussultare appena ma ancora una volta non opposi resistenza quando intuii le sue intenzioni. Con movimenti lenti e cauti avvicinò la mia mano al suo polso per farselo afferrare e come una marionetta guidata da fili trasparenti lasciai che le mie dita tastassero la zona prima di afferrarla con una debole forza. Il Corvonero parlava di una qualche reazione chimica che il contatto umano avrebbe portato, ma le mie orecchie non lo udivano davvero e la sua voce pareva più un ronzio lontano, al contrario il battito del suo cuore giungeva a me in maniera piuttosto vivida. Sentivo il suo polso pulsare sotto la pressione della stretta della mia mano e subito la mia mente andò a ripescare una serie di ricordi ben precisi. Gli scenari erano diversi ma il soggetto al centro del ricordo era sempre il medesimo. Ero io stretta fra le braccia di Axel e avevo la testa posata sul suo petto per udire il lento e costante battito del suo cuore. Mi faceva sempre sentire stranamente tranquilla e serena, protetta addirittura e seppure in quel momento non si trovava lì fisicamente, già il solo ricordo di quella piacevole sensazione mi aiutò a tornare lentamente in me e assieme alla calma pure la lucidità ricominciò a tornare. «Ti ringrazio...» Sussurrai dopo aver deglutito silenziosamente un paio di volte per moderare il tono della voce che lasciavava ancora trasparire un certo affaticamento da parte mia. «Io... ecco... di solito non sono così, te lo assicuro...» Borbottai in preda alla vergogna per essermi lasciata andare in quel modo alle mie emozioni. Emozioni che normalmente sapevo gestire in maniera decisamente meno teatrale e diamine, preferivo mille volte farmi dare del palo in culo piuttosto che della debole. «Non non sono pazza, è solo che... ecco... a volte capita che le mie emozioni prendano leggermente il sopravvento, tutto qua» Risi istericamente rialzandomi in piedi come se nulla fosse mai accaduto. «Sai che c'è? Forse avevi ragione, questo castello un po' squallido lo è sul serio» Esclamai dopo l'ennesima risatina imbarazzata che nella mia mente nascondeva alla perfezione il mio reale stato d'animo ma che in realtà, con ogni probabilità, gridava unicamente: Hey, sto morendo dentro dalla vergogna, che dici? Cancelliamo questo episodio dalle nostre menti? «Credo che questo noioso tour possa concludersi qui, riprenderemo un altro giorno magari» Oppure mai, io non mi sarei di certo lamentata e anzi, se solo non fossi stata obbligata dalla scuola a continuare ad avere a che fare con lui probabilmente dopo quella sera avrei tentato in tutti i modi di evitarlo per i restati anni dei miei studi, ma non potevo e quindi quella di sperare che con il passare della notte si sarebbe dimenticato di tutto pareva essere l'alternativa più appetibile, per quanto utopistica fosse.
    ★ ★ ★
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    Conclusa.


    Edited by Skylee. - 20/11/2022, 00:34
     
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