Summer Emotions

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    Serpeverde
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    Axel
    Freddo. La superficie su cui poggia è dura, fredda e alcuni spasmi, gli ultimi, scuotono il suo corpo mentre dalla bocca alcuni gemiti appena soffiati dal dolore fuoriescono. Poi arriva il bruciore, lentamente cresce, sale. Arriva alla sua coscienza ad ondate sempre più grandi fino a svegliarlo del tutto strappandogli un verso di vero dolore, quasi un urlo che rimbomba nel silenzio tombale dell’eco della cella. Poi ricorda, finalmente mette a fuoco e i suoi occhi verdi, iniettati di sangue, lucidi da tutta la sofferenza vedono quasi fosse la prima volta le catene ed un pensiero si fa strada nella sua mente, un’affermazione, un dato di fatto: argento, mischiato all’altra lega con la magia per renderlo quasi indistruttibile. Axel chiuse la bocca tirandosi su a fatica, il bruciore delle catene ai polsi lo tiene sveglio ma allo stesso modo quel dolore, il dolore di duecento ossa e più muscoli che sono andati strappandosi, fratturandosi per comporre una nuova forma, lo confonde, lo stordisce e passano lunghi minuti in questo stato di catalessi prima che riprenda lucidità e dia l’ordine. «Bezplatno», libera, lo fa nella sua lingua madre, il bulgaro e dopo l’urlo di una sirena è lo schiocco dell’apertura delle catene ai polsi il suono che sente. È libero finalmente, la prima luna di tre giorni è passata. Ancora due e per quel mese avrà dato. Lo sconforto di quella semplice osservazione gli ribalta lo stomaco in uno spasmo che lo piega ancora una volta su sé stesso mentre vomita i succhi gastrici dello stomaco vuoto da ore. La testa gli pulsa e vorrebbe solo sprofondare a letto, rimanervi per tutta la giornata e svegliarsi direttamente lunedì quando dovrà tornare a Londra con la consegna per il padrino. Ha rimandando fin troppo a lungo e lo sa, come sa anche che Ethan si sta facendo sospettoso. Deve regolarsi con l’Alaska, con Sky, o tutto ciò che hanno andrà in pezzi. Ethan non ha mai tollerato le distrazioni ed Axel ne è sicuro, il mago non vedrebbe di buon occhio la sua “unione” con la Corvonero, men che meno se da per finta, con quello sciocco contratto a pendere sulle loro teste si sia passati alla realtà. Il mannaro s’alzò in piedi, per nulla stabile e fin troppo debole e si diresse stancamente verso l’uscita dalla sua stanza di prigionia quando un fascio di luce azzurrognola creò dello scompiglio tra i suoi uomini di guardia. Il fascio saettò nella stanza rimbalzando sulle pareti fino a che parendo individuarlo, cominciò a prendere forma fermandosi ai piedi del bulgaro con le sembianze di un piccolo panda minore. Il patronus aveva la voce della Tassorosso. Rose è allarmata ma non è la solita paura del mondo e di ogni cazzo di cosa. La voce della White è innaturale quando esce dalla bocca della creatura e Axel ci avverte tutto il panico, il terrore, un terrore diverso da quello che aveva imparato a conoscere in quella ragazza tanto timida e schiva. «Torna in Alaska, Sky è ferita gravemente!» Skylee è ferita. SKYLEE. È. FERITA. Nello stomaco si crea il vuoto mentre fissa il punto dove il patronus è scomparso. Le orecchie prendono a fischiare. È solo un attimo quello a bloccarlo poi il Serpeverde partì in quarta ignorando le proteste di un corpo stanco e bistrattato nonostante le lunghe ore di incoscienza. È pomeriggio più che inoltrato in Bulgaria ed il tormento che lo agita non gli permette di calcolare che ore siano in Alaska, cos’è successo? Chi? Il vice ha trovato sua figlia? CAZZO! Lo sapeva che quella storia della White sarebbe stata un casino, anche per questo passava più tempo che poteva lì, nella vana convinzione che, se ci fosse stato, avrebbe protetto le ragazze. Come se un ragazzo che aveva appena terminato il quinto anno di studi magici potesse qualcosa contro un mago del calibro del vicepreside. Certo aveva molta esperienza in duelli, mortali soprattutto ed era sempre riuscito a scamparla anche grazie all’aiuto del suo padrino ma solo, in un faccia a faccia...
    Si vestì indossando i primi abiti che trovò e abbaiando alcuni ordini alle guardie si precipitò dal suo più fido servo ordinandogli di generare una passaporta che lo portasse a Londra, ad Hyde Park più precisamente. Non sa come funzionino le passaporte, non sa cosa sia necessario sapere per crearle sa solo che deve andare. In Alaska a miglia e miglia di distanza, a ben undici fusi orario più indietro. È troppo tardi? Quanto è grave? Gocce di sudore freddo gli imperlano la fronte per lo sforzo mentre si regge il costato che protesta di dolore. Non è abituato, non all’urgenza, non a spingersi così dopo la prima notte di trasformazione ma deve farlo. Deve. «È pronta mio signore.» Vasil gli porge nuovamente l’anello di famiglia che in qualche secondo inizia a brillare in segno d’attivazione. «Cosa dico alla signora?» La signora? Che signora? Axel non connette immediatamente quel chiaro riferimento del servo alla madre, la duchessa. «Nishto», nulla. Ordina nella loro lingua madre. Non sa cosa sia successo e cosa dovrà affrontare una volta arrivato lì ma sa come unica certezza che al calar del sole dovrà tornare lì, in quella gelida cella per trasformarsi nuovamente e non potrà starle vicino. CAZZO! La passaporta si attiva trascinandolo con sé a Londra.
    Vomita e vomita ancora e nuovamente quando arriva sul suolo statunitense. Piove, piove sempre in quel posto freddo di merda. La pioggia cade a secchi inzuppando immediatamente i vestiti e insinuando il freddo di quei dieci stentati gradi nelle sue ossa doloranti. Forse gli verrà la febbre ma non gli importa. Si smaterializza ancora, questa volta senza l’uso di passaporte e cade in ginocchio per lo sforzo, vomitando ancora, mentre con lo sguardo punta il profilo scuro della casetta. Stringendo il costato s’alza in piedi trascinandosi fino alla porta. «SKYLEE! SKYLEE!» Urla con tutto il fiato che ha nei polmoni mentre si fionda contro la porta chiusa. Tenta di forzarla a mani nude ma questa è sigillata. Impreca. «Alohomora!», seguito da una successiva spallata lo fa entrare sgocciolante nel salotto di casa Métis. «SKYLEEE! ROSE! DOVE SIETE?!» È arrivato troppo tardi?


    Arriva poco prima di mezzogiorno


    Edited by Dragonov - 30/10/2022, 23:16
     
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    «Mamma sei tu?» chiese una flebile voce in direzione di una figura poco distante. La riconobbi solo in seguito quella voce, era la mia e l'esile figura che osservava in lontananza la donna dai lunghi capelli color platino ero io, ma era come se corpo e coscienza fossero separati. Tentavo di raggiungerla ma ella pareva allontanarsi sempre più passo dopo passo. Io mi avvicinavo e lei scompariva, quasi si dissolveva per poi ricomparire qualche metro più avanti. «Mamma sono io, Skylee, aspettami» Sentivo la gola pungere a ogni parola, era doloroso parlare, ma lo era ancora di più camminare nel vano tentativo di raggiungere la bellissima donna davanti a me. «Aspettami sono stanca» Dov'ero? Non riconoscevo quel posto, avrei giurato di non averlo mai visto prima e se l'avessi visto me lo sarei ricordata sicuramente. Pareva quasi di stare sott'acqua, tutto attorno a me fluttuava a mezz'aria e il mio corpo era sorprendentemente leggero ma non riuscivo realmente a vedere cosa mi circondava e avevo solo la sensazione di non eserci mai stata prima in quel momento. «Per favore mamma, ho bisogno di te» Erano suppliche quelle che a fatica uscivano dalle mie labbra. Avevo bisogno della mia mamma per affrontare tutto quello che mi stava accadendo, avevo solo bisogno di un suo abbraccio del quale ormai non ricordavo più nemmeno il calore. I ricordi che avevo di lei erano freddi, impalpabili, quasi opachi e probabilmente non erano nemmeno ricordi miei, bensì rappresentazioni e creazioni mentali di quanto raccontato da mio padre. Chi era davvero mia madre? Nemmeno lo sapevo. Tutto ciò che mi era stato detto era frutto di pensieri altrui e ricordi che non mi appartenevano, ma chi era allora mia madre e perché in quel momento, cullata dalle braccia di morfeo, sentivo un così urgente bisogno di averla accanto a me. «Mamma stringimi, non voglio morire» Sibilai con un filo di voce mentre le fredde braccia della donna che finalmente avevo raggiunto si stringevano attorno a me per curarmi le ferite e darmi il bacio della buona notte.
    Una volta ripresa conoscenza nella mia mente era rimasto ben poco di quel sogno lucido, persino il volto di mia madre era svanito nelle ombre della notte che ci avvolgeva e al mattino, con i raggi del sole puntati sul viso che entravano dalle piccole finestre poste nel punto più alto del muro, dove il il piano interrato usciva di poco dal terreno, non ricordavo ormai più nulla di quel sogno. Strinsi le palpebre per il fastidio e irrigidii i muscoli ma ahimè mi pentii ben presto di quel gesto. Una forte fitta al fianco mi obbligò a serrare la mascella e a fatica trattenni un urlo di dolore. «Sto... sto bene...» Rassicurai la Tassorosso corsa subito in mio aiuto in seguito ai rumori percepiti vicini a sé. Ancora una volta non mi smentivo e incurante di tutto ciò che provavo in quel momento mentii senza pudore e forse senza risultare nemmeno troppo convinta di ciò che dicevo. Non stavo bene, affatto, ero molto lontana dallo stare bene, ma ammetterlo sarebbe stato del tutto inutile ai fini della guarigione, pertanto non aveva alcun tipo di valore dirlo o meno. «Hai spedito il patronus ad Axel?» Domandai ignorando totalmente la sua domanda inerente al funzionamento dell'intruglio. Era poco importante al momento, io non sanguinavo più, non apparentemente almeno, il che significava che la pozione aveva fatto effetto e questo mi bastava. Pochi secondi dopo la mia domanda una voce allarmata tagliò l'aria e rese ovvia la risposta che la ragazza non era ancora riuscita a darmi. Lo aveva avvisato e lui era finalmente arrivato. Potevo smettere di preoccuparmi di quanto accaduto perché ero certa che lui avrebbe saputo cosa fare, sapevo che avrebbe trovato una soluzione a tutto.
    Chiesi alla Tassorosso di aiutarmi a salire le ripide scale in legno del seminterrato e a fatica, una volta raggiunga la porta, vi poggiai sopra la mano per aprirla. «A-ax...» Sussurrai con un velo di tristezza negli occhi e tanta felicità in petto. Era lì davanti a me e non avevo bisogno di altro in quel momento. Feci leggermente leva su Rose per riuscire ad alzarmi del tutto in piedi per sorreggere da sola il peso del mio corpo e seppur tremolante lasciai la sua presa ringraziandola per l'aiuto, solo dopo ciò raggiunsi a tentoni Axel per abbracciarlo cercando di non gravare troppo su di lui col mio peso. Sapevo bene quanto gli fosse costato venire lì quel giorno e sapevo altrettanto bene che se io riuscivo a reggermi a fatica in piedi, lui lo faceva solo leggermente meglio. «Mi sono messa nei guai, perdonami» Pigolai atterrita al suo orecchio mentre appoggiavo il viso stremato sulla sua spalla. «Non volevo, te lo giuro, questa volta non me la sono cercata, è solo successo...» Balbettai in stato confusionale nella speranza che la Tassorosso colmasse le lacune che mano a mano mi lasciavo dietro per spiegare al Bulgaro quanto accaduto, perché io, per quanto ci provassi, non ne avevo le forze. «Sono tanto stanca...» Ammisi tra un colpo di tosse e l'altro mentre percepivo la pelle del mio fianco aprirsi leggermente facendo fuoriuscire piccoli rivoli di sangue che scesero lungo tutta la gamba coperta solo dal leggero tessuto del mio pigiama color ghiaccio ormai macchiato quasi interamente di rosso su di un lato. «Non credo di stare tanto bene» Conclusi stremata percependo le gambe cedere sotto al mio peso. Non stavo affatto bene.
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    Caposcuola Corvonero | Scheda | Mailbox | Pensatoio
     
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    Tassorosso
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    Falsa!
    Era così falsa nel dire che stava bene e così forte nel cercare di essere sincera in una falsità assoluta.
    Debole.
    Ero debole nel non riuscire a fare nulla di speciale, solo provare a curarla e starle vicino, solo non abbandonandola un secondo in barbo a una stanchezza ed una paura che inondavano l’intero mio corpo. La sua domanda non mi sorprese anzi mi fece leggermente allungare gli angoli della bocca in su, perché l’amore non conosceva confini o maschere e loro potevano nasconderlo al mondo intero ma non a loro due. «Si... Starà arrivando...» dissi sottovoce e con sicurezza. Non sapevo se Axel stava davvero arrivando ma il mio cuore diceva di si e lo stavo ascoltando. Un attimo dopo la voce del ragazzo ruppe il silenzio, Sky sembrava in preda all’agitazione così l’aiutai a salire le scale con fatica per aprire la porta mentre diedi voce facendo eco a Sky «Axel! Siamo qui...» E arrivò davanti a noi con una faccia da schifo ma sempre alto e imponente. Lei mi lasciò e se fosse stata piena di forze si sarebbe lanciata verso di lui. Questa scena mi strinse il cuore e lasciai parlare Sky senza interromperla. Ancora con il suo sangue addosso, ancora completamente fuori fase presi a parlare in un tono quasi piatto e basso, senza alzare lo sguardo verso il viso di lui. «Non stai bene...» le feci eco continuando la sua ultima frase rivolta a lui e poi ripresi «Al suo fianco ha una grave ferita che non sanguina più grazie a un intruglio che aveva nel sotterraneo...» Mi fermai un secondo spostando la maglietta lercia che si era appiccicata al mio fianco «Non sta bene, perché... perché la ferita e stata causata da...» Come dirlo senza provare dolore, senza avere la nausea che percorreva la trachea, come dirlo senza che i miei occhi bruciassero a causa delle lacrime acide fermate dalle ciglia e come dirlo avendo compreso che quell’essere era lui, la persona a cui avevo riposto la mia fiducia e non solo. Come dirlo sapendo che in fondo la colpa era solamente mia. Presi fiato e conclusi la frase «da un lupo... mannaro...» Chiusi gli occhi per un istante lasciando scivolare una lacrima che lasciava un segno sopra la mia guancia sporca di sangue e terra. «Io... non so cosa fare...» dissi con un filo di voce mentre mi sentivo impotente ed inutile e la mia mente non riusciva a vedere oltre quello che i miei occhi riuscivano a inviarle quindi il suo dolore, il suo sangue e la paura.
    David.
    David dov’era, come stava, forse anche lui stava male... «Io, io non lo sapevo che lui... non lo sapevo...» Non sapevo che quel ragazzo al mio fianco fosse affetto da licantropia. Questo ai miei occhi non cambiava molto, essere affetti da licantropia non era una propria colpa e lo sapevo bene lo avevo letto e studiato, anche se sul momento non ricordavo molto anzi non ricordavo quasi nulla, era una maledizione ma se solo lo avessi saputo, non lo avrei portato da Sky, avrei trovato un’altra soluzione. Solo che adesso era troppo tardi. «David...» sussurrai in un filo di voce, tanto che le labbra non si mossero nemmeno. Dovevo trovarlo, dovevo vedere con i miei occhi che lui stesse bene o almeno non fosse ferito mortalmente. La testa mi stava scoppiando non avevo il controllo su nulla tantomeno su di me. Alzai lo sguardo verso i due e lei sembrava essere davvero al sicuro adesso, come se le sue braccia fossero il migliore calmante, la migliore medicina che potesse ricevere. Feci un passetto indietro e poi ancora un altro, mentre i miei occhi era fissi sul viso pallido e sofferente di Sky. La mia testa si muoveva in segno di negazione come a dire che non avevo parole che al suo posto dovevo esserci io che me lo meritavo. Un attimo dopo ero vicino alla porta d’uscita e non stavo più guardando Sky ma correvo verso il bosco. Stavo correndo senza meta, volevo solo trovarlo e che importava se mi avrebbe fatto del male. Non avevo fiato quando mi fermai solo per un istante guardandomi intorno e proprio in quel momento la sua voce arrivò come un onda alta in un mare in tempesta. Stava gridando il mio nome. Mi girai e ripresi a corre in quella direzione ero vicinissima. Così lo trovai vicino ad un albero con del sangue sopra. Il mio sguardo si posò su di lui e la mia mente per un istante formulò solo una frase “ E’ vivo!” Era come vederlo per la prima volta e forse era così. Era fragile e non aveva la sua corazza di spavalderia. Mi avvicinai lentamente mentre dovevo avere un aspetto orribile con gli abiti macchiati e sporchi e un viso da cadavere. «David...» dissi a voce bassa continuando ad avvicinarmi... Solo in un secondo momento mi resi conto che era nudo ma la mia mente non riuscì a comprendere molto così tolsi la mia giacchetta e dopo essermi inginocchiata glie la posai sopra. Era così piccola rispetto a lui, così inutile, come lo ero io. La mia mano che tremava si posò sul suo petto e in quel momento l’immagine di lui aggressivo e sottoforma di lupo che mi attaccava e colpiva Sky mi venne in mente, la mia mano tremò e le lacrime iniziarono a scendere senza fermarsi. Era un parlare con il silenzio, non c’era bisogno di aggiungere niente. Poi un rumore veloce alle mie spalle e non ebbi il tempo di comprendere altro.




     
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    Si guardò intorno frenetico alla ricerca di Rose, non ricordava un cazzo di quello che era successo la sera prima e l'unica persona a lui vicina quando si era trasformato era lei. Non aveva idea di dove fosse,
    di chi la bestia avesse ucciso o ferito e se, in qualche modo, qualcuno lo avesse scoperto. La sua famiglia custodiva gelosamente quel segreto, era ciò che gli permetteva di regnare nel Bronx dato che, grazie alla rapida guarigione e ai sensi sviluppati, riuscivano ad avere la meglio in qualsiasi sconto, sia esso con la magia o a mani nude, non faceva differenza. E se n'era accorto anche lui di quanto fosse vantaggioso essere un mannaro: aveva ucciso due uomini con una facilità incredibile, la sua forza gli permetteva di fratturare ossa, era agile, veloce, inarrestabile. Si sentiva potente, godeva nell' infiggere dolore alla gente, nel decidere chi meritasse di vivere e chi no e si eccitava nel vedere il terrore sul volto delle sue vittime.
    Gli incontri clandestini a cui aveva partecipato quell'estate per sfogare la sua rabbia erano stati una conferma della sua superiorità, ma questo non aveva placato la sua ira. Il pensiero di non essersi trasformato lo aveva logorato per mesi e l'espressione soddisfatta sul viso della troia che l'aveva messo al mondo lo face imbestialire. Quella puttana sperava che il gene si manifestasse nel suo figlio prediletto, Micheal, così sarebbe stato lui il capofamiglia. Ma ormai era tardi, quel titolo spettava lui. Tuttavia, David non era felice come doveva, non quando, dopo un anno di attesa, era finalmente diventato ciò che, per tutta la vita, aveva voluto: una bestia assetata di sangue, potente e maestosa che tutti avrebbero temuto. Il motivo? Un fottuto tasso. Quel coniglio era più ostinato di quanto pensasse, non si era voluta arrendere con lui, invece di mandarlo a fanculo come aveva fatto mezza scuola, aveva deciso di restare perché, nella sua testa bacata, credeva che ci fosse del buono in lui. Stronzate. David era una bastardo senza un briciolo di sentimento, un assassino, un mostro. Era una bestia che, a differenza della famosa storia babbana, non sarebbe cambiata per amore. Eppure, in quel preciso istante, stava urlando il nome di una ragazza per paura di averla fatta fuori, un paradosso. «ROSE, STO PERDENDO LA PAZIENZA. DOVE CAZZO SE!I?» O si palesava adesso o sarebbero stati guai se l'avesse trovata dopo. Cercò di mettersi in piedi ancora una volta ma, come prima, ricadde all'indietro sbattendo il culo a terra. L'erba gli dava fastidio e senza la bacchetta non poteva nemmeno coprirsi, era davvero una rottura di coglioni tutta quella situazione. Un rumore alla sua destra lo fece voltare di scatto, qualcuno si stava avvicinando. Si mise sull'attenti, pronto a scattare se necessario. Era sfinito, debole, nudo e pieno di ferite ma, se attaccato, non avrebbe avuto problemi a difendersi. L'adrenalina fa miracoli. Ciò che gli si palesò davanti, però, fu una Rose sconvolta ricoperta di sangue, il viso cadaverico e gli occhi vacui. Lo chiamò, ma il suo tono di voce era così basso che a stento la sentì. Si avvicinò lentamente, aveva paura di lui? Non l'avrebbe biasimata, gli aveva detto di scappare molto tempo fa. «Rose.» Sussurrò. I suoi occhi neri erano fissi su di lei, studiava ogni singolo movimento, al pari di un predatore. Tremava, era un coniglio impaurito. Ciò nonostante ebbe il coraggio di mettersi in ginocchio e di coprirgli le parti intime con la giacca che aveva indosso, posandogli, poi, una mano sul petto. David non si mosse, si limitò ad osservarla mentre scoppiava a piangere. Era confuso, non aveva idea di cos' era successo e aveva molte domande da farle ma, per ora, le avrebbe messe da parte. Si fece in avanti con il busto, trattenendo un gemito di dolore per lo sforzo appena compiuto, e con entrambe le mani le asciugò il viso. «Va tutto bene, coniglio.» Ne approfittò per darle un veloce bacio a stampo e ghignare. Tra poche ore si sarebbe sicuramente pentito delle sue azioni, chiedendosi cosa cazzo gli fosse passato per la testa ma ora non aveva tempo per quello. Un urlo disumano gli logorò i timpani. Guardò davanti a lui e un paio di occhi verdi iniettati di sangue lo fissavano di rimando. Axel Dragonov voleva ucciderlo, lo capì subito, e lui non si sarebbe tirato indietro.

     
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    Axel
    «Siamo qui!» Immediatamente il capo del bulgaro scattò in direzione della voce della Tassorosso, proveniva dalle scale che portavano verso il laboratorio sotterraneo. Skylee gli aveva mostrato quel laboratorio, un giorno, mentre con un ampio sorriso e lo sguardo gioioso quanto fiero gli mostrava tutta la casa. La straordinarietà di quella casa e la tristezza che quelle mura purtroppo nascondevano al suo interno. Lì la Corvonero vi era cresciuta quando ancora il padre era vivo e lì aveva appreso i primi passi nell’arte della pozionistica. Axel l’aveva un po’ invidiata per tutto quello sfarzo ma maggiormente, ciò che aveva invidiato, era l’idea del padre di lei che con amore – questo traspariva dai racconti della Corvonero – le spiegava le basi della materia. Amore, non botte, non minacce, semplice amore. Chissà cosa si provava? E ora, in quella stessa casa, da qualche parte, la ragazza stava combattendo tra la vita e la morte. Axel corse verso la scalinata e immediatamente, vedendo le due ragazze arrancare, si precipitò sulla bionda facendosene immediatamente carico fisicamente. «A-ax», gracchiò lei e seppur intrise del dolore che stava provando, c’era gioia in quella semplice constatazione. Lui era lì ed era corso unicamente per lei mandando a fanculo qualsiasi cosa persino la maledizione stessa per essere lì a stringerla a sé. Lasciò che la bionda si avviluppasse contro il suo petto per qualche istante per poi allontanarla gentilmente ma con urgenza per valutarne realmente le condizioni. Ma cosa diavolo era successo? Perché? La Corvonero era ricoperta di sangue. Il suo sangue che era sceso a fiotti dal fianco fino ai piedi e che a stento riusciva a farla stare in piedi, infatti, proprio in quel momento, sentì la stretta delle sue mani farsi più insistente e allo stesso tempo perdere di forza mentre la Corvonero collassava su sé stessa. Axel la afferrò immediatamente sorreggendola senza il minimo sforzo, per lui, per uno come lui, era un fuscello. «Métis, porca puttana», si chinò, passandole un braccio dietro le ginocchia e con delicatezza la tirò in braccio sforzandosi di compiere quei metri nella sala per depositarla sull’ampio divano dove si inginocchiò. «Chi ti ha fatto questo?» Le sussurrò, gli occhi sbarrati che correvano lungo il suo corpo martoriato. Allungò la mano posandola sulla sua guancia, spostandole quei capelli ribelli intrisi anch’essi del suo sangue. Quanto ne aveva perso? «Che cazzo è successo White?» La mano libera gli tremava nello sforzo di contenere la furia, il tumulto, che dentro di sé lo agitava. «Un lupo mannaro. Io, io non lo sapevo che lui... non lo sapevo», la mora era sull’orlo delle lacrime, di una crisi di nervi mentre cercava di raccontare al bulgaro ciò che era successo. Un lupo? Lì in Alaska? Come?! Com’era possibile e come aveva fatto a trovarle? Cosa non gli stavano dicendo? Fece per alzarsi ma la presa della Corvonero si fece più stretta mentre cercava di tenerlo con sé. «Chi Rose?!» Finì per urlare contro la Tassorosso scossa dal pianto. Non se ne faceva nulla del suo pianto.
    «David...»
    Axel gelò sul posto. Non poteva essere. Quello era un incubo dalla quale si sarebbe svegliato presto per scoprire che nulla di quanto stava sognando fosse reale. Balbettò qualcosa di incomprensibile mentre il suo cervello tentava di metabolizzare l’accaduto. David prendeva l’anti-lupo. Lo aveva visto farlo! Ma ciò che realizzò con un brivido fu che David aveva smesso di prenderla forse proprio perché quell’agognata trasformazione non arrivava. Aveva smesso pur sapendo che il gene si sarebbe manifestato per forza. La sua famiglia coltivava quella merda, glielo aveva raccontato con orgoglio quando ancora si tolleravano. Lui sarebbe diventato un lupo, senza dubbio, Axel glielo aveva detto che doveva avere solo pazienza. Una furia cieca cominciò a montargli dentro tanto da farlo tremare, tanto da non avvertire le parole di Skylee che lo supplicava di non lasciarla tanto che... si alzò, la vista annebbiata dalla furia. Si chinò, baciò la Corvonero sulla fronte e s’alzò nuovamente. Rose non c’era, era fuggita probabilmente ad avvertire il suo spasimante ma a lui non serviva averla per farsi guidare, lui aveva la bestia. Chiuse gli occhi tirando indietro le spalle ed il capo e inspirando lasciò per la prima volta che fosse il lupo, che fosse la sua parte animale a prendere il sopravvento che fosse quell’amico che aveva sempre vegliato su di lui ma che aveva sempre rifiutato a prendersi lo scotto. Aprì gli occhi e fiutando l’odore di rose che avvolgeva la Tassorosso uscì dalla casa di corsa seguendo quelli che erano stati i passi della ragazza e che ora l’avevano condotto nella radura dove i due stavano abbracciati. Spinse lontana la Tassorosso costringendola a rovinare sul terreno e scagliò un pugno in piena faccia all’altro lupo. Lo avrebbe ammazzato ed era ciò che era andato a fare seguendo Rose. Il petto di Axel s’alzava mentre prendeva grosse boccate d’aria prima di gettarsi di nuovo all’attacco, un attacco che non si sarebbe arrestato senza pace fino a che il bulgaro non avrebbe ottenuto il risultato: uccidere Harris.
     
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    Quando ancora scorreva buon sangue tra loro, David aveva proposto a quello che una volta era stato il suo compagno di stanza di potersi allenare insieme, così da giovarne entrambi. Ma Axel aveva rifiutato, rendendo ben chiaro quello che era il suo pensiero sulla maledizione, per il resto la loro era stata una convivenza abbastanza pacifica visto che, dopo aver capito che tra loro non c'era compatibilità, ognuno si era fatto i cazzi propri. C'era, però, sempre una certa tensione nell'aria, due mannari nello stesso spazio rischiavano di uccidersi in qualsiasi momento ma non era mai successo, almeno fino ad ora. L'altra bestia si stava avvicinando a una velocità impressionante, respirava a fatica talmente che era fuori di sé e gli occhi verdi iniettati di sangue non facevano presagire nulla di buono. Era pronto a farlo a pezzi in qualsiasi momento, anche se non sapeva cos'aveva fatto di tanto grave per provocare una simile reazione. Non ricordava niente della notte precedente. Aveva ucciso o morso qualcuno? Se così fosse ci avrebbe pensato suo padre a farlo fuori, per gli Harris era un peccato mortale trasmettere quello che per loro era un dono a un essere inferiore. Mordevano solo chi si mostrava degno e giurava loro fedeltà. Sperò non fosse il suo caso, anche se odiava la sua famiglia con tutto se stesso, i valori che gli avevano trasmesso erano ancora ben radicati . Inoltre, se avesse morso una femmina, sarebbe stato anche peggio. Solo gli uomini potevano avere accesso a tale potere, le ragazze servivano solo per farli svuotare.
    Rose venne scaraventata di lato e David non ebbe neanche il tempo di vedere se stesse bene perché gli arrivò un pugno in faccia talmente forte che, se fosse stato umano, gli avrebbe letteralmente rotto la mascella. Il dolore lo sentì, ma non lo diede a vedere, quel bastardo non si meritava una tale soddisfazione. Sputò il sangue che gli si era formato in bocca e lo guardò in cagnesco, gli occhi erano completamente gialli, e sentì i canini affilarsi e le unghia tirare. Adesso si che era incazzato. Gli diede uno spintone e si alzò. Tutto il suo corpo implorava pietà, non era una buona idea fare a pugni a qualche ora dalla trasformazione, ma non era l'unico ad essere stanco. Anche il Dragonov aveva subito la mutazione e, forse, era grazie a questo che, oggi, uno dei due non sarebbe morto. Gli si lanciò di nuovo addosso e lui fece lo stesso, l'adrenalina era l' unica cosa che li teneva in piedi. «TI AMMAZZO BASTARDO!» I tratti del viso erano talmente sformati che, se si fosse specchiato, a stento si sarebbe riconosciuto. Respirava faticosamente e l'essere nudo, esposto era uno svantaggio, ma questo non gli avrebbe impedito di far fuori quello stronzo. Gli diede un calcio nello stomaco con il chiaro intendo di spezzargli le ossa, sentire un altro po' di dolore non gli avrebbe fatto male. Nessuno sapeva chi avrebbe avuto la meglio in quel corpo a corpo e nessuno sano di mente si sarebbe messo in mezzo, e non dovevano farlo, quella era una cosa tra loro due. «CHE CAZZO TI E' PRESO, EH? HAI FINALMENTE PERSO LA TESTA!?» Ricambiò il gesto di prima, dandogli non uno ma ben due cazzotti in faccia. Axel poteva anche essere lupo da più tanto, ma David aveva passato metà della sua vita su un ring a fare a pugni con chiunque per sfogare la sua rabbia, quindi neanche lui ne sarebbe uscito indenne da questo scontro. La fatica cominciò a farsi sentire, barcollò per un attimo, ma riuscì a riprendersi quasi subito. Non poteva distrarsi adesso, doveva mantenere la concentrazione. Aveva imparato a sue spese che concedere un'apertura al suo avversario poteva essere fatale, anni fa gli era costato tre costole rotte e due mesi di cure. In sottofondo qualcuno urlava, forse Rose, e il ricordare il modo in cui Axel l'aveva afferrata lo fece incazzare ancora di più. Gli si lanciò addosso, mirando alla gola. Aveva tutta l'intenzione di spezzargli l'osso del collo a mani nude.

     
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    Axel
    Axel non era mai stato una persona misurata. Mai. Vuoi per il lupo che ne abitava il corpo e lo spirito vuoi per il suo carattere alla base. Il Dragonov, infatti, aveva come filosofia di vita una morale che gli faceva preferire scusarsi – cosa estremamente rara persino quando si trovava nella parte del torto marcio poiché piuttosto che ammettere il torto voltava le spalle – che avere rimorsi. Indifferente era che i fatti fossero legati ad una situazione o un evento a lui positivo o, come in quel caso, alla situazione che per lui rappresentava il peggior scenario alla quale avesse mai potuto pensare. Skylee morsa; e non morsa da lui come le probabilità scommettevano data la caparbietà della Corvonero a volergli stare accanto anche durante quelle notti, no, da un altro lupo. E non un lupo qualunque che aveva incrociato il suo cammino bensì David Harris, il compagno di stanza dello stesso Dragonov. Il peggiore imbecille che la faccia della terra avesse mai potuto accogliere. Quel coglione che pur sapendo della sua natura, pur sentendo l’approssimarsi del fatidico giorno nella quale la genetica l’avrebbe vinta sul lato umano aveva scelto consapevolmente di evitare precauzioni imprescindibili come l’anti-lupo. Aveva morso Skylee. La sua Skylee e ora la ragazza avrebbe condiviso lo stesso orribile destino trasformandosi di mese in mese in ciò che Axel più odiava al mondo. Doveva pagarla. Dio se l’avrebbe pagata. Avrebbe ricordato quel fottuto giorno quel figlio di puttana. In ogni caso comunque, per quanto il bulgaro non si contraddistinguesse per il carattere mite e si lasciasse andare con facilità all’aggressività e alla rabbia riusciva sempre a relegare le pulsioni della bestia. Lo teneva a bada, seppur in alcuni casi con immensa fatica, perché sapeva cosa sarebbe successo se non lo avesse fatto. Lasciare che il grosso lupo nero prendesse il sopravvento voleva dire un’unica cosa: morte. Del suo diretto avversario e di ogni cosa gli stesse intorno, una volta preso il sopravvento la bestia non si sarebbe fermata generando il panico fino a che non avesse strappato, distrutto e mutilato ogni anima viva lasciando unicamente il sangue.
    Axel aveva quindi chiuso la porta della casa dal tetto spiovente, aveva chiuso gli occhi, inspirato profondamente e quando li aveva riaperti aveva smarrito sé stesso. Per la prima volta avrebbe lasciato il comando totale alla bestia, avrebbe lasciato che la sua furia scorresse nelle vene insieme a quella brama, quella sete di sangue. Ispirò localizzando immediatamente il lieve sentore di rose che contraddistingueva il profumo della Tassorosso e passando a correre la raggiunse. La spinse a terra non curandosi che la ragazza, fragile com’era, avrebbe potuto ferirsi o farsi più seriamente male considerando il voluto mancato controllo che aveva della forza e si scagliò sul Serpeverde. Gli assestò un pugno diretto alla mascella che lo costrinse ad indietreggiare con le mani sul viso per il dolore anche se, l’altro lupo, non emise suono. Non voleva dargli la benché minima soddisfazione. «Errato Harris», replicò, il tono basso, monotono ed incredibilmente inquietante poiché quello non era Axel ma l’assassino che viveva in lui. Parò il calcio che David provò a sferrargli allo stomaco utilizzando per forza di cose entrambe le mani; ora il ragazzo era un lupo mannaro a tutti gli effetti e in quanto tale aveva sbloccato il massimo potenziale del lupo, giocavano quindi ad armi pari o quasi. Il Serpeverde non demorse e accecato a sua volta dalla collera partì ad un attacco serrato che costrinse il bulgaro a rimodulare i propri piani. «Ti avevo detto Harris di», riuscì ad afferrargli un polso, tirandogli una testata, «STARLE LONTANO!» Gridò mentre la sua fronte si schiantava contro quella dell’altro ma ciò che non vide fu proprio il montante diretto allo stomaco. Axel indietreggiò tenendosi il ventre. «Ti rendi conto di cosa hai fatto coglione?!» Boccheggiò sputando poi a terra, «l’hai morsa! L’hai relegata al nostro destino di merda e quanto è vero iddio Harris te la farò pagare!» In un ringhiò animalesco il Dragonov si scagliò ancora una volta sul Serpeverde mentre la furia guidava le sue azioni, l’adrenalina che li teneva entrambi in piedi ignorando i corpi malandati dalla trasformazione. «Ti ammazzo», un pugno, un altro.
     
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    Quello che successe dopo fu terribile. In un attimo sentii un’enorme colpo alla parte destra del mio corpo e mi ritrovai a ruzzolare per terra. Avvertivo vari dolori mentre cercavo di fermare quel movimento che mi disorientava e mi faceva sentire come all'interno di un uragano. Cos’era che mi aveva colpito? Un incanto? . La mia corsa fu fermata da un albero, un colpo alla schiena che mi fece dare un urlo più forte rispetto agli altri mugolii che facevo mentre rotolavo. Sentivo vari punti del corpo che mi bruciavano ma la gamba destra era quella che mi faceva maggiormente male. Ripresi un secondo fiato mentre i miei abiti già sporchi di sangue di Sky e di terra erano ancora più distrutti. Cercai di sedermi e guardai la gamba spostando un lembo dei pantaloni che ormai non potevano essere chiamati tali. Qualcosa l’aveva tagliata, sicuramente un masso su cui ci avevo beatamente rotolato sopra. Tutto passò in secondo piano quando sentii le voci rabbiose nelle vicinanze, anzi sembravano quasi dei ringhi per come erano alta e piene di rabbia. Alzai lo sguardo e vidi Axel e David che se le davano di santa ragione. Il fiato sembrò farsi più corto e la mia mente era in tilt... «No...» dissi prima in sottovoce quasi come per dare un fermo a me stessa , poi urlai «NOOOO! FERMIIII!» Non era stato un incanto a spingermi ma era stato Axel. La mia mente rivide il secondo in cui i miei occhi incrociarono i suoi e poi il colpo. Da dove veniva tutta quella forza? Com’era possibile? Cercai di alzarmi appoggiandomi al tronco dell’albero «SMETTETELA... EHI!!» Non mi ascoltavano eppure urlavo con tutte le mie forze. Anche David aveva una forza assurda e più guardavo i due e più la mia mente collegava i fatti. Non potevo esserne certa ma... Sky che chiedeva l’aiuto di Axel per chè lui sapeva cosa fare, la velocità in cui mi aveva raggiunta e poi come aveva fatto a trovarci? Io avevo sentito le urla di David ma lui? Non poteva essere che... anche Axel fosse un lupo o un essere simile? Erano solo supposizioni che in quel momento non erano fondamentali. Mi spostai dal tronco zoppicando leggermente mentre vedevo David affaticato. «VI PREGOOO... SMETTETELA! SIETE CRETINI! Smettetela...» Continuavo ad urlare cercando di avvicinarmi a loro. Ero esausta e confusa, ero addolorata e disperata e soprattutto ero spaventata. Dentro di me sentivo qualcosa di assurdo, tutto confuso tutto unito in un vortice di sensazioni orribili. La testa iniziò a pulsare e non sapevo cosa fare, tanto che dopo qualche passo caddi nuovamente a terra in ginocchio e rimasi a fissarli mentre continuavo a parlare e provavo a dire di smetterla. Sentivo dentro di me il dolore di entrambi come sentivo il dolore di Sky... BASTA! Volevo che quel dolore finisse... le lacrime scendevano ormai senza che io me ne rendessi conto. Le mani iniziarono a tremare ed era come se anche le foglie degli alberi facevano lo stesso seguendo il mio tremolio all'unisono. Sicuramente era la stanchezza che mi faceva sentire così... così carica a molla. Perché continuavano a farsi male? Perché non si fermavano? Perché questa tortura non aveva una fine? Era colpa mia, solo colpa mia. Gli occhi di mio padre presero possesso della mia mente svanendo in un lampo e poi la voce di un uomo più grande risuonò “ E’ un errore!”. Non potevo non pensarre che Lo ero davvero! Ecco cosa avevo combinato, non avevo speranze. I pugni di Axel cadevano a raffica su David e io stringevo i miei di pugni, tanto da ferirmi i palmi delle mani con lemie stesse unghie, la cosa strana era che in quel momento non sentivo dolore. Tutto sembrava venir meno, nessun dolore nelle mani o nel mio corpo pieno di graffi, come la gamba sembrava stare bene. Sentivo solo un miscuglio di terrore, delusione, paura e rabbia crescere sempre di più dentro di me, tanto che mi rimisi in piedi e le mie parole di richiamo verso i due divennero un sussurro, fino a non avere voce per parlare ma solo il mio sguardo continuava a fissare i due...mentre le loro urla risuonavano nelle mie orecchie e i colpi sferrati sembravo tamburi che colpivano la mia anima. Un passo e un altro ancora mentre il mio corpo iniziò a tremare e i miei occhi sembravano cambiare colore come se ci fosse del sangue all’interno dell’iride.




     
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    Una parte di lui non poteva negare che quello scontro l'avesse sempre voluto, soprattutto per capire fino a che punto sarebbe stato in grado di tenere testa a un mannaro che controllava la bestia da più tempo di lui. Era un campo di prova, perché questo confronto, prima o poi, lo avrebbe avuto anche con suo padre e, se voleva vincere, doveva essere il più preparato possibile. Era per questo che negli anni aveva preso parte a diversi incontri clandestini, per lui era una sorta di allenamento anche se, vedendo la difficoltà che stava avendo nell' affrontare quel coglione, era chiaro che aveva ancora molta strada se voleva uccidere il suo caro paparino. Lo aveva visto combattere e, molte volte, si era ritrovato a sperare di non essere lui il suo avversario. E per uno dall'ego smisurato come David era tutto un dire. Non era un caso se gli Harris erano temuti nel Bronx, la causa principale era proprio l'attuale capofamiglia, uno dei più potenti per giunta. Forse avrebbe fatto meglio a ubbidirgli, come quel verme di Micheal, ma andava contro la sua indole ribelle quindi no, preferiva farsi ammazzare piuttosto che sottostare alle regole di quel bastardo. Nel mentre, cercava di difendersi dai continui attacchi di Axel che era ben lontano dal darsi una calmata, che cazzo gli era preso per farlo imbestialire così? Il colpo alla mascella lo sentì, ma era abituato a torture ben peggiori di quelle, se voleva fargli davvero male doveva fare di più, molto di più. E il tono di voce che aveva usato era la conferma che presto lo avrebbe fatto. David conosceva molto bene quello sguardo, era lo stesso che aveva lui quando aveva ucciso a sangue freddo quei due uomini un mese fa. Non era da escludere che Axel si fosse macchiato dello stesso peccato, ma infondo era quasi scontato per mostri come loro essere degli assassini.
    Bloccò il calcio che gli aveva sferrato con entrambe le mani, al che indietreggiò per evitare che potesse approfittarne. Ma Axel gli afferrò il polso e gli tirò una testa diritta in fronte che gli avrebbe lasciato un gran bel livido. A quel punto, accecato da un' ira che mai aveva provato prima, lo guardò in cagnesco, ringhiando e ripagandolo con la stessa moneta: una testata in pieno volto e, visto che aveva giocato anche a Rugby, fu preciso nel dargliela. «Di chi cazzo stai parlando!?» Si capiva da solo, anche l'ultimo neurone che aveva doveva essere andato a farsi fottere. Lo colpì a ripetizione, non importava dove, l'unica cosa che contava era che sanguinasse e smettesse di respirare una volta per tutte. Probabilmente non sarebbe riuscito nel suo intento oggi, anche se l'adrenalina dava una botta di energia assurda, erano pur sempre due mannari reduci da una trasformazione e il dolore per le ossa rotte la sera prima si faceva sentire. Morsa? Solo in quel momento capì a cosa e a chi si stesse riferendo: alla sua ragazza. Aveva morso quella scassacazzo della Métis, era per questo che quello stronzo era così indemoniato. Come se avesse voluto farlo, era un disonore trasmettere la maledizione agli indegni, questa era una delle regole base degli Harris. «Se avessi avuto il controllo non l'avrei morsa nemmeno se mi avesse pregato in ginocchio, una come lei non merita questo potere. » Fu stranamente calmo quando lo disse, non urlò né ringhiò, era un automa che ripeteva una frase che aveva sentito mille volte negli anni e che, ormai, era diventata parte di lui. La minaccia di Axel, però, lo fece imbestialire ancor di più e gli andò incontro. Pugni, calci, morsi, si stavano letteralmente distruggendo. Un urlo straziante di sottofondo fece girare David di scatto, Rose era in una condizione pessima. Quella visione gli mandò in fumo il cervello tanto da fargli uscire gli artigli dalle mani che utilizzò per squarciare il torace del suo avversario. Ma quello fu l'ultimo colpo che riuscì a sferrare, la stanchezza stava prendendo il sopravvento e non aveva più forze nelle gambe. Gli arrivò un destro che gli fece perdere l'equilibrio, cadde e, sicuramente, Axel non avrebbe perso tempo nel sartiargli addosso per sfogare la sua ira. Ma David, invece di disperarsi, rise come un pazzo anche mentre veniva ridotto in fin di vita, era proprio il tipo di emozione di cui aveva bisogno e, adesso che era un mannaro a tutti gli effetti, la strada era solo in salita.

     
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    Tremavo e man mano qualcosa che non avevo mai provato cresceva dentro di me. Volevo che la smettessero, volevo che quel dolore finisse per me, per loro e per Sky. Ero in piedi eppure sembrava che quello che stava in torno a me non fosse più così tanto nitido ma loro due si. Sembrava che le foglie, i tronchi, le radici e persino l’erba stavano producendo uno strano rumore, come un fruscio che faceva aumentare quella sensazione di uragano dentro di me. La gola sembrava secca e il mio stesso peso sembrava inesistente eppure mi sentivo ancorata al suolo tanto che non riuscii più a muovere un passo. Immobili li mentre il mio sguardo era fisso su i due ragazzi e i capelli lunghi incorniciavano un volto quasi di pietra. Il mio respiro, lo stavo perdendo, o meglio stavo perdendo il suo suono come ormai stavo perdendo le diverse sensazioni che potevo provare. Il dolore mi stava uccidendo, la colpa mi stava logorando dentro e la rabbia... la rabbia stava prendendo il sopravvento. La rabbia si stava unendo a una paura enorme che non lasciava spazio a nulla. Perché? Perché stava accadendo tutto questo!
    Ero fuggita da mio padre che mi teneva in catene a casa White per trovare altre catene e altro dolore. Che bella scelta che avevo fatto. Le persone a cui volevo bene si stavano ammazzando, chi per una ferita grave, chi per i colpi che si stavano dando. Non aveva senso, io non trovavo il senso o semplicemente io non ne avevo. I miei piedi d’un tratto si erano piantati come due tronchi nel terreno mentre per un attimo i miei occhi videro David non avere più forze e non reagire e poi sentii la sua risata. Li la mia mente si oscurò completamente e il mio corpo non sentiva altro che come una forza che non poteva più contenere, come una di quelle pentole babbane che Amelia usava ogni tanto, le pentole a pressione.
    20221119_231411
    Un urlo agghiacciante, prolungato e acuto, tanto che se raccontato nessuno ci avrebbe mai creduto che Rose Mia White poteva avere un tono così, e poi come un'onda di vento, simile ma che con il vento non c’entrava nulla. Un vero e proprio uragano di aria o meglio di energia scaturì da me, dal mio corpo. «AAAAAHHHHH!» Fu qualcosa di assurdo e potente, tanto da spazzare via Axel e David. Era proprio puntato nella loro direzione e Axel volò a destra, dal mio punto di vista e David ruzzolò a sinistra. Non riuscii a comprendere cosa successe dopo l’unica cosa che riuscii a vedere furono i due volare ai lati opposti. Alcuni alberi persero alcune delle loro foglie e l’erba nei dintorni si rovinò completamente. Cos’era accaduto?
    Uno scatto di magia assurdo! Non ero riuscita più a controllarmi e tutto quelle che avevo vissuto in una notte e quello che avevo e stavo provando si erano uniti in qualcosa di completamente fuori dal comune. Uno scatto di magia come quando succedeva da piccoli ma non provando tutto questo si aveva della magia involontaria. E questo era accaduto. Volevo che finisse quel dolore, volevo che quei due la finissero ed ero esplosa! Rimasi li ferma per qualche attimo come anche l’aria in torno a noi e lo stesso i rumori. Sembrava che il tempo e lo spazio si fosse fermato. Alzai la testa lentamente lasciando intravedere il mio viso sporco e completamente rigato dalle lacrime, pallido e con occhi che stavano passando da un rosso sangue a un grigio spento. Le braccia che prima erano tese sembrarono ricadere alla forza di gravità. Feci qualche passetto come un automa, strisciando i piedi sul terreno e dirigendomi verso David ma poi caddi in ginocchio completamente esausta. «Perchè..?» fu l’unica parola che sussurrai e poi il mio silenzio. Fu come perdere, oltre le forze, anche la voce. Non avevo più voglia di dire o fare altro. Ero caduta in un oscurità che era dentro di me. Dove la colpa era mia e dove non riuscivo a vedere che buio e cose orribili. Dove mi incolpavo di aver ferito e quasi ucciso la mia migliore amica, dove mi incolpavo di non aver compreso David e non averlo aiutato e dove mi incolpavo del dolore che Axel stava provando a vedere la persona che amava in quello stato. Scappata da mio Padre con le lettere che era riuscito a mandarmi, avevo perso l’unica persona che mi sosteneva e mi aiutava Amelia e ora tutto questo. La mia mente e il mio corpo non riuscivano più a reggere il tutto e così avvenne l’unica arma possibile che avevo per non soccombere del tutto, chiudermi e amare da lontano le persone a cui volevo bene. Io ero così perché questo avevo imparato, ogni cosa che facevo venivo punita e adesso mi stavo punendo da sola. I miei occhi finalmente ripresero a vedere meglio e i due distanti uno dall’altro distrutti e mal conci, soprattutto David, furono l’immagine che mi si impresse nelle iridi. Una mano si allungo verso David, tremante ed incerta. Cercai di rialzarmi lentamente e con gambe tremanti dopo alcuni minuti ci riuscii e mi avvicinai al serpeverde completamente nudo, per lo meno ci provai.




    Edited by Rose Mia White - 19/11/2022, 23:49
     
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    «DI SKYLE!» Maledetto inutile coglione. E ad Axel non fregava nulla delle giustifiche del caso, del fatto che David non sapesse e soprattutto non ricordasse d’aver attaccato la Corvonero, ad Axel non importava niente perché per lui David avrebbe dovuto ingollare quella cazzo d’anti-lupo i giorni precedenti al plenilunio senza se e senza ma. Per lui non c’era una singola fottuta giustifica che tenesse. Ne avevano parlato, agli inizi della loro conoscenza, quando ancora i caratteri dei due non erano andati precipitosamente a scontrarsi per le differenze: Axel fanatico della privacy e del buon senso, David, per quanto lo considerava il bulgaro, una completa, totale, testa di cazzo. La morale di tutta la faccenda per il Serpeverde era una sola: doveva saperlo. David aveva sempre saputo che la trasformazione era questione di tempo. Forse non si aspettava tutto quel tempo ma sarebbe arrivata e lui lo sapeva. Come sapeva di dover prendere la pozione se non per la difesa del prossimo per quella di sé stesso da gabbio. Un lupo fuori controllo potevano graziarlo una volta, lo aveva ammonito, non di più poiché poi sarebbe stato ammonito come pericolo pubblico e pertanto abbattuto se si fosse arrivati a tanto. Gli aveva anche detto di stare fuori dai fatti suoi, di girare largo dalla Métis ma lui no, lui no, era arrivato a morderla con la complicità di quell’insulsa della White. Più gli tornava alla mente e più il sangue gli andava al cervello. Vedeva rosso. Sguainò gli artigli cercando di graffiare l’altro ma per quanto stanco l’Harris riuscì a deviare quel colpo sfruttando la deviazione per scoprire il fianco nella difesa del mannaro e tirargli un lungo graffio lungo il pettorale. Quello gli avrebbe lasciato l’ennesimo segno al di sopra degli altri già presenti. Immediatamente i lembi di tessuto squarciati cominciarono a tingersi di rosso mentre sentiva il sangue appiccicoso incollargli i vestiti. «Maledetto figlio di puttana», ringhiò scagliandosi di nuovo contro il ragazzo. Era come se Axel non sentisse la fatica della trasformazione, l’adrenalina e la rabbia lo mantenevano vivo e scattante e fino a che avesse stretto i denti lasciando che fosse la bestia a tenere il comando avrebbe continuato a tirare poi probabilmente sarebbe crollato ma non era a ciò che voleva pensare. Avrebbe riposato dopo, doveva resistere, doveva vendicare la sua Skylee e per farlo si sarebbe fermato unicamente quando Harris non avesse più infettato l’atmosfera col suo fetido tanfo di stronzo. Prese fiato caricandosi di tutta la collera che teneva in corpo e parti in quarta. Bloccò il pugno di David incrociando le braccia dinanzi al viso in una “X” quel tanto da coprire parzialmente anche il petto poi con foga ruppe la difesa procedendo con un passo in avanti che gli servi unicamente a caricare il calcio. David, stremato dalla trasformazione, non riuscì a parare per tempo quel colpo e in pochi passi cadde a terra. Axel gli si fece subito addosso; dapprima un calcio sul fianco che lo facesse rotolare supino e poi lo bloccò a terra sedendosi cavalcioni su di lui. Da lì non si sarebbe più mosso, ora avrebbe finito finalmente la sua opera. «Ora la paghi bastardo», ringhiò cominciando a sferrargli pugni. «Questi sono per Skylee... Per averle... rovinato... la vita!» Ogni parola era un affondo sul suo viso ma come se non bastasse il ragazzo cominciò a ridere. COME OSAVA RIDERE?! Caricò un nuovo colpo da schiantare sulla sua faccia tumefatta coperta del suo stesso sangue ma un grido ed una successiva quanto immediata ondata di energia lo sbalzò lontano dal Serpeverde. Sbatté la schiena contro un tronco senza che si potesse preparare all’impatto e tutta l’aria gli uscì di colpo dai polmoni stremandolo a terra. A fatica cercò di riprendere fiato ma quella pausa non voluto aveva fatto in modo che il corpo, adesso, privo dell’ondata di adrenalina gli chiedesse il conto. Ogni osso, articolazione e muscolo bruciavano di dolore; il taglio sul pettorale continuava a perdere sangue per le continue sollecitazioni. Cercò di alzarsi ma finì nuovamente col ginocchio a terra. «Voi...» cominciò sentendo un nodo alla bocca dello stomaco farsi sempre più insistente. Sputò constatando sangue nella saliva. Non gliene fregava. «Voi due dovete sparire da qui. Harris se ti vedo ancora respirare la sua stessa aria giuro su quanto mi è più caro al mondo di ucciderti. Non me ne fotte un cazzo di nulla, le devi star lontano. Capito Harris?! Ti ammazzo e non ci sarà la tua fidanzata a salvarti. Ti ammazzo, lo giuro.» Urlò con tutto l’odio che riusciva a provare dentro di sé. «E tu White ascoltami bene. Non tornare più in quella casa, se sento ancora il tuo odore White vengo a cercarti e ti ammazzo. È colpa tua se lei è così adesso, hai capito? TUA. Avvicinati ancora a lei e sei morta. Siete morti entrambi maledetti figli di puttana!» E quello era un giuramento che stava facendo ad entrambi. Axel non era mai stato tanto serio in vita sua: se li avesse saputi di nuovo vicino a Skylee li avrebbe uccisi con le sue stesse mani, senza magia, quello sarebbe stato troppo semplice, con le sue mani assaporando il piacere di porre fine alle loro inutili esistenze. Finalmente riuscì ad alzarsi e scoccando un’ultima occhiata torva ai due si voltò per tornare alla casa, per tornare dalla sua Skylee.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.
     
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