What a beautiful coincidence

with Reina, Edimburgo.

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    Axel
    Primi di agosto.

    Una cazzo di trottola per tutta la fottuta estate. Axel aveva pensato sarebbe stata una passeggiata farsi qualche giorno in Bulgaria a sistemare le questioni di famiglia, saltare al volo da Sky per una maratona di sesso e poi di nuovo in viaggio a prendere cose per Ethan. E invece, spoiler: il ducato era in condizioni pietose. Ogni stramaledetto bracciante affittuario ne aveva una contro l’incuria con cui sua madre aveva amministrato le proprietà. Tutti confidavano nel giovane quanto appena ritrovato “duca Dragonov” mentre Axel, di tutta quella roba, ci capiva meno di zero e se ne sbatteva altrettanto, tuttavia, sentiva di doverlo fare. In dovere nei confronti di suo padre, Dimitar, e maggiormente in obbligo per ciò che aveva tolto a Petar. Lui sarebbe stato migliore in quella posizione, lui avrebbe saputo cosa fare poiché sin da bambini, Petar, sapeva sempre tutto e sapeva sempre quale sarebbe stata la cosa migliore da fare. Naturalmente Axel con il tempo, la memoria e soprattutto il dolore per la colpa che andava attribuendosi aveva costruito intorno alla figura del fratello maggiore un vero e proprio mito. Solo il destino avrebbe saputo se Petar sarebbe stato all’altezza del compito ma il mannaro ne aveva reciso il filo della vita prematuramente. Quando non era impegnato a gestire queste grane in Bulgaria si smaterializzava nei pressi di Hyde Park, di cui oramai conosceva a menadito ogni centimetro quadro e di cui si era fatto una mappa mentale dettagliata degli orari di punta sapendo quando e dove smaterializzarsi per passare inosservato ai babbani. Due passi, toccava la statua del Peter Pan e boom! In Alaska dalla sua biondina preferita che aveva cominciato a chiamare “paperella” per il modo in cui corrucciava la bocca in un sorriso compiaciuto. Dopo la furiosa litigata di fine giugno le cose erano andate nettamente in miglioramento. Sky sembrava aver smesso di tenergli continui segreti e a poco a poco sembrava lasciarsi andare a quella situazione. Per Axel era tutto nuovo, non aveva mai avuto “la ragazza” e continuava a non considerare la Corvonero a quel modo però – e infondo non è questo ciò che realmente conta? – stava bene con lei. I progressi e i gesti venivano naturalmente e nessuno dei due pretendeva dall’altro cose schifosamente romantiche che avrebbero dipinto sulla faccia del bulgaro un’espressione di sentito disgusto. Giammai. Questo era in grado di darle: sopportazione, comprensione, tanto sano incredibile sesso e... amore? Su questo ne era scettico ma lei ne era testardamente convinta perciò contenta lei, contenti tutti.
    Poi c’era l’altra rottura di cazzo: Ethan. Fin troppo conscio che la scuola non avrebbe ripreso prima del primo di settembre implicando – secondo lui – che per forza di cose Axel non avesse altro da fare se non servirlo e riverirlo. Nello specifico, mandandolo in missione letteralmente una settimana sì e l’altra pure per raccattare quest’ingrediente o quella creatura per il cagacazzo delle aste. Proprio l’altra mattina gli era arrivato un gufo che diceva ordinava:

    “Quando hai finito di grattarti il culo da mamma ci sarebbe del lavoro da fare.
    Edimburgo, dopodomani. Hai un carico.
    Il nostro amico indossa un foulard verde da finocchio al collo.
    E.

    P.S. E piantala di metterti la matita, dovresti fare paura?!”

    Simpatico. Però il messaggio sottinteso era chiaro. Aveva preso armi e bagagli, salutato la Corvonero, ed era andato nuovamente a figurare in Bulgaria per un altro giorno prima che sua madre sospettasse che non ci fosse nessun incontro a Tsarevets con l’attuale conte del nord. Una cazzo di trottola appunto. Il giorno era quindi arrivato, si era spostato con il nottetempo per raggiungere la capitale scozzese e aveva dormito in una bettola d’appoggio per incontrare il famoso tizio dal foulard verde – palesemente omosessuale come indicazioni del padrino – che non mancò di indirizzargli un occhiolino a seguito di un: “è bello fare affari con te”. Ewwww, che schifo! Ci mancavano giusto le avance di un vecchio frocio! Sistemò le cose nella bisaccia incantata spuntando in un secondo check di controllo il materiale che Ethan aveva ordinato. Era tutta roba per il laboratorio, roba rara, pregiata, alcune cose persino illegali e in mezzo a tanta ricercatezza alcuni componenti per la preparazione dell’anti-lupo. Ethan avrebbe potuto benissimo farsi spedire il tutto a Londra ma la presenza di quegli specifici elementi gli faceva intuire quanto quella fosse una macchinazione messa in atto di proposito dal Kontos per ricordargli che era lui a fornirgli quella pozione di vitale importanza per il bulgaro, che dipendeva da lui e da lui soltanto. Avrai anche i soldi adesso ma questa fatta ad arte e funzionante per te, te la faccio solo io. Ricordatelo, questo sembrava dire. Fanculo. Chiuse la bisaccia, riponendo il foglio spuntato quando voltandosi riconobbe l’esile ma statuaria figura dell’ultima persona che avrebbe mai pensato di incontrare quell’estate: Reina Scott.
    «Non ci posso credere», bisbigliò prima di urlare alla volta della Serpeverde. «Scott! Che cazzo ci fai qui?» Al porto, ad Edimburgo, in Scozia. Lì insomma! «Ti stai attrezzando per uccidere qualcuno?» Le chiese quando le si avvicinò senza aspettare che ella facesse un cenno in tal senso.
     
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    Sarebbe potuto essere un giorno come un altro, passato tra la noia e le bacchettate sulle mani ogni qual volta avesse fatto qualcosa di “sbagliato” ma, invece della solita, fastidiosissima, sveglia, furono buttate giù dal letto dalle urla isteriche della Dow. A quanto pareva, una coppietta felice stava arrivando all'istituto per scegliere una figlioletta trofeo e, la direttrice, le voleva pronte e profumate il prima possibile a causa del poco preavviso. Bhe, tutte tranne lei per ovvi, magici, motivi. Reina dubitava che si trattasse solo del fattore magia il motivo per cui la voleva fuori dai piedi ogni volta qualcuno passasse da quelle parti, al supermercato delle figlie indesiderate, ma la cosa la divertiva un mondo. Peccato che questa volta il poco preavviso non le avesse lasciato modo di organizzarsi un paio di giorni in qualche bettola lontana da li.
    Si erano lavate e pettinate, ed era stata ripresa per aver tagliato la coda ad una sua compagna. Avevano fatto colazione, ed era stata ripresa per aver infilato un dito nel barattolo della marmellata ed essersela mangiata così. Si erano vestite ed era stata ripresa perché la maglia con su scritto “parenti serpenti”, a quanto pareva, era inappropriata, e di nuovo perché non capivano come avesse fatto a procurarsela, comunque non se la cambiò. Quella mattina sembrava che ogni cosa facesse risultasse indigesta alla direzione. Fu quando la macchina della futura famiglia felice stava entrando nel viale, e lei si mise a cantare a squarciagola, che la direttrice ne ebbe finalmente abbastanza
    “Reina! Vattene da qui!” era ovvio che volesse che se ne andasse dal salotto dove le ragazze erano solite incontrare i nuovi arrivati, mettersi in vetrina insomma, ma perché non prenderla alla lettera e svoltare la giornata? Tornò in camera di corsa, ammucchiò quelle quattro cose che poteva dire di possedere sul letto e, dopo aver rubato uno zainetto con delle bambole dalle teste giganti e sproporzionate ad una sua piccola compagna, lo riempì e se lo caricò in spalla. Erano tutti troppo presi dai nuovi arrivati per prestare attenzione a lei che, con l'agilità di chi lo aveva già fatto fin troppe volte, uscì dalla finestra e lasciò l'istituto.
    Non le era capitato spesso di girare per le strade di Edimburgo, non le portavano quasi mai in giro a passeggiare, e contava di non doverci ritornare tanto presto. Tutto quello che voleva fare era levarsi di culo. Peccato che non sapesse dove andare, l'idea era quella di girare per un po' fino a quando non si fosse imbattuta per sbaglio nel magico villaggio di Hogsmeade. In fin dei conti si trovava da qualche parte in Scozia, no? Certo, se nella fretta avesse pensato di rubare qualche soldo alla direttrice sarebbe stato meglio, ma poteva comunque cavarsela in qualche modo. Camminava con la il naso rivolto all'insù alla ricerca di qualche segnale o indicazione che i babbani non avrebbero mai saputo cogliere, guardandosi le spalle di tanto in tanto per controllare di non essere seguita e sentendosi terribilmente stupida nel farlo. Come se a qualcuno fosse mai venuto in mente di andarsela a riprendere. Non si era mai sforzata per rendersi apprezzabile, perché mai avrebbero dovuto sprecare tempo ed energie per cercare qualcuno che neppure volevano tra i piedi? E le stava bene, o così si era sempre detta, sapere che nessuno avrebbe mai pensato a lei era quel calcio nel culo che sapeva l'avrebbe spinta ad occuparsi di se stessa da sola. In fin dei conti, grazie a mammina aveva imparato a rubare, anche se non le piaceva, e grazie a papino aveva imparato a farsi piccola e passare inosservata per non attirare la sua attenzione, poteva sopravvivere. Stava ancora facendo vagare lo sguardo alla ricerca di cartelli o di qualche gufo da inseguire così che la portasse verso un mago che potesse aiutarla, quando un odore pungente la distrasse dalla sua missione, se così si poteva chiamare. Come diavolo era arrivata al porto? Oh bhe, poco male, il sushi andava forte in quel periodo. Il vociare di marinai e pescatori riempivano tutta la zona, ma una fra tutte fu la voce che la raggiunse e la gelò sul posto. Era una voce maschile, che avessero davvero mandato qualcuno? Impossibile. Per di più le risultava familiare. Si voltò da un lato e poi dall'altro, fino ad intravedere da lontano quel rockettaro di Dragonov. A Edimburgo. Al porto di Edimburgo. Ma che cazzo? Inclinò la testa di lato strizzando gli occhi scuri, cercando di capire se fosse un'allucinazione o fosse sul serio li, prima di sistemarsi meglio lo zainetto con le bambole sulla spalla mentre le si avvicinava
    -Io? Mi tengono reclusa da queste parti!- gli rispose ancora sorpresa -Cioè, ci vivo- si insomma, non al porto, ma non era così stupido da fraintendere. Anche se, l'idea di far fuori qualcuno e prendere tutti i suoi averi non era poi così male. Non avrebbe dovuto dormire sotto un ponte, per lo meno.
    -Tu che diavolo ci fai da queste parti?- gli chiese squadrandolo per cercare indizi che le facessero capire quali fossero i suoi scopi -Fammi indovinare, hai litigato con la tua signora e hai deciso di darti alla pirateria- si insomma, se c'era una persona che aveva il look giusto per diventare un pirata e darsi al bracconaggio era proprio Axel. Sarà stata la matita nera, che ne sapeva. Un ghignetto le sollevò l'angolo destro della bocca continuando a soppesarlo con lo sguardo che cadde infine sulla bisaccia
    -Certo che viaggi leggero- in mare aperto avrebbe fatto di sicuro freschino, almeno un golfino avrebbe potuto portarselo via. Che cretina. Erano maghi. E, al contrario suo, il moro aveva l'età sufficiente per poter incantare la sua borsetta per renderla abbastanza capiente da infilarci pure un pappagallo con tutta la gabbia e una gamba di legno, se avesse voluto. In effetti, il Serpeverde le sarebbe pure potuto tornare utile, magari sapeva qualche cosetta più di lei
    -Senti, prima che spiegate le vele, sai per caso come si arriva ad Hogsmeade da qui?- cominciò lei passandosi una mano sul collo, a disagio come ogni volta che chiedeva qualcosa a qualcuno -Uhm, mi stanno aspettando- si grattò la punta del naso. Non le sapeva proprio dire le bugie, non le piace nemmeno dirle, non aveva mai capito perché mentire. Poi, figuriamoci se avrebbe mai potuto accorgersene lui. Forse.
     
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    «Ma dai! Replicò con una finta nota di stupore nel tono. «Non pensavo Azkaban si trovasse a Edimburgo!» La prese amabilmente in giro ma senza l’ombra di cattiveria che qualcun altro avrebbe potuto metterci. Aveva una vaga idea, o meglio dire opinione, della Scott data principalmente da quelle che erano le dicerie che giravano sul suo conto. Axel, a dispetto di quanto lo si andava accusando, non era un tipo che faceva gossip, anzi, preferiva di gran lunga starsene per i fatti suoi ai margini della società. Gran parte del suo tempo lo passava all’esterno, a fumare sulle rive del Lago Nero, oppure, rinchiudendosi al settimo piano con la sua bionda preferita, ma mai dalla sua bocca era uscito o partito un pettegolezzo. Axel si limitava ad ascoltare. In corridoio quando si spostava da una lezione all’altra o sostava nei pressi del corridoio ad arco a fumare una veloce sigaretta, lui ascoltava ciò che percepiva con il suo finissimo udito da lupo mannaro ogni cosa lo circondasse. Ogni parola, ogni minimo sussurro a distanza di metri, persino il battito in petto del cuore o lo scorrere nel sangue delle vene, se si concentrava, erano per lui perfettamente udibili e difficilmente ignorabili in una conversazione a due. Quindi era così che veniva a conoscenza delle cose. Chiacchiere di corridoio, piccole malignità sussurrate all’orecchio in fondo al banco o al banchetto tra una portata e l’altra dove se ne stava muto e imbronciato per conto suo. C’era anche il giornalino, certo, quello non mancava mai di sfogliarlo ma il suo udito... il suo udito faceva il resto. Così aveva raccolto informazioni e nel suo archivio mentale si era creato un metaforico fascicolo su ciò che si andava dicendo della Scott: c’era chi asseriva che avesse dato fuoco ai capelli di un primino per pura noia – divertente, quando l’aveva sentita sulle labbra del mannaro si era dipinto l’ombra di un ghigno – chi spergiurava di averla vista mangiare insetti – formiche! Lo giuro! – e chi la vedeva come la protagonista di una qualche fantasia sessuale a tema sadomaso. All’udire quelle congetture al mannaro era uscita un’espressione eloquente. “Ah però” diceva il suo volto segnato dalla cicatrice sulla guancia. Alla fine, si era fatto una sana risata di fronte a quelle ipotesi di fantasia, quelle voci di corridoio che aveva annoverato come semplici chiacchiere da bar. Certo, non reputava la Scott sana di mente, anzi, il modo in cui l’aveva vista rigirarsi tra le mani il coltello da bistecca durante i pasti aveva dell’inquietante ma da lì ad affibbiarle racconti manco fosse stata la reincarnazione del diavolo in persona ce ne passava. Quindi, a modo suo, la Serpeverde dalla chioma ribelle gli stava anche simpatica. Di certo non era stata tra quelli che avevano avuto l’ardire di rompergli i coglioni – pessima scelta la loro – oppure tra le fortunatE che aveva usato per sfogare i suoi istinti però, rispetto alla massa che ignorava con un certo piglio di presuntuosa superiorità, era già un progresso.
    «La mia che Ah, certo! Skylee. Dopo il ballo, dopo quel bacio che la Corvonero gli aveva dato nel bel mezzo della pista da ballo, praticamente di fronte a tutti, erano usciti allo scoperto. Non che gli cambiasse nell’effettivo qualcosa o che fosse cambiato tra lui e la bionda. Si poteva dire che avessero solo definito dei punti come ad esempio quello sull’esclusività. Grugnì. Comunque quella cosa che venisse visto come uno con il guinzaglio al collo non era mica di suo gusto. «Hai fantasia, Scott. Ma no. Nessuna fuga! Lavoro! Mentre tu...?» Di scappare dalla Corvonero non ne aveva l’intenzione, non nell’immediato e non nel modo in cui lo intendeva la Serpeverde perlomeno. Anche perché proprio l’altra mattina gli era arrivato quel bigliettino minatorio. Aveva estratto il telefono, un vecchio dispositivo touch con lo schermo rigorosamente crepato, e aveva aperto la sveglia sulla schermata pigiando le sezioni finché non aveva trovato quella dei fusi orari. Che palle. Sarebbe dovuto partire alla sera stessa per ritrovarsi smaterializzato in perfetto orario per l’incontro. Si era lasciato bene con Skylee, quindi di scappare non ne aveva proprio l’intenzione. Poi... Uhm... Dove la trovava un’altra pronta a dargliela in qualsiasi momento? Nah, era fuori discussione.
    Osservò la Serpeverde facendo mezzo giro attorno a lei, studiando quello zaino con su disegnate delle bambole. Sollevò un sopracciglio quando lei disse che aveva impegni. «Dove all’asilo?» Ghignò immaginandosi quella bambina fin troppo cresciuta che varcava la soglia di una scuola per l’infanzia. Forse ce la vedeva. «Ti aspetta la maestra?» Questa volta ridacchio più apertamente continuando a sfotterla sempre con leggerezza, giusto per infastidirla appena un po’ e mai con malignità. «Comunque dovrebbe essere... uhm...» Lo sguardo spaziò sul porto, le sagome degli edifici fino a che non identificò la corretta direzione. «Da quella parte ma... perché non ti ci sei smaterializzata direttamente?» Edimburgo-Hogsmeade alla fine erano una manciata di kilometri perfettamente percorribile con la smaterializzazione o, alla peggio, la metropolvere o il nottetempo. La mora si grattò il naso distogliendo lo sguardo dai magnetici occhi verdi del bulgaro. Disagio? «Non dirmi che non ne sei capace Scott», la punzecchiò nuovamente conscio che prima o poi le avrebbe verbalmente prese ma strafottente, le girò attorno, come un predatore sulla preda. Gli occhi verdi, magnetici, fissi.


    Edited by Dragonov - 12/9/2022, 18:18
     
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    Un sorriso furbo le incurvò la bocca, facendole così rilassare i lineamenti irrigiditi per la sorpresa di sentirsi chiamare e la preoccupazione di essere stata beccata
    -Andiamo, Dragonov- incrociò le braccia al petto per darsi un tono -Se mi tenessero ad Azkaban perché mai proverei a scappare? È li che tengono le persone più interessanti- solo un pazzo avrebbe rinunciato ad un posto in prima fila tra coloro che avevano compiuto grandi imprese, rinunciando alla possibilità di imparare nuove cose e ascoltare storie incredibili, e lei adorava le storie. Almeno nella sua personale definizione di pazzia che, ormai vi era abituata, era abbastanza diversa da quella considerata tale dai suoi compagnetti di scuola. E dalle compagne d'istituto. E le insegnanti dell'istituto. E la Direttrice, il giardiniere, il postino, le donne delle pulizie e anche qualche elfo domestico a scuola. Insomma, persone con la mente limitata incapace di divertirsi. Perché il punto, per lei, era proprio quello: divertirsi. Come prima preoccupazione di vita aveva quello di fare sempre ciò la divertiva, senza preoccuparsi di quello che potevano dire gli altri o la loro opinione su ciò che lei trovava divertente. Era consapevole di non avere gusti canonici però ehi, se infilare grossi ragni nel letto di qualcuno e guardarlo sgolarsi per la paura non era divertente, allora proprio non avevano capito niente della vita. Ci voleva più leggerezza.
    Riportò la concentrazione su Axel, sorvolando così sul perché lei fosse davvero da quelle parti, chiedendosi cosa ci facesse lui, piuttosto. Da che ricordava abitava da tutt'altra parte, ma magari si sbagliava, non era solita prestare attenzione agli altri. Non ne prestava nemmeno a se stessa ad essere onesti. Ecco, se c'era una cosa che poteva dire di apprezzare del moro era che si facesse i cazzi suoi sempre e comunque. Non capitava quasi mai di incrociarlo per i corridoi, ma quello che lei sapeva di lui era che fosse un tipo che amasse divertirsi sotto le lenzuola con praticamente mezza scuola, persino con la sua ex compagna di stanza, Rain. In effetti le era capitato più di una volta di sentire la rossa darci dentro in camera, senza che si ricordasse di insonorizzare le tende del baldacchino, magari era proprio uno dei fortunelli che aveva per sua sfortuna ascoltato. Sperò per lui che non fosse quello che grugniva. Un brivido le percorse la schiena serrando gli occhi per scacciare quel ricordo dalla mente. Fortuna che la rossa si era data all'istruzione privata.
    -Lavoro anche io!- si affrettò a mentire mentre il cuore accelerava leggermente. Proprio non era capace di mentire, non le piaceva e non lo trovava utile, ma non voleva passare per la ragazzina disperata che scappa di casa. Anche perché non ce l'aveva una casa. Certo, se solo poco prima non avesse ammesso di stare scappando, ma non da Azkaban, forse sarebbe risultata più credibile.
    -P-pesco carpe!- si affrettò ad aggiungere, perché si sa che il mare di Edimburgo è pieno di pesci di lago -Ho i miei attrezzi nello zaino- non aveva idea di quali fosse gli attrezzi ma poco importava.
    Non poteva dargli torto per le battute scaturite dalla visione del suo zainetto, ma cosa poteva farci se l'unico che aveva trovato era di una bamboccia di bo, cinque anni? Massimo sei, non prestava attenzione. Si portò le mani ai fianchi e sollevò un sopracciglio mentre lo guardava ridere di lei.
    -Era rimasto solo questo!- tentò di giustificarsi, ed in effetti era anche vero. Una delle poche cose vere dette fino quel momento. Comunque, visto lo strano caso del destino, approfittò della presenza del compagno anziano per cercare di spillargli qualche informazione utile, tipo da che parte si trovasse Hogsmeade e magari anche come diavolo ci sarebbe potuta arrivare. Ecco, delle cose che sarebbero state davvero utili ad Hogwarts erano dei centri informazione, delle brochures, dei cazzo di cartelli informativi, che spiegassero alle persone che, come lei, non avevano genitori magici e che del mondo magico sapevano meno di niente, come cacchio sopravvivere in 'sto mondo assurdo. Che ne sapeva lei di come barcamenarsi tra una cosa e l'altra? Se non altro i babbani avevano i taxi, ti ci ficcavi dentro e, dopo aver minacciato il conducente con un tagliaunghie, ti portava dove volevi, bastava fargli sapere l'indirizzo. Come faceva a sapere se nel mondo magico c'era qualcosa del genere se nessuno la metteva al corrente? Che ne sapeva, magari un sistema di autostoppisti su scope. Draghi invisibili con tante seggioline sulla schiena al posto degli aerei. Grosse fionde incantate che ti lanciavano direttamente alla destinazione. Un mistero. Ci voleva un corso di orientamento per stupidi nati babbani.
    Seguì con lo sguardo il dito di Axel, prendendo mentalmente nota della posizione dove sarebbe dovuto essere il paesino o meglio, la direzione. Non sapeva quanto distava.
    -Non è che non ne sono capace, per chi mi hai presa?- rispose piccata -Non sono ancora maggiorenne, è che non posso farlo- la stupida traccia. Come se compiuti i diciassette anni sarebbe stata mentalmente diversa da ora e più responsabile. Mapperfavore. Era tutto molto stupido.
    -Quindi..- dopo essersi grattata il naso si passò una mano sulla nuca, sempre a disagio e convinta che fosse un buon modo per dissimulare -Come ci posso arrivare?- domandò odiando se stessa per essersi abbassata a chiedere aiuto -Ho delle carpe da consegnare ai Tre Manici- aggrottò le sopracciglia, non ci credeva nemmeno lei. Aveva un ultimo tentativo da giocarsi -Oppure potresti portarmici tu- cominciò facendo rispuntare un sorrisetto dopo la tensione per le bugie raccontate -Voglio dire, sarai sicuramente in grado di smaterializzarti con qualcuno, non è così?- decise di puntare sull'ego del verde-argento ma temette che non fosse sufficiente. Si sfilò lo zainetto dalle spalle e aprì una tasca -In cambio potrei pagarti con.. mh- vi frugò dentro nella speranza di trovarvi soldi dimenticati, ma tutto quello che vi trovò fu -Un rametto di liquirizia?- estrasse il rametto rubato dall'ultima lezione di Erbologia e Pozioni e se lo rigirò tra le dita prima di allungarlo verso il bulgaro -Magari te lo fumi- provò a suggerire.
     
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    «Come dici? Scappare, Scott?» Sollevò le sopracciglia interrompendo il moto circolare con la quale la stava squadrando girandole attorno. L’aveva sentita la puzza di bugia e quella poteva dirsi una conferma. Però! Che ridere e un po’ che delusione. Si era fatto l’idea che una come lei fosse avvezza alla menzogna, non che ne avesse le prove o avesse sentito dicerie che alludessero a ciò, ma era una convinzione naturale che si era fatto posando lo sguardo su di lei. A pelle. Vedendola la prima volta aveva pensato che fosse una furba, non con tutte le rotelle giranti nello stesso verso e sicuramente sexy anche se non proprio il suo tipo, ma che Reina Scott fosse una ragazzina incapace di mentire gli avrebbe fatto perdere una scommessa se mai ci avesse giocato sopra.
    «-Lavoro anche io!» Si affrettò a dire quest’ultima. «P-pesco carpe! Ho i miei attrezzi nello zaino», il sopracciglio del mannaro scattò nuovamente verso l’alto mentre cercava di contenere la risata che di lì a poco sarebbe sicuramente scoppiata in faccia alla ragazza. «Voglio dirti un segreto, Scott.» Principiò inclinando il capo, «ho un super potere e questo super potere mi permette di fiutare a chilometri di distanza una cazzata... » inclinò il capo con un lieve scatto delle sopracciglia effettuando una pausa ad hoc che avrebbe permesso alla Serpeverde di capire perfettamente dove stava andando a parare. «E si dà il caso che tu ne stia dicendo tante», socchiuse gli occhi toccandosi il naso come se dalla ragazza provenisse un pessimo odore. Quella di Axel non era stata un’esagerazione, era effettivamente bravo a distinguere nei racconti della gente la realtà dalla menzogna, soprattutto e grazie ai sensi sviluppati che si trovava. Un mentitore tendeva ad agitarsi, a sudare più copiosamente e ad avere dei micromovimenti o movimenti in sé e per sé – come quello sfioramento del naso o della nuca della Serpeverde – che svelavano l’inganno, questi erano principalmente i segni rivelatori in un principiante, il caso della ragazza, ma Ethan gli aveva insegnato a mentire e per farlo – gli aveva detto – doveva saper distinguere i segni per non replicarli cadendo in errore a sua volta. Per il mago, il mannaro era diventato una sorta di macchina della verità: il suo finissimo udito era in grado di percepire la più piccola variazione nel ritmo del battito cardiaco e da lì, svelare anche la più ben architettata delle bugie. Ethan si voltava aspettando un cenno del ragazzo e solo dopo di esso decideva se proseguire o meno con la transazione. Ma nulla di ciò era necessario in quel momento con Reina, la ragazza era un’attrice molto meno preparata.
    «Sì non sei capace», taglio corto minimizzando la scusa di lei. Altra informazione di cui non immaginava. Anche in questo caso, a pelle, si era convinto di una cosa che non era esattamente verità. Forse per l’atteggiamento, forse per i tratti della ragazza ma Axel avrebbe giurato che avesse almeno due anni in più e invece, la Scott, era una dannata minorenne. «Delle carpe?! Dio, Scott! Puzzeresti da qui alla Bulgaria! Piantala di dire cazzate, davvero», allargò le braccia mentre una risata gli gorgogliava in gola. «Io certo che sono capace, vengo da Londra e sicuro non prendo la scopa o la fottuta metropolvere... Quella roba t’intossica i polmoni, altro che le sigarette!» Di cui, per inciso, lui ne abusava fumandone nei periodi di forte stress anche un pacchetto al giorno. Per arrivare a tanto, fortunatamente, doveva essere molto stressato e doveva dire che in quel caso i poteri di guarigione del lupo tornavano comodi. Axel era letteralmente una ciminiera ma il gene che gli alterava il suo DNA faceva si che nemmeno una cellula si alterasse trasformandosi in cancro. La pacchia dei fumatori, circa.
    «In cambio potrei pagarti con... mh» azzardò la Scott dopo avergli richiesto nemmeno troppo velatamente un “passaggio” attraverso la smaterializzazione. La ragazzina – appurato che così era – cominciò a rovistarsi nelle tasche finendo per sfilarsi lo zaino e rovistare in esso. Axel alzò gli occhi al cielo. Così facendo poteva vederne il contenuto e ovviamente in mezzo ad alcuni oggetti, definibili tranquillamente cianfrusaglie, non vi era traccia del pesce che aveva decantato di dover portare al locale di Hogsmeade. «Pesce fresco sì...» commentò in un sospiro mentre lei gli allungava davanti al naso un rametto di liquirizia. Lui lo afferrò strappandoglielo di mano per annusarlo rapidamente. Non era pulitissimo ma nemmeno in pessimo stato. Magari con un colpo di bacchetta lo avrebbe reso commestibile pulendolo poiché quando non fumava – o meglio dire: quando non aveva la possibilità di fumare per cause terze – soleva infilarsi in bocca uno di quei rametti presi dal negozio di Mielandia che masticava furiosamente lasciando che la bocca fosse inondata di quel sapore amarognolo che tanto amava. «Mh» fece infilandoselo in tasca. «Facciamo che prendo in considerazione di accompagnarti all’asilo. Giusto perché mi sei simpatica ma... che ci ricavo io?» Chiaramente la liquirizia era solo un pegno per attirare la sua attenzione non di certo il pagamento. Simpatica sì, ma non fino a quel punto. Un’idea gli solleticò il cervello ma dovette scacciarla via con una smorfia. Un tempo, come pagamento, avrebbe accettato una qualsiasi performance in natura da parte della ragazza di turno (chiaramente questo metodo non era accettato in caso di ragazze particolarmente cesse) ma l’inaspettato pensiero della bella biondina che aveva lasciato in Alaska lo lasciò per un istante spiazzato. «Bah... andiamo Scott, forza» maledetta Métis. Reina avrebbe fatto bene a sfruttare il momento prima che il mannaro, con un colpo di luna, cambiasse idea e il ché non era da escludere.
     
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    Le persone mentivano per cercare approvazione, per soddisfare quel bisogno di mostrare un'immagine di se che piacesse a tutti, per sentirsi apprezzati, ma alla Scott non importava abbastanza dell'opinione che gli altri avevano su di lei per sforzarsi a mentire per questo. Mentivano per empatia, le classiche bugie bianche per non ferire gli altri ma, come sopra, a lei non interessava qualcuno a tal punto da sforzarsi per non ferire i suoi sentimenti. Forse.
    Mentivano per proteggere la propria privacy, per evitare di rivelare informazioni su se stessi troppo personali, ma Reina non conosceva privacy o pudore, e non riusciva a comprendere per nascondere quello che faceva o che diceva, se non era pienamente convinta semplicemente non lo faceva o diceva. Qualcuno mentiva per questioni di potere, per fingere di essere o avere più di quanto non fosse vero, mentivano sui risultati e sugli obiettivi raggiunti, per dimostrare qualcosa, ma non era interessata nemmeno alla competizione, non le interessava dimostrare qualcosa. Lei veniva dal niente e viveva con niente, e aveva scoperto che, spesso, il niente le bastava. Quasi tutte le persone mentivano per evitare punizioni, perdite o dolore. Lo aveva fatto da bambina, aveva provato a mentire per rimanere aggrappata a qualcuno, ma non era servito perché, alla fine, se ne erano andati comunque. Quindi no, Reina non era avvezza alla menzogna, ma non aveva la minima idea di quanto fosse scarsa in questo. Forse giusto a se stessa raccontava qualche piccola bugia inconsciamente, perché al dolore psicologico aveva sempre preferito quello fisico.
    Si morse la lingua quando si rese conto di aver usato il termine sbagliato e che il moro potesse aver intuito che stesse cercando di scappare, come se fosse una bambina pestifera in cerca delle attenzioni della mamma. Era troppo chiedere di potersi rifare una vita lontano da li a sedici anni? L'età è solo un numero, in fin dei conti. Doveva stare più attenta e costruirsi un alibi credibile così che Axel se la bevesse e non la riportasse indietro tirandola per un orecchio. Ricordò di averlo visto al ballo di fine anno con la bacchettona di Corvonero dai bei capelli, chissà che non lo avesse fatto cambiare e tutto ad un tratto fosse diventato un impiccione con una morale. Quindi si, in pochi minuti la sua mente elaborò una storia perfetta e credibile che giustificasse la sua presenza da quelle parti: era una pescatrice di carpe di mare che commerciava ad Hogsmeade. Praticamente perfetto. Peccato, però, che il principe delle serpi dovesse avere un qualche strumento nella sua borsetta che rilevasse la falsità, perché era del tutto impossibile che lo avesse dedotto tutto da solo, era stata impeccabile! Il cuore le accelerò leggermente mentre gli occhi si assottigliavano scrutando la figura di lui, cercando di capire che intenzioni avesse. Ma, in fin dei conti, cosa mai poteva importare a Dragonov di quello che faceva lei? Si rilassò dopo qualche secondo, sollevando un angolo della bocca, continuando nella sua opera di convincimento
    -Il tuo superpotere fa cilecca, Dragonov- cominciò lei sicura -Sono una pescatrice professionista, dovresti vedermi catturare le anguille con il lazzo- cosa? Forse ora aveva esagerato, ora si che avrebbe potuto credere che fosse tutta una menzogna. Prima no, impossibile.
    Alzò gli occhi al cielo quando lui minimizzò il suo non potersi smaterializzare, come se il fatto che non venisse insegnata la smaterializzazione ai minorenni fosse colpa sua, ma tentò comunque di portare avanti il suo piano perfettamente studiato
    -E va bene- allargò le braccia in un gesto esasperato -È evidente che il mio brillante piano sia ormai stato scoperto!- ammise al bulgaro -Non sono qui per pescare. Però ammettilo, se non fosse stato per l'odore ci avresti creduto, vero?- dai, era geniale. Si sarebbe fatta pat-pat su una spalla da sola. Premio alla recitazione.
    -Credevo ti piacessero le scope, non giochi a quel gioco con le palle?- le piaceva volare, ricordava il suo primo anno ad Hogwarts alle lezioni di Volo, la prima volta che si era ritrovata a cavallo di un manico. Ricordava com'era stato sentire il vento sul viso e la percezione di leggerezza, ma soprattutto la sensazione di libertà nello sfrecciare da una parte all'altra del campo. Nessuna costrizione, solo uno stupido prof urlante e la forza di gravità in caso di caduta. Le sarebbe piaciuto ripetere l'esperienza, peccato che non avesse una scopa e che per usare quelle della scuola avrebbe dovuto essere un primino incapace, oppure.. -Quando apriranno i provini per entrare nella squadra?- l'idea di colpire i compagni con una mazza mentre volava, libera, su una scopa la trovava parecchio intrigante. Furono i piccioni di mare a risvegliarla dalle fantasie sul Quidditch e a farla tornare con i piedi per terra, ricordandosi così quello che stava cercando di fare. Per la precisione stava cercando di scroccare un passaggio da Axel così avrebbe assaporato un po' di libertà anticipata ma, già mentre lo chiedeva, qualche dubbio cominciava ad assillarla. Cosa sarebbe successo se la direttrice l'avesse beccata e non le avesse più permesso di tornare a scuola, almeno fino al prossimo anno? E se la scuola stessa l'avesse sospesa per non si sa quale cavillo? Eppure la prospettiva di cavarsela da sola era così allettante che si ritrovò ad allungare al moro il suo adorato bastoncino di liquirizia. Sembrava apprezzare visto il modo in cui glielo strappò di mano, chi lo avrebbe mai detto. Meglio non rivelargli di averlo infilato nel naso di una sua compagna mentre dormiva, magari l'avrebbe lasciata a piedi.
    -Cosa ci ricavi?- già gli aveva dato il rametto, questo ragazzo non era mai contento!
    -Una pacca sulle spalle e la mia ammirazione- un angolo della bocca si alzò di nuovo mentre le palpebre sbattevano veloci da falsa ruffiana. Si guardò di nuovo alle spalle per controllare che non ci fossero facce a lei conosciute e fece poi un passo verso Axel
    -Pensi che dei babbani potrebbero trovare Hogsmeade? Possono entrarci?- chiese continuando a guardarsi attorno -No, lascia stare- scrollò la testa e riportò l'attenzione sul ragazzo avvicinandosi di un passo. Ora che ci pensava non si era mai smaterializzata, né aveva mai visto qualcuno farlo, tanto meno in coppia
    -Quindi? Che devo fare? Mi aggrappo alla tua gamba?- indicò la gamba destra del moro -Ti abbassi e mi arrampico sulla tua schiena? Mi porti a cavalluccio?- sicuro non lo avrebbe tenuto per mano.
     
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    Con il lazzo, sì. Le voci sulla presunta pazzia associata alla Serpeverde doveva ammettere si dimostravano essere sempre più fondate. Come se il bulgaro non sapesse com’era fatta un’anguilla e che, proprio per nomea, non era un pesce famoso per l’attrito della sua pelle, anzi, l’esatto opposto! Il bulgaro sbuffò scuotendo il capo, alla fine quella faccia di bronzo della Scott più che farlo incazzare per le sue aperte menzogne finiva invece per divertirlo. Non lo faceva con l’intenzione, con la cattiveria o con chissà quale “malvagio” doppio fine, era semplicemente fuori come un balcone! Lì stava tutta la differenza, si diceva, del perché con qualcun altro sarebbe immediatamente saltato alla gola mentre a lei, con quella faccetta, gliele stava facendo passare. Era lampante dal modo in cui si poneva che era più forte di lei, non lo faceva apposta. Era semplicemente scema. Easy. «Brillantissimo, già», le fece eco restituendole un sorrisino appena accennato tra le labbra piegate, il capo che andava ancora scuotendosi per la pazienza che stava impiegando a non mandarla a quel paese.
    «Sì sono in squadra, però capirai bene che farsi quattrocento miglia in linea d’aria in volo non sia proprio la cosa più comoda...» Replicò questa volta facendo seguire alle sue parole una smorfia di fastidio. Era fattibile certo, con almeno una pausa ogni mezz’ora se non si voleva andare incontro ad ipotermia, formicolio degli arti per la rigida posizione costretta dal volo sulla scopa e, ultimo ma sicuramente non per importanza, la piaga da decubito che si sarebbe formata in prossimità del sedere per quel dannato bastone di legno infilato esattamente sotto al culo. Non c’era nulla di più scomodo. «Hai presente volare?» Andava a volo quella svampita? Prese il bacchetto di liquirizia dalla tasca incastrandoselo tra indice e medio per poi sollevarlo davanti al naso della ragazza mimando quello che avrebbe dovuto essere un mago in sella alla sua scopa. «Figo, ma decisamente la cosa meno comoda al mondo. Se ti devi spostare, ragazzina, meglio la smaterializzazione»quando per te sarà ora«o il nottetempo, la metropolvere non la consiglio.» Fine della lezione sui trasporti. Scrutò per un altro momento il bacchetto e se lo infilò nuovamente nella tasca dalla quale lo aveva tirato fuori. «Si dovrebbe ricominciare a metà settembre. È una roba che decide il capitano», le rispose automaticamente per poi sollevare un sopracciglio in sua direzione. «Perché? Che vorresti fare? Sei in grado almeno?» Di volare, sapeva le regole del gioco? Axel non ne era convinto. Incrociò le braccia al petto stimando che al più, se avesse davvero voluto – cosa di cui dubitava – visto il fisichino smilzo avrebbe potuto fare al massimo la cercatrice e sarebbe stata comunque l’unica femmina in squadra e soprattutto la più mingherlina. Forse forse, se era veloce, avrebbe potuto fare la cacciatrice per scattare in mezzo al campo e passare poi la pluffa al momento opportuno ma di certo non di più. Per fare il battitore ci voleva forza e un portiere più era grosso e più parava con il suo fisico gli anelli, cosa che Reina non era minimamente. Dentro di sé si trovò a sperare che quella matta non si presentasse davvero alle selezioni e che, se davvero lo avesse fatto, che non passasse il provino. Ma bando alle ciance o la voglia di aiutarla con il discorso passaggio gli sarebbe presto svampata.
    «Una pacca sulle spalle e la mia ammirazione», e ti pareva. Ma doveva immaginarlo, il Dragonov, che la Scott non fosse, per come stava combinata, un tipo abbiente. Sospirò arrendendosi e cominciò a camminare aspettando che lei gli andasse dietro per intrufolarsi in una stradina secondaria lontana dall’occhiata curiosa di possibili babbani. Alla fine si trovavano al porto e sparire così, di punto in bianco, nel bel mezzo del molo sarebbe oltre che finito su tutti i giornali, babbani e non ma avrebbe anche allertato il ministero che, come minimo, gli avrebbe messo alle calcagna gli auror e visto ciò che era andato a recuperare per il padrino era tutto fuorché nella sua intenzione. «Negativo.» Replicò salvo poi fermarsi, notare la sua occhiata spaurita e spiegare, «i luoghi dei maghi sono tendenzialmente protetti da incantesimi contro i babbani che li tengono a distanza oppure, se dovessero impicciarsi troppo, che dissimulino il luogo. Tipo vedono delle rovine al posto del paese... robe così» Non le era sfuggito il modo in cui si guardava attorno e le dava tanto l’idea della Tassorosso che Skylee ospitava in casa. Anche la White tendeva a guardarsi attorno, guardinga, quasi aspettandosi che suo padre uscisse da un qualche suppellettile. «Hai rotto il cazzo a qualcuno?» Le domandò inarcando un sopracciglio per poi allungarle il braccio. Reina lo guardò titubante prima di sparare a raffica nuove domande. Il mannaro rimase interdetto. «Basterà», cominciò afferrandole la mano, «che tu tenga la mano qui. Non mollare per nessun motivo», l’avvertì. Se avesse lasciato la presa nel mezzo della smaterializzazione si sarebbe spaccata. Le poggiò quindi anche la mano opposta sulla sua a tenerla. «Sta ferma», le ordinò quando la sentì muoversi sotto la sua presa. Ruotò sul posto ed un sonoro CRACK avvisò dell’avvenuta sparizione che lasciò il vuoto alle loro spalle.
    Ricomparvero qualche attimo dopo nei pressi del cimitero del paesino ed Axel si fece di un passo indietro nel caso la ragazza – probabilmente alla sua prima smaterializzazione – avesse avuto bisogno di vomitare. D’altronde la sensazione di quel gancio che ti artigliava le viscere dava del fastidio ancora oggi al mannaro che da anni utilizzava quella pratica come mezzo di trasporto. Nel caso invece la ragazza non fosse stata male ma, malauguratamente per lei avesse tentato la fuga, l’avrebbe invece bloccata per la collottola pretendendo una spiegazione, almeno, come pagamento per quel passaggio. «Da chi fuggi, Scott?»
     
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    Con il suo metro e settanta, Reina si era sempre considerata una ragazza nella media, almeno per quanto riguarda l'altezza, forse persino sopra anche se di poco. Eppure li, davanti ad Axel e a quella montagna di muscoli, si sentiva piccola. Di certo il fatto che avesse sventato il suo geniale piano non aiutava ad elevarla moralmente, in più l'essere stata beccata a raccontare palle la faceva sentire sporca, nonostante lei fosse una a cui piacesse entrare a piedi nudi nelle pozzanghere in giardino e sentire lo scalpiccio dei piedi nell'acqua infangata. Così come aveva più volte tentato di risalire la canna del camino per scoprire il segreto di Babbo natale, senza arrivare nemmeno a metà, ed uscendone ogni volta coperta di fuliggine. O quella volta in cui, durante una veloce tappa dal macellaio, era riuscita a sgattaiolare nella cella frigorifera e, piccina, aveva scambiato il sangue per vernice e aveva cominciato a dipingere sul muro. Freschino, ma che soddisfazione. L'istitutrice e il macellaio non apprezzarono troppo ma si sa, l'arte suscita sempre emozioni contrastanti. In ogni caso non le venne più concesso di uscire per le commissioni, o per le passeggiate. Comunque, di occasioni in cui si era ritrovata relativamente sporca ne avrebbe potute elencare a bizzeffe, ma nessuna di quelle le aveva lasciato addosso quella sensazione orrenda che stava vivendo in quel momento. No, mentire non faceva per lei.
    Inclinò la testa di lato quando cominciò a parlare di miglia, osservandolo con sguardo confuso fino a quando, la serpe, non mimò l'azione del volo con il suo ormai ex bastoncino di liquirizia.
    -Ohhh- una singola vocale prolungata mentre realizzava il problema del moro: le noccioline! Sempre pensato che fossero le donne il sesso forte. Si batté la mano sulla fronte fingendo una dimenticanza dovuta dal caso
    -Ma certo! Il nottelampo e la spazzapolvere! Ero sovrappensiero e li ho scordati- cosa diavolo erano quei due aggeggi? Di che parlava? Perché diavolo tutti i maghi davano per scontato che si conoscessero queste cose? Ancora una volta si ritrovò a pensare che degli opuscoli informativi sarebbero stati cosa buona e soprattutto giusta. La materializzazione, invece, l'aveva già sentita. Trovava l'idea davvero affascinante. L'idea che in un batter d'occhi ci si potesse ritrovare dall'altra parte del mondo, doveva ammetterlo, era invitante. Imparare a farlo sarebbe stato il suo primo desiderio una volta compiuti i maledetti diciassette anni, così non si sarebbe ritrovata a supplicare passaggi come la pezzente che era. Avrebbe potuto conservare un minimo di dignità.
    -Credevo fossi tu il capitano- il sopracciglio si inarcò sorpresa -Non mi sembravi il tipo che si facesse dare ordini- sarebbe stato divertente vedere quel pazzoide di Harris comandare a bacchetta Dragonov e farlo muovere come una marionetta al suo comando. Irrealistico, certo, ma divertente.
    -Uhm- si portò due dita al mento tamburellandoci sopra, mentre gli occhi si alzavano verso il cielo azzurro nel tentativo di richiamare ricordi persi nei meandri della memoria -Certo che so volare, andavo a lezione come tutti! Il professore si arrabbiava sempre perché non mi piaceva frenare e volavo troppo spesso sottosopra, ma mi piaceva stare a testa in giù- scrollò le spalle per giustificarsi. Lo emulò incrociando le braccia al petto lei stessa e studiandolo a sua volta mentre sembrava soppesarla. Era sicura che si stesse facendo qualche calcolo mentale per decidere se, secondo lui, sarebbe stata una buona aggiunta alla squadra. La risposta era no, ovvio. Cazzo ne sapeva lei del Quidditch, però volare le piaceva e se per farlo avesse dovuto mettersi a giocare a quello strano torello con palle incantante, avrebbe potuto anche fare uno sforzo
    -Sono veloce- aggiunse cercando avvalorando le sue qualità. Cioè l'unica, almeno in quel campo -E le regole le posso sempre imparare- portò i pugni sui fianchi e alzò il mento verso il non più scapolone d'oro delle serpi, quasi a sfidarlo a dire il contrario. Come osava!
    Lo seguì silenziosa in un vicolo non lontano mentre, allerta, cominciava a guardarsi alle spalle. Era passato troppo tempo da quando era uscita, era sicura che ormai si fossero messi a cercarla in giro per la città. Prese mentalmente appunti sulla spiegazione di Axel che, ora che cominciava a razionalizzare il fatto di averlo incontrato in mezzo al porto di Edimburgo, gli appariva molto diverso dall'idea che si era fatta di lui. Molto meno burbero, quai simpy, a scuola le era sembrato fosse sempre incazzato e pronto a guardare tutti in cagnesco ma si sa, l'amore cambia le persone. Trattenne una risatina al pensiero, sicura che una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere a lei
    -Andiamo, Dragonov. Come potrei mai aver rotto il cazzo a qualcuno?- il sorriso più dolce che le si fosse mai visto addosso fece capolino sulle sue labbra mentre le palpebre sbattevano velocemente -Sono una delizia!- scherzò prima che la sua espressione passasse da docile e tenera a qualcosa di più ferino e affilato mentre gli angoli della bocca si tiravano maggiormente
    -No- ridacchiò poggiando le spalle contro il muro della casa che faceva loro da copertura -Ma questi babbani del cazzo non capiscono quando devono mollare la corda e lasciarmi in pace- non riusciva ad accettare il fatto che, i suddetti babbani, non potessero lasciarla stare e che qualcuno dovesse pur occuparsi di lei fino quando non fosse stata in grado di farlo da sola. Ma dubitava anche sarebbe mai riuscita a farlo, almeno non nel modo in cui ci si aspetterebbe
    -Ti capita mai? Gente che ti sta con il fiato sul collo e ti dice cosa fare?- chiese sarcastica mentre si guardava le unghie smaltate di nero, convinta che il principino avesse una vita perfetta abbastanza da non capire il problema.
    Lasciò che guidasse la sua mano sul suo braccio e rimase immobile, fissando prima quest'ultima e poi il concasato negli occhi. Non era troppo convinta di potersi fidare, ma era curiosa abbastanza da provare. Fu un battito di ciglia, si sentì risucchiare dalla bocca dello stomaco e, quando ricomparvero e sentì di nuovo la terra sotto i piedi, lo stomaco sembrò voler uscirle dalla bocca. Si piegò posando le mani sulle ginocchia leggermente flesse, prendendo grosse boccate d'aria. Tutto sembrava scombussolato e sentiva i suoi organi interni chiedere pietà. Riuscì a non rimettere, anche se con non pochi sforzi, ma non per questo poteva dire di stare bene
    -Merlino che schifezza. È sempre così?- chiese senza guardarlo, continuando a fissarsi la punta delle scarpe. Passarono lenti attimi in cui si limitò a prendere generose boccate d'aria fino a calmare il battito e se stessa, solo a quel punto tornò in posizione eretta e si guardò intorno riconoscendo il paesino a cui era ormai abituata. Da che fuggiva, chiedeva lui. Una domanda che poteva lasciare libera interpretazione
    -Dalle catene- rispose ghignando. Non era proprio una bugia, certo erano catene metaforiche, la sensazione di essere ingabbiata era sempre presente
    -Carina questa cosa di andare dove vuoi, grazie del passaggio- tornò ad inquadrare il moro curiosa di vedere se anche lui stava combinato come lei o se fosse ormai abituato alla sensazione -Immagino ci si senta liberi- in realtà, se solo avesse aspettato fino a fine mese, sarebbe tornata a scuola e avrebbe comunque detto addio a quel posto. Pochi mesi ancora e sarebbe diventata maggiorenne. Ma la pazienza, come tante altre qualità più miti, era qualcosa che le mancava.
     
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    «No infatti», convenne con la mora. Axel non amava prendere ordini. Per un cazzo. Ma aveva imparato nel corso della sua ancora breve esistenza, e a sue spese, cosa fossero le scale gerarchiche e cosa si rischiava disobbedendo con la persona sbagliata. Nei peggiori dei casi il trattamento era un crucio, uno degli incantesimi o meglio dire maledizioni, più dolorose mai create dal genere magico. Una volta sperimentato un dolore simile si pensava almeno due volte prima di replicare un’azione che avesse quella come conseguenza. Con il capitano non c’era certo questo rischio, in fin dei conti era un’idiota smidollato. Un leccaculo della peggio specie che il mannaro guardava dall’alto in basso complice anche l’altezza a suo favore però, alla fine, si era chiesto: a quale pro sollevare un putiferio del genere? Cosa ci avrebbe ricavato? Se non quell’idiota, chi? Lui? Ma figurarsi. Non si sarebbe preso quella rottura di cazzo manco se gli avesse fruttato crediti extra di cui, già di base, gli importava meno di zero. Fare il capitano per doversi gestire tutte le patate bollenti, le lamentele di quelle quattro checce isteriche che erano i suoi compagni di squadra... ma anche no. Ricordarsi di prenotare il campo, dare l’esempio e, soprattutto, non ingiuriare l’arbitro a seguito di falli segnati in torto. Un conto, da semplice giocare, farsi ammonire e persino espellere ma da posizione di rilievo? Sarebbe costato grosso a livello di squadra un gesto simile. Meglio farsi i cazzi propri! Faceva il suo, lo faceva splendidamente e tanto bastava. «Non è una battaglia che m’interessa combattere», concluse con un’alzata di spalle. Meno responsabilità, meno cazzi per la testa appunto. «Preferisco comandare altrove», in missione per esempio o... un sorriso eloquente gli increspò le labbra mentre incrociava lo sguardo della bruna chiarificandole il sottinteso con un’alzata di sopracciglia. Avrebbe capito ciò che intendeva anche perché una volta – più d’una in realtà – si era scopato la sua compagna di stanza nella loro stanza. Una volta persino con loro dentro... Aveva dovuto attendere infinite ore il banchetto della cena per poter sgattaiolare fuori da lì. «Dovresti fare il provino per... mh... cercatore. Sei magra, piccola», più bassa di lui sicuramente e per questo piccina, «per fare il cercatore devi anche essere agile e saperti muovere in mezzo ad ostacoli. Il boccino si muove scattando in tutte le direzioni. Devi avere occhio, eh. Però saper volare a testa in giù... Bah! Potrebbe tornarti utile, chissà!» Alcune delle partite più battagliate erano passate alla storia proprio per la mirabolante presa del boccino. Il tipo che aveva messo K.O. Voldemort anni dopo lo aveva persino afferrato con la bocca una volta, per cui, Reina, cosa avrebbe potuto fare di peggio? «Presentati, dovrebbero aprire le selezioni a metà settembre», fece spallucce. Quella sarebbe stata la sua occasione per dimostrare le sue capacità, lui poteva anche dubitare ma solo fino a prova contraria.
    Successivamente la guidò verso il primo vicolo a portata per scomparire in sicurezza. «Un amore», le fece ecco scuotendo divertito il capo per poi farsi un attimo più serio per chiederle se fosse davvero in difficoltà, «questi centri psichiatrici che non ti lasciano uscire in libertà, mh?!» Scherzò ancora sulla falsa riga che aveva utilizzato inizialmente dandole della matta. Non lo faceva con cattiveria, anzi, più come una bonaria provocazione alla Serpeverde che oramai aveva preso in simpatia e che, a differenze delle sue compagne, non prendeva sul personale battute del genere. Già solo Skylee s’impettiva come un tacchino rispondendo a tono, noiosa. Dopo qualche attimo di titubanza ed imbarazzo Axel le strinse il polso costringendola ad afferrare il braccio che le porgeva per smaterializzarsi ad Hogsmeade, sulla via principale ma non nel pieno centro di essa, più defilati lateralmente. Con sicurezza Axel si girò alla sua sinistra scorgendo l’insegna del suo locale preferito lì nel piccolo paese magico, la Testa di Porco. Lì ormai lo conoscevano tanto che il barista, vedendolo, preparava immediatamente la bottiglia di rhum sul bancone ed un bicchiere di fianco. «Ci si fa l’abitudine... circa», replicò osservandola fondamentalmente piegata su sé stessa mentre lottava contro lo stomaco attorcigliato. Anche lui le prime volte non aveva retto bene quel “mezzo di trasporto” ma più lo si faceva costantemente e più ci si abituava a quella sensazione fino ad anestetizzare lo stomaco a quel gancio immaginario in grado di trascinarti dall’altra parte dello stato.
    «Ti capita mai? Gente che ti sta con il fiato sul collo e ti dice cosa fare?» Le aveva chiesto e lui aveva replicato con una mezza risata carica di disagio. Tutta la sua fottuta vita era fatta di questo. Ordini, ordini, ordini e dove non c’erano ordini c’erano responsabilità e aspettative a stargli addosso. «Non hai idea...» Nel dirlo scostò istintivamente lo sguardo puntato in quello della mora quasi fosse inconsciamente sicuro che se l’avesse guardata dritto negli occhi lei avrebbe capito tutto, letto tutto. Ogni suo problema e segreto sarebbero stati come un libro aperto per lei, alla sua mercé. «Si scappa dalle catene?» Mah. Lui stesso insieme a Skylee erano un continuo work in progress che non stava facendo progressi sul fronte matrimonio. Improvvisamente avvertì il contratto farsi pesante nella bisaccia che portava legata al collo al di sotto dei vestiti. Una clessidra immaginaria scandiva in grani il tempo rimanente alla scadenza di quell’attesa. Un anno. Un solo anno prima di convolare a nozze e fare della Métis la duchessa del distretto bulgaro di Burgas. Cazzo. Sposarsi a ventitré anni... Gli veniva da vomitare all’idea benché fosse Skylee e di tutte, se avesse dovuto fare una scelta obbligata, avrebbe scelto lei. Ma diamine però! Ventitré anni è poco! «T-ti va un drink?» Si allargò il colletto della camicia, a disagio, come sempre quando il pensiero andava in quella direzione e difficilmente poteva essere altrimenti dato che erano bloccati col piano di vendetta da mesi. Cosa stesse facendo Ethan in merito rimaneva un mistero ed i ragazzi cominciavano ad essere entrambi irrequieti all’idea nonostante fossero ben lungi da tirar fuori il discorso. Fissò con un’alzata rapida di sopracciglia dall’intenzione accattivante la mora piegando di scatto il capo ad indicare il pub, attendeva la sua risposta poiché lui ormai sarebbe andato a prescindere; rimaneva solo da determinare se il rhum lo avrebbe scolato in compagnia o, come più solitamente accadeva, in solitaria.
     
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    “Non è una battaglia che m'interessa combattere” fu una frase molto semplice, persino con una sua logica, che il serpentello pronunciò come se fosse niente, con un'alzata di spalle, ma che, invece, colpì Reina in modo inaspettato. Nemmeno fosse stata la perla di saggezza del Dalai Lama. Era anche una frase già sentita, capitava spesso anche nei film melodrammatici che piacevano tanto alla Dow, ma l'aveva sempre vista come una di quelle frasi così, che si dicono tanto per. Invece, forse per la prima volta, si ritrovò a rifletterci. Quindi c'erano delle battaglie che gli interessavano combattere. Lei se ne era sempre fregata di tutto, aveva la capacità di attenzione di una mosca e, soprattutto, non le era mai fregato niente in generale, proprio come stile di vita. Eppure, dopo quelle poche parole, una lucetta si accese nella testa. Che ci fossero battaglie che valesse la pena combattere? Non le veniva in mente nulla, al momento, che potesse valere i suoi sforzi. Si limitò ad annuire pensierosa, per poi dimenticare tutto alla sua espressione maliziosa
    -Immaginavo- ghignò -La nostra stanza è così silenziosa senza di te- si ma lui era quello che grugniva o quello con l'asma? Non glielo chiese, certe immagini era meglio che rimanessero un mistero.
    E a proposito di misteri, se davvero stava prendendo in considerazione di fare un provino di Quidditch, forse, avrebbe dovuto dare un'occhiata alle regole. Tutto quello che sapeva era che alcuni davano la caccia alla palla rossa, altri alle palle matte e poi c'era il cercatore, appunto, che andava in giro a cercare una pallina con le ali. Fine. Qualcuno doveva anche fare gol, ma meglio non scendere nei tecnicismi
    -Non sono così piccola!- certo era più bassa di quell'armadio con i capelli, ma con il suo metro e settanta era comunque sopra la media per una sedicenne. Ascoltò quindi i suggerimenti sul ruolo, e si ritrovò a ricordare della madre che le lanciava contro scarpe e padelle, o almeno ci provava. O all'istituto, in giardino, quando le bambine dalla faccia angelica le lanciavano sassi. Qualche allenamento per i riflessi lo aveva fatto, possiamo dire.
    -Quanta poca fiducia, Axel!- niente di nuovo sotto il sole -Magari volo meglio di te!- sicuramente no, visti gli anni di esperienza di lui, ma insomma, che ne sapeva! Se ce la faceva Harris a stare sopra una scopa, perché lei non ci sarebbe dovuta riuscire?
    Entrando nel vicolo le cose divennero più serie, forse perché le stava dando davvero la possibilità di scappare, pur non sapendo dove andare, e la cosa le metteva una leggera ansia, sensazione provata molto di rado. Ridacchiò alla battuta del moro, per fortuna non era permalosa, in più aveva scoperto che avere la nomea di matta teneva a distanza la maggior parte delle persone. Una sorta di scrematura, insomma
    -Puoi dirlo. E non ti danno mai roba buona- scherzò a sua volta. Ci mancava solo che prendesse droghe. Il viaggio d'andata fece schifo, non per colpa della Serpe, ma comunque sempre schifo rimaneva. Ancora piegata in avanti nel tentativo di combattere contro l'istinto di liberare lo stomaco, si voltò ad osservare Axel prima di tornare in posizione eretta e fronteggiarlo. Si sorprese da sola per non aver dato di stomaco
    -Fai proprio schifo a consolare, te lo hanno mai detto?- poteva almeno fingere che le cose sarebbero migliorate, non le stava offrendo una gran prospettiva -Dovresti proprio imparare a mentire, se vuoi ti insegno! Il segreto è nei dettagli- e gliene aveva dato prova proprio poco prima! Cazzate a parte, sembrava che Axel capisse la sensazione di essere tenuto sotto stretta sorveglianza. Non conosceva niente di lui, sapeva che veniva da una famiglia importante da qualche parte dell'est Europa ma, come al solito, non aveva mai indagato sulla sua persona preferendo farsi i fatti suoi. Immaginò comunque che essere l'erede di qualcuno d'importante comportasse diversi obblighi e responsabilità. Magari tra i due lei era quella davvero fortunata, non avendo nessuno non aveva nemmeno la possibilità di deludere qualcuno, nessuna aspettativa su di lei, come aveva sentito dire spesso dalla direttrice “era una scommessa persa”. E lei concordava. Triste, forse, ma realista. Era consapevole che non avrebbe combinato niente di grande nella misera e triste vita che le rimaneva, ma sapeva che tempo qualche mese e sarebbe stata davvero libera di fare come preferiva. Lui no, non poteva scappare dal suo sangue. E quando, un giorno, lui avrebbe dovuto prendere in mano le redini del cognome che portava e delle proprietà che avrebbe avuto, almeno secondo l'immaginario della Scott, lei sarebbe comunque stata libera di dormire sotto un ponte o su una panchina del parco. Fortunella! Così avrebbe potuto guardare le stelle e, se fosse stata davvero fortunata, magari una si sarebbe schiantata proprio su di lei. Ahh, i giovani e i loro sogni.
    Era la prima volta che lo vedeva distogliere lo sguardo, quasi fosse a disagio. Alzò un sopracciglio senza staccare gli occhi da lui, ora curiosa di sapere cosa nascondeva. Certo, dubitava sarebbero finiti seduti sul prato a farsi le treccine e a raccontarsi i segreti, ma sembrava che quei discorsi avessero toccato un tasto scoperto e che ora fosse una pentola a pressione pronta ad esplodere. Poi, la domanda: si scappa dalle catene? Bella domanda, profonda, interessante, intelligente, ma rimaneva una bella domanda del cazzo. Che ne sapeva lei?
    -Mha- sospirò incrociando le braccia al petto corrucciando le sopracciglia e facendosi pensierosa -Immagino dipenda dalla situazione- con la mancina si grattò il mento -Se corri veloce magari non riescono a mettertele- scherzò, prima di tornare più seria e riportando gli occhi su di lui -Oppure le spezzi. Ma ogni cosa ha un costo, ne vale la pena?- anche la risposta a questa domanda dipendeva dalla situazione. Le sue a breve si sarebbero sciolte comunque, ma non sapeva cosa sarebbe successo in futuro. Secondo molti sarebbe finita ad Azkaban, magari dopo un omicidio di massa a scuola in un momento di noia, li si che avrebbe avuto delle belle catene, pure ben visibili e meno figurate, e cosa avrebbe fatto?
    -Io, a prescindere dal prezzo, piuttosto morirei nel tentativo di farlo- di spezzare le catene, perché niente valeva quanto la libertà, suo unico credo. Troppa serietà in un troppo poco tempo! Per fortuna Dragonov venne in suo soccorso, di nuovo, e suggerì un cambio d'aria, piuttosto utile in quella situazione, soprattutto a lui che sembrava avesse visto un fantasma
    -Buona idea- acconsentì per poi vederlo indicare la Testa di Porco, ecco un problemino piccolo e insignificante -Lo sai, vero, che gli studenti minorenni non possono entrare?- stirò la bocca in un sorriso orizzontale, quasi colpevole ma comunque divertita. Il cucciolino aveva bisogno di un drink e la sua stupida età si stava frapponendo tra lui e il suo obiettivo alcolico, non poteva permetterlo! Non dopo che le aveva offerto una via di fuga. Guardò quindi il moro barbuto grosso due volte lei e, veloce, elaborò un piano degno di quello della pescatrice
    -Ho trovato! Diremo che sei mio figlio!- geniale. Se lui aveva l'età per bere ed era uscito da lei, allora anche lei doveva avere l'età per farlo. Tutto filava.
    -Vienimi dietro e ricorda: il segreto sta tutto nei dettagli!- senza attendere una sua risposta si incamminò verso il pub per poi voltarsi a metà strada -Che cosa vorresti bere? Magari è più realistico se ordino anche per te, amore della mamma-
     
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    «Fai proprio schifo a consolare, te lo hanno mai detto?» Beh... In realtà tipo tutti? Axel non era mai stato il tipo di persona che si piangeva addosso anzi, per lui era stata attuata un’opera di manipolazione sin dalla culla. Non avrebbe mai dovuto mostrare segni di debolezza, così era la volontà del duca Dragonov. Nessuno dei suoi figli, nessuno dei suoi discendenti sarebbe stato una mammoletta frignona. Dimitar era sempre stato molto chiaro con lui: ai Dragonov non era concesso quel tipo di lusso; lamentarsi e piangere era una cosa destinata alle donne e il piccolo Axel così aveva imparato nonostante per l’età, si sa, un bambino nei momenti peggiori si lamenti ed ha bisogno di conforto. Axel invece non piangeva, non si lamentava, o meglio, quegli episodi in cui accadeva venivano immediatamente sedati dai suoi educatori che fosse lo stesso duca, il precettore ed Ethan poi. Da questo punto di vista Ethan era stato un’ottima scuola. Disfunzionale come solo il mago sapeva essere, alla minima lagna da parte del bulgaro procedeva ad impartirgli la sua educazione fatta di piccoli traumi psicologici che lo avrebbero segnato per il resto della sua esistenza. Efficace, nell’accezione più sbagliata della gestione della situazione ma assolutamente performante alla fine dei conti e questo era ciò che interessava al mago. Alla fine, Axel era stato quel figlio che si era trovato appioppato tra capo e collo completamente di punto in bianco quando le cose, quell’anno, quel lontano 2011, erano degenerate in una notte. «E io che pensavo d’essere un portento», replicò ironico con una smorfia divertita perfettamente opposta rispetto alla palese nausea che si leggeva sul volto di Reina. «Come te, tipo?» Il sopracciglio scattò naturalmente verso l’alto mentre squadrava la compagna di casa, un completo disastro rispetto a lui nell’arte della menzogna. Ethan gli aveva fatto scuola anche su quello e se era riuscito ad arrivare alla sua età senza menomazioni e in vita era unicamente per quel talento sfoderato però al momento opportuno. Axel non mentiva patologicamente a chiunque si rapportasse a lui, anzi, era piuttosto sincero tanto da essere pressoché inavvicinabile proprio per la sua lingua tagliente che non nascondeva stoccate maligne al proprio interlocutore, Skylee per prima aveva dovuto affrontare proprio quegli affondi intrisi di pura cattiveria e senza la minima remora ad ottenere proprio dolore come risultato però, lei, rispetto agli altri, aveva voluto andare oltre a quella facciata di durezza scoprendo una persona totalmente differente. Proprio perché il Dragonov, per le persone a cui teneva, avrebbe persino fatto da scudo umano. «Ahn beh! Prendo nota allora.» Quanta pazienza. Però la Serpeverde non era solo un’amabile eccentrica come aveva avuto modo di vedere a scuola e conoscere in quella specifica occasione, era anche una in grado di sostenere una conversazione con un certo carico da novanta ed era proprio per quel motivo che il bulgaro aveva finito per distogliere lo sguardo. Proprio per non ammettere quanto fosse invece coinvolto da quelle banali frasi di circostanza partite innocentemente e che invece, a dispetto di ogni immaginazione, avevano finito per colpirlo sul vivo. Reina lo fissava accortasi di quel cambio di direzione e lui, spavaldo come sempre, ostentava indifferenza guardando altrove. «Correre veloce può essere una strategia, sì. Ma dipende se queste catene te le hanno messe quando eri ferma a prendere fiato», diede di spalle continuando a dar corda a quella metafora che sentiva stare parlando proprio di lui. Aveva corso tutta una vita nascondendosi tra un’ombra e l’altra per mantenere celata la sua identità ed era bastato un ballo del cazzo a mandare a monte anni di anonimato costringendolo allo scoperto, costringendolo a dire che sì lui era Axel Nikolai Dragonov il secondo figlio di Dimitar Dragonov ed Elèna Dragonova ed erede di diritto al titolo di duca di Burgas poiché suo fratello maggiore, il vero erede, era deceduto in circostanze misteriose. In pochissimi sapevano la natura di quelle circostanze che avevano portato alla modificazione della linea di successione. Solo a pensare a tutte quelle incombenze che gravavano sulle spalle gli veniva da vomitare.
    «Ah già! Sei una mocciosa!» Che palle. Guardò Reina, guardò la porta, fissò di nuovo Reina. «Vabbè dai sei con me, Jack non farà domande» decretò ma il pensiero della Scott era già andato oltre elaborando un piano degno – si fa per dire – di una mente criminale. Axel boccheggiò rimanendo interdetto. Suo figlio? L’espressione sulla faccia del bulgaro parlava per lui. Cazzo. Era altro quasi un metro e novanta mentre la ragazzina gli arrivava a stento al mento e voleva... Argh. «Incendiario», replicò invece, «del ’72 come annata.» Poi notando l’espressione della ragazza sottolineò: «è whiskey, mamma». La raggiunse sulla porta e da perfetto gentiluomo quale era sempre stato gliela aprì permettendo alla ragazza di precederlo nell’ingresso. Immediatamente l’occhiata del barista si rivolse ai due e per un attimo si bloccò dal continuare a strofinare il boccale che stringeva tra le mani. Stava per apostrofarli con qualcosa ma Axel, da dietro le spalle della ragazza fece cenno di diniego all’uomo muovendo la mano all’altezza del collo. «Ecco mamy ordina pure ciò che vuoi», sospirò, «offro io. Ma non esagerare eh... che ti fa male alla salute!» Jack scoccò la lingua sul palato fissando quella strana coppia, era sul punto di dire qualcosa, di protestare forse ma fissando la faccia di schiaffi del mannaro decretò infine che quella doveva essere una delle tante sue conquiste che aveva rimorchiato chissà dove, portato a bere e finito per portarsi di sopra in stanza. Poggiò sonoramente il boccale sul bancone e appallottolò lo straccio di lato. «Vuoi anche la chiave per te e la tua “mamy”?» Fece questo fissando il ragazzo e poi, con aria più truce, la mora. Jack non era mai stato tipo ligio alle regole ma se c’era una cosa che non sopportava erano i minori nel suo pub. Minori che, in caso di ubriacatura prepotente, erano bombe ad orologeria di magia involontaria che avrebbero portato gli auror nel suo locale nemmeno il tempo di dire “quidditch”. Ormai li fiutava meglio di un segugio. Axel ridacchio e sollevò i palmi. Non era intenzionato a farsi la mora, cioè, sì, se la sarebbe piegata senza pietà su quel bancone stesso ma... non ne sentiva la necessità. Tuttavia rise, lasciando la patata bollente alla Serpeverde che aveva deciso di utilizzare quella come scusa.


    Edited by Dragonov - 12/11/2022, 20:11
     
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    -Bhe, ora non ti allargare- mormorò la mora non appena lo stomaco si fu calmato -Ne hai di strada da fare per poter diventare bravo quanto me- per quanto non amasse mentire, la Scott, era comunque convinta di essere un portento, una sorta di talento naturale della menzogna. Era quindi un dato di fatto che, per alcune cose, il cervello della ragazza fosse totalmente smutandato dalla realtà. Però ci credeva, e nessuno avrebbe potuto convincerla del contrario
    -Però vedo del potenziale, potrei anche prenderti come apprendista- annuì convinta soppesando la figura di lui. Dragonov era un tipo strano. Aveva questa nomea di ragazzo burbero e aggressivo, forse complice il suo aspetto, e sembrava sempre di cattivo umore quando le capitava di intravederlo tra le mura scolastiche. Trovandoselo davanti si sarebbe aspettata da lui battutine maligne, frustrate e/o torture psicologiche degne della ciurma di pirati da cui proveniva. Invece niente, addirittura era stato gentile, cosa a cui lei non si sarebbe mai abituata. Non aveva fatto molte domande, si era addirittura bevuto le stronzate sulla pesca che si era inventata all'inizio, tanto che poi, per pura magnanimità del suo cuore, gli aveva rivelato fossero menzogne, e l'aveva comunque accompagnata in un paesino sperduto della Scozia. Senza nemmeno chiedere nulla in cambio. Non lo disse e mai lo avrebbe detto, ma rimase colpita dalla cosa, così come rimase colpita della svolta seria che avevano preso i loro discorsi
    -D'altronde, chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene- assottigliò lo sguardo fisso su di lui, pronta a cogliere le sfumature dei cambi di espressione. Catene spesse, sottili, lunghe o corte, tutti ne indossavano alcune. A volte erano solo incatenati alla classica routine giornaliera, altre erano vere e proprie imposizioni che tarpavano le ali ad un individuo, ancorandolo ad un ruolo, a dei doveri che mai avrebbe voluto, ma se quegli individui non si fossero mai ribellati o non avessero mai provato a cambiare la propria sorte, non se ne sarebbero nemmeno mai accorti. Chissà, forse erano anche più felici. Accettavano passivamente quello che veniva, senza porsi nemmeno il dubbio che fosse o meno quello che volevano e non perdevano il sonno nel tentativo di cambiare la propria strada. Beata ignoranza.
    -Chi lo sa, Dragonov, magari a rimanere in catene si sta più sicuri- scrollò le spalle con noncuranza non condividendo lo stesso concetto da lei enunciato. Come già detto, piuttosto avrebbe scelto la morte. Forse era solo il pensiero ottimistico di una -ancora- sedicenne. Non male l'idea di spezzare quella conversazione così seria con una bevuta, ed era anche una bella fortuna che lei fosse così abile nell'ideare piani perfetti per sovvertire le regole. Sorrise soddisfatta nel notare l'espressione stupita di Axel, palesemente colpito dal suo genio all'opera, ma le partì comunque un brivido quando la chiamò mamma, la maternità non era qualcosa a cui avrebbe mai aspirato, ma il pensiero venne subito accantonato quando notò una vecchietta a fianco alla locanda che la fissava con sguardo truce. Che voleva? Una carezza? Magari non le piaceva la sua maglietta. In risposta ammiccò alla vecchina e, in modo assolutamente lascivo, le mandò un lungo e rumoroso bacio volante. Quasi indignata, la grinzosa donna, sbuffò e girò i tacchi lasciando così la possibilità ai due ragazzi di avviarsi al pub senza occhiate truci e giudicanti. Maledetti impiccioni bigotti.
    Alzò un sopracciglio e osservò il moro sospettosa mentre questo le apriva la porta, pensava non fosse capace ad usare le maniglie? Che strane usanze erano? Varcò comunque la porta e non notò l'occhiata dell'uomo dietro al bancone, troppo presa a guardarsi intorno e studiare quell'ambiente per la prima volta. Il legno scuro ne faceva da padrone e la luce non troppo forte faceva sembrare tutto il locale in condizioni peggiori di quanto in realtà non fosse. O forse lo era davvero ed era lei ad essere ottimista. Lo sguardo passò poi sulla clientela, ben diversa da quella che si trovava ai Tre Manici, l'aspetto losco che la maggior parte di loro aveva li rendeva molto più interessanti. Tenendo il mento ben alzato per darsi un tono, si incamminò impettita verso il bancone credendo bastasse questo a farla apparire abbastanza grande da risultare la madre di Axel, ma il proprietario del locale azzardò una domanda di troppo, chiaramente un test per far saltare la loro copertura. Il sopracciglio destri si sollevò molto lentamente mentre la lingua schioccava contro il palato con un rumore secco e ben udibile
    -Come si permette?- iniziò lei con tono basso ricambiando lo sguardo truce dell'uomo, con l'insana voglia di usare il boccale che fino poco prima stava strofinando per rinfrescargli le idee. Non che Axel fosse male, fino non molto tempo prima forse avrebbe accettato la proposta per un po' di puro e semplice rilassamento ginnico senza impegno, ma da qualche tempo nella sua testa c'era qualcuno che le impediva di lasciarsi andare come prima. Quel maledetto perticone le aveva fatto sicuro un incantesimo!
    -Mi dia un succo di zucca, piuttosto. Liscio, niente bolle. Con un ombrellino- batté con l'indice sul piano del bancone e mantenne lo sguardo fisso negli occhi del locandiere, come una sfida -E un whisky incendiario per il mio cucciolo- finì battendo un paio di volte sulla spalla del suo accompagnatore che la superava di molto in altezza.
    Presi i drink fece strada verso un tavolino libero e lontano da orecchie indiscrete. Per quanto quei tizi fossero interessanti e la incuriosissero, non aveva la minima intenzione di lasciare che origliassero la loro conversazione. Si accomodò accavallando le lunghe gambe, di norma la sua postura sarebbe stata molto più svaccata, ma tentava di rimanere ancora nel ruolo di una giovane ragazza-madre benestante, e l'apparenza era tutto. Il segreto erano i dettagli, come aveva spiegato al suo figlioletto poco prima.
    -Allora, Axel, sembra che il barista conosca bene le tue abitudini- iniziò lei riferendosi al modo confidenziale con cui l'uomo gli aveva proposto di prendersi una camera, come se fosse un'abitudine del Serpeverde
    -Vieni spesso qui a bere mentre lavori?- gli chiese ricordando il motivo per cui si trovasse in Scozia. Non credeva che il ragazzo avesse avuto bisogno di lavorare, la questione creava in lei una leggera curiosità. Sorseggiando il suo drink osservò quindi il ragazzo di fronte a lei, cercando di capire come mai fosse tanto ferrato sui vincoli delle catene di cui parlavano poco prima e chiedendosi se avessero appunto a che fare con il suo lavoro
    -Da cosa fuggi, Dragonov?- gli chiese rigirandogli così la domanda posta in principio da lui, poggiando i gomiti sul tavolo ed incrociando le dita affusolate per poi poggiarvi il mento sopra, pronta all'ascolto.
     
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    «Wow mamy! Succo di zucca. Vuoi proprio sballarti oggi», la schernì dandole gentilmente di gomito. Era proprio fuori di testa quella Scott, ne aveva appena avuto la definitiva conferma. Tipo chiunque sulla faccia della terra al sentirsi offrire l’ordinazione in un bar avrebbe scelto qualcosa di alcoolico. Non la cosa più costosa magari ma sicuro, Axel vi avrebbe messo la mano sul fuoco, qualcosa di dannatamente alcolico. Lo pensava proprio perché sarebbe stato il primo ad approfittarsene e lo aveva fatto quando ne aveva avuto l’occasione, senza il benché minimo riguardo anche. Tanto, si diceva, non si ubriacava, ahilui, anzi, quando si facevano scommesse sulla resistenza all’alcool Axel era il più delle volte dal lato del vincitore. Le sue origini dell’est erano un grande vantaggio su questo fronte oltre al metabolismo del lupo che gli permetteva di ingurgitare la qualsiasi senza porsi il minimo problema. Quelle rare volte in cui aveva stabilito di non poter vincere aveva semplicemente alzato le mani e pagato la gara all’avversario. Da sciocchi si potrebbe pensare, o da pieni di sé invece non era altro che un gesto di profonda maturità. Ubriacarsi per uno come Axel voleva dire perdere il controllo e perdere il controllo era esattamente ciò di cui la bestia aveva bisogno per prendere il sopravvento sulle sue emozioni, allora lì sarebbe bastata una semplice parola di troppo o detta nel modo peggiore per farlo scattare. Da lì l’escalation si poteva tranquillamente immaginare. Non poteva permetterselo sia emotivamente che, più banalmente, legalmente parlando. Non aveva nessuna voglia di finire in prigione, Ethan gli aveva descritto quei luoghi pur non essendoci mai andato – per quanto ne sapeva – ed il padrino gli aveva messo il giusto pepe al culo per tenersene alla larga. Per cui... nessuno Ioan 2.0.
    «Un whiskey incendiario per il mio cucciolo», ridacchiò scuotendo ancora il capo per finire poi per incontrare l’occhiata al soffitto di Jack. Era già pieno così dei modi della Serpeverde, nonostante il vecchio quanto burbero mago apprezzasse che la nuova fiamma del bulgaro, almeno, fosse astemia ma avrebbe comunque trovato il modo di fargliela pagare. L’uomo rivolse ancora alla coppia un’occhiataccia torva e dopo aver mugugnato imbronciato un verso scontroso – tale «mmh» – sbatté due bicchieri sul legno consunto. In uno vi versò con un certo disappunto la bevanda analcolica tanto che alcune goccioline andarono ad imbrattare il bancone in piccole perle lucide aranciate e poi, voltandosi, prese dal punto più alto dello scaffale specchiato la bottiglia del whiskey che sapeva piacere al giovane lupo. Niente ombrellino per la Scott, lì non si trovavano in un bar del centro. Reina afferrò i bicchieri e senza perdere troppo tempo scivolò sinuosa tra le sagome degli avventori del locale trovando dopo qualche metro un tavolo all’angolo, abbastanza separato dagli altri maghi che sembrava fare al caso loro. «Al lume di candela», la sfottè indicando con un’alzata di sopracciglia la candela per metà consumata che raccoglieva cera alla sua base. Scivolò sulla panca andandosi a posizionare esattamente nell’insenatura che faceva angolo col muro dove si sedette poggiandovi proprio la schiena, storto. Afferrò il bicchiere che la Serpeverde gli allungava e gli fece fare alcuni rapidi giri del suo contenuto mentre ne osservava il colorito ambrato. Lo batté quindi sul legno quasi fosse un rito ed effettivamente così era. La tradizione o i riti propiziatori volevano infatti che prima di bere si battesse sul legno il bicchiere quasi a voler brindare oltre che con l’accompagnatore con la dea bendata stessa. «Alla tua Scott», le disse inclinando di poco il bicchiere nella sua direzione prima di portarselo alle labbra. Il liquido incandescente, illusione data dall’alta gradazione, inondò la bocca prima di scendere come una colata lavica e fermarsi come un mattone in petto. Il calore, un balsamo per le sue emozioni, si espanse donando un immediato benessere che gli fece socchiudere le palpebre arricciando immediatamente uno degli angoli delle labbra. Molto meglio, di gran lunga! Rigirandosi tra le mani il vetro si mise più comodo sollevando finalmente lo sguardo sulla compagna. Reina aveva l’aria di una che non aveva smesso di squadrarlo un’istante valutando ogni minimo cambiamento nel suo volto per soppesare quelle che sarebbero state le possibili reazioni del bulgaro.
    «Sembra che il barista conosca bene le tue abitudini», cominciò inclinando più interessata il capo. Axel, dal canto suo, mugugnò un cenno d’assenso, un «m’mh» appena udibile in quella tenue confusione che invitava l’altra a proseguire con le sue elucubrazioni. «Vieni spesso qui a bere mentre lavori?» E poi ancora, senza che lui avesse il tempo per ribattere: «da cosa fuggi, Dragonov?» Okay! La Scott, insomma, non le mandava di certo a dire! Il mannaro si produsse nuovamente in un verso, questa volta più contrariato ma senza perdere il buonumore. Sbuffò sollevando le sopracciglia. Dove poteva cominciare? «Pensavo di essere cresciuto per la predica...» Mamma. Sollevò la mancina grattandosi la barba in prossimità del pizzetto arricciando l’espressione in smorfie pensierose. Cosa poteva dirle? Poteva esporsi? La Scott aveva collegamenti che potevano minare in qualche modo la sua persona? Andiamo! Si disse. Era una povera stordita in fin dei conti, nemmeno in grado di dire una palla, che pericolo avrebbe mai potuto rappresentare? «In Bulgaria, da dove vengo, sono l’unico figlio legittimo e maggiorenne della casata dei Dragonov... Sono un cazzo di duca Scott e, in quanto tale, a quanto pare, nel duemila ventidue è previsto che ci siano ancora quelle puttanate stile medioevo. Ho un intero paese ai miei comandi, ci credi? Poi vediamo... sono anche un mannaro e a undici anni ho ucciso mio fratello il vero erede scappandomene nell’anonimato per finire a lavorare per uno stronzo sfruttatore che mi manda a ritirare i suoi carichi di merce oscura dal giorno alla notte ma mi tocca farlo e senza fiatare perché ormai ho la fedina penale così sporca che mi beccherei un limone col primo dissennatore disponibile. Pff» Si portò il bicchiere alle labbra mandando giù l’ultima metà del contenuto. Aveva vuotato il sacco. Pura verità. Su tutto. Come avrebbe reagito ora la mora? Avrebbe creduto alle parole del mannaro oppure, più plausibilmente, si sarebbe fatta una risata di fronte a quella che poteva essere una storiellina condita a dovere per fare colpo?
    «E tu, Scott? Da cosa fuggi?»
     
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    Reina alcolici non ne aveva mai bevuti. Al di la del fatto che all'istituto, per ovvi motivi, non erano mai state lasciate libere di assumerne, le avevano anche inculcato in testa che lei, ubriaca, sarebbe stata un problema. Di norma se ne sarebbe infischiata e si sarebbe approfittata della prima occasione per diventare davvero il problema e divertirsi alla faccia di tutti quelli che avrebbero avuto a che fare con lei, ma non ne aveva mai sentito il bisogno. Forse perché se lo ricordava, l'alito alcolico di suo padre quando l'afferrava per il bavero per tirarsela vicino quasi volesse mangiarle la faccia, mentre la fissava con quegli occhi crudeli che l'avevano perseguitata nei suoi incubi per anni. Ricordava l'effetto che gli faceva ogni volta che era annebbiato dai fumi dell'alcol, non che senza fosse meglio, ma almeno riusciva ad ignorarla per un po', fino a quando l'astinenza non lo portava di nuovo ad attaccarsi a qualche bottiglia. Era una paura inconscia quella di Reina, che tante volte si era sentita dire di assomigliargli, almeno nell'aspetto. Non voleva rischiare di diventare così, magari un giorno avrebbe anche provato, solo quando fosse stata a suo agio e sicura. Ma non era quello il giorno.
    -Cosa ci vuoi fare, coccolino, almeno sono originale- ghignò ricambiando la leggera gomitata dopo aver ordinato da bere anche per lui, da brava madre premurosa. Osservò il barista versare loro da bere con faccia imbronciata e modi scontrosi, dubitava prendesse troppe mance, era tentata di dire qualche frase che si era sentita spesso rifilare da tizi dell'età dell'uomo, tipo “saresti molto più carino se sorridessi di più”, “come la trovi una moglie con quel muso lungo?” o ancora “sorridi, dai, che mi piaci di più”, ma lasciò perdere dato che ancora non le aveva sputato nel bicchiere, meglio non sfidare la sorte. Schioccò di nuovo la lingua per l'assenza dell'ombrellino, questo bar aveva un servizio da rivedere quindi, prima di afferrare i bicchieri e andarsene, si indicò i suoi stessi occhi con indice e medio della mano dominante per poi voltare le stesse dita verso il barista. Un messaggio molto semplice da recepire, non erano partiti con il piede giusto, ma ormai la situazione era quella.
    Fu facile trovare un punto lontano da orecchie indiscrete, l'orario non era di certo di punta e il locale era abbastanza vuoto, meglio per loro
    -Continui a sorprendermi, Axel. Non ti facevo un tipo romantico- emulò il finto-figlio e, come lui, si accomodò al tavolo, nel lato opposto rispetto al moro così da trovarsi uno di fronte all'altra
    -Però non emozionarti troppo- questa volta toccò a lei sfotterlo, sapeva bene che il bulgaro aveva un non bene identificato rapporto con la biondona di Corvonero, una tutta curve e capelli che era letteralmente il suo opposto, sotto quel punto di vista non aveva di che preoccuparsi con lui. Non si sarebbe sorpresa se sotto i pantaloni portasse delle mutande con stampata la faccia di Skylee, tanto per rimarcare la proprietà privata! Chissà come ci si sentiva ad avere qualcuno e che tutti lo sapessero. Braccati? Magari in gabbia? Oppure voluti, desiderati, cercati. Scacciò il pensiero quando sentì il bicchiere del moro battere contro la superficie lignea del tavolo, inutile pensare a qualcosa che non avrebbe mai vissuto.
    -Alla tua- rispose alzando il bicchiere per poi portarselo alle labbra. Il liquido dolce dal sapore conosciuto scivolò giù per la gola dandole il piacere della consapevolezza di trovarsi in un locale per maghi. Non se ne trovava dove viveva, e ormai per tradizione era diventata la prima cosa che beveva una volta rimesso piede nel mondo magico, mondo a cui si sentiva molto più affine e in cui sarebbe voluta rimanere. Tornò quindi a concentrarsi sul moro per non pensare alla sua miserabile vita. Non si erano mai rivolti la parola o considerati, e ora si trovavano a bere insieme in un pub come vecchi amici ritrovati, la vita è buffa. Si mise così a scrutarlo facendo domande e osservando i piccoli cambi di espressione inclinando il capo prima da un lato e poi dall'altro, era il suo gioco preferito, ma non seppe dire se fosse più infastidito o sorpreso delle domande che lei gli stava facendo
    -Ti sembro una che fa le prediche?- corrucciò le sopracciglia e arricciò il naso -Forse dovrei offendermi- finì guardandolo di sottecchi -So che le mie abilità sono portentose, ma non sono veramente tua madre- finì portandosi una mano al petto. Forse le sue abilità recitative erano persino migliori di quanto avesse creduto fino quel momento.
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    Lo guardò grattarsi la barba e fare smorfie confuse quanto quelle di un bambino che non capisce come avevano fatto a rubargli il naso, probabilmente era indeciso se dire la verità o raccontare una palla. Ed era proprio la bugia che Reina si aspettava, una storiella inventata su due piedi per darle il contentino, certo non buona quanto la sua sulla pesca, ma comunque credibile. Qualcosa che avrebbe dovuto faticare a capire che fosse finta. Quello che ottenne, invece, fu una storia surreale. Ci mise un po' a metabolizzare le informazioni, fissando Axel negli occhi e battendo le palpebre velocemente senza proferire parola, con il bicchiere fermo a mezz'aria. Non seppe dire quanto tempo passò in completo silenzio limitandosi ad osservarlo, cercando di capire quanto di vero ci fosse o se lo fosse per niente, ma era troppo assurdo per essere una bugia. Interruppe la sua imitazione non voluta di una statua portandosi di nuovo il bicchiere alle labbra per svuotarne il contenuto, quindi si voltò verso l'uomo dietro il bancone e ne attirò l'attenzione
    -Ehi, tu, coso! Portacene altri due, e ci metta una cannuccia nel mio!- gli urlò attraverso la sala
    -Taccagno- aggiunse a bassa voce una volta che si fu voltata di nuovo verso il moro. Poggiò i gomiti sul tavolo, intrecciò le mani e vi poggiò sopra il mento, ragionando su cosa dire. Passò ancora qualche secondo prima di parlare, attimi in cui ragionò su quello che avrebbe dovuto dire. Sangue nobile, creature maledette, omicidi, fughe, pacchi sospetti. C'era tutto per un libro fantasy, se si fosse stancato di lavorare avrebbe comunque potuto scrivere una storia biografica e magari avrebbe avuto pure successo. Tanti dettagli di quel breve monologo la colpirono e tutti per motivi diversi, avrebbe avuto diverse cose da dire, avrebbe anche potuto alzarsi e scappare via ora che sapeva di trovarsi in compagnia in un omicida, pur non sapendo la dinamica dell'incidente, se così si poteva dire. Molte persone lo avrebbero guardato con sospetto anche solo per essersi appena dichiarato un mannaro, ancora non troppo accettati nella società, ma la mente di Reina funzionava in modi curiosi ed affascinanti, quando funzionava, e di rado faceva o diceva quello che ci si aspettava. Il barista portò i due bicchieri lasciandoli sul tavolo, ma non gli rivolse alcuna attenzione. Non disse nulla nemmeno del fatto che non ci fosse la cannuccia, afferrò il bicchiere e ne bevve un sorso, rivolgendo così a Dragonov la prima frase dopo una quantità di tempo difficile da quantificare per lei
    -Se ti aspetti che da ora ti dia del lei e faccia la riverenza fai in tempo a schiattare- fine. Fu l'unico commento su quanto narrato, almeno per il momento. Non ebbe nemmeno troppo tempo per ragionarci, perché toccò al duca curiosare. Certo, ora qualsiasi cosa l'avrebbe fatta sfigurare davanti al suo racconto, comunque sollevò un sopracciglio chiedendosi se davvero gli interessava. Ma lei non aveva problemi a svelare il suo passato, conscia che tanti come lei ne avessero avuto uno simile
    -Quando papino si è stancato di picchiare me e mia madre se ne è andato, lasciando a lei l'arduo compito di farmi il culo, non è durato molto comunque, perché una volta scoperto che sapevo fare qualche abracadabra le ho fatto ancora più schifo di quanto già mi dicesse e mi ha lasciato in orfanotrofio dove ho vissuto fino adesso, con la direttrice a cui piace usare la cintura e che mi nasconde alla vista delle adorabili coppiette perché non vado bene per essere adottata. Sono una spostata, disturbata, strana creatura del demonio, a suo dire. Oggi non avevo voglia di aspettare chiusa in camera e sono uscita dalla finestra, potrebbero starmi cercando per riportarmi dentro- finì scrollando le spalle. Banale in confronto. Sicuro era noioso, ma non aveva vissuto nulla che valesse la pena essere raccontato. Niente colpi di scena, niente sorprese, vacanze, regali o incontri fortunati. Non aveva ancora visto niente.
    Ok, aveva fatto la stoica abbastanza, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio e dovette per forza tornare su quanto raccontato dal compagno verde-argento
    -Quali sono questa puttanate da Medioevo a cui dovresti stare dietro?- chiese abbandonandosi contro lo schienale della sua seduta. Le venne da chiedersi come mai, se quello che le aveva raccontato era vero, lo stesse raccontando a lei, una perfetta estranea.
    -Sei stanco, Dragonov?- gli chiese, questa volta sollevando un angolo della bocca in un ghigno appena accennato. Era la cosa più logica che le venisse in mente, più che un racconto quello di Axel le era sembrato uno sfogo. La liberazione di un ragazzo esasperato. Era curiosa di sentire la risposta.
    -Senti, ma luna piena a parte, non puoi liberartene? È solo un titolo, rinuncia- di nuovo le spalle si alzarono e abbassarono velocemente, bevve un altro sorso della bevanda aranciata -Se non è la vita che vuoi cambiala- la faceva molto semplice, come farebbe chiunque che non ha nulla da perdere, ma Axel non sembrava uno che non avesse i mezzi per rifarsi una vita -Lascia una cartolina, magari- e tanti cari saluti.
    -E poi se sei tu l'erede, il Duca, potresti sempre cambiare le regole medioevali che non ti stanno bene- o no?
     
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    «Ti sorprendo?» Le chiese inclinando il bicchiere con fare lascivo in sua direzione. Era curioso adesso, con quella semplice frase aveva attirato la sua attenzione, più nello specifico il suo ego. Axel era tante cose, un mutaforma per maledizione ma anche per convenienza. In base al suo interlocutore o a cosa ambisse ottenere il suo modo di fare si andava malleando all’esigenza. «Che idea ti eri fatta di me?» Chiese quindi affilando lo sguardo smeraldino sul viso della mora, senza perdersi il minimo cambio d’espressività. Reina, la Scott, era dipinta da tutti come quella stramba ma c’era un vantaggio ad essere etichettati come strambi: l’imprevedibilità. Un folle poteva permettersi di tutto e nessuna azione/reazione sarebbe stata eccessiva o fuori luogo proprio perché tale ed era in qualche modo interessante ai suoi occhi capire come una persona tanto fuori dagli schemi potesse vederlo. In fin dei conti il giornale della scuola, quella miserabile carta straccia da due falci, non smetteva di dipingerlo come il misterioso rubacuori dell’est che con la sua allure da cattivo ragazzo faceva cadere ai suoi piedi buona parte delle ragazze della scuola ma “solo una è stata la fortunata – benedetta da Morgana – tanto da far crollare niente poco di meno che al ballo della scuola di fronte a tutti la bella – e dannata – reginetta.” Il giornale lo aveva definito, noiosamente, come lo scapolo d’oro alla quale la caposcuola di Corvonero era riuscita a mettere l’anello al dito. La realtà dei fatti era stata leggermente diversa ma chi era lui per infrangere le convinzioni di quattro pettegole da strapazzo? Che ne sapevano loro che si erano trovato letteralmente con le spalle al muro ed era stato costretto a reagire d’istinto firmando un contratto? Non lo sapevano. Nessuno sapeva. Le loro erano unicamente congetture, voli pindarici, unicamente l’oste avrebbe potuto stabilire il reale prezzo di quella situazione che stavano pagando. Ad Axel scocciava però venire additato come quello alla quale era stato messo il guinzaglio al collo. Lui si era limitato a firmare una promessa, questo era vero per quanto a saperlo fossero lui, Skylee e le loro famiglie – non di certo la scuola – ma questo non voleva significare che per lui i giochi erano chiusi. Cazzo aveva solo ventun anni! Che diamine! Aveva tutta una stramaledetta vita davanti per doversi chiudere in quella cazzata del vincolo matrimoniale e, per quanto la Corvonero gli andasse a genio, i suoi programmi per il futuro erano ben diversi e non includevano nessun tipo di compagna o anello al dito o famiglia. Lui non era fatto per quella roba e se anche lo fosse stato la maledizione che pendeva sul suo collo come la spada di Damocle non gli avrebbe permesso di desiderare diversamente. Quindi, morale della favola, lui doveva dar conto solo a sé stesso e se stava concedendo e avvallando la richiesta d’esclusiva della Métis era unicamente perché gli andava di certo non perché doveva. Io sono libero, si diceva nella sciocca convinzione di essere nel giusto, di essere forte e non doversi sottomettere a nessuno; forse di essere persino il re del mondo e non solo – al limite – il duca di una zona sperduta dell’Europa.
    Jack non ci mise molto e con un grugnito depositò entrambe le ordinazioni sul tavolo certo non senza una certa dose di veemenza. Beh, se la sarebbe fatta passare, il lupo in fin dei conti aveva sempre pagato. Sempre. Da quando si era trasferito in Scozia per frequentare la scuola di magia, da quando aveva messo piede in quel piccolo tugurio di Hogsmeade si era guadagnato la stima del vecchio proprietario. Un passo alla volta ma poteva dire di aver ottenuto – nonostante i modi dicessero il contrario – la sua fiducia. Axel era un cliente abituale di quel posto e poteva vantare di non dover specificare in quel luogo il tipo d’ordinazione che avrebbe richiesto. Bastava palesasse la sua faccia da schiaffi che Jack, sbuffando, sapeva che avrebbe dovuto tirar giù la bottiglia d’incendiario. Gli aveva fatto vincere anche un paio di scommesse dopotutto con la sua resistenza. Allungò il bicchiere alla Serpeverde e stringendo il suo invitò tacitamente, con un colpo di sopracciglia, la ragazza a commentare con qualcosa. Aveva voluto sapere il perché, no? Beh, adesso sarebbe stata cortese una reazione. «Se ti aspetti che da ora ti dia del lei e faccia la riverenza fai in tempo a schiattare» sentenziò. Axel scoppiò ridere di gusto. Doveva aspettarselo. Ricambiò il “favore” e portando il distillato alle labbra mandò giù un nuovo sorso. Stava per commentare a sua volta ma la Scott fu più veloce: «quali sono questa puttanate da Medioevo... ?» E poi ancora, altre domande, possibili soluzioni che lo indisposero in un certo modo. Che ne sapeva lei? Come si permetteva di farla così semplice?! Il suo sguardo s’indurì. «Se fosse stato così semplice secondo te non lo avrei fatto?!» Ribatté piccato, l’espressione più arcigna. «L’ho fatto finché ho potuto. Tenermi fuori dico, ma... sono successe cose che mi hanno costretto a prendere in mano la cosa. Non potevo fare diversamente e adesso pago le conseguenze.» Il suo discorso all’orecchio della Serpeverde non aveva il benché minimo senso ma mica poteva dirle che aveva dovuto fare coming out perché era stato riconosciuto come l’erede de Dragonov ad un ballo in cui la Métis lo aveva incastrato? Poteva mica spiegarle a cosa lei sarebbe andata incontro in caso di ripudio da parte sua e cosa invece sarebbe spettato a lui con sua madre lì presente – sorpresa! – pronta a sfruttare la situazione a loro vantaggio. Era stato e si era incastrato. «Se non è la vita che vuoi cambiala. Lascia una cartolina, magari», una mezza risata prima di ingollare la rimanenza ambrata nel bicchiere. «Non ci sono in mezzo solo io per cui devo accollarmela. Si fa così per le persone... mh... care... ?» Sky era questo per lui. Gli era cara e per quanto il suo orgoglio non lo portasse ad ammettere nulla nemmeno a sé stesso, figurarsi ad alta voce, non poteva prendere e sparire come niente fosse lasciandola in quel merdone. Sentiva di volerla proteggere, che valesse la pena farlo perché lei per lui c’era sempre stata nonostante l’avesse bistrattata, torturata, cacciata, lei non si era mai arresa come invece aveva fatto...
    «Piuttosto», replicò eludendo l’ultima domanda della mora, «il tuo piano di oggi è quindi scappare per andare ad abitare sotto i ponti? Oppure a fine giornata tornerai con la coda tra le gambe da miss Belt... ?» A farti dare il resto magari... «Lo sai che la scuola è chiusa vero?» Distrattamente sollevò la mano schioccando le dita in direzione di Jack. Metteva troppo poco alcool, che cazzo! «Spero tu abbia un piano migliore di quella cazzata della pesca, senza offesa ma faceva proprio schifo.» Dovette ammettere finalmente con una smorfia. Okay il divertimento, prenderla con leggerezza come aveva fatto per tutto il pomeriggio ma se i fatti erano quelli, se la matta si faceva picchiare e doveva anche prenderle ad uno come il Dragonov girava a pallettoni il cazzo.
     
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