Darkest hour.

Axel - Alaska

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    Stavo per lasciarmi la porta della camera di Rose alle spalle, quando con tono basso e tremolante la sentii scusarsi. Voltai il capo lentamente e la osservai rimanendo appoggiata allo stipite scuro della porta. Non capivo perché si stesse scusando e non capivo perché si ritenesse colpevole di quanto a breve avrei dovuto affrontare. Non era certo colpa sua o della sua richiesta d'aiuto per il piano di poche ore prima, se io e Axel avevamo problemi reciproci di fiducia. Io ero una bugiarda patologica, troppo abituata a mentire a chiunque per poter riuscire a cambiare le abitudini di una vita all'improvviso, mentre lui era diffidente di natura, come poi pure io ero, ma grazie alle sue molteplici esperienze e disavventure in missione, poteva dirsi certamente il più diffidente dei due e un laconico "ti spiegherò" rivolto nei suoi confronti, non mi sarebbe più bastato per evitare la resa dei conti. Era imminente, una sola rampa di scale mi divideva da lui, dalla verità che nascondevo dentro e che presto avrei dovuto sputare fuori. «Rose, non è colpa tua, ok? Axel non è arrabbiato perché non gli ho spiegato il piano» Non solo per quello almeno. «Solo credo sia giunto il momento di fare un passo avanti... ho paura, ma voglio fidarmi di lui, in fin dei conti se lo merita...» Divagai perdendomi con lo sguardo oltre la figura della ragazza, dove fra le leggere e svolazzanti tende color panna appese alle finestre, si intravvedeva il turchese lago che avevamo dovuto superare per giungere fino a casa. «Riposati, ok? Domani sarà un nuovo giorno e tutto andrà meglio» La rassicurai con un velo di apprensività nello sguardo. Sapevo che delle belle parole non avrebbero potuto ricucire la voragine che le si era aperta all'altezza del petto, quella solo il tempo avrebbe potuto curarla, ma volevo che sapesse che io ci sarei stata, perché per quanto schifo facessi nei rapporti umani, quella piccola e complicata azione che consisteva nell'esserci, nel rimanere nonostante le svariate avversità che la vita era solita proporre, mi riusciva piuttosto bene e volente o nolente io sarei rimasta sempre vicino alle persone che ritenevo meritevoli di tale mia apprensione.
    Salutai la Tassorosso accompagnando la buonanotte con un largo sorriso carico d'affetto e richiudendomi la porta alle spalle mi lasciai andare a un profondo sospiro. Quella giornata era iniziata in modo caotico ed era destinata a concludersi alla stessa maniera. Non era da me spaventarmi tanto facilmente, percepivo chiaramente un leggero tremolio all'altezza delle ginocchia, non avevo paura a sfrecciare per aria in groppa alla mia firebolt, non avevo paura dei difficili esami finali di Hogwarts, non avevo paura nemmeno di dare un buffetto a un ippogrifo che non avevo mai visto prima, ma essere totalmente sincera con qualcuno, forse per la prima volta in vita mia, mi terrorizzava a morte. Mi dissi che sarebbe andato tutto bene, mi rincuorai che in alcun caso Axel avrebbe voltato i tacchi e se ne sarebbe andato lasciandomi ancora una volta da sola, me lo ripetevo, sì, ma tranquillizzarmi pareva davvero un ardua impresa. Sentivo il cuore battermi a mille, le mani sudarmi e una strana sensazione all'altezza dello stomaco, ma ignorando tutti i segnali del mio terrore crescente presi le scale e scesi nuovamente al piano inferiore, dove intento a gironzolare per la stanza, si trovava un Axel pronto a strapparmi di dosso tutte le mie impenetrabili corazze con le quali mi ero vestita nel corso degli anni. «Hey...» Sussurrai a labbra strette cercando di apparire quantomeno in grado di respirare normalmente senza farmi scoppiare i polmoni per via dell'iperventilazione che temevo di raggiungere. «Ti va di fare un giro?» Gli domandai speranzosa di ricevere una risposta affermativa mentre raggiungevo la portafinestra per aprirla. «Così possiamo avere un po' di privacy...» Constatai indirizzando lo sguardo verso l'alto, dove in linea d'aria si trovava la camera degli ospiti. Volevo bene a Rose, tanto, ma certi fatti non potevo ancora rischiare che giungessero alle sue orecchie e pertanto, una passeggiata per i boschi adiacenti a casa, mi pareva l'opzione migliore. «Eccoci... ci siamo, io sono qui, tu sei qui... entrambi siamo qui e beh, ecco... spara, chiedimi tutto ciò che ti preme sapere, cercherò di dire soltanto la verità e nient'altro che la verità...» O almeno ci avrei provato. Balbettai impacciata e nervosa martoriarmi compulsivamente le mani, piegandone le dita in angolazioni innaturali e dolorose per concentrami su qualsiasi cosa che non fosse il mio battito cardiaco accellerato. Perché dovevo essere così dannatamente codarda dinnanzi a una cosa che per la maggior parte delle persone risultava perfettamente normale? Mentire non era quasi per nessuno la quotidianità e quando ciò accadeva, vi erano spesso delle cattive intenzioni dietro, mentre nel mio caso erano unicamente incentrate sul sopravvivere e tenere al sicuro le persone che mi circondavano. Se qualcuno te lo chiede rispondi che siamo solo di passaggio e che non ci fermeremo a lungo, si raccomandava sempre mio padre prima di raggiungere assieme il villaggio dall'altra parte del lago, ma spesso le bugie verbali non bastavano e quindi a ingannare e mentire doveva essere pure il nostro aspetto, che celandosi dietro all'illusione della pozione polisucco, non faceva altro che incrementare il numero di bugie che raccontavamo ogni giorno. Le bugie visive mi erano però tornate molto utili durante il corso della mia vita, era raro osservare le mie labbra incresparsi verso il basso in un'espressione triste, come lo era ancor di più vedrmi piangere o lasciarmi andare a reali emozioni negative, semplicemente non permettevo al mio corpo di mostrarle, nascondendole invece dietro un ampio sorriso che difficilmente abbandonava le mie morbide labbra color pesca, sorriso che fra l'altro, pure in quel momento tentavo di mantenere, nonostante Axel fosse una delle pochissime persone ad avermi già vista priva di filtri illusori. Sorridi e le persone penseranno tu sia felice, questo era ciò di cui mi convincevo ed era abbastanza per spronarmi a farlo di continuo, così nessuno avrebbe pensato di rivolgermi scomode domande alle quali normalmente non avevo intenzione di rispondere. Normalmente, appunto, perché ora avrei invece dovuto farlo per forza, non avrei permesso al mio ego e alla mia paura di essere sincera di rovinare ciò che c'era fra me e il Bulgaro al mio fianco. Per lui avrei lottato, glielo dovevo.
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    Poi era andato tutto molto velocemente. Aveva capito cosa sarebbe successo solo nel momento in cui Sky gli aveva tirato il braccio costringendolo a toccare la statua e un secondo dopo aveva sentito il fatidico gancio attaccarsi alle viscere e trasportarlo letteralmente dall’altra parte del mondo. Si era ritrovato nel bel mezzo del nulla cosmico, circondato da fitti abeti che ne coprivano la visuale e lui non poté fare altro che rimanere con i sensi vigili mentre Skylee, improvvisamente più tranquilla, si sobbarcava del peso da fuscello della Tassorosso. Avrebbe potuto farlo lui, senza il benché minimo sforzo, ma preferì farlo lei, solita testona del cazzo, lasciando a lui l'opzione di rimanere nelle retrovie a proteggere il loro avanzare. Che altro poteva fare? Dei tre era quello più qualificato nei duelli ed era certo che quelle due si sarebbero fatte ammazzare in un battito di ciglia. Poi, in tutta quella situazione lui non sapeva niente di quello che avessero in mente! Poteva solo immaginare che quella fosse la famosa Alaska – visto il clima per nulla mite – e che presto si sarebbero diretti nella casa della Corvonero. Ma perché lì? Perché così distante? Quella e altre mille domande affollavano la mente del mannaro mentre proseguiva comprendo loro le spalle. Quando giunsero ad un piccolo lago si era oramai fatto un’idea: alla Métis piaceva dare asilo ai casi umani come lo era lui e come lo era a questo punto anche la White, perché poi quella figlia di papà lo fosse era tutta un’incognita. Aveva forse fatto arrabbiare papino con un “accettabile”? Pff, mezzasega! Salì sulla barca per primo e aiutò la Corvonero a prendere la Tassa sollevandola letteralmente di peso, quasi fosse una bambina, per adagiarla in un punto della piccola imbarcazione che le permettesse di stare ben seduta senza il pericolo che svenisse nell’acqua d’altronde, come aveva visto, anche quella era una noiosa possibilità da tenere in conto. Che palle.
    Il breve viaggio in nave lo fece a braccia incrociate, lo sguardo fisso, inespressivo, puntato sul viso appena arrossato della Corvonero che si prendeva cura – forse con più enfasi del dovuto – dell’amica, evitando il più possibile di incrociare la sua occhiata funerea. La stava aspettando e avrebbe continuato ad attendere le risposte che gli aveva promesso proprio in quel modo: l’espressione arcigna a metterle pressione. Nessuno sconto. Lei stava sbagliando. Lei stava testando la sua pazienza dubitando di lui. Non le avrebbe dato nessun'agevolazione di pena dopo tutto quello che aveva fatto e continuava a fare per lei.
    «Benvenuto a casa», balbettò la Corvonero mentre l’espressione del bulgaro s’accigliava guardando il nulla che li circondava ancora una volta. Poi la vide. Fu come se un mantello trasparente scivolasse via da quella che era villetta dal tetto spiovente. Ah. Ora qualcosa cominciava ad avere senso, tipo il motivo per cui Skylee reputasse quel posto così sicuro dal modo in cui si poneva: era protetto da un custode segreto. Conosceva quella magia, per sentito dire ovviamente, Ethan gliene aveva parlato quando in uno dei suoi deliri d'onnipotenza gli aveva spiegato perché avesse preferito trasfigurare con incantesimi illusivi il laboratorio al posto di renderlo segreto con quel metodo. Rimase in silenzio comunque. Nessun commento lambì le sue labbra distese in una linea sottile. L’unico elemento a tradire lo scioglimento del ghiaccio era dato dalla linea delle sopracciglia, ora lievemente inarcata. Entrò in casa, seguendo le ragazze e afferrò al volo l’asciugamano che Skylee gli lanciò prima di prendere immediatamente sottobraccio la White dileguandosi al piano di sopra con un «fai come se fossi a casa tua. Torno subito.» Mh. ‘Na parola. Allargò l’asciugamano osservandolo mestamente e se lo passò in testa frizionando i capelli bagnati dalla pioggia fredda prima di passarsi anche una mano nel mezzo per allontanarseli dagli occhi. Doveva decisamente tagliarli. Guardingo cominciò a guardarsi intorno consapevole che non avesse di che temere anche se l’istinto, o forse l’abitudine, forse proprio come Ethan lo aveva cresciuto, lo costringeva ad essere diffidente di ogni cosa in quella situazione. Odiava rimanere all’oscuro, odiava i segreti e odiava quella situazione. La Corvonero gli aveva chiesto solo pochissimi giorni prima – cazzo era il ventiquattro e aveva già mandato a fanculo tutto al ventinove! – di provare a darsi una chance e cosa aveva fatto? Tramava alle sue spalle non fidandosi di lui. Dopo tutto quello che avevano passato. Tzè! Mandò mentalmente a fanculo l’immagine del trio appesa in un quadretto accanto al camino, com’erano sorridenti in quell’immagine le altre due... e ora dov’erano? “Sicuramente loro non sarebbero state all’oscuro”, inveì affilando l’occhiataccia che inviò alle figure della Richards e della Rosencratz che stringevano in un caloroso abbraccio la bionda. Loro, loro che se ne erano andate lasciandola sola come un cane erano meritevoli di fiducia mentre lui, lui che ne aveva raccolto i cocci quando aveva ucciso un uomo no. Chissà se lo sapevano cosa aveva fatto l'amata sorellina! Colmo di collera si lasciò sedere in poltrona continuando a frizionarsi i capelli e la base del collo con gesti iracondi fino a che una vocina non lo interruppe.
    «Hey...»
    Skylee era in piedi alla base delle scale, la mano ancora appoggiata – o meglio dire aggrappata – sul corrimano. «Ti va di fare un giro?» No, non aveva nessuna cazzo di voglia di tornarsene sotto l’acqua a prendere freddo. Non gliene fregava un cazzo “di vedere il panorama”. Fottesega pure del panorama! «Così possiamo avere un po' di privacy», concluse mentre gli occhi bicolore si alzavano verso il piano superiore. Si alzò evitando ancora una volta di proferire parola. Tutta la sua intera figura, tutto il suo metro e ottantacinque fremeva di collera tenuta repressa. Se l’aura fosse stata visibile o se la Corvonero fosse stata in grado di coglierla, avrebbe visto il Serpeverde avvolto in una coltre nera come la pece. L’anticipò fuori dalla casa tenendole poi la porta aperta che si richiuse con uno scatto sordo in tutto quel silenzio. La pioggia continuava scendere cadendo in delicati tocchi sugli steli d’erba. «Senti Métis, smettiamola con le cazzate», la interruppe subito quando lei abbozzò un imbarazzato incipit agitando le mani mentre camminava. «Non ti chiederò che cazzo è questo posto. Né dei tuoi segreti del cazzo», quelli più personali e reconditi intendeva. Se aveva voglia gliene avrebbe parlato così come lui non le aveva rivelato determinate cose di sé. «Voglio sapere in che cazzo di guaio di merda ti sei cacciata», le ringhiò e Sky poté sicuramente capire dall’elevato numero di vocaboli irripetibili quanto il mannaro fosse “incazzato nero”. «Una pozione per la memoria? Ma in che cazzo siete 007?! Cazzo di problemi ha quella deficiente da richiedere tutto questo casino?! E tu?! Tu i cazzi tuoi mai nella vita, vero?! Se vedi un dissennatore moribondo steso a terra saresti in grado di dargli asilo porca...», concluse in una sonora bestemmia. Era davvero fuori di sé.
     
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    La leggera pioggerella fredda che ci bagnava prima il capo e poi a seguire il corpo non mi infastidiva affatto, ero così abituata alle rigide temperature e condizioni climatiche di quel posto che quasi mi pareva strano che, durante le rare giornate di bel tempo scozzese, un grande e luminoso sole caldo si ergesse in cielo. Non sopportavo le temperature calde, cominciavo subito a sentire il fiato venire meno e il mio corpo ribollire lasciandomi priva di forze, tutto il contrario di quando invece, grazie a un bel temporale o a una nevicata improvvisa, mi sentivo come rigenerata dall'interno.
    Camminammo per quasi un paio di minuti prima che riuscissi a trovare il coraggio di proferire parola. Era raro che io, saccente rompiscatole che aveva sempre un commento o una parola pronta per chiunque, mi ritrovassi a non averne nemmeno mezza. Ero così abituata ad avere sempre ragione e a potermi aggrappare a quella per controbattere che ora, cosciente del fatto che fossi io quella in difetto fra i due, mi ritrovavo totalmente impreparata alla situazione e proprio non avevo idea da dove cominciare. «Non mi sono cacciata in nessun guaio, ok?» O almeno così credevo o per meglio dire, speravo. Non era del tutto chiara nemmeno a me la situazione, ma sapevo che mai avrei lasciato una persona alla quale volevo bene in difficoltà e Rose lo era, per questo nonostante mi fosse impossibile visionare in quadro completo, avevo ideato il piano più sicuro possibile per poterle permettere di sentirsi libera. Nessuno avrebbe mai dovuto provare la sensazione di sentirsi in trappola, io per prima lo avevo provato e sapevo bene quanto fosse orribile non sentirsi padroni delle proprie scelte o delle proprie azioni. Speravo per lei che la sua situazione famigliare fosse più leggera della mia, ma se così non fosse stato io ci sarei stata comunque e avrei fatto il possibile per aiutarla a stare meglio, dato che con me stessa sembrava quasi impossibile farlo. «È solo che non era libera di fare nulla, suo padre le impediva praticamente di lasciare la casa in estate e... e... beh, ci sono passata pure io e so quanto sia opprimente la sensazione di sentirsi controllati da qualcun'altro, volevo solo aiutarla ad avere un'opportunità migliore, volevo solo che riuscisse a prendere in mano le redini della sua vita...» Come io stessa avrei voluto fare, salvo poi realizzare quanto codarda fossi per riuscirci veramente. Avrei voluto separarmi totalmente dalla famiglia di mio padre, avrei voluto allontanarmi adirriturra dal loro nome, non essere assolutamente associata a loro, ma era così dannatamente difficile che mi sentivo pietrificata ogni volta che impotizzavo anche solo di provarci. Cos'avrei dovuto fare poi? Dire loro che non volevo più far parte della famiglia come al tempo aveva fatto mio padre? Finendo poi per fuggire da loro in capo al mondo? Non potevo permettermelo, non ancora almeno, non finché studiavo ad Hogwarts. Dove mi sarei potuta nascondere stando per mesi e mesi a uno schiocco di dita da loro? Da nessuna parta, ecco dove e l'ipotesi di cambiare scuola sarebbe servita ancora a meno, sarei sempre rimasta facilmente rintracciabile grazie ai documenti dell'istituto che non avrebbero minimamente faticato ad ottenere e all'ora sarei stata nuovamente sotto scacco matto. Era una strada senza via d'uscita la mia e ne ero perfettamente cosciente. «Suo padre, il vicepreside...» Puntializzai nel caso non ne fosse a conoscenza, anche se lo dubitavo fortemente, viste le voci che si erano ormai sparse per tutto il castello. «Ha sempre cercato di contollare la sua vita e la persona alla quale Rose ha cancellato la memoria era la sua governante, era come una seconda madre per lei e beh, non so bene perché fosse un tassello fondamentale del puzzle, ma posso supporre che giocasse un ruolo importante sul controllo che suo padre riusciva ad avere su di lei...» Non era molto, ma era tutto ciò che pure io sapevo e già solo rivelandogli tali dettagli mi sentivo in parte di tradire la fiducia della mia amica, erano fatti personali quelli, fatti che io per prima non avrei voluto che altri ne venissero a conoscenza se fossi stata io la protagonista degli stessi, ma Axel voleva la verità e dato che ormai lo avevo coinvolto nel piano, era giusto che io gliela rivelassi. «Per questo motivo doveva fare in modo che lei abbandonasse quella casa per sempre, la pozione serviva a indurla ad andarsene, se no non lo avrebbe mai fatto, tutto qui...» Ammisi stringendomi nelle spalle e nella consapevolezza che ciò che mi stava dicendo era dannatamente vero. Non ero in grado di aiutare me stessa ma quando si trattava delle altre persone finivo sempre per rischiare la pelle pur di tentare in ogni modo di aiutarle. Lo avevo fatto spesso e ci ero sempre riuscita, tranne che con lui, con lui avevo fallito e avevo permesso che quel dissenatore lo portasse via. Avrei dovuto lottare di più, me lo ripetevo all'infinito, ma ogni volta che pensavo di starci riuscendo davanti a noi si paravano nuove complicazioni e io ritornavo sempre al punto di partenza. «Per quanto riguarda te nemmeno io so davvero perché ti ho chiesto di venire con noi, probabilmente mi sarebbe bastato solamente che tu mi preparassi la pozione, ma ecco, non so...» Ripresi nervosamente a contorcermi le dita per distendere i nervi e riordinare i pensieri. «Non volevo rischiare che qualcuno potesse prendersela con te se fosse venuto a conoscenza del piano, non volevo, ecco, non volevo metterti in pericolo e se eri con me lo avrei saputo subito e avrei potuto fare tutto il necessario per impedire che ti succedesse nuovamente qualcosa e...» Cazzo. Mi accorsi solo troppo tardi di quanto le mie labbra si fossero lasciate sfuggire. «Cioè sì... non volevo rischiare succedesse nulla di male a nessuno dei tre, per questo ti ho voluto al mio fianco... Non volevo incastrarti in nessun'guaio, te lo giuro...» Tentai di rattoppare goffamente quanto ammesso poco prima nella speranza che catalogasse le mie parole come meri vaneggiamenti.
    ★ ★ ★
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    «Non mi sono cacciata in nessun guaio, ok?» Sentenziò lei in un misto di esasperazione dalla quale si poteva cogliere benissimo una nota di dubbio che non sfuggì al mannaro. Axel accentuò lo sguardo perentorio con la quale la stava fissando. “Non lo sai?!” Così pareva silenziosamente urlarle mentre andava su tutte le furie. Erano sempre alle solite. Pur di aiutare qualcuno si ficcava nei peggiori guai e da chi andava a frignare? Da lui, certo. Come in quel caso. Lo aveva tirato in mezzo a quella faccenda non per le stupidaggini da “mi sento sicura con te al mio fianco” ma perché nel caso le cose fossero andate a puttane, lui avrebbe avuto la prontezza di spirito nel fare la cosa necessaria a prescindere se essa fosse stata positiva o negativa. Perché era quello il “problema” della Corvonero: lei aveva una morale, un’etica. Axel semplicemente faceva quello che c’era da fare. Lasciare indietro qualcuno senza remore? Fatto. Torturare per estorcere informazioni? Fatto. Uccidere? Fatto, fatto, fatto. Axel aveva fatto ogni cosa tra queste ed era arrivato, grazie ad Ethan, ad un tale livello d’insensibilità che gli permetteva di dormire la notte. Andava fatto. Così si diceva. Mors tua vita mea. Niente di più vero. Ecco perché lui si trovava lì. Lei non poteva essere certa di non aver fatto una colossale cazzata e in fondo, magari proprio in fondo in fondo, al suo cazzo di spirito cocciuto, se ne era resa conto anche lei. «Métis...» l’ammonì in un ringhio basso quanto feroce mentre l’occhiataccia la gelava sul posto. Era stanco. Stufo di tutte quelle balle proprio perché tra tutte le persone presenti sulla faccia della terra lui, proprio lui, non le meritava da lei. Lui che aveva tentato di farla andar via in tutti i modi, maltrattandola, torturandola affinché mollasse quel cammino perché inadatto a lei. Aveva in qualche modo provato a preservarla finendo per affezionarsi a quella giovane dall’aspetto particolare con i lunghi capelli biancastri e lo sguardo dai differenti colori. Per Axel quella ragazza così esile aveva finito per rappresentare la purezza e il suo istinto, prima della ragione, lo aveva portato a difenderla ma lei, poi, aveva dimostrato di avere invece il pelo sullo stomaco necessario per sopportare tutto ciò che insieme avevano visto. Era crollata solo una volta, solo nel momento in cui si era macchiata d’omicidio. Solo un pazzo psicopatico alla sua prima volta, uno come Ethan, non sarebbe crollato di fronte a ciò e Axel con difficoltà ne aveva raccolto i pezzi componendo immediatamente quella che era la ragione che mandava avanti anche lui: hai dovuto farlo. Non c’era altra scelta. Mors tua vita mea.
    Eppure, dopo questo, dopo averla salvata persino dalla gogna pubblica al castello dei suoi parenti promettendo di prenderla in sposa da lì a quello che oramai quasi stava per divenire un anno, pure dopo tutto questo, lei aveva preferito tenerlo fuori, aveva preferito agire alle sue spalle e lui questo proprio non riusciva ad accettarlo. Non dopo i loro trascorsi. «Oh cucciola», commentò innalzando di un’ottava il tono di voce e prodigandosi in un’espressione di sentito cordoglio alla Tassorosso. «Piccina, paparino è tanto severo!» Sporse il labbro in un’accentuata smorfia triste muovendo il pugno all’estremità dell’occhio verde contornato di nero. «Paparino cattivo non le permette di fare l’adolescente buhuhu... ma siete serie? Quindi la tua cazzo di soluzione è farla scappare di casa? Non hai pensato che magari potrebbe denunciare la sua scomparsa? Cazzo, se la denunciano e gli auror arrivano a noi è finita. Game Over! Porco*** Skylee, quelli ci sbattono ad Azkaban se arrivano a noi!» Dio quante stronzate che doveva anche stare a sentire! Una missione alla zero zero sette per cosa? Per papino che non ti fa fare l’adolescente. Mamma mia che dramma non andare a locali. «So chi è suo padre. Cazzo tutti lo sanno chi è White.» Alzò le mani. A Serpeverde tutti sapevano di avere la sfiga di avere il più grande rompicoglioni della storia ma almeno avevano una fortuna: White rientrava in sala comune solo a tarda sera e da lì difficilmente usciva. Insomma, se prendevi le giuste precauzioni il cazzo non te lo rompeva. Un Muffliato alla porta e tac potevi suonare anche fino alle tre di notte senza che lui ti aprisse il culo; poi appunto, rispetto ad altri, lui se ne stava sempre negli uffici della presidenza per cui c’era anche una certa libertà ed un sistema di vedette che allertasse del suo rientro. Bastava non essere imbecilli, insomma, e la stessa cosa come riuscivano a farla loro a Serpeverde con lui a quattro passi lo poteva fare quell’imbecille della tassa. «Porca troia», imprecò fra sé sottovoce mentre compiva un mezzo giro su sé stesso portandosi i palmi a premere sugli occhi. Ethan sarebbe andato su tutte le furie saputa una cosa del genere. Era esattamente il contrario di quanto ripeteva di stare lontano dai riflettori del ministero e così facendo Skylee stava potenzialmente puntando su di loro un faro. White ne aveva i mezzi. Sbuffò, doveva trovare una soluzione. Monitorare la faccenda affinché, se così fosse successo, sparissero dal radar.
    «Detta così sembra che quell’uomo torturi a morte la gente. È un cagacazzi, eh! Quando c’è non si può mai fare un cazzo e forse pure un po’ inquietante ma andiamo... Queste precauzioni?! Non ti sembra esagerato?» Scosse il capo aggrottando l’espressione. Era tutto così dannatamente esagerato, persino assurdo? Forse insensato. Che c'entrava la domestica se a scappare era la White? Una persona normale avrebbe allertato il ministero non la... Un momento.
    «Ti ha parlato di violenza?» Proruppe dopo qualche attimo. Voleva capire, voleva dare un senso a tutta quell’assurdità. «Le ha messo le mani addosso? Perché se non l’ha fatto...» allargò le braccia con fare eloquente. Se non l’ha fatto io la riporto a casa domani! Col cazzo che avrebbe rischiato il culo per dei capricci. «Succedermi qualcosa?» Quanto era marcia tutta quella situazione? Perché temeva ciò? «Andiamo bionda», inclinò il capo mentre un sorrisetto compiaciuto faceva capolino sulle sue labbra smontando la collera ed il fastidio che aveva provato fino a qualche attimo prima. «Non m’ammazza nessuno Métis, ricordi? Super guarigione.» Concluse facendole l’occhiolino mentre alleggeriva la tensione solo per un istante prima di incalzare nuovamente. «Comunque questa storia non mi piace. Devi piantarla di dare asilo a cani e porci, tirarti in mezzo a merda. Quando imparerai a farti i cazzi tuoi, mh?»
     
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    «Smettila!» Lo redarguii a denti stretti spostando la coda dell'occhio di lato per guardare la casa dalla forma triangolare alle mie spalle, come se magicamente Rose potesse sentirci e rimanere ferita dalle sue parole. Io per prima trovavo che quella situazione tesa fra lei e il padre potesse essere gestita in modi migliori, ma se la Tassorosso aveva ritenuto che non fosse possibile farlo era mio preciso compito di amica sostenerla e aiutarla. «Non puoi minimizzare i problemi altrui in questo modo!» Sbottai infastidita guardandolo di sbieco con le sopracciglia agrottate. Non era certo perché il padre le impediva di andare in discoteca o perché le vietava di mettersi minigonne inguinali che la Tassorosso sentiva la necessità di allontanarsi da lui e che il Bulgaro potesse pensare che io per prima mi sarei potuta prestare a sostenere un simile capriccio, rischiando addirittura possibili conseguenze da parte del padre di lei -non che nostro vicepreside-, mi faceva infuriare troppo. «Credi davvero che mi sbatterei ad aiutarla per delle stupidaggini simili? Per chi mi hai preso? Credi forse che pure io sia una ragazzina viziata che si piange addosso perché la mia famiglia non mi permette di vivere la vita che voglio?» Chiesi nera di rabbia portandomi entrambe le mani sui fianchi. Era impossibile non pensare subito a un simile parallelismo. «La mia famiglia mi ha cancellato la memoria affinché mi dimenticassi che mio padre era stato ucciso da loro, mi ha obbligato a vivere sotto il loro tetto con l'inganno per potermi controllare, mi ha vietato di rivolgere la parola a chiunque non risiedesse al castello di famiglia tenendomi praticamente segregata in camera mia, mi ha convinto addirittura che mio padre mi avesse abbandonata per chissà quale motivo e tutt'ora inconsapevole che io sappia già la verità su di loro sta continuando a muovere i fili della mia vita al posto mio per potermi comandare a bacchetta. Davvero ti pare una cosa da nulla? Perché per quanto ne sai la situazione di Rose potrebbe essere tranquillamente analoga alla mia!» Speravo per lei che non lo fosse e dal profondo del cuore mi auguravo che nessun'altro avesse alle spalle una famiglia tanto subdola e meschina da manipolare in simili modi i suoi componenti, ma ahimè ero certa di non essere l'unica a questo mondo ad aver sofferto di simili soprusi. Non sarei stata nemmeno libera di scegliere con chi passare la mia vita e questo Axel lo sapeva fin troppo bene, nonostante si sforzasse in tutti i modi di fraintendermi ogni qual volta tentavo di fargli capire il perché non potessi accettare un simile contratto matrimoniale nonostante ora -ironia della sorte-, il marito a me promesso fosse la stessa persona con la quale avrei volontariamente voluto passare più tempo possibile. «Io, io non lo so...» Risposi sinceramente alla sua domanda riguardo una possibile violenza ai danni di Rose. «Lei non me ne ha mai parlato esplicitamente e visto tutte le precauzioni che abbiamo dovuto prendere già solo per portarla lontano da Londra, dubito me ne parlerebbe mai» A maggior ragione potevo supporlo ora che ero a conoscenza che suo padre fosse in grado di leggere i pensieri altrui. Al suo posto la mia famiglia se la sarebbe sicuramente presa con me se avessero trovato tali informazioni nella mente di un mio conoscente e per prima avrei cercato in tutti i modi di evitarlo, come d'altronde facevo tutt'ora tentando di portare avanti la menzogna costruita ad arte dai Métis che vedeva me inconsapevole di quanto realmente accaduto al mio amato padre. «Ha diverse cicatrici sparse sul corpo... io ora non sto puntando il dito contro di lui, potrebbe essersele fatte in un qualsiasi altro modo, ma se ci fosse anche solo la minima possibilità che sia realmente così tu non faresti di tutto per tenerla lontano da quell'uomo?» Gli domandai sperando che la sua scarsa empatia fosse sufficiente a capire la situazione, salvo poi aiutarlo nell'impresa con una piccola variabile nel discorso. «Se ci fossi io al suo posto, non lo faresti?» Forse così sarebbe stato per lui più facile comprendere quanto avesse spinto me ad agire in quel modo e se neppure in quel caso fosse riuscito a mettersi nei miei panni poco altro avrei potuto fare. «Ho motivo di preoccuparmi per te... non sei invincibile per quanto possa farti piacere pensarlo» Affermai dura dirigendomi soprappensiero verso le sorgenti naturali che distavano soli pochi altri minuti da noi. «Se venissi attaccato da un dissennatore cosa faresti, mh? Lo combatteresti a suon di Crucio?» Domandai lasciandogli intendere che a differenza di quanto pensasse fossi a conoscenza della sua incapacità nell'evocare un patronus corporeo, non che unica fonte di salvezza in caso di un simile attacco. Non volevo dover ammettere quando avessi visto quella mite serata autunnale, ma Axel era troppo sconsiderato e non era la prima volta che gli sentivo fare discorsi inerenti a quanto -a differenza mia-, si sarebbe potuto mettere in pericolo senza subire alcun tipo di conseguenza definitiva. Non era così e io purtroppo lo avevo visto con i miei occhi, per questo temevo -forse pure più di lui stesso- per le sue sorti. Era per tale motivo che al di sotto del pavimento del piano terra di casa mia stavo facendo tutto il possibile per ideare una perfetta antilupo affinché smettesse di permettere a Ethan di continuare a fargli del male. Semplicemente perché a lui sembrava non importare minimamente di soffrire, ritenendola anzi una condizione fisica normale nella sua vita, come se fosse per lui naturale farlo, come se fosse obbligato a farsi del male per poter continuare a vivere la sua dannata vita. «Non imparerò mai e lo sai, prendere o lasciare, ricordi? Io accetto te con tutti i tuoi pregi e i tuoi difetti e tu fai lo stesso con me, funziona più o meno così...» Affermai sorridendo timidamente mentre davanti a noi cominciavano a comparire gli sfumati contorni della sorgente calda verso la quale mi ero diretta. Quello era senza ombra di dubbio il mio posto preferito su quell'isola e forse inconsciamente avevo tentato di condurlo in quel luogo fin dall'inizio per mostrarglielo, per fargli vedere una piccola parte di me che non ero solita rivelare a nessuno. Una parte romantica e sentimentale che riteneva che un luogo potesse conservare ricordi e sensazioni positive del passato, come se bastasse immergersi nelle sue acque per guarire le proprie ferite emotive.
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    «Ah no?» Ribatté con una certa veemenza contro la Corvonero quando quest’ultima gli sbottò di tutta risposta che non aveva nessun diritto e ragione di questionare sui motivi che avevano spinto Rose, la White, a prendere quella decisione tanto drastica da coinvolgere entrambi. Il culo di entrambi. Skylee aveva ragione, l’aveva tutta ma il bulgaro non aveva la stessa empatia della ragazza, in più, le vicissitudini del suo passato, lo portavano a ragionare come un solista per la stragrande maggioranza dei casi. Se faceva una cazzata il Dragonov, la vita, ed Ethan poi, gli avevano insegnato che avrebbe dovuto sbrogliarsela da sé, senza tirare in mezzo persone. Uno, perché erano unicamente cazzi suoi e due, perché le persone rappresentavano una variabile potenzialmente imprevedibile: un piccolo castello di carte che alla minima mossa falsa sarebbe collassato su sé stesso. Testa dritta e fatti sempre i cazzi tuoi, gli aveva insegnato Ethan e così lui aveva fatto trovandosi in fin dei conti bene. Meno persone erano coinvolte e meno danni collaterali si sarebbero potuti creare quindi per forza di cose meno rogne e nessuna situazione come quella per cui stava dibattendo con la Métis.
    «Tsk!» Sbottò ancora spostando lateralmente lo sguardo al cielo. «No che non lo penso di te, stupida! Ma conosco il tuo stramaledetto buon cuore, Métis. Te la faresti mettere in culo come niente cazzo», sbraitò accendendosi salvo poi indietreggiare di un passo lontano da lei. Le discussioni soprattutto quelle così accese, rappresentavano una minaccia. A queste doveva stare attento soprattutto in sua presenza poiché rappresentavano la miccia per qualcosa di più grande e pericoloso e Axel non voleva per nessun motivo che proprio la Corvonero se ne trovasse in mezzo. «Ferma lì», mormorò quando lei, presa dalla collera avanzò furiosamente di un passo per lasciarsi andare in quella che era sì una predica ma anche uno sfogo a ricordargli una vita, un passato, di cui Axel si era involontariamente dimenticato. Skylee gli aveva parlato di quello che aveva dovuto vivere, lo aveva fatto sei mesi prima quando scossa dall’omicidio di cui si era macchiata si era aperta con lui raccontandogli degli orrori che aveva dovuto vivere quando era solo una bambina. Una bambina che aveva dovuto vivere il peggio in tenera età, che non aveva avuto scelta se non guardare morire l’affetto più caro davanti i suoi occhi e poi vivere nella prigionia di una gabbia dorata dettata dalle persone che in verità dovevano proteggerla. Tutto questo suonava così dannatamente familiare nelle corde del mannaro. Dettagli di vita che, per una persona qualunque, avrebbero segnato il tracollo verso l’insanità mentale. Qualcuno forse, avrebbe persino ripiegato nel suicidio a vivere quanto avevano vissuto entrambi; invece erano lì, stoici; lei così folgorante animata da pura ribellione ma allo stesso tempo anche così incredibilmente fragile, di una fragilità che riusciva a provocare qualcosa nel bulgaro: Skylee sapeva cosa voleva dire il dolore, conosceva da vicino la sofferenza e come lui conosceva le catene dell’imposizione. La rispettava per questo e fu con sguardo chino, incapace d’incontrare il suo, che una veloce smorfia gli distorse i bei lineamenti. Non sapeva chiedere scusa, non sapeva ammettere il torto, educato fin dalla culla a rimanere fiero e impassibile ma aveva imparato quando fermarsi, quando chinare il capo di fronte alla ragione altrui senza per questo ammettere le proprie colpe. Ma le parole della Corvonero gli avevano dato da pensare, lo avevano costretto a farlo e con un immenso sforzo aveva provato a guardare alla situazione con gli occhi della Tassorosso pur senza abbandonare la logica. Per agire in quel modo doveva esserci per forza – non avrebbe ammesso diversamente – qualcosa di grosso. Le chiese quindi se sapesse qualcosa in merito ai possibili abusi che il padre potesse aver fatto su di lei anche se, constatò con uno sbuffo, era tutto così surreale. Axel non riusciva ad immaginare in quell’uomo tanto altero, così dedito alla disciplina un qualcuno che potesse sporcarsi le mani come i “comuni mortali”, macchiarsi di crimini come lui, come Ethan, Einarr, Eddy... Non poteva essere! Eppure, doveva ammettere a sé stesso che, in quello sguardo cupo, glaciale, talvolta brillava un luccichio che riusciva a turbare il bulgaro.
    «Se ci fosse anche solo la minima possibilità che sia realmente così tu non faresti di tutto per tenerla lontano da quell'uomo?» No, era pronto a rispondere lui. Non gliene poteva fottere un cazzo di meno a lui ed era del partito che se una situazione era ritenuta scomoda bisognava ingegnarsi per cambiare le cose, possibilmente non mettendo in mezzo altri. Ma Skylee non gli diede il tempo di replicare incalzandolo immediatamente con un: «se ci fossi io al suo posto, non lo faresti?» Axel serrò la mascella fissandola con astio. Sleale. Ringhiò stringendo i pugni. Skylee aveva ben capito in Bulgaria quanto il mannaro si fosse rivelato protettivo nei suoi confronti, lo aveva dimostrato anche un attimo prima prendendo le distanze dalla sua persona per evitare possibili scatti e ora gli rivolgeva quella domanda tanto scorretta sapendo che avrebbe fatto carte false per proteggerla. Stronza. «Non è lo stesso», borbottò conscio della stoica sciocchezza sulla quale si stava impuntando.
    «Se venissi attaccato da un dissennatore cosa faresti, mh? Lo combatteresti a suon di crucio?» Si voltò di scatto a fissarla, perché un’affermazione tanto specifica. La sua faccia si aggrottò dallo stupore misto al fastidio. «Con un patronus ovviamente», sbottò mentendo. Cazzo ne sapeva lei che non era in grado di produrre un patronus?! Nelle missioni non avevano mai dovuto affrontarne uno, non avevano lezioni di difesa insieme ed era più che sicuro di non aver rivelato ad anima viva di questo suo punto debole, perciò di che si preoccupava. «So cavarmela benissimo, ti ricordo che tuo zio mi ha fatto scuola e a Durmstrang non sono delicatini come in questa scuola di checche», continuò infervorandosi forse eccessivamente. Era necessario stemperare i toni, per entrambi.
    «Non imparerò mai e lo sai, prendere o lasciare, ricordi? Io accetto te con tutti i tuoi pregi e i tuoi difetti e tu fai lo stesso con me, funziona più o meno così...» Affermò la Corvonero voltandosi ed abbozzando un tenero sorriso. Durante la discussione Skylee non aveva quasi mai smesso di camminare fermandosi solo negli attimi più accesi della lite e ora, finalmente, cominciava a rallentare il passo mentre intorno a loro gli alberi andavano aprendosi in una piccola radura ed il rumore dell’acqua faceva da sfondo alle loro parole. «Saresti capace di far bestemmiare anche il papa», borbottò infastidito ma con tono nettamente più sollevato rispetto alla durezza di poco prima. «Cos’è questo posto?» Chiese poi quando lei si fermò nei pressi di una cascata dalla cui superficie andava levandosi del vapore: acqua calda. Axel aggrottò brevemente le sopracciglia ma incuriosito le si avvicinò finendo poi per sedersi su un masso nei pressi della fonte. Le fece cenno di avvicinarsi e successivamente di sedersi sulle sue cosce, se lo avesse fatto le avrebbe cinto la schiena con un braccio mentre con le dita della mano libera le avrebbe spostato una ciocca dietro l’orecchio fissandola stancamente. «Non mi piace saperti nei guai» cominciò con tono tranquillo, serio, preoccupato,«ma preferisco esserci se devi fare qualcosa di pericoloso, okay?» Come in quella situazione. Non la approvava – le stava dicendo – ma le era grato di averlo incluso seppur all'oscuro.
     
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    «E invece sì che lo è e lo sai bene...» Replicai non appena mi accorsi di aver punto nel vivo il Bulgaro. Sapevo bene che per me avrebbe fatto questo e altro, me lo aveva già dimostrato più volte e per quanto potesse sembrargli difficile da digerire io pure avrei fallo lo stesso per lui o come in questo caso, per una delle mie conoscenze più strette. Quello che c'era fra me e il Serpeverde non era minimamente paragonabile al mio rapporto con la Tassorosso, ne ero cosciente, erano due rapporti totalmente differenti ma ciò non rendeva uno meno importante dell'altro ed era per tale motivo che avevo deciso di aiutarla nonostante la situazione che gravitava attorno a lei e a suo padre non mi fosse del tutto chiara.
    Il capo chino di Axel e il suo silenzio improvviso mi strapparono un piccolo sorrisetto sulle labbra, proprio non era capace di chiedere scusa e ammettere che le mie giustificazioni per quanto fatto fossero più che sufficienti a spiegare come chiunque avrebbe potuto fare ciò che avevo fatto io, ma in un qualche modo stava cercando di dimostrarmi che seppure a voce non lo avrebbe ammesso, dentro di sé sapeva di aver sbagliato a dire ciò che aveva detto e questo mi bastava. «Smettila, non sei invincibile, lo sai che la troppa convinzione a volte e quella che ci frega?» Sibilai con tono piatto mentre mi avvicinavo di qualche passo a lui per concludere gli ultimi metri che ci dividevano dalle sorgenti stretta al suo avambraccio. Detestavo trovare da dire con lui per quanto in passato fosse sempre stato all'ordine del giorno. Mi divertivo a stuzzicarlo verbalmente per farlo arrabbiare, questo sì, ma i litigi, quelli veri, mi facevano sempre più male di quanto non amassi ammettere perché detestavo quando fra noi si ergevano barriere invisibili. «Lo ritengo un complimento» Affermai ridacchiando mentre i contorni della sorgente si facevano via via sempre più nitidi e delineati rivelando un paradiso naturale incorniciato da alti alberi verdeggianti e rocce dalle varie dimensioni. «Uno dei miei posti preferiti in assoluto» Ammisi sottovoce ammirando il vapore danzare fino ad alzarsi verso il cielo. «Quando da piccola mi sentivo triste venivo sempre qua a piangere...» Sorrisi imbarazzata ricordando giorni di un passato molto lontano. «Mi distendevo sulla superficie dell'acqua, guardavo il cielo muoversi sopra di me e tutto diventava più piccolo, meno importante» Continuai come persa nel mio racconto mentre ragiungevo Axel per accoccolarmi a lui come eravamo soliti fare quando nessuno ci guardava, forse entrambi troppo orgogliosi e pieni di noi per ammettere che quello fosse spesso tutto ciò di cui avevamo bisogno. «Ho sempre amato pensare che questo fosse un posto magico» Un po' come erano diventate nel corso dei mesi le calde braccia di Axel con le quali mi stringeva spesso a se. Vicino a lui mi sentivo protetta e al sicuro, ma odiavo ammetterlo, perché ero sempre stata dell'idea che non mi servisse nessuno per guardarmi le spalle, perché pure da sola ero perfettamente in grado di provvedere a me stessa e risolvere da me i miei problemi, anche se avere qualcuno accanto con cui condividere il loro insostenibile peso era un qualcosa di raro da trovare ed io mi sentivo estremamente grata di averlo al mio fianco. «Lo so» Replicai leggermente imbronciata alzando lo sguardo verso il suo viso. «È per questo che ti ho chiesto di esserci, se non lo avessi fatto ti saresti arrabbiato, ma vedo che ti sei arrabbiato comunque, quindi forse non avrei dovuto...» Lo provocai per fargli notare quanto a volte potesse essere contraddittorio con quanto sosteneva. «Tu sei sempre arrabbiato» Constatai spostando le mie labbra sul suo collo per sfiorarlo lentamente. «Sempre così dannatamente arrabbiato» Continuai insinuando le mie fredde dita al disotto della sua maglia per accarezzargli con fare urgente prima i fianchi e poi risalendo lungo tutto il busto, il petto. «Ti arrabbi se ti mento o se ti nascondo le cose, ma tu fai lo stesso con me» Lo guardai inarcando di poco le sopracciglia verso il centro della fronte in un'espressione corrucciata arrestando all'improvviso la corsa delle mie piccole mani lungo il suo corpo. «So che non sei in grado di produrre un patronus corporeo, non fingere di saperlo fare, nemmeno io ci riesco e questo tempo fa ti è costato caro...» Sussurrai tutto d'un fiato mentre premevo i miei fianchi verso i suoi. Mi sentivo colpevole per quanto successo quella notte e la sola cosa che sembrava essere in grado di placare il mio tormento era il calore del suo corpo premuto contro la mia pelle. «Smettila di fingere che nulla ti scalfisca, sei umano, ognuno di noi ha delle debolezze e io non voglio che ti succeda nuovamente qualcosa» Al solo pensiero mi sentivo annaspare in cerca d'aria, non glielo avrei mai perdonato se si fosse lasciato ancora una volta ferire per colpa del suo ego. «Voglio che tu rimanga vivo, non sopporterei di vederti ancora una volta morire, io non...» Sentivo le labbra termarmi e con loro pure le punta delle dita che ora stringevano la base della nuca del Bulgaro con fare protettivo. Non volevo dovergli dire addio di nuovo, non avrei mai più voluto farlo. «Perdonami, te... te non starai capendo nulla di ciò che ti sto dicendo... perdonami» E come poteva? Se di quanto accaduto al cimitero ormai mesi prima c'era un qualcosa di positivo era proprio che lui non si ricordasse di ciò che gli era successo e io, come una vera egoista, lo stavo forzando a fare i conti con un qualcosa che era rimasto vivo solo in una parte di memoria a lui inaccessibile e per cosa poi? Per non soffrire nel vederlo scomparire? No, non era per quello. Non era egoismo il mio. Era più un impedirgli di lasciarsi sopraffare dall'orgoglio. Un vietargli di arrendersi davanti a qualcosa di apparentemente impossibile da superare come lui faceva costantemente con me. Era un provvedere l'uno all'altro nonostante tutto. Era un modo per dimostrargli che se per altre persone sarei morta per lui sarei sopravvissuta e volevo che pure per lui fosse lo stesso. «Promettimi che starai sempre attento...»
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    «Uno dei miei posti preferiti in assoluto», ammise la Corvonero lasciando per qualche attimo il suo braccio per allargare le sue e mostrare la bellezza di quel posto. Quella radura era semplice, silenziosa ed il vapore che s’alzava dalla superficie dell’acqua rendeva invitante tuffarsi in quella pozza. «Quando da piccola mi sentivo triste venivo sempre qua a piangere...» Ouch! Axel aveva immediatamente associato quel posto ad una sensazione felice e sentire invece dalla bocca della ragazza che quello era stato un luogo di dolore... beh, non gli piacque. Le sopracciglia scure si aggrottarono mentre le restituiva lo sguardo. Perché lo aveva portato lì? «Non mi è difficile immaginarti lì», replicò abbozzando un sorriso. D’altronde aveva scoperto in Bulgaria della passione della bionda per lo stare in ammollo anche sé, d’un primo impatto, aveva trovato quell’usanza da parte sua abbastanza singolare. Quante persone avevano come passatempo castarsi un Testabolla per addormentarsi sott’acqua? Solo la Métis, ovviamente. «Ho sempre amato pensare che questo fosse un posto magico», mormorò ancora stringendosi però contro al suo petto ed Axel, di rimando, l’avvolse più stretta a sé. Non c’erano bisogno di parole, entrambi sapevano esprimere tutto in quel perfetto incastro dove la figura piccola e flessuosa della Corvonero andava a congiungersi nelle solide braccia protettive del Serpeverde. Il mannaro affondò il viso nella capigliatura biancastra di lei saggiando il piacevole odore del suo shampoo: miele misto a... non sapeva ancora definirlo ma probabilmente era proprio la fusione di quell’elemento con la sua pelle a renderlo perfetto, e vi posò un bacio prima di tirarsi indietro e proferirle alcune parole stancamente. Non aveva più voglia di litigare. Non con lei. Axel era sempre stato una testa calda e da quando la maledizione era entrata nella sua vita questo tratto così focoso di lui era andato solo che accentuandosi allo stremo. Se con qualcun altro avrebbe sfogato arrivando alle mani con lei non poteva farlo e questo rendeva ancora più stressante e fisicamente stancante a causa di tutta l’energia che doveva impiegare per evitare di trasformarsi seppur parzialmente.
    «Vedo che ti sei arrabbiato comunque, quindi forse non avrei dovuto...» la fulminò con lo sguardo irrigidendo immediatamente la mandibola che di riflesso andò a gonfiare un muscolo al lato del profilo. «Non. Osare.» Le sibilò, la voce incredibilmente bassa quanto funerea. Bastava un attimo perché la miccia della collera si riaccendesse e Skylee lo sapeva bene giocando spesso sul filo del rasoio della sua emotività. Ma la bionda così come sapeva accendere la sua collera era in grado anche di spegnerla e dirottarla verso altro e così fece poggiando la bocca nell’incavo del collo, dal lato opposto alla cicatrice, immediatamente alla base della mandibola mentre le dita fredde s’insinuavano al di sotto della camicia nera dalle maniche arrotolate scaturendo un brivido che andò propagandosi nel corpo del mannaro. Le mani del lupo si poggiarono sulle cosce di lei stringendole con possesso mentre scivolavano lungo tutta la loro lunghezza fino ad arrestarsi alla base del gluteo. «So che non sei in grado di produrre un patronus corporeo.» Axel s’arrestò. Era a tanto così dal cancellare la distanza che dividevano le loro bocche quando lei esordì con quella frase lanciandosi poi, di corsa, in una sequenza che lasciò il bulgaro stralunato. Costare caro, succedere qualcosa e di nuovo... ma di che cazzo stava parlando?! Le mani del bulgaro scattarono bloccando entrambi i polsi della Corvonero che non aveva smesso di distrarlo indorando la pillola con la promessa del suo corpo. «Di che cazzo stai parlando?» L’aggredì lasciandole poi di scatto e malamente andare i polsi. S’alzò dal masso lasciandola lì seduta mentre poneva ancora una volta della distanza fisica tra loro. «Sono abbastanza certo, Métis, di non aver mai usato quell’incanto con te» né a lezione, poiché frequentavano anni differenti e nelle lezioni comuni nessun insegnante li aveva obbligati ad affrontare un dissennatore e nemmeno con Ethan. Il mago era a conoscenza di quell’incapacità da parte del bulgaro e non gliene aveva mai fatto una colpa poiché a Durmstrang la magia bianca non era ben tollerata e, in più, sapeva benissimo che la vita del figlioccio non era stata rosa e fiori. «Quindi che cazzo stai dicendo? Che ne sai?» Ringhiò, gli occhi accesi di rabbia e del fuoco animale che la Corvonero aveva sfiorato accendendogli fino a poco prima i sensi. Il fresco cominciò subito a lambire la pelle scoperta, fiammeggiante, che si ricoprì immediatamente di piccole increspature intervallate unicamente la miriade di segni che ne scalfivano se no un fisico scolpito e perfetto.
    «Perdonami, te... te non starai capendo nulla di ciò che ti sto dicendo... perdonami» Ancora segreti, ancora fottuti segreti. «CHE CAZZO NE SAI?! PARLA MÉTIS» Le urlò in un impeto di rabbia che si tradusse invece in una supplica, una preghiera di lei. «Se non mi dici cosa sta succedendo... Se mi stai tenendo un altro segreto del cazzo Métis... Giuro che me ne vado, dio***», fece affondando le dita – ormai allungate in acuminati artigli neri – nella corteccia dell’albero al suo fianco.
     
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    Era infine giunto il momento che per tanti mesi, fin troppi, avevo temuto arrivasse. Verità, quale spaventosa e mostruosa sconosciuta. Io non avevo la piu pallida idea di come ci si rapportasse nei confronti della verità, cosa bisognava fare? Qual era il momento giusto per rivelarla? E se il momento perfetto si perdeva quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che l'occasione seguente giungesse? Non riuscivo a capirlo e nel mentre che avevo tentato di rispondermi da sola a tale quesito i mesi erano scivolati via veloci e ormai ero fuori tempo massimo per raccontarla.
    Non emisi alcun suono quando il Bulgaro mi afferrò i polsi, non sentivo dolore e non provavo paura, percepivo solo il senso di colpa crescermi al centro del petto tanto da lacerarmi quasi la carne per schizzare fuori dal mio corpo per continuare ad espandersi. «No, non è un segreto quello che ti ho taciuto, solo... solo non avevo idea di come parlartene» Ammisi delusa dalla mia incapacità di ammettere prima a me stessa e poi ad Axel quanto vederlo morire in quella radura mi avesse fatto male. Al tempo non era ciò che avrei dovuto provare, al tempo quello che c'era fra noi era solo sesso, solo sesso senza sentimenti eppure vederlo lì, disteso a terra senza più vita ad animargli lo sguardo mi aveva mandato talmente tanto fuori di testa da mettere a repentaglio la mia stessa vita pur di affrontare colui che ritenevo responsabile dell'accaduto e tutt'ora non ne capivo il motivo. «Forse così sarà più facile...» Borbottai sottovoce avvicinandomi verso il bordo della fumante sorgente prima di voltarmi nella direzione opposta e castare un tacito accio che dopo pochi secondi fece piombare nella mia mano un vecchio coltellino malconcio. Era quello che Axel mi aveva dato quella sera per permettermi di salvarmi, era quello con il quale mi ero liberata delle corde magiche che mi avvolgevano ed era pure quello che in un qualche modo gli era costato la vita, perché se solo quel coltello non fosse mai giunto nelle mie mani io non mi sarei potuta liberare dal tranello di Mors, il Serpeverde presunto migliore amico di Axel, e i dissennatori si sarebbero avventati unicamente su di me permettendo loro di scappare. Egoismo. Era stato l'egoismo di volermi salvare a tutti i costi ad aver causato la morte di Axel e di per sé non era un concetto sbagliato, non sarebbe stato giusto morire per salvare loro, ma non era stato giusto nemmeno che a prendere il mio posto in quel sacrificio morale fosse poi stato Axel. Non c'era stato nulla di giusto in quella nottata, ma tutt'ora non ero in grado di immaginare come, senza l'aiuto del Serpeverde ormai sparito da tempo da Hogwarts, avrei potuto salvare Axel dal suo destino salvando però pure me. Era un equazione impossibile da risolvere che mi mandava ai matti e che mi ricordava costantemente come nonostante le mie buone intenzioni la situazione mi sarebbe sempre potuta sfuggire di mano dando vita a scenari tragici come quello. «Ti ricordi cos hai fatto lo scorso Halloween?» Gli domandai fissandolo intensamente col mio sguardo colpevole e bicolore, già conscia che la risposta del mannaro sarebbe stata no. «Io, te, Mors e tante altre persone ci siamo ritrovati a partecipare a un sadico gioco ideato da chissà quale spostato mentale senza saperlo» Cominciai a raccontargli sedendomi sul bordo della sorgente a gambe incrociate. «Abbiamo dovuto affrontare prove, prove che se non superate avevano un esito mortale» Esito provato in prima persona proprio dal Bulgaro. «Solo chi è sopravvissuto alle prove ha mantenuto la memoria dell'accaduto...» Ammisi certa che avrebbe compreso da sé il perché lui non potesse ricordarlo. Attesi qualche secondo prima di proseguire il mio racconto e cercando di essere il più dettagliata possibile cominciai a rivangare il passato che gli avevo taciuto. Gli raccontai di come ero entrata in possesso di quel coltello solo grazie a lui, che pur di darmi una possibilità aveva in un qualche modo tradito la fiducia del suo migliore amico e di quanto mi sentissi in colpa per come quel gesto altruistico gli fosse poi costato la vita. Gli raccontai di come a fatica eravamo riusciti a liberarci di un dissennatore mentre Mors si occupava dell'altro credendo di avercela fatta, salvo poi scoprire troppo tardi essercene un terzo. Gli spiegai quanto inutile mi fossi sentita nel tentare di salvarlo senza avere gli strumenti per farlo e di come avessi tentato di convincere Mors a tornare indietro per salvarlo, senza successo. Non sapevo come dirgli che era stato tradito da quello che considerava il suo migliore amico e se pensavo che Ethan, il suo padrino, stava facendo probabilmente lo stesso con le pozioni antilupo, quasi mi veniva da piangere. Non potevo permettere di farmi sottomettere così tanto dalla mia emotività e quindi strinsi i denti e mi ripromisi che quello glielo avrei rivelato solo una volta certa dei miei sospetti, non aveva senso farlo soffrire ulteriormente senza la certezza che fosse così. «Mi dispiace non averti detto nulla, io, io non sapevo come dirti ciò che era accaduto, al tempo non mi avresti mai creduto, Mors avrebbe fatto di tutto pur di convincerti che ciò che dicevo non rispecchiava la realta, poi il tempo è passato veloce, sono accadute tante cose, Mors se ne è andato, tu non mi hai parlato per mesi e io, beh... non sapevo più se fosse giusto dirtelo o meno. Non volevo ferirti raccontandoti di quella sera, però diamine, non passa giorno o missione in cui non mi sento immobilizzata dalla paura che una simile cosa possa accadere ancora. Io non voglio perderti, non voglio doverti dire addio o incolparmi perche non sono risucita a fare nulla per salvarti. Voglio che resti vivo e al mio fianco» Sputai fuori tutto d'un fiato mordendomi poi con voga le labbra in un pessimo tentativo di trattenere le emozioni che violentemente volevano abbandonare il mio corpo. «Ti chiedo scusa per non avertelo detto per tutto questo tempo, io mi sentivo così in colpa che non avevo idea di come ammettere ogni cosa, perdonami. Volevo solo proteggerti dalla verità o forse avevo solo paura che tu concordassi con Mors che la colpa di quanto accaduto fosse solo mia. Io non volevo che pensassi che ero stata così egoista da costarti la vita. Cazzo, sono un fottuto disastro, perdonami...» Ammisi chiudendo con forza le palpebre per continuare a darmi un contegno ed evitare di scoppiare in lacrime. Non volevo che Axel mi considerasse una debole, volevo dimostrare sia a lui che a me stessa che potevo affrontare un simile discorso a testa alta, seppure fossi ben coscia del fatto che non era per nulla così. Ero debole, troppo debole per affrontare la vita con la stessa ferocia che il Serpeverde a pochi passi da me faceva ogni singolo giorno. Ero troppo debole per portare avanti la mia vendetta nei confronti della mia famiglia, ero troppo debole per affrontare Ethan dicendogli che mi stava solo facendo perdere tempo senza aiutarmi minimamente con ciò che gli avevo chiesto di fare ed ero troppo debole per dire ad Axel ciò che realmente provavo per lui, perché ormai mi era ben chiaro che quella non fosse solo una cotta passeggera o un trovarsi bene con una persona, era qualcosa di molto più grande, ma avevo troppa paura che per lui non fosse lo stesso per dirglielo.
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    Axel
    Non avevo idea di come parlartene. Tutto si risolveva lì. La scusa dietro la quale Skylee si nascondeva era quella. Non sapevo come parlartene. «Facendolo», ringhiò lui di tutta risposta tremante di collera, gli artigli sempre più conficcati nel legno del pino che stava aggredendo come valvola di sfogo. Il suo corpo aveva bisogno di spurgare la bestia e l’unico modo che aveva per farlo in maniera controllata era stando lontano da lei in primis e accanendosi contro qualcosa che non fosse il corpo fragile della Corvonero poi. «Sto perdendo la pazienza», ringhiò ancora mentre lei borbottava sottovoce poche parole criptiche. Il cervello della ragazza lavorava febbrilmente, Axel poteva vederlo mentre riordinava i pensieri e sceglieva le parole più adatte con la quale raccontagli ciò che aveva serbato dentro di sé. Il bulgaro, dal canto suo, rovistava a sua volta nella sua memoria, nella sua mente, alla ricerca della missione, del momento, del fottuto istante nella quale aveva affrontato un dissennatore ma più delle lezioni al castello con gli studenti del suo anno non ricordava e sul giornale non era stata divulgata tale informazione. Di quello ne era sicuro, lo leggeva, giusto per sapere se si parlasse di lui ma a parte qualche articolo che non faceva altro che oggettificarlo o qualche frecciata nei confronti della Corvonero non c’era nulla di interessante in quella carta straccia nemmeno buona a pulire i vetri.
    «Ti ricordi cos’hai fatto lo scorso Halloween?» Axel aggrottò le sopracciglia mentre restituiva l’espressione torva alla ragazza. Cosa c’entrava adesso quella stupida festa in maschera? «Ma di che cazz...» Non finì la frase. Skylee tentò un passo mentre lo fissava con uno strano sguardo carico di qualcosa che non riusciva a leggere. Speranza? Colpa? Lo lasciò interdetto tanto che alla fine ci pensò brevemente dandole la risposta. Ricordava che con Mors avevano deciso di partecipare ad una festa a tema. Lui per l’occasione si era vestito da prete mentre il compagno si era semplicemente dipinto la faccia di nero in alcuni punti strategici, per il bianco bastava il pallore naturale della sua pelle. «Sono andato ad una festa, con Mors. Solo che non ricordo un cazzo... Devo aver bevuto come una merda», affermò non capendo quale fosse il punto nonostante sin da principio, al mattino dopo, si era sentito strano e lo stesso compagno dell’ex scuola del nord lo era stato nei suoi confronti. Mors era di colpo diventato più apprensivo nei suoi confronti, più appiccicoso persino ed Axel più di una volta gli aveva sbottato contro non capendo perché dovesse stargli così attaccato al culo ma alla fine il biondo aveva finito per giustificare la cosa adducendo come scusa l’alcool. Il mannaro, secondo il suo racconto, aveva alzato di troppo il gomito cosa di cui lo bulgaro stesso non se ne capacitava. Uno, perché aveva una resistenza all’alcool già di per sé più alta rispetto alla media grazie alle sue origini dell’est e due, grazie al metabolismo della sua maledizione che bruciava l’alcool come nulla fosse e gli era necessario alzare di molto il gomito prima che potesse anche solo definirsi brillo. Gli era sembrato strano sin da subito, d’altronde non era nella sua indole e volontà quella di voler consciamente perdere il controllo obnubilandosi con qualche sostanza. Non fumava nemmeno l’erba per quel motivo! Era già pericoloso così, di base, nel pieno delle sue facoltà mentali, figurarsi non fosse stato lucido. Però, alla fine, aveva dovuto dare per buona la versione di Mordikai in quanto non riusciva a ricordare proprio niente e il biondo spingeva proprio su questo punto per avvalorare la sua versione. «Vuoi dirmi che non è così?» Sollevò entrambe le sopracciglia, scettico. Skylee gli fece cenno di seguirlo o quantomeno di avvicinarsi e tornò nuovamente ai massi dove fino a qualche attimo prima erano seduti. Lei poggiò le mani al di sopra di una roccia, particolarmente sporgente verso l’acqua e vi si sedette incrociandovi le gambe al di sopra. Axel la seguì rimanendo tuttavia a distanza protettiva di sicurezza ed incrociò le braccia preparandosi ad ascoltare quello che aveva l’aria di essere un racconto difficile per la Corvonero. «Quindi vorresti dirmi che tu saresti sopravvissuta mentre io no?» Questa poi! Il Dragonov non riusciva a credere che fosse possibile, troppo pieno di sé anche solo per considerare l’idea che, se era morto in quel gioco ideato da chissà quale folle, lo avesse fatto sacrificandosi per qualcuno. Puttanate! Ecco cos’erano. Ma era davvero così inverosimile? Alla fine, se ci pensava, lui per la Corvonero avrebbe dato eccome la vita. Non lo aveva detto ad alta voce, né lo aveva apertamente pensato ma ogni suo gesto o semplicemente l’apprensione nei confronti della bionda, andavano in quella direzione. Ogni qualvolta si era presentato un pericolo o una situazione tale in missione, il bulgaro si era frapposto come scudo tra la fonte di possibile danno e la ragazza e non c’era nulla di eroico o altruista nel suo gesto poiché non lo avrebbe fatto per qualcun altro ma per lei sì. Sentiva e voleva proteggerla. Skylee lo fissò e allungando un braccio tamburellò gentilmente sulla roccia facendogli cenno d’avvicinarsi. Axel non si sentiva sufficientemente calmo ma qualcosa in quell’espressione colpevole e supplicante lo spinse a scostarsi dal tronco per avvicinarsi finendo per sedersi e per ascoltare.
    «Voglio che resti vivo e al mio fianco», concluse sbottando, la voce pregna d’emozione mentre le guance si colorivano di un rosso acceso. Gli afferrò le mani mentre concludeva ancora, straziata, scusandosi per avergli taciuto così tanto e così a lungo. Axel era senza parole. Ciò che gli aveva rivelato era tanto ed era quasi come se quei ricordi, ora, stessero riaffiorando nella testa creandogli un turbinio di immagini sconnesse di cui faticava a trovare la connessione. Vedeva Skylee legata da funi, vedeva sé stesso chinarsi e consegnarle il pugnale di suo padre.
    «Ora capisco», fece, allungando le dita verso il volto pallido e gelato della ragazza. Poggiò il palmo a contenere la guancia di lei mentre con quel gesto le sollevava gentilmente il viso spingendola ad incontrare nuovamente i suoi magnetici occhi verdi. «Ti ricordi il ballo? Dopo quella pagliacciata, al mattino, ho trovato un pacco», si sfilò la bisaccia incantata che portava sempre al collo, al di sotto dei vestiti; delicatamente ne aprì i lembi estraendone un dischetto argenteo. Aprì anch’esso per poi porgerlo alla Corvonero. «Il biglietto diceva che è in grado di rivelare la posizione di ciò che si sta cercando. Ora capisco perché quando gli chiedevo di mostrarmi dove fosse il coltello apparissi tu»,
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    sulle labbra comparì un lieve ghigno che andava via via espandendosi fino ad inarcare verso l’alto gli angoli delle labbra. Nello specchietto, intanto, l’immagine della Corvonero andava sbiadendo. «Puoi restituirmelo? Quel coltello è...» prese un respiro mentre una parte di lui, una profonda, della quale non aveva mai fatto mostra con lei, veniva a galla. «L’unico ricordo che ho di mio padre. Me lo ha regalato lui, quando avevo tre anni.» Ammise abbassando il capo per poi spostarlo verso la distesa d’acqua limpida dalla quale un leggero vapore si sollevava dalla superficie. «Il viaggio è stato stancante... che ne dici se...?» Lasciò la frase in sospeso, allusiva mentre con gli occhi puntava l’acqua e poi, senza aspettare la sua risposta, silenziosamente, cominciò a sbottonare la camicia.

    CITAZIONE
    CONCLUSA.


    Edited by Dragonov - 4/10/2022, 09:25
     
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