Blinded by the dark.

Axel

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    La nottata in Alaska non sarebbe potuta passare peggio di come era realmente trascora. Non avevo chiuso occhio un singolo secondo e al contrario, una sorta di iperattività si era impadronita del mio corpo e mi aveva portato a fare mille cose diverse, pur di non pensare a ciò che era accaduto con Axel. Ero consapevole che quello fosse solo il suo ennesimo tentativo di tenermi lontana dalla sua vita e da tutto il marcio che sosteneva sempre abitarla, non ero una sprovveduta, lo capivo bene, eppure faceva male, dannatamente male ed era frustrante come poco altro in vita mia. Riuscii forse a riposarmi leggermente con il sorgere dell'alba. Amavo osservarla, era il momento della giornata che più preferivo è mi rilassava sempre tanto studiarne con lo sguardo le diverse sfumature dalle tonalità calde e pastellate, ma la consapevolezza che di lì a poche ore mi sarei dovuta far trovare perfetta e impeccabile nella sala dei rinfreschi dei Dragonov, mi infastidiva a tal punto da riuscire addirittura ad annebbiare la sensazione di calma infusa da quei colori.
    La giornata trascorse fortunatamente in fretta e come da programma riuscii ad evitare il Bulgaro fino a sera, quando, dopo esserci alzati da tavola, decise di portarmi all'esterno con una scusa decisamente poco realistica. Certo. I giardini di notte. Ero sicura che quella che volesse fare fosse davvero una romantica passeggiata al chiaro di luna, luna che fra l'altro, non era ancora nemmeno sorta. Fortunatamente. «Ti interessa davvero?» Sibilai fredda come la Siberia incrociando le braccia al petto. «Non mi pare sia accaduto, quindi...» Feci spallucce lasciando morire quel principio di discussione sterile che non ci avrebbe portato da nessuna parte. Avevo questioni decisamente più importanti da sottoporgli e il tempo a me concesso per farlo, sarebbe terminato con il sorgere della luna piena. «Awww, che tenero, quindi ora lo fai per me?» Domandai fingendo un tono di voce dolce ed emozionato, mentre come una vera stronza gli ribaltavo ciò che la notte prima mi aveva sputato addosso con fare velenoso. Ero stufa di dargliela vinta ogni volta e ormai avevo deciso, per ogni suo atteggiamento freddo, distaccato e odioso, gliene avrei restituiti indietro almeno il doppio, forse così avrebbe capito quanto fosse detestabile il suo comportamento nei miei confronti. «Ieri notte sono andata a casa mia, in Alaska» Ammisi fissando il mio sguardo nel suo per scrutarne a fondo le opache sfumature di emozioni che si sarebbe potuto far scappare. «Sono andata ad accertarmi che non ci fosse nessuno e che continuasse a non esserci anima viva pure per tutto il resto della settimana....» Continuai certa che il mannaro non stesse rousciendo a cogliere ciò che sottilmente stavo lasciando intendere. Mi ero assicurata che le mie sorelle si tenessero alla larga dalla casa per lui, per consentirgli di trasformarsi libero e in totale tranquillità. «Quindi... visto che ieri notte hai deciso di fare lo stronzo e non mi hai permesso di proporti ciò per il quale ti avevo chiesto di raggiungermi...» Già, il sesso non era mai stato il reale motivo per il quale avevo voluto vederlo, anche se poi, come succedeva sempre quando i nostri corpi si avvicinavano più del dovuto, mi ero lasciata trasportare e avevo ceduto al richiamo della sua carne. «A te la scelta Axel... o vieni con me in Alaska e ti trasformi senza rinchiuderti in una squallida cella di un sotterraneo del terrore, oppure questa sera io me ne andrò, senza però ritornare in mattinata... perché mi dispiace, ma non potrei sopportare di dovermene stare per giorni e giorni zitta, buona e ferma in camera mentre tu, qualche piano più sotto, ti rinchiudi come una bestia e permetti a te stesso di farti del male. Non posso accettarlo. È una crudeltà...» Non ti lascerò perdere. Questo gli avevo detto la sera prima e questo avrei fatto.
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    Non mi importava quanto complicato me lo avrebbe reso, sarei stata sempre un pochino più determinata di lui nel portare a termine ciò che mi ero prefissata di fare e su questo ne potevo essere certa. Certa quasi quanto lo ero del suo rifiuto imminente. Me lo sentivo, sapevo che avrebbe protestato e per quanto gli avessi assicurato che la scelta sarebbe stata sua, mentivo, perché come lui l'aveva tolta a me, tentando di impedirmi di stargli vicino, aiutarlo ed essergli amica, io l'avrei tolta a lui, in caso di rifiuto, imponendogli per una volta, il mio di volere. Volere che lo vedeva libero da quelle quattro solitarie mura della sua cella personale, libero dalle catene mentali con le quali imprigionava la possibilità di vivere una vita migliore e decisamente più appagante. «Lo sai che non ti proporrei mai questa cosa se non fossi totalmente certa della sicurezza del luogo. Casa mia si trova letteralmente in mezzo al nulla, è divisa dal resto del mondo da un lago troppo esteso per poterlo superare a nuoto e la zona è disabitata e incantata affinche nessun babbano ci possa mettere piede, nemmeno per sbaglio. Ci viviamo solo io e le mie sorelle e ho chiesto loro di non tornare per questi giorni... quindi... non ci sarà nessuno...» Lo guardai con occhi imploranti mentre istintivamente mi avvicinavo di qualche passo a lui per potergli sussurrare tali informazioni nella più totale intimità. Non volevo che qualcuno ci sentisse e non era mia intenzione rivelare ad altre persone quale fosse l'esatta posizione del mio rifugio personale. «Non ti sto chiedendo di accettare la tua natura, di correre spensierato in mezzo ai boschi o altro, ti sto solo implorando di non costringerti a passare queste notti dentro una schifosa cella, Axel per favore, ascoltami per una volta... se poi non vorrai più avermi intorno va bene, ma almeno permetti a te stesso di tentare una nuova strada...» Una strada migliore. Sibilai a denti stretti con tono gentile e apprensivo, mentre costringevo me stessa a non abbassare lo sguardo per venire meno al suo, penetrante, a volte ostile e decisamente difficile da sostenere.
    ★ ★ ★
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    Edited by Skylee. - 19/5/2022, 00:41
     
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    Dio quanto le avrebbe cancellato dalla faccia quel sorrisetto appena accennato, l’aria da presuntuosa so-tutto-io che aveva costantemente e specialmente nei suoi riguardi. Axel strinse la mascella cercando di dominare l’irrefrenabile impulso, quanto desiderio impellente, di cancellarglielo a suon di ceffoni. Con un uomo al suo posto non avrebbe esitato ma l’educazione, il suo stesso onore e l’etica che lo guidavano, gli impedivano di fare tanto; senza contare che la forza della bestia avrebbe potuto tramortirla se non direttamente lasciarla morta al suolo. I giorni prima erano sempre così, il mannaro era una bomba ad orologeria letteralmente prossima all’esplosione, perennemente sull’orlo di una trasformazione accidentale e con i poteri del lupo amplificati dall’influsso lunare. In giorni come quello era sua abitudine sparire dalla circolazione, isolarsi, chiudendosi nella sua stanza o vagando in posti che avevano il profumo di casa, di sicurezza, come poteva esserlo diventata il limitare della Foresta Proibita. Lì non vi si aggirava mai nessuno – a causa del divieto – e lui, sprezzante delle regole e troppo pieno di sé per considerare il pericolo, osava addentrarsi in quei giorni salvo poi rientrare al castello qualche ora prima l’innesco definitivo della maledizione, ma lì, lì in Bulgaria, in quella che doveva essere casa ma che in realtà era un luogo estraneo e pieno di dolore, nulla di tutto questo era stato possibile. I suoi nervi erano a fior di pelle come mai lo erano stati prima di allora. Le poche ore di sonno della notte precedente e la tensione con la Corvonero gravavano sulle sue spalle come un macigno procurandogli picchi di rabbia, delusione, fastidio. «Ti interessa davvero?» Axel strinse le labbra voltando di poco il capo quasi in un tacito segno d’avvertimento. “Métis non mi provocare, non adesso” avrebbe voluto dirle ma si limitò ad espirare sonoramente allargando di poco le narici, gli occhi verdi brucianti. «Solo perché non è accaduto non lo rende meno grave razza di stupida.» Sibilò con fervore. Come faceva a sminuire così il pericolo? Era davvero così sciocca da non rendersi conto che in quel ballo si stavano giocando le vite di entrambi? Che lei, soprattutto lei, se i suoi l’avessero scoperta avrebbero demolito sul nascere ogni possibilità della vendetta che andava programmando e costruendo, così intendeva portare a termine il suo piano? Affondando entrambi? «Non lo faccio per te» replicò laconico, quasi come un disco rotto, giusto per non darle la soddisfazione di farle capire che realmente si era preoccupato e continuava a preoccuparsi per lei. «Nel caso tu non te ne sia resa conto siamo legati a doppio filo. Se vuoi affondare fallo almeno senza trascinarmi con te», la fissò, per un lungo istante incatenando i suoi occhi ardenti come braci in quel gelo che rappresentava il suo sguardo. Fiera, arrogante, superba, avvolta in quell'aura di austerità e determinazione, Dio quanto era bella e Dio se l’avrebbe baciata. Avrebbe morso quelle labbra rosse costringendo la lingua a danzare con la sua mentre le mani, Dio, le mani si sarebbero fatte strada lungo il suo corpo valicando il sottile diaframma rappresentato dai vestiti. Sollevò lo sguardo oltre la sua testa, espirando, spronandosi a contenere quel picco di desiderio nei suoi confronti che smorzò la rabbia che provava. «Dove sei stata?» Le parole uscirono dure, spigolose, come l’accento donatogli dalla sua terra ma come altre volte era capitato altre frasi, altri messaggi, erano contenuti e celati in quelle poche parole. Era stanco di quella perenne guerra. Dove sei stata? Perché te ne sei andata... Via... Da me. Hai corso pericoli? Non riusciva nemmeno lui a capire il perché di quell’apprensione, il perché gli importasse così tanto di quella bionda testarda e ribelle... eppure.
    «Ieri notte sono andata a casa mia, in Alaska. Sono andata ad accertarmi che non ci fosse nessuno per tutto il resto della settimana» Axel aggrottò le sopracciglia non capendo il perché di quella premura. Dovevano rimanere lì, a Nesebăr, cosa poteva mai fregargli se la casa al “Polo” era o meno abitata dalle due gallinelle che chiamava sorelle? Fissandola di sottecchi la spinse a camminare continuando in quella farsa tutta dedicata alle spie di sua madre che si aspettavano l’illustrazione del giardino salvo poi, qualche metro più tardi, fermarsi ai piedi dell’immenso salice piangente a pochi passi dal gazebo dove erano stati seduti solo al giorno prima. Le parole della Corvonero furono inaspettate. Gli chiedeva di andare con lei in Alaska quella notte, di trasformarsi lì ed... essere libero, libero di sfogare la natura di quella sua parte immonda. «No» sussurrò a fior di labbra inclinando il capo all’indietro e quella non era la sua risposta, no, quello era un sussurro disperato. Perché doveva sempre metterlo in quella posizione cercando di decidere cosa era meglio per lui? Perché? Perché doveva insistere? «Métis, smettila, non sai di che parli» rispose, il tono tormentato, incapace di fissarla, eppure lei non demordeva passando alla più esplicita minaccia. «Skylee, non posso. L’anti-lupo non funziona con me... capisci cosa vuol dire? Non me ne frega un cazzo del dolore della trasformazione» quella era una forma autolesionista con cui accettava la sua colpa espiandola di mese in mese, volta per volta, «sarei fuori controllo. Tu cosa faresti? Dove ti nasconderesti? In casa? Riuscirei a fiutare il tuo odore anche a kilometri. Skylee, non farmelo fare ti prego» nei suoi occhi verdi, vitrei, era possibile leggere il dolore, la colpa di cui si era macchiato dieci anni prima e non voleva succedesse di nuovo.
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    «Ti prego cazzo!» Sbottò alzando di poco il tono, la disperazione nella voce. «Porca puttana! Cazzo! Lo capisci che non posso pensarti senza protezioni?!» Sola per di più! Avrebbe sfondato qualsiasi porta perché sicuramente la casa della ragazza, la piccola modesta casetta che lui immaginava, non era per nessun motivo protetta e adatta a reggere la furia e soprattutto la forza di un lupo. «Per una singola, fottuta volta, lasciami fare.» Per favore. La implorò, il verde dei suoi occhi implorante. Aveva capito che il suo era un ultimatum, che davvero, se non l’avesse seguita, lei sarebbe andata via... per sempre. Una sensazione familiare, bruciante ma allo stesso tempo pesante aveva avvolto la bocca del suo stomaco gravando sul suo stato emotivo. Paura, ecco cos’era e come si chiamava quella sensazione che solo pochi giorni prima, quando alla lezione congiunta era stato drogato, lo aveva investito e che ora, naturalmente, si presentava costringendolo a guardare alle situazioni con le lenti dell’ansia. «Ti prego Skylee, lasciami il controllo» lasciami proteggerti.
     
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    Il piano era semplice. Fottutamente semplice. Così semplice che in sole poche frasi, Axel, seppe far venire pian piano sempre meno la mia forza di volontà. Forza che sarebbe servita a impormi su di lui per evitare che potesse continuare sulla strada che di lì a pochissime ore, lo avrebbe portato a rinchiudersi in un sotterraneo per trasformarsi, a detta sua, in totale sicurezza. Chissene importava se per raggiungere tale sicurezza si sarebbe dovuto trattare come una povera bestia rinchiusa in gabbia, chissene importava... no? «I-io potrei passare la notte in paese, c'è una locanda lì...» Tentai di portare avanti l'ombra di quel piano perfetto, che pezzetto dopo pezzetto, diventava sempre più sbiadito. Quelle poche volte che il Bulgaro decideva di usare il mio nome, al posto di quel cognome che tanto detestavo e tanto gli richiedevo di non usare, il mio petto aveva come un sussulto. Un piccolo e fastidioso sussulto che me lo faceva percepire così vicino, intimo, seppure udito da fuori quello non sarebbe sembrato altro se non un semplice nome. Un normalissimo modo per richiamare l'attenzione del proprio interlocutore, ma per me non era così. Non lo era affatto. Quel nome era sincerità e non capitava spesso di vedere il Serpeverde realmente sincero. In così poco tempo si era rivolto a me in tale modo già due volte e davanti a tale comportamento, la mia volontà non potè fare a meno di vacillare. Lo vedevo lì, immobile, bellissimo ma al tempo stesso tormentato, un forte dolore a piegarne i lineamenti e un tono che non gli era mai appartenuto a modificargli la voce. Mi stava supplicando di non obbligarlo a fare ciò che gli avevo appena chiesto di fare e fu in quel preciso momento, in quel breve e intenso istante, che la mia volontà venne infine a meno del tutto. «Lo capisci che non posso pensarti senza protezioni?!» Deglutii sentendo il fiato mozzarsi in fondo alla gola. Lo guardai mortificata mentre tentavo di obbligare il labbro inferiore a ricongiungersi col suo gemello superiore, mentre ribelle, continuava a protendere verso il basso, lasciandomi con un espressione imbambolata sul volto. Axel non si era mai scomposto tanto nel rivelare le sue intenzioni o opinioni in merito a qualsiasi argomento, eppure ora mi stava riservando una totale sincerità, mentre emotivamente nudo, mi confidava cosa realmente lo tormetasse. Io. La mia protezione. Il sapermi al sicuro. Al sicuro da lui. «Axel, io...» Non riuscii a trovare le parole giuste per esprimere ciò che avrei voluto gridare a gran voce in quel momento. «Scusami» Mi limitai a pigolare mentre osservanolo di sottecchi, incapace di sostenere uno sguardo carico di dolore e tormento come il suo, cercavo di mettere assieme le parole con cui ribattere alla sua sincerità. «Ti prego Skylee, lasciami il controllo» Come avrei potuto imporre su di lui il mio volere? Con quale coraggio mi sarei potuta permettere di trascinarlo, come da piano originale, in Alaska nonostante il suo disaccordo? Come avrei potuto fargli ciò? Non potevo. Semplicemente non potevo e più lo vedevo così dannatamente esposto, vero e finalmente sincero nei miei confronti e più tutto ciò che la mia mente riusciva a concepire di fare era affondare le mie affusolate dita fra i suoi capelli scuri e cercare con estremo desiderio le sue morbide labbra per intreciarle alle mie. «Io...»
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    Cominciai per poi cedere, debole e fin troppo suscettibile alla sua sola presenza, ai desideri della mia mente confusa, andando così a cercare improvvisamente le sue labbra per unirle alle mie e farle socchiudere entrambe per accogliere al loro interno la lingua dell'altro, in una danza seducente e vecchia di secoli. Premetti il suo imponente fisico contro al tronco del salice accanto a noi e continuando ad assaporare il gusto delle sue labbra, passai prima le mani fra i suoi capelli leggermente più lunghi del solito e poi sul suo viso, fino ad arrestarne la corsa in prossimità delle sue guance, per accarezzarle e stringerle appena mentre allnontanavo solo di pochi millimetri il mio viso dal suo. «Ti ho mentito...» Ammisi incapace di tacere oltre. «Avevo intenzione di portarti in Alaska a prescindere dalla tua risposta...» Ammisi premendo la mia fronte contro la sua mentre a mia volta, con estrema fatica, provavo di essere sincera nei suoi confronti. «I-io non me ne sarei mai potuta andare via in questo modo...» Continuai sollevando finalmente lo sguardo per intrecciarlo al suo, ancora sofferente e in grado di far crollare ogni mia convinzione con un solo battito di ciglia. «Non lo avrei mai fatto Ax... mai, ok?» Mi strinsi a lui cingendogli l'ampio petto con entrambe le braccia per poi affondarci, con fare dispiaciuto, il viso dai lineamenti ormai provati da tanta onestà. «Non era mia intenzione costringerti ad affrontare un qualcosa che non ti senti pronto a fare... non volevo toglierti il controllo, è solo che... è solo...»
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    Piegai lievemente verso l'alto il volto dalle gote arrossate per incontrare il suo sguardo verde smeraldo. «È solo che mi fa male vederti soffrire, o anche solo saperti sofferente e solo mentre afronti una simile tortura... mi fa un male atroce...» Confessai stupendomi per prima di tali parole. Non ero cosciente di quanto a fondo fossi preoccupata per le sue sorti. Prima di all'ora mi era sempre venuto automatico stargli accanto per aiutarlo ad affrotare determinati momenti della sua, nostra, vita, ma solo adesso mi rendevo conto del perché lo facessi. Era perché a lui ci tenevo e perché nonostante tutti i miei tentativi di mentire a me stessa, convincendomi che quasi mi stesse antipatico, ero finita per affezionarmici e l'avevo fatto in un modo talmente graduale e naturale, che nemmeno mi ero resa conto del effettivo momento in cui ciò era accaduto. «Non ti obbligherò a seguirmi in Alaska se non te la senti di farlo, nonostante sia forse il luogo più sicuro in cui potresi trovarti questa sera» Lo rassicurai con tono dolce e apprensivo. «Ma sappi che non demorderò, in un modo o nell'altro risucirò a farti stare meglio, a farti sentire libero, felice...» Affermai con una sfumatura di grinta nella voce, mentre con tono deciso gli dicevo che prima o poi ce l'avrei fatta. Lo avrei fatto sentire finalmente vivo e felice, perché era ciò che si meritava, ciò che volevo provasse.
    ★ ★ ★
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    Axel
    Poteva passare la notte in paese, replicò, la voce incerta, tremante. Sì, avrebbe potuto, eccome se avrebbe potuto se il loro fosse stato un banale litigio tra conviventi in cui una delle parti se ne andava di casa sbattendo la porta. Sì, in quel caso sarebbe stato più che fattibile ma il caso non era quello. Axel scosse lentamente il capo mentre i suoi occhi verdi la guardavano imploranti. No, non avrebbe potuto, non in quel caso, non con lui. Il lupo conosceva il suo odore e non si sarebbe fermato fino a che non l’avrebbe trovata, fino a che le sue fauci grondanti non avrebbero stretto nella loro morsa mortale l’esile corpo della Corvonero. «No» sentenziò, la voce ridotta a un soffio prima di tornare a supplicarla ancora e ancora. Soffriva, soffrivano, insieme. Uniti nello stesso dolore, impotenti davanti allo stesso muro che andava ostacolandoli. Skylee si scusò, visivamente mortificata dal dolore che involontariamente gli aveva inflitto ed il mannaro non poté fare altro che annuire, rassicurandola. Sapeva e lo aveva capito che ciò che aveva fatto era stato unicamente dettato dalla buona fede di lei ed era proprio questo che gli piaceva di lei, la sua purezza d’animo. Sì, gli piaceva e proprio per questo si era così dannatamente impuntato affinché non seguisse quel cammino di odio e vendetta con niente poco di meno che Ethan. Lui l’avrebbe corrotta, rovinata, così come aveva fatto con lui. Così come era successo in Bretagna quando, troppo tardi perché potesse correre ai ripari, lei, in un moto incontrollato si era macchiata del più grande dei peccati uccidendo un uomo, ed Axel, purtroppo, lo aveva imparato sulla sua stessa pelle che da una colpa così non si tornava indietro. Ti cambiava, nel profondo, soprattutto all’inizio quando una coscienza era ancora presente e non ti permetteva di dormire riproponendoti invece, notte dopo notte, lo strazio perpetrato dalle tue stesse mani. Così doveva essere diventata la vita per lei dopo quel giorno che aveva cambiato tutto. Socchiuse gli occhi poggiando il capo contro quello della Corvonero, beandosi della freschezza della pelle candida al contatto con la sua perennemente rovente. Le sue dita fresche s'insinuarono tra i suoi capelli scuri e sentì la sua fronte premere e scivolare al di sotto del suo volto facendosi strada verso le sue labbra che subito risposero a quel bacio carico d’urgenza. La strinse a sé, quasi fosse la loro ultima volta insieme e si abbandonò al suo tocco che si fece via via più sfrontato fino a spingerlo contro il busto del salice dove il mannaro replicò mordendole il labbro con desiderio. Dio quella bocca! Non ne era mai stanco! Le poggiò le mani sui fianchi pronto a sollevarla da terra ma le dita di lei scesero lungo le sue guance in un tocco delicato, dolce, e piano si scostò dal suo viso lasciandolo bramoso, lo sguardo acceso e ardente di desiderio. «Ti ho mentito...» Le sopracciglia del bulgaro si aggrottarono mentre un lampo di dolore e tormento squarciava quei meravigliosi occhi così vivi. Il cuore saltò in gola mentre una voragine d’ansia si apriva nel petto. Cosa? Cosa stava per fare? Voleva andarsene comunque? Quello era stato un bacio d’addio? Nulla di tutto ciò. Lei sarebbe rimasta e giurava che mai avrebbe potuto farlo a quel modo, ma avrebbe potuto farlo in altri? Il peso si affievolì, ma non scomparve del tutto e mai sarebbe scomparso, il dubbio, l’angoscia generata da quella possibilità sarebbero sempre rimasti in fondo alla sua anima a corroderlo, a tormentarlo. L’avvolse tra le sue braccia mentre avvertiva il suo viso premersi ed affondare nel suo petto così come il suo voltò affondava tra i suoi scompigliati capelli biondi assaporandone il delicato profumo. Miele forse? E qualcos’altro... Qualcosa che non riconosceva e si fondeva con la pelle di lei tramutandosi in qualcosa di unico.
    «Ma devo» replicò semplicemente alle sue parole tormentate, l’accenno di un sorriso appena appena velato. Era la sua maledizione dopotutto: a prescindere dal funzionamento dell’anti-lupo le sue ossa si sarebbero comunque rotte, la pelle strappata così come i muscoli per ricollocarsi in una forma nuova. «È la mia condanna» le sue spalle si sollevarono per poi ricadere fiacche un’istante dopo mentre sulle labbra, quel velo di sorriso, andava increspandosi maggiormente senza mai arrivare agli occhi. Quelli no, verdi come il mare d’inverno, freddi e trasparenti come il vetro, tormentati, tristi, arresi a quella che in tutto e per tutto era una realtà oramai consolidata. «Chissà? Magari un giorno...» replicò più per cortesia che perché ci credesse davvero. Erano dieci anni che ci provava, dieci anni in cui lui ed Ethan tentavano di trovare una quadra con la formula e più sembravano avvicinarsi più il suo corpo rigettava quella quiete piegandosi in spasmi dolorosi dati dal vomito. Accarezzò la pelle morbida di lei sfregando la superficie del polpastrello contro la guancia liscia e delicata, il suo viso che andava premendosi con dolcezza mentre gli sguardi rimanevano incatenati. «Va bene così» è già più di quanto possa chiedere... Fosse dipeso dal Bulgaro sarebbe rimasto a contemplare, ad imprimersi nella mente ogni dettaglio del suo volto prima che la luna lo reclamasse, sarebbe stato il suo piccolo segreto, il suo piccolo angolo di gratitudine mentre ogni cosa attorno a lui andava sfaldandosi. Ma il destino aveva scelto diversamente.
    L’espressione del mannaro mutò d'improvviso, lo stupore misto al dolore ne piegò e alterò i lineamenti mentre lasciava andare la Corvonero dalla sua stretta e la spingeva gentilmente a distanza. «No! Il mio tempo!» Farfugliò tenendosi il ventre mentre andava piegandosi su sé stesso. Era presto, doveva essere presto, ma quando alzò gli occhi al cielo la vide, fulgida e scintillante si stagliava nel cielo che andava sempre più inscurendosi. «V-va via! Va nella tua camera» sputò. Parlare su quel dolore era complesso. Facendo leva contro il tronco si rimise in piedi a fatica e spingendosi con la mano cominciò a camminare a passo sostenuto piegandosi unicamente al soggiungere di uno spasmo. Senza guardarsi indietro procedette spedito, l’urgenza di andare nella cella, doveva fare in tempo. «Chiudete tutto e non permettete a nessuno. A nessuno di passare» ringhiò afferrando per il colletto una guardia prima di scendere al primo livello difensivo sprangato dall’acciaio balistico.
     
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    Affondare il viso nel petto di Axel era sempre così dannatamente confortevole, caldo, accogliente. Quando le sue braccia si stringevano attorno a me pareva quasi, per un breve attimo, di trovarsi a casa. Non avevo idea di quale casa fosse, sapevo solo che era quella in cui mi sarei sempre voluta ritrovare, seppure le volte in cui ciò capitava, erano estremamente rare. Assaporai ogni secondo di quella stretta tanto sincera e seppure costantemente timorosa che l'umore del Bulgaro potesse mutare ancora una volta, allontanandomi malamente da sé come aveva fatto in Bretagna, tentai di essere sincera e gli spiegai che in alcun caso, per alcun motivo, avrei potuto abbandonarlo per una simile ragione e forse neppure per alcuna altra ragione, seppure questo, difficilmente lo avrei ammesso. Mi sentivo spaventata, percepivo che qualcosa fra noi stava mutando e ne ero felice, ma al tempo stesso terrorizzata, perché avvicinarsi a lui, sentirlo finalmente vicino in un modo nel quale a nessun'altro, probabilmente, avrei mai permesso di avvicinarsi, significava anche che in caso di un ulteriore allontanamento, ne sarei uscita ancora più rotta e sofferente di come ci ero entrata. Lo guardai con occhi da bambina quando lo riscoprii sereno su ciò che gli avevo appena confessato, allaragai un enorme sorriso scoprendo i denti bianchi come il latte e lo strinsi a mia volta a me. Mi sentivo finalmente bene e avrei voluto non dover mai spezzare quell'abbraccio, ma sapevo che sulle nostre teste, come una spada di Damocle pronta ad affondare la sua lama affilata nel Srpeverde, la luna continuava a divenire sempre più vivida. Le mie dita si spostarono verso quelle di axel, intente ad accarezzare con dolcezza le mie gote lievemente arrossate e insinuandosi fra gli spazi che le separavano, le strinsi fra le mie, per poi avvicinarmi lentamente il suo palmo alle labbra per sfiorarlo e baciarlo con fare gentile. Come da previsione, per quanto perfetto fosse quel momento, non era destinato a durare a lungo e difatti, sentendomi allontanare con grande urgenza dalle braccia del Bulgaro, capii immediatamente che qualcosa non andava. Guardai istintivamente verso l'alto e scoprii che il tempo sembrava essere passato più velocemente di quanto non lo avessi percepito. Per quanto eravamo rimasti avvinghiati l'uno all'altra? Non ne avevo idea, ma ciò che invece era ben più che evidente, era quanto Axel si sentisse male. Lo vidi piegato su se stesso mentre tentava di reggersi in piedi grazie al supporto del tronco del salice e capendo che da solo non avrebbe probabilmente fatto in tempo a raggiungere quelle celle dalle quali avevo tanto tentato di tenerlo lontano, fui io stessa ad aiutarlo a raggiungerle, venendo così meno all'ordine da lui appena impartitomi. Non che fosse una novità, entrambi sapevamo quanto poco incline fossi a farmi abbaiare addosso ordini, ma in quella situazione, in quella precisa e dannata situazione, il mio corpo aveva rifiutato il suo ordine solo e soltanto per consentirgli di arrivare il prima possibile nel luogo che lui aveva identificato come sicuro, e così feci. Cercai di sorreggerlo come meglio riuscivo fino all'entrata del castello, stando ben attenta che in lui non si innescassero principi di trasformazione e solo quando giungemmo nei pressi di un gruppetto di guardie, lo lasciai andare per consegnarlo alle loro braccia ben più forti delle mie per permettergli di farsi condurre fino ai sotterranei. Fu difficile resistere all'impulso di seguirlo per assicurarmi che giungesse a destinazione, ma obbligai ogni fibra del mio corpo a farlo, per lui, per rispettare il suo volere. Mi trascinai lentamente verso la direzione opposta a quella dei sotterranei e lì, appollaiata vicino alle scale, come un rapace intento ad osservare la sua preda, vidi Elena, la madre di Axel, che dopo avermi riservato un occhiata indecifrabile, fece dietro front e si diresse verso i suoi alloggi. Non c'era nulla da aggiungere, lei ormai sapeva quanto a fondo fossi a conoscenza dei segreti di suo figlio, ero stata io stessa, durante quel pomeriggio assieme, a dirglielo. Lo avevo fatto per evitare che la situazione degenerasse fino a tal punto da dover richiamare all'attenzione la mia famiglia, mentre, durante quella prima notte di luna piena, avrei voluto trascinare assieme a me in Alaska, il Serpeverde, anche se alla fine il mio piano non era andato per nulla a buon fine. Non ne era sembrata affatto sorpresa e anzi, sul suo volto era apparso quasi un sorrisetto compiaciuto non appena le avevo rivelato di essere a conoscenza delle condizioni di suo figlio, come se l'esserci arrivata prima che glielo confidassi, la facesse sentire in un qualche modo appagata. Non potevo sapere che idea si fosse fatta di me, nipote di una prestigiosa famiglia di purosangue, pronta a sporcare così la mia discendenza per legarmi in matrimonio con un mannaro, ma quel che importava era che nonostante tale informazione, non avrebbe potuto fare assolutamente nulla per mettermi in difficoltà con la mia famiglia, perché lei per prima, se solo i Métis fossero venuti a conoscenza di come aveva tentato di ingannarli sulla purezza del sangue della sua stirpe, sarebbe finita in guai probabilmente più grossi dei miei.
    Continuai a trascinarmi fino alla torre nella quale si trovava la stanza a me riservata e durante il tragitto notai che una delle guardie mi teneva sotto stretta osservazione affinché la mia meta finale, fosse stata quella prestabilita e non le celle dentro le quali le ossa del Mannaro cominciavano a spezzarsi per fare posto all scheletro dell'animale. Immaginai che tale guardia fosse una gentile concessione di Axel, che preoccupato per ciò che avrei potuto fare, conoscendomi, aveva fatto in modo che qualcuno controllasse i miei movimenti e quindi, nonostante fossi contrariata dalla cosa, tentai di ubbidire almeno fino alla mattinata seguente e rimasi chiusa nei miei alloggi per tutta la nottata. Non riuscii a chiudere occhio nemmeno per sbaglio e per quanto improbabile fosse, mi sembrò addirittura di udire le urla tormentate del Serpeverde, ero a pezzi, prossima al crollare dalla stanchezza che ormai cominciava a farsi sentire per le due nottate quasi totalmente prive di riposo, ma era per me impossibile, in quel momento, riuscire a stendermi per assopirmi e godermi di qualche ora di sonno.
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    Axel

    Axel era testardo, molto testardo e più spiccato della sua testardaggine c’era solo l’orgoglio ma persino a quello dovette piegarsi quando l’incipit della trasformazione lo piegò riducendolo al terreno. Finì in ginocchio, gli spasmi che gli contorcevano le membra e riducevano le mani ad un tremore incontrollato. Un ringhio gli nacque nel petto ed un movimento convulso del capo, che roteò, gli permise di trattenere l’urlo bloccato in gola. Nessuno, nessuno lo avrebbe visto piegarsi al dolore. Potevano metterlo in ginocchio, potevano spezzargli le ossa, potevano persino maledirlo con la cruciatus ma dalla sua bocca non sarebbe mai uscito un lamento. Durmstrang su questo lo aveva forgiato bene e prima di essa Ethan e prima ancora suo padre con i suoi assurdi addestramenti. Le mani di chiunque lo avevano addestrato come una macchina e se adesso si poneva come uno stronzo insensibile era unicamente a causa di questo passato di privazioni. Nella sua vita non aveva mai conosciuto altro al di fuori della violenza, che fosse fisica o psicologica. Questo prima di Skylee, questo prima delle premurose mani della Corvonero che nonostante il suo ordine ringhiato con una voce più animale che umana si apprestava a soccorrerlo ancora e ancora una volta. Sentì le sue mani posarsi fredde sulle guance, tastarne il viso accertandosi del suo stato di salute e poi, ostinata quanto lui, infilarsi al di sotto della sua spalla aiutandolo a rimettersi in piedi. «Vai» gli uscì, il tono una preghiera al posto dell’ordine che doveva essere ma lei rimase stoica al suo fianco, prendendosi parte del suo peso, aiutandolo a contenere gli spasmi fino a trascinarlo nell’atrio dove tre guardie erano di turno. Arrivò di corsa anche la quarta che li aveva tenuti d’occhio fino a quel momento per riportare ad Elèna ogni cosa e seguendo le istruzioni della Corvonero gli uomini lo affiancarono sorreggendo quel ragazzo che doveva essere in realtà il loro padrone. Lanciò un’ultima occhiata alla bionda, un muto grazie per aver acconsentito al suo volere e si voltò lasciandosi aiutare a raggiungere il sottosuolo. Il gruppo avanzò oltre il primo lastrone di isolamento e si fermò quando il corpo del bulgaro si contrasse in un ringhio animale inarcandosi. Con uno strattone si liberò delle guardie e con un ringhio feroce ne afferrò una inchiodandola con il collo al muro. «Piantati al culo di Skylee, non perderla d’occhio un secondo» ringhiò, gli occhi ardenti che vibravano di collera. La voce roca era quasi irriconoscibile. «Proteggila a costo della vita, chiaro?» Si leccò i canini accentuati e quando questi annuì lo lasciò andare. L’uomo quasi cadde al suolo dopo essere stato sollevato di venti centimetri dalla stretta del mannaro, nessuno dei presenti aveva alzato un dito e quando questi lo liberò scattò alla volta del seguito della Corvonero mentre il bulgaro ordinava loro di sigillare il primo livello. Man mano che avanzavano verso la cella, i grandi lastroni di acciaio balistico venivano calati chiudendo il passaggio da ambo i sensi. Nessuno sarebbe riuscito ad entrare e, si sperava, lui non sarebbe riuscito ad uscire quella notte e le prossime.
    «Chiudi» ordinò una volta entrato nella cella. Il portone venne quindi sbarrato con sonori tonfi e macchinazioni che echeggiarono nel silenzio e nella desolazione di quel luogo. Si avvicinò alla parete trattenendo ad occhi chiusi il dolore di un ulteriore spasmo. Prese un respiro ed infilò i polsi tremanti nei grossi anelli d’acciaio, la placcatura d’argento purissimo sfrigolava sulla sua pelle, bruciandola. Il suo viso si contorse in una smorfia mentre la superficie fredda del metallo entrava in contatto con la sua pelle, dove l’argento sfiorava dapprima la zona andava arrossandosi, poi delle piccole bolle si gonfiavano sulla superficie finendo per scoppiare con lo sfregamento prepotente del metallo. Un dolore che andava sommandosi ad un nuovo dolore. Axel strinse gli occhi, i pugni tremanti lungo i fianchi mentre dentro di sé un’onda lo scuoteva. Urlò. Cadde a terra, i palmi cozzarono contro il suolo mentre si piegava infilando la testa nell’incavo del gomito. Continuò ad urlare per il dolore lancinante, un dolore incalcolabile, insormontabile, la potenza di una cruciatus scagliata e moltiplicata ad ogni cellula del suo corpo mentre esso mutava prepotentemente. Due schiocchi, seguiti da altri di rumorosità inferiore vennero coperti dalle sue urla straziate mentre le gambe si piegavano ad una angolatura innaturale, le rotule oramai spezzate di netto ed immediatamente sigillate ad una nuova articolazione, differente, animale. Si sollevò dal pavimento di pietra e si aggrappò alla parete, lunghi artigli neri, affilati avevano preso il posto delle dita. Dalla sua bocca l’urlo che uscì era tutto fuorché umano. Si buttò sul pavimento, piegandosi sulle ginocchia rovesciate e mentre graffiava il suolo la sua schiena si gonfiò oltremisura strappando i lembi del suo vestiario, lasciandolo nudo mentre quell’escrescenza in movimento non faceva che strappargli gemiti e urla. Poi il silenzio, dalla gola dell’umano più nessun suono. La pelle si lacerò e fiotti di sangue sgorgarono da entrambi i lembi mentre una folta pelliccia scura faceva capolino scuotendosi dai residui organici di quel corpo umano. Una grossa testa pelosa, le faci grondanti bava, emergeva dal corpo dilaniato che un tempo era appartenuto al Serpeverde. La Bestia chinò il muso annusando la carne ed ergendosi sulle quattro zampe reclinò il capo al contrario lanciando un forte ululato alla volta del soffitto. Il castello riecheggiò di quel suono ed il gelo inondò le stanze mentre il grosso lupo nero cominciava con forza a tirare le catene, più tirava e più l’argento penetrava e bruciava la pelle rendendolo più irrequieto. L’animale tentò per tutta la notte di liberarsi ringhiando, ululando, dilaniando le carni del corpo inerte ed ingollandosele per placare la sete di sangue. Non ebbe riposo per tutta la notte, tentando in tutti i modi possibili di liberarsi dalla sua prigionia ottenendo solamente nuove ferite. Fu solo al giungere dell’alba che la bestia cominciò a ciondolare priva di forza, azzardò un paio di passi e sfinita crollò al suolo lasciando lentamente il posto ad un corpo umano privo di sensi dai cui polsi scivolavano leggeri rivoli cremisi.


    Edited by Dragonov - 3/6/2022, 17:44
     
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    Non mi ero mai sentita tanto sola in una stanza prima di quel momento e questo era tutto un dire, dato che la solitudine accompagnava ormai da tanti anni la mia quotidianità. Ero circondata quasi costantemente da svariate persone, prime fra tutte le mie sorelle, eppure continuavo a sentirmi sola, vuota e abbandonata a me stessa. Non serviva uno specialista per affermare che gli svariati lutti che avevano caratterizzato la mia infanzia non li avevo mai del tutto superati, o anche solo elaborati. Sentirmi strappare dalle braccia di mio padre in una maniera così violenta era stata stata per me la crepa interiore che non ero mai riuscita a risaldare del tutto. Avevo conosciuto la felicità, mi ero sentita libera e al sicuro, ma tutto ciò mi era stato portato via e mi aveva obbligato a vivere in un vortice di solitudine e sofferenza nel quale mai nessuno era arrivato a capire risiedessi. Avevo sempre finto di stare bene, di essere felice e spensierata e diamine quanto mi veniva bene, mai nessuno aveva sospettato per un solo momento che ciò che i loro occhi vedevano, non rispecchiasse la realtà. Forse qualcuno ci era andato vicino a scoprirlo, ma poi io, prontamente, ero riuscita a togliergli tale idea dalla testa. Ci ero riuscita con chiunque, con chiunque tranne che con Axel. Lui era in grado di scuotere così forte la mia stessa essenza più interiore, da spogliarmi completamente dalla maggior parte delle maschere e dai finti sorrisi che ero solita indossare. Lui mi rendeva nuda ed esposta, ma non era questo ciò che più mi spaventava, tanto più la consapevolezza che io stessa, in un qualche modo che non mi era dato comprendere, fossi felice che lo facesse, che a differenza di chiunque fosse in grado di vedere la vera me e che a modo suo, fosse addirittura in grado di apprezzarla. Era questo ciò che più di qualsiasi altra cosa cominciava a spaventarmi, perché se solo avesse cambiato idea o avesse iniziato a capire che in realtà ciò che vedeva non gli piaceva affatto, se solo avesse allontanato tutto il marcio che da tanti anni cresceva dentro di me, sarebbe stato l'ennesimo schiaffo emotivo che avrei ricevuto, ma questa volta il segno che avrebbe lasciato sulla mia pelle, sulla mia interiorità, sarebbe stato indelebile.
    Fu dura lasciar trascorrere tutta la nottata con tali consapevolezze che crescevano in me, ma fu ancora più dura farlo cosciente del fatto che in alcun modo, durante quelle serate di luna piena, sarei stata in grado di alleggerire le sofferenze di Axel come lui invece, inconsapevolmente, era sempre in grado di fare con me. Mi ripromisi che in un qualche modo, in un qualche assurdo e difficile modo ci sarei però riuscita, prima o poi e fu con tali pensieri che affrontai la notte rannicchiata all'angolo di una parete, mentre incapace si dormire, continuavo a fissare inesorabilmente il vuoto.
    Fu solo alle primissime luci dell'alba, quando finalmente la luna lasciò il suo posto ad un ancora acerbo sole, che il mio corpo si ridestò e senza quasi poterlo controllare si avventò verso il baldacchino per spogliarlo del copriletto e di un soffice cuscino intonso. Aprii poi la massiccia porta di legno che segnava il limitare della mia stanza e senza preoccuparmi di farlo di soppiatto, cominciai a scendere le imponenti scalinate della torre per avvicinarmi, piano dopo piano, ai sotterranei. Percepii ben presto la presenza di una figura alle mie spalle, ma non me ne curai e continuai a scendere quegli scalini che parevano essere dinuti infiniti. Solo quando raggiunsi i piani inferiori percepii una mano bloccarmi dalle spalle e con il fuoco negli occhi mi voltai verso la figura che per tutto il tempo aveva continuato a seguirmi, pronta a divorarla senza remore di coscienza. «Non posso farla procedere oltre, mi dispiace, ho ordini ben precisi» Esclamò uno voce sicura e decisa. Senza lasciar passare un solo secondo da tale affermazione incantenai il mio sguardo a quello della guardia e con tutta la forza che avevo in corpo feci valere la posizione che in realtà ancora non mi spettava, per potermi imporre su di lui. «Io sono la tua futura duchessa e in quanto tale non mi farò dare ordini da te!» Sputai rabbiosa incenerendolo con lo sguardo. «Sono, sono ordini del duca, mi ha chiesto di proteggerla e vietarle l'accesso ai sotterranei, mi dispiace» Continuò la guardia tentando di giustificare il suo comportamento. «Dentro a quelle celle non c'è ormai più niente o nessuno in grado di mettere in pericolo la mia vita, dentro quelle celle c'è solo una persona e io ora pretendo di raggiungerla, subito!» Ringhiai intransigente avanzando di qualche passo verso la guardia, con sguardo capace di sciogliere pure il più impenetrabile dei metalli. «Ora tu mi condurrai lì e mi permetterai di raggiungere il duca senza che nessuno possa impedirmi di farlo, o giuro che quanto è vero il nome dei Métis, farò tutto ciò che e in mio potere pur di farti rimpiangere tale scelta, sono stata chiara? Lui non merita di restare da solo in questo momento...» Conclusi poi con fare più pacato e uno sguardo apprensivo ad ammorbidirmi i lineamenti. Non seppi mai se furono i toni autoritari o quello stesso sguardo a convincere la guardia a condurmi verso i sotterranei, fui solo grata all'uomo che ne vestiva i panni di avermi permesso di stare vicina ad Axel.
    Poco prima che le spesse placche di acciaio balistico si sollevassero, rivolsi un ultimo sguardo alla guardia incaricata di proteggermi e mi scusai per i modi troppo aggressivi con i quali mi ero posta a lui. Non li meritava, lui aveva solo adempiuto alla perfezione ai suoi doveri e io ero stata mossa solo e soltanto dell'urgenza di raggiungere il Bulgaro per accertarmi delle sue condizioni, che ormai erano divenute l'unico pensiero sopravvissuto nella mia mente.
    Quando finalmente la porta metallica si aprì, lasciò scorgere uno spettacolo agghiacciante che mi obbligò a portarmi una mano all'altezza delle labbra. «Chiudi!» Sibilai con voce tremante mentre ordinavo di sigillare nuovamente il passaggio per permettermi di restare totalmente sola assieme ad Axel. Lo vidi ricurvo su se stesso con i polsi incatenati a solide manette appese al muro. Non riuscii a credere ai miei occhi e incurante di quanto ogni fibra del mio corpo si sentisse morire per via dei lembi di carne e delle macchie di sangue che ora sporcavano lo scuro pavimento in pietra, mi avvicinai al Serpeverde e con un incantesimo lo liberai dalla stretta che le manette avevano sui suoi polsi insaguinati. «Come puoi farti questo ogni mese?» Domandai con voce spezzata e tremante, cosciente che il ragazzo privo di sensi non mi avrebbe potuto udire. Con il corpo di Axel ancora accasciato contro al mio, che a fatica ne sorreggeva il peso, castai un paio di incanti atti a ripulire la stanza dai resti di quella che era stata una brutale trasformazione.
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    Non avevo mai avuto modo di vedere con i miei occhi ciò che ne restava di un corpo dopo la trasformazione in lupo, le poche volte in cui Vanja si era trasformata in nostra presenza, lo aveva sempre fatto nel bosco dietro casa, lontano dai nostri occhi e in chissà quale posizione precisa, ma ora, ora che vedevo la brutalità che tale maledizione portava con sé, non potevo fare altro che sentirmi orribile per il modo con il quale solo poche ore prima avevo, senza volerlo, minimizzato i termini di tale trasformazione. Appoggiai il cuscino a terra e ci distesi a pochi centimetri il copriletto e solo allora, lasciandolo ricadere dolcemente verso il suolo, permisi al corpo di Axel di stendersi affinché potessi curare come meglio potevo le sue ferite. Il materiale presente in quella stanza degli orrori era pressoché nullo, ma dentro a un mobiletto appeso al muro riuscii a individuare una boccetta di essenza di dittamo, che prontamente utilizzai per rimarginare almeno in parte le ferite sui polsi del mannaro. Le manette con le quali si era incatenato dovevano essere fatte con l'argento, unico materiale in grado di non permettere a un lupo di rimangiare da solo le proprie ferite e incapace di accettare tanta crudeltà verso se stessi mi domandai come Axel riuscisse ad autoimporsi tanto dolore, io dubitavo sarei mai stata in grado di farlo e ciò denotava una grandissima forza di volontà in lui, forza che però, lo costringeva a farsi ciò ogni dannatissimo mese pur di riuscire in un qualche modo a contenere e controllare il corpo del lupo che lo dominava totalmente. «Prima o poi riuscirò a farti soffrire di meno, te lo prometto» Pigolai con un velo di lacrime a bagnarmi gli occhi, mentre sul corpo ancora incosciente del ragazzo castavo svariati ferula per avvolgergli nelle bende quei poveri polsi martoriati. Ne afferrai con fare gentile uno e prima che le bende gli si potessero avvolgere attorno lo osservai tristemente, soffermando lo sguardo sulle profonde cicatrici che lo circondavano e gliele baciai con estrema leggerezza per evitare di provocargli più dolore di quanto non potesse già provare, lo avrei fatto stare meglio, non importava quanto ci sarebbe voluto, non mi sarei mai arresa. Coprii il suo corpo rimasto nudo degli abiti con i quali era entrato nella cella e mi ci ranicchiai vicino stringendolo appena fra le braccia, solo allora permisi finalmente pure a me stessa di riposare, capace unicamente in quel modo di trovare finalmente la pace necessaria ad accettare l'esaurirsi delle forze, perché cosciente di essere nuovamente a casa.
    ★ ★ ★
    Prefetta Corvonero | Scheda | Mailbox | Pensatoio

    Conclusa <3


    Edited by Skylee. - 31/5/2022, 19:37
     
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