Blinded by the dark.

Axel

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    Axel
    «Per beccarmi una stalattite di ghiaccio in mezzo agli occhi?!» Si puntò con la bocca della bottiglia la fronte prima di continuare. «No thanks» concluse in un sibilo quella stoccata che le aveva appena lanciato. Una sorta di: guarda che ho capito, anche se realmente la sua era solo una congettura che trovava sempre più forza e conferme nei comportamenti della Corvonero. Incrociò le braccia scolandosi un goccio prima di passare ciò che rimaneva della bottiglia alla ragazza e si appoggiò alla parete osservandola mentre con superbia usciva dalla vasca stringendosi l’asciugamano all’altezza del seno. Il telo di spugna stretto all’altezza del seno ne stringeva le carni accentuandone il solco e lo sguardo del Serpeverde difficilmente non poté non cadere in quella direzione. Si concesse un’occhiata prima di sbuffare dandole le spalle per uscire dal bagno. «Hai ragione, ormai sarai così abituato a vedere corpi nudi che uno vale l'altro, mh?» Si voltò parzialmente per scoccarle un’occhiata interrogativa. Quella cos’era? Gelosia? Un colpo di risa lo scosse e lasciò che lei lo oltrepassasse indignata beandosi della clessidra perfetta che disegnava il suo corpo, il vitino sottile che si apriva in un mandolino perfetto quanto sodo. Stava ancora contemplando la perfezione del suo sedere quando lei virò immediatamente l’argomento su quella conversazione che tanto le premeva quanto al bulgaro non andava minimamente. Axel s’irritò immediatamente sfilando dalla tasca interna della giacca il necessario per rollarsi una sigaretta. «Ovvio che non ti basta un no, non saresti tu altrimenti» bofonchiò seccato mentre pescava il tabacco sminuzzato dal sacchettino e lo distendeva all’interno della cartina. «Figuriamoci se ti lasci scappare l’occasione di rompermi i coglioni, certo che no!» Ovvio che no! Infilò con stizza il filtro all’estremità e leccando il margine della cartina sigillò la sigaretta. «... Inflamare» concluse l’incanto poggiando la punta della bacchetta sul tubicino che pendeva dalle labbra e inspirò una prima e grossa boccata di nicotina mentre la Métis sgranava i grossi occhi bicolore basita dal suo comportamento. «Perché chiudi così le porte a un'alternativa che non ti ho nemmeno ancora proposto?» Sbottò, i suoi occhi lampeggiavano di rabbia. «Perché non sai un cazzo!» sbottò Axel a tono sporgendosi minaccioso verso di lei. «Cosa cazzo ne sai di cosa vuol dire trasformarsi?! Lo hai mai fatto? No, allora fatti i cazzi tuoi!» Tuonò dimentico della sigaretta che stringeva tra le dita. Il suo petto prese a sollevarsi immettendo nuova aria ad un ritmo più accelerato. «Certo che prendo l’anti-lupo. Per chi cazzo mi hai preso? Solo che... indovina un po’ sapientona di sto’ cazzo? Non funziona con me!» Ringhiò con eccessiva foga ficcandosi nuovamente tra le labbra la sigaretta. Si alzò dal baldacchino prendendo a misurare l’ampiezza della stanza a grandi passi. Arrivava ad un estremo ed immediatamente faceva retro-front partendo verso la direzione opposta. «Il sotterraneo mi conterrà, è stato progettato apposta» e questa volta non sarebbe accaduto nulla, non doveva, non poteva, ma la certezza più assoluta nessuno poteva dargliela. «Se questo mese la pozione non funzionasse, l’acciaio balistico terrà la bestia, puoi dormire sonni tranquilli che non ti ucciderò nel tuo letto» sfiatò sprezzante l’ennesima stoccata aspirando una nuova boccata da una sigaretta che non aveva minimamente sortito l’effetto tranquillante che desiderava. Perché doveva sempre farlo incazzare? Perché non poteva prendere per buone le sue scelte e doveva sempre metterci il becco anche quando non richiesta? Ma che cazzo ne sapeva lei? Sfiatò l’aria dai polmoni con forza continuando a misurare la stanza con nervosismo. «Io... io vorrei solo poter parlare serenamente con te» pigolò Skylee abbassando il viso imporporato sulle mani giunte in grembo. Axel si fermò osservandola intensamente mentre il respiro affannoso andava via via calmandosi. «...Come hai fatto dopo la Bretagna, io davvero, a volte non ti capisco, mi detesti così tanto?» Lo aveva rifiutato, che si aspettava? Avrebbe voluto urlarle infuocandosi di nuovo ma rimase invece impalato mentre lei, con difficoltà crescente, snocciolava quello che era un tarlo che sembrava averla tormentata a lungo. «Mi trovi davvero così disgustosa da non poter nemmeno parlare apertamente con me?» Gli occhi eterocromatici brillavano alla luce fioca delle lampade da tavolo, lucidi di lacrime che nascevano nel loro fondo. «Ma porca puttana», Axel strinse il pugno allontanandosi da lei per prendere posto alla scrivania. Tirò la sedia voltandola in direzione del letto e vi prese posto affondando lei dita nei capelli bruni. «Métis...» cominciò, ma s’interruppe immediatamente non sapendo bene come esprimere ciò che pensava. Si passò una mano sul viso premendo con forza i polpastrelli sugli occhi. «Métis ma mi hai visto? Cazzo ma lo vedi che sono una bomba ad orologeria?!» Sempre sul punto di scoppiare, sempre sul punto di perdere le staffe e... «potrei ucciderti in uno scatto d’ira, lo capisci?» Perché cazzo continuava a perdere tempo con lui, a volergli stare vicino, a preoccuparsi per lui. «Io non posso avere legami Métis. Qualsiasi cosa tocco la rovino, la rompo definitivamente» uccideva senza remora e senza il minimo rimorso, chi voleva stare accanto ad una persona simile. «Io devo stare solo. Solo Ethan sa gestire la mia natura. Quando mi ha trovato in mezzo alla strada mi ha preso con sé, mi ha cresciuto Skylee e mi ha insegnato ad essere ciò che sono.» Nel bene e nel male. Ciò che stava dicendo alla Corvonero era sconnesso e quelle poche frasi non permettevano alla ragazza di costruire il quadro completo ma Axel, in balia di sé stesso non riusciva ad esplicarsi nella maniera migliore. «Sono rotto Métis, guasto. Lasciami perdere... lascia perdere tutta questa stronzata della vendetta. Vattene, fai perdere le tue tracce e rifatti una nuova identità altrove, lascia perdere tutta questa merda» concluse stancamente sbuffando l’aria che gli opprimeva la cavità toracica e scosse il capo abbassando lo sguardo, le dita che andarono nuovamente ad affondare nei capelli neri mentre la testa si muoveva lentamente in segno di diniego.


    Edited by Dragonov - 1/5/2022, 12:25
     
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    La frecciatina sulle stalattiti mi mortificò e mi fece abbassare velocemente lo sguardo verso il pavimento. In fin dei conti sapevo che una parte di verità si celava nelle sue parole. Ero una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in un qualsiasi momento per chissà quale stimolo eccessivo della mia sfera emotiva e probabilmente lui lo aveva ormai capito e forse era pure per tale ragione che aveva deciso di allontanarsi tanto da me, forse non voleva semplicemente avere nulla a che fare con un qualcosa, o beh, un qualcuno, di tanto instabile. Deviai velocemente il discorso su altri temi e dopo essere uscita dal bagno, ancora leggermente sgocciolante e con il telo in spugna stretto attorno al corpo, cominciai subito a snocciolare la questione per la quale avevo chiesto ad Axel di raggiungermi in stanza. «Non lo faccio certo per romperti i coglioni, idiota» Forse le motivazioni che mi spingevano a determinati comportamenti non erano sempre chiare, ma era spiazzante vederlo tanto convito di conoscerle, quando in realtà ciò che sosteneva non poteva scostarsi di più dalla realtà. Tutto ciò che mi interessava era saperlo al sicuro e libero, piuttosto che in un sotterraneo di un castello, intrappolato. «E tu che cazzo ne sai di cosa so e non so? Mh?» Mi sporsi a mia volta con fare seccato verso Axel. Il suo tono minaccioso e la sua espressione dura non mi intimidivano minimamente e non sarebbero di certo bastati ad ammutulirmi, anzi, forse furono proprio quelli a infuocare ulteriormente il mio spirito. Magari non sapevo cosa volesse dire doversi trasformare ogni santissimo mese, sentire la pelle lacerarsi per fare spazio al manto del lupo, o contorcersi ad ogni osso rotto, ma Vanja lo sapeva eccome e sia io che Ellie avevamo sempre cercato di assisterla come meglio potevamo durante le trasformazioni, e il mattino seguente, quando il suo aspetto tornava ad essere quello di una donna, non mancava mai di raccontarci i dettagli della sera prima, il dolore provato e le emozioni contrastanti che ne seguivano. Non avevo vissuto nulla di tutto ciò in prima persona, era vero, ma ormai avevo imparato a familiarizzare con tutto ciò che riguardava la trasformazione ed era per tale motivo che mi sentivo in dovere di esprimere i miei dubbi a riguardo, perché se Vanja poteva trasformarsi senza il bisogno di rinchiudersi da nessuna parte, pure lui poteva farlo. «Cosa? Non ha senso Axel... l'antilupo che fornisce la scuola funziona con chiunque, perché mai con te non dovrebbe farlo?» Lo rimbeccai incapace di accettare che sul serio a lui non sortisse alcun effetto. Non aveva il minimo senso ciò che diceva ed ero più che certa che se assunta in maniera corretta, tale pozione non falliva mai, percui i casi erano soltanto due, o lui mentiva, oppure assumeva in maniera scorretta la pozione, perché altrimenti avrebbe dovuto fargli effetto per forza. «Puoi dormire sonni tranquilli che non ti ucciderò nel tuo letto» Le sue parole arrivarono violente a me e mi fecero corrucciare non poco le sopracciglia, indignata. «Sei un coglione!» Sbottai incapace di trattenermi oltre. Non potevo credere che lui pensasse veramente che ciò che premeva a me fosse unicamente la mia sicurezza, il sentirmi al sicuro e il temere una sua eventuale fuga, mentre al contrario tutto ciò a cui pensavo era unicamente la sua sicurezza e tranquillità e a come non gli avrei voluto permettere di segregarsi come un animale feroce in una gabbia fatta su misura di lupo. Era un deficiente se davvero credeva ciò ed era evidente che tutto quello che usciva dalle mie labbra, venisse sempre distorto dalla sua mente per estrapolarne conclusioni errate, mai nemmeno concepite dal mio cervello. Feci un respiro profondo lasciandomi cadere sul materasso e attingendo ad ogni briciola di coraggio che avevo in corpo, tentai di spiegargli con tono tranquillo, seppure leggermente tremante, ciò che realmente pensavo, provavo e volevo. La risposta che il Bulgaro mi diede fu però molto lontana da quella sperata e anzi, mi fece perdere totalmente quel briciolo di buonsenso e pacatezza che avevo tentato di mantenere fino a quel momento e alzandomi di scatto dal letto lo raggiunsi con poche e veloci falcate per puntargli il dito indice in mezzo al petto. «Sai cosa? Se te vuoi arrenderti a tali pensieri ok, ma io non sono fatta così. Non accetto che tu ti pianga addosso in questo modo e soprattutto non tollero che tu mi venga a dire cosa dovrei o non dovrei fare! Decido io per chi o per cosa perdere il mio tempo» Non era un problema mio se lui credeva di essere immeritevole, di amore, accettazione o comprensione da parte di nessuno. Non era un mio problema se credeva che l'unico modo di andare avanti fosse in solitaria e che tutto ciò che avrebbe toccato si sarebbe trasformato in cenere. Perché non mi interessava. Non ero d'accordo con lui e soprattutto a differenza sua non ero solita farmi abbattere da quelli che erano solamente ostacoli e nulla più. Nulla di impossibile da superare, nulla di impossibile da accettare o apprezzare. «Dimmi, credi di essere l'unico a questo mondo a non sapersi controllare? O l'unico a ritenersi irrimediabilmente rotto? Io mi sveglio con questa convinzione ogni singola mattina, eppure tento in ogni modo di riscattarmi, di diventare la versione migliore di me e sono consapevole che non sia per nulla facile farlo, ma almeno ci provo» Esclamai con un velo di lacrime rabbiose che mi rendevano gli occhi lucidi e lo guardai con un espressione dura ma al tempo stesso comprensiva mentre i miei occhi bicolore si fondevano nei suoi. Volevo che capisse che io non lo vedevo come si vedeva lui e che al contrario di quanto diceva, non trovavo fosse minimamente una perdita di tempo stare al suo fianco, non provavo paura o disgusto in sua presenza e anzi, probabilmente quei pochi momenti in cui eravamo realmente rousciti a parlare, erano stati fra i più sinceri e piacevoli che avessi vissuto da ormai troppo tempo. «Io non mi arrenderò mai davanti a nulla e a nessuno, mettitelo bene in testa Axel, non lo farò mai» Affermai ammorbidendo i lineamenti e il tono della voce. Il mio dito indice abbandonò il petto del ragazzo e si ritrasse fino ad annodarsi assieme alle dita della mano libera che tenevo all'altezza del grembo. Me le stavo martoriando puntandoci sopra le unghie, ma non riuscivo a tenerle ferme. Ero nervosa e irrequieta, volevo solo che Axel comprendesse le mie parole e che la smettesse di continuare a chiudermi la porta in faccia. Volevo riuscire ad abbattere le sue barriere tanto alte e possenti, ma al tempo stesso avevo paura anche solo di tentare di farlo, perché mi sarei sentita umiliata se pure dopo tanto impegno e sincerità da parte mia, la risposta del Bulgaro fosse stata l'ennesimo no, l'ennesimo muro impenetrabile. «Axel...» Pronunciai il suo nome con dolcezza e mi sforzai di mantenere lo sguardo fisso su di lui anche se sentivo le gote andarmi a fuoco e temevo che presto il cuore mi sarebbe schizzato fuori dal petto per quanto nervosa e agitata fossi. «Non mi interessa ciò che tu pensi di te stesso, tu non sei irrimediabilmente rotto e io non ti lascerò perdere...» Continuai riducendo la voce a un sussurro quasi impercettibile, sapevo che lui mi avrebbe udito comunque, ma con un tono tanto basso, mi sembrava più facile essere totalmente sincera con lui e con me stessa, perché era un po' come parlare fra sé e sé, un po' come parlare a qualcuno che comprendeva sempre le tue parole, perché in fondo erano pure le sue. «Non mi allontare...» Mormorai con fare dolce mentre mi avvicinavo ulteriormente a lui fino ad appoggiarmi sulle sue stesse gambe con il bacino, incurante di un'eventuale protesta da parte del Bulgaro. Mi sentivo letteralmente morire dentro, avevo paura che mi rifiutasse, che ancora una volta se ne fregasse di quanto appena chiesto e mi allontasse con disgusto, temevo ogni sua minima reazione a dire il vero e ciò mi tormentava. «Permettimi di avvicinarmi a te, ti prego, non ti chiedo altro» La mia voce si fece nuovamente quasi impercettibile, ma questa volta, dopo aver tentato di sistemare più comodamente i fianchi sul corpo del mannaro, gli pronunciai le parole quasi all'orecchio, appoggiando poi la fronte sulla sua tempia con fare intimo. Avevo il fiato corto e la voce lievemente affannata, sentivo il petto prossimo a un'esplosione e non avevo idea di come poter tornare totalmente in me. La timorosa e mai tanto intraprendente me.
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    «Voglio solo conoscerti e capirti...» Continuai premendo ulteriormente il mio bacino verso il suo in cerca di una reazione da parte del Serpeverde. Non sapevo nemmeno più chi muovesse il mio corpo, chi decidesse le mie parole, ero unicamente in balia della confusione mentale, ma forse andava bene così. «Lasciami far parte della tua vita Ax...» Mossi leggermente il capo andando alla ricerca delle sue labbra per sfiorarle con le mie, desiderosa di un contatto con lui. «Per favore...» Quelle furono le ultime parole che pronunciai prima di gettarmi letteralmente nel vuoto senza alcun paracadute, mentre passavo dallo sfiorare le sue labbra al desiderarle con passione crescente e fiato corto, fino al farle mie in un impeto di coraggio e pazzia.
    ★ ★ ★
    Prefetta Corvonero | Scheda | Mailbox | Pensatoio
     
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    Axel
    Roteo gli occhi al cielo. “Non lo faccio per romperti i coglioni, idiota!” Certo, come no ed Axel ci credeva anche. Dopo quasi un anno di frequentazione principalmente forzata poteva dire di conoscerla – in parte – e di una cosa era certo, lei amava rompergli i coglioni, non c’era altra spiegazione altrimenti. Durante quell’anno Skylee non aveva fatto altro. Sembrava provare piacere a contrariarlo, rimbeccarlo con nuovi insulti e lui non era stato di certo da meno. Colpo su colpo glieli aveva restituiti tutti, a volte, persino infliggendo più danno di quanto fosse necessario. Un continuo pizzicarsi, stuzzicarsi, portarsi al limite negativo della pazienza dove presto gli animi s’infuocavano più del dovuto finendo in duelli improvvisati con la scusa, da parte sua, di educarla a quelle che erano le casistiche che avrebbero dovuto affrontare sul “lavoro” perché lui non doveva sempre pararle il culo. Scattò in piedi. «So esattamente cosa non sai perché non lo hai provato sulla tua fottuta pelle. Quando ti si romperanno tutte le tue cazzo di ossa per assemblarsi diversamente allora ne riparleremo!» Tuonò alzando di molto il tono. Fortunatamente nulla di quella guerra si sarebbe potuta avvertire all’esterno, l’incanto di riservatezza proteggeva da orecchie indiscrete il loro litigio che andava via via peggiorando di minuto in minuto. Axel cominciava a vedere rosso dalla collera che gli si andava accendendo, puntini neri ai lati del suo campo visivo lo allertavano della furia che covava dentro. Si lasciò cadere a sedere aprendo e stringendo le mani affinché il sangue portasse via quella scintilla di maledizione che, mantenendo quella strada, non avrebbe tardato ulteriormente ad innescare parzialmente la trasformazione. “Riesce a farmi incazzare il giorno prima della luna, ha dell’incredibile!” Pensò con veemenza definendo quanto quella bionda fosse un’attira guai per eccellenza. Lo aveva visto più di chiunque altro, più di quanto si concedesse, senza la maschera, nel suo vero “io” quando si arrabbiava, eppure, non smetteva una singola volta di tentare la sorte sfidando il suo temperamento infuocato. Ghiaccio e fuoco nell’eterna lotta alla supremazia, ecco cos’erano quei due messi a contatto. «Cosa? Non ha senso Axel... l'anti-lupo che fornisce la scuola funziona con chiunque, perché mai con te non dovrebbe farlo?» L’espressione sul suo volto mutò in piccato scherno, si stava prendendo gioco di lei. Ed eccoci qui signore e signori, la domanda da un milione di galeoni a cui il bulgaro tentava di rispondere da quando era un ragazzino. «Se lo sapessi secondo te mi rinchiuderei?!» Scontato, banale, eppure sembrava doverle ricordare costantemente di non essere l’unica ad avere un cervello pensante in quella stanza. Iniziava a stufarsi di tutto quello scetticismo per quell’informazione, sembrava che tutti dubitassero di fronte a quell’eventualità, come se in quanto tale una pozione dovesse funzionare sempre, a prescindere, invece eccolo lì, lui, l’eccezione che mandava a puttane la regola. Lui, che da quando aveva memoria aveva passato poche lune, quelle dei suoi primi anni col mago, in piena quiete. Già perché la pozione gliel’aveva sempre preparata Ethan e tutt’ora era così. Mese dopo mese gli inviava le preziose fiale di cui faceva uso, di cui di una, al mattino successivo, avrebbe mandato giù la dose che, con un po’ di fortuna, alla sera lo avrebbe mantenuto calmo nella sua prigione. «Non funziona, non so perché. Ha smesso di funzionare intorno ai sedici anni e da allora il tuo amato zietto cerca di trovare la combinazione funzionante! E per la cronaca non ci è ancora riuscito.» Fine delle argomentazioni. Era così, un dato di fatto ed Axel non dubitava minimamente che Ethan nascondesse qualcosa al riguardo. Lo aveva visto, lo aveva cresciuto in quello stato e spesso era stato ad un passo dal rischiare lui stesso la pelle con un giovane lupo incontrollato nel seminterrato. Axel gli aveva letto spesso la frustrazione sul lungo viso scuro quando al mattino seguente, dolorante e moribondo, aveva constatato l’ennesimo fallimento della sua creazione. Aveva smesso di funzionare, gradualmente, e da allora, ogni mese, Axel sperava che quello fosse il mese giusto, che finalmente, almeno la trasformazione, gli sarebbe divenuta lieve. Sperava e non sperava allo stesso tempo, troppo deluso dagli anni di fallimenti che andavano sommandosi. Fu proprio quel misto di sentimenti negativi a farlo sbottare in quell’ultima stoccata negativa che lasciò la Corvonero senza parole, le belle labbra schiuse dalla sorpresa di una frase così tanto sbagliata e così tanto distante da quella che era la sua natura. Poteva vederle, infondo agli occhi, lo scintillio delle lacrime di frustrazione. Poteva leggere sul suo volto la domanda inespressa ed espressa finalmente ad alta voce: perché mi detesti così tanto?
    Ma non la odiava, affatto, ed anzi, Axel sapeva dentro di sé che la stava soltanto ferendo gratuitamente, profondamente, perché lei, seppur nel suo modo irritante, gli era sempre stata vicina e aveva cercato un punto di contatto, come in quel momento stava cercando per l’ennesima volta di creare anche se lui si ostinava a non accettarlo. “Nessun legame” questo andava ripetendosi da una vita. Tenere lontano qualsiasi possibilità d’accettazione, di redenzione... d’amore, poiché per lui tutto ciò non era previsto, non era meritato. Imprecò tra sé portando alle labbra i residui di una sigaretta ormai terminata che finì di spegnere, schiacciandola con più forza del dovuto, in un posacenere sul tavolo. Quel mozzicone accartocciato divenne la valvola di sfogo della sua rabbia verso cui si accanì sbriciolandolo nella piccola ciotola di marmo nera. «Cazzo, cazzo, cazzo» inveì a denti stretti, tra sé, stanco e con un misto d’isteria. Era stanco di tutto e soprattutto di quella vita in tutte le sue sfumature ma non avrebbe ceduto, non se nel baratro avrebbe trascinato con sé qualcun altro. «Chi te lo fa fare, Métis, fottitene» concluse laconico mentre il suo viso si contraeva in una smorfia di dolore, stanchezza, arrendevolezza. Fu quella goccia a far traboccare la pazienza della Corvonero che scattò in piedi accesa da un impeto di rabbia che la portò a riversare tutta la sua frustrazione contro il bulgaro. Lei non si sarebbe arresa con lui questo gli stava urlando a pieni polmoni, gli occhi accesi e pieni della tempesta che le montava dentro. Avanzò a passo spedito contro il bulgaro ed Axel scattò, facendosi più ritto nella sua seduta, cominciando ad alzare le mani per tenerla a debita distanza, una distanza di cui lei, impudente, se ne fotteva prepotentemente. Era arrabbiata, furente, lui terribilmente instabile. Non la voleva così vicina, non con la luna piena dietro l’angolo. «Métis» l’avvertì con un sibilo che non sortì l’effetto desiderato. Skylee si scagliò contro di lui puntellando l’indice contro la camicia nera slacciata di alcuni bottoni. Abbassò poi la mano, torcendosela in grembo insieme all’altra. Axel rimase in silenzio, la mascella serrata e lo sguardo incandescente fisso sul volto di lei, lo sguardo basso che si rialzò successivamente pieno di una nuova determinazione mentre le labbra piene scandivano con dolcezza, una dolcezza che non gli era mai stata concessa prima, il suo nome. Socchiuse gli occhi di smeraldo, fissandola guardingo, non sapendo cosa aspettarsi da una creatura tanto temibile come lo era lei in quel momento. Ardente di vita e di decisione e bella come non lo era mai stata ai suoi occhi. Una dea della guerra pronta a farlo vacillare.
    “Nessun legame.”
    «Non mi interessa ciò che tu pensi di te stesso, tu non sei irrimediabilmente rotto e io non ti lascerò perdere...» gli mancò il fiato, il cuore perse un battito anche se esternamente nulla sembrava aver scalfito la superficie dura ed impassibile della sua espressione ma dentro, dentro il mannaro, tutto era in tumulto. «Non mi allontanare...» sussurrò seducente avanzando di un ulteriore passo. La schiena del bulgaro s’incollò alla seduta, cercando di mettere distanza ma era inutile negarlo, lo stava stregando con i suoi modi da pantera. Si sedette sulle sue gambe mentre una mano teneva ostinatamente il telo che le avvolgeva il corpo nudo e l’altra si poggiava fredda sulla pelle febbricitante del lupo. La reazione del suo corpo fu immediata. Axel la fissava, incapace di sottrarsi a quel tocco, a quella provocazione, bramando con ogni cellula del suo organismo d’impossessarsi di lei. La desiderava, la bramava come non aveva mai bramato nessun’altra donna.
    “Nessun legame.”
    Chiuse gli occhi di smeraldo. Doveva resistere. «Permettimi di avvicinarmi a te, ti prego, non ti chiedo altro» sentì il peso del suo corpo cambiare, le sue gambe aprirsi mentre sedeva cavalcioni su di lui. Era una tortura ciò che gli stava facendo, ciò che si stava facendo. Strizzò le palpebre stringendo i pugni che istintivamente, non guidati più dalla ragione si aprirono posandosi con possessività sulle cosce di lei. «Lasciami far parte della tua vita Ax... Per favore» un sussurro contro la sua mandibola dapprima serrata che si schiuse mentre il respiro si faceva affannoso.
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    “Nessun...”
    Il pensiero non ebbe il tempo di formarsi che la bocca della Corvonero si premette bramosa contro la sua. Ogni remora fu abbattuta ed immediatamente le labbra del mannaro si mossero fameliche rispondendo al bacio di lei. Le mani s’infilarono desiderose sotto il telo di spugna afferrando la parte posteriore della coscia, portandosi a cingere con le gambe di lei la vita. S’alzò in piedi ed in pochi passi raggiunse il limitare del baldacchino al centro della stanza dove la depositò con impeto sollevandosi e allontanandosi dalla sua bocca unicamente per sfilarsi la camicia che gettò in un angolo. Si avventò su di lei, sulla sua bocca, sul suo collo, baciando ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere manifestando quello che era il desiderio impetuoso che aveva di lei. Desiderio che aveva sempre avuto e che per scelta aveva dovuto reprimere mettendo avanti quelli che erano i suoi ideali.
    “Nes...”
    No, non quella notte. Quella notte la voleva sua, sua soltanto e del domani ci avrebbe pensato al mattino.
     
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    Quando dalle labbra del Bulgaro uscì il nome di Ethan, non potei che corrucciare istintivamente le sopracciglia. Ebbene era lui che gli preparava le pozioni e pure non volendoci vedere del marcio, mi era difficile credere che non ci fosse qualcosa sotto. Da quel che sapevo le pozioni della scuola erano funzionanti al cento per cento e lo erano su chiunque, nessuno escluso, eppure stranamente quelle che gli preparava Ethan spesso non facevano effetto, a detta del mannaro. Gli avrei voluto chiedere di più, domandargli se avesse mai tentato di prenderne una partita non preparata da quello che in un qualche modo era diventato per lui una sorta di padrino, ma ero piuttosto certa che qualsiasi cosa gli avessi domandato, sarebbe stata utile solo a farlo innervosire ulteriormente e mi dispiaceva farlo, per quanto Axel ne dubitasse. Fu forse pure per tale motivo che decisi di indirizzare ancora una volta il discorso altrove, verso una più intima e tormentata direzione. Poggiai la bottiglia dal liquido ambrato ormai quasi esaurito sul comodino e con frustrazione crescente vomitai contro al Bulgaro tutti i pensieri e tutte le domande che per troppo tempo mi ero tenuta dentro, permettendo così a me stessa di venir corrosa internamente dai dubbi e dalle incertezze fino a quel momento. Axel pareva unicamente contrariato e infastidito da quanto dicevo e con i suoi soliti modi di fare freddi e taglienti non si fece scrupoli a replicare a sua volta quanto appena fatto da me, facendo così una lista ben dettagliata di tutti i motivi per i quali sarebbe stato più saggio tenersi semplicemente a distanza da lui, perché lui non poteva avere legami con nessuno e non poteva permettersi di vivere un solo attimo di felicità, perché immeritevole di tutto ciò. Scossi animatamente il capo con fare contrariato e riempiendo i polmoni d'aria gli ringhiai contro quanto secondo me si sbagliasse e quanto le sue parole sarebbero state ininfluenti sulle mie scelte. Non mi importava se credeva sarebbe stato più facile vivere in quel modo, perché semplicemente non la consideravo vita e mi sarei battuta fieramente pur di farglielo capire, cosicché un giorno, magari, si sarebbe finalmente ricreduto. Fusi i miei occhi bicolore nei suoi e cercando di lasciar parlare il mio io più interiore tentai di cambiare tattica ammorbidendo i toni. Le mie parole si fecero meno taglienti e i miei lineamenti assunsero un aspetto più morbido e delicato. Feci ricorso a tutto il coraggio che avevo in corpo per fare ciò che feci, ma quando finalmente il Serpeverde sembrò abbassare le difese, poggiano addirittura le sue mani da prima tese e titubanti, sulle mie cosce con fare avido e passionale, non potei che esserne sinceramente contenta e intimamente compiaciuta. Non sembrava affatto intenzionato a rifiutarmi come tanto avevo temuto e al contrario, pareva provare lo stesso desiderio che passo dopo passo si faceva sempre più strada dentro di me. Le nostre labbra si incontrarono lascive ricercando con bramosia quelle dell'altro e senza la minima incertezza si socchiusero assieme per permettere alle lingue di intrecciarsi e assaporarsi a vicenda con gusto. Il mio respiro si fece immediatamente più affannoso, quando percepii le curiose mani calde del Bulgaro farsi strada verso la parte posteriore delle coscie, fino ad arrivare a sfiorarmi i glutei prima di sollevarmi con un colpo di reni per potermi adagiare sul materasso del letto a baldacchino. Lo guardai desiderosa mentre si liberava della camicia nera già leggermente sbottonata e non riuscii a nascondere un ampio sorriso genuino ed eccitato, quando dopo solo una frazione di secondo tornò a sovrastarmi con il suo corpo che pareva essere stato scolpito sul marmo per riempire il mio collo di una scia di baci incandescenti. «Non avevo idea di quanto mi fossero mancati i tuoi baci...» Ammisi con voce spezzata ed eccitata senza nemmeno rendermene conto. Tutti i miei freni inibitori mi avevano abbandonata e ora non desideravo altro che Axel. Le sue mani sulla mia carne, il suo tocco stranamente delicato e al tempo stesso deciso che sapeva sempre mandarmi in estasi e le sue labbra calde e brucianti premute contro le mie. Avrei voluto riassaporare quelle sensazioni all'infinito e non riuscivo a fare a meno di ricercare a mia volta, desiderosa, il corpo marmoreo del Serpeverde. Le mie dita si mossero con intraprendenza verso la vita del ragazzo, scivolando centimetro dopo centimetro verso il basso mentre scorrevano sul labirinto di cicatrici presenti sul suo petto. Avrei voluto posare le mie labbra su ognuna di esse e fargliele scomparire una ad una per magia, avrei voluto liberarlo da tutti i suoi demoni interiori, ma tutto ciò che mi era concesso fare in quel momento era desiderarlo con tutta me stessa e così feci. Volevo fare mio ogni centimetro del suo corpo e volevo che a sua volta si prendesse il mio senza remore di coscienza. Le dita scesero ulteriormente verso la sua cintura e dopo avergliela sfilata con lentezza, si insinuarono sotto al tessuto dei pantaloni per raggiungere ciò che ogni fibra del mio corpo reclamava a gran voce. Cominciai a sfiorare la zona con la mancina e incapace di attendere oltre feci pressione sulla sua spalla con la mano libera per invertire le nostre posizioni. Assaporai un'ultima volta le sue labbra morbide e gustose e poi presi a scendere con fare seducente. Baciai ogni centimetro percorribile della sua pelle con estrema avidità e soffermandomi per qualche istante sulla sua vita, cominciai a sbottonargli i pantaloni per potermi liberare prima di quelli e poi dei boxer fino a lasciare il suo corpo totalmente nudo. Lo fissai per brevi attimi con estrema adorazione e dopo aver intrecciato ancora una volta il mio sguardo al suo, senza distoglierlo per un solo attimo, permisi alla mia lingua e alle mie labbra di raggiungere l'oggetto del loro desiderio.
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    Dopo qualche secondo alzai leggermente la testa per osservare meglio il Bulgaro e con la chiara intenzione di farlo impazzire mi morsi le labbra e ci feci scorrere sopra la lingua per assaporarne il gusto, solo allora tornai a concentra tutta la mia attenzione sull'eccitazione ormai innegabile del ragazzo. Lingua e dita si spostavano assieme con movimenti lenti e delicati e le mie labbra accoglievano al loro interno il corpo del ragazzo con fare lussurioso, ma non mi bastava, volevo di più, volevo che mi prendesse e che mi facesse totalmente sua. Volevo sentire il suo corpo dentro il mio per tutta la notte, lo volevo vicino, estremamente vicino. Continuai a muovere la lingua facendola roteare sul corpo caldo del ragazzo e prima di tornare verso le sue labbra, non esitai ad accarezzare e stringere fra le mie dita tutta la lunghezza pulsante della sua mascolinità. Sentivo il mio cuore pompare sangue ad una velocità quasi spaventosa e percepivo il desiderio crescere in me fino a raggiungere picchi inesplorati. Ogni centimetro del mio corpo prendeva fuoco sotto al tocco del Serpeverde e nella mia testa non c'era più spazio per niente che non riguardasse lui o ciò che provavo in quegli istanti. Gli morsi le labbra con delicatezza e dopo essermi lasciata sovrastare nuovamente dal suo corpo, lo strinsi vogliosa a me con braccia e gambe, spingendo il suo bacino e la sua mascolinità verso il mio per riuscire a percepire il suo corpo premuto contro alla mia femminilità desiderosa di accoglierlo, ormai pericolosamente prossima a raggiungere il piacere anche solo grazie a quell'acerbo contatto. «T-ti voglio dentro di me Axel. Ora...» Sussurrai con voce dolce ed estremamente eccitata premendo le mie labbra scosse da piccoli tremiti lungo la sua mandibola. Qualche altro secondo e avrei perso totalmente il controllo del mio corpo.
    ★ ★ ★
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    Era stato bravo Axel ad evitarla fino a quel momento, ad evitare d’incrociarla, di parlarle, di starle anche solo semplicemente accanto, aveva tentato con ogni mezzo di evitare di entrare anche solo in contatto con la sua orbita al di fuori del lavoro. Il suo stesso istinto difensivo aveva finito per tenerlo a distanza con la scusa, che si era ripetuto quando con ostilità lo sguardo incontrava il suo nei corridoi, che era stata lei a rifiutarlo. Le aveva deciso di oltraggiarlo preferendo la vendetta alla libertà. La vendetta, che sciocchezza infinita, quale motore inutile e certo che lui se ne era servito diverse volte sia per motivi personali che per adempiere ad un ordine di Ethan ma alla fine, cosa ci aveva guadagnato? Nulla. Solo macchie indelebili che andavano a sporcare la sua anima, la sua coscienza, portandosi via pezzi di sé. Non aveva accettato quindi la facilità con cui lei aveva rifiutato quella possibilità di libertà. Lui, nonostante il vincolo matrimoniale che li avrebbe legati l’avrebbe lasciata totalmente libera e dall’alto dell’influenza del suo titolo, così ne era convinto, pensava che ciò sarebbe bastato alla sua famiglia a tenerli lontani. Almeno lei, sarebbe stata libera, di sé stesso gli importava fino ad un certo punto condannato com’era alla dannazione eterna. Proprio per questo quando la Corvonero lo aveva immediatamente rifiutato, senza nemmeno pensarci lui vi era rimasto scottato. “Stupida”, l’aveva bollata ricoprendola successivamente di altri insulti per aver gettato così semplicemente una soluzione che lui avrebbe colto al volo al suo posto e infastidito profondamente da ciò aveva attuato una politica di guerra fredda nei suoi confronti. Gliel’aveva fatta pagare abbondantemente e con gli interessi non perdendo la minima occasione per punzecchiarla con frecciatine di puro veleno a tenerla a distanza e a scongiurare un possibile approccio da parte sua. Tutto era filato liscio per mesi eppure, era poi bastato l’obbligo di Elèna a mandare in fumo i piani del figlio. Era bastato un nonnulla perché le forze interiori che li muovevano si scontrassero per ottenere un risultato totalmente agli antipodi dal desiderato. Axel aveva provato a resisterle, lo aveva fatto con tutte le sue forze mentre il pugno stretto sulla coscia nuda di lei tremava in cerca di decisione ma Skylee aveva usato tutte le sue armi. Bella come una dea si era seduta cavalcioni su di lui, l’asciugamano non più tenuto dalle sue dita sottili che scivolava sul corpo nudo provocando nel bulgaro fremiti d’eccitazione. Non poteva resisterle, non a lei, non a lei che c’era sempre stata nei suoi momenti di crisi, non lei che era riuscita in più di un’occasione a calmare gli inneschi di trasformazione parziale dettati dalla furia, sprezzante del pericolo e mossa solo da un sentimento che Axel non voleva, non poteva, definire quanto accettare. Il bacino nudo della Corvonero si mosse contro il cavallo dei suoi pantaloni, sollevandosi ed abbassandosi mentre la sua bocca percorreva una scia di baci dal collo alla mandibola, la voce ridotta ad un sussurro seducente, adorante, implorante che scioglieva come acido glicolico la sua determinazione. «Per favore», il bisogno che si rifletteva in egual misura in entrambi. Non ce l’aveva fatta.
    Axel incombeva sulla Corvonero, le difese e le remore completamente andate mentre baciava ogni centimetro di quella pelle fredda, bianca come il latte che arrossiva sotto il tocco deciso delle sue mani. L’afferrava, la stringeva a sé e con ogni intenzione possibile le manifestava il suo desiderio, il suo bisogno di lei. Si avventò sul collo baciando e succhiandone la carne mentre la ragazza gemeva sommessa dimenandosi sotto di lui, la stessa brama a guidarne i movimenti. Come due naufraghi in una terra inospitale accoglievano il corpo dell’altro, la presenza dell’altro, come fosse manna, impossibilitati a staccarsi, ora che si erano ritrovati. Le dita del bulgaro si premettero sulla linea della mandibola mentre le bloccava il capo contro il materasso e con il pollice le sfiorava le labbra lasciando che esse ne succhiassero e mordessero la carne. «Non avevo idea di quanto mi fossero mancati i tuoi baci» ansimò senza fiatò mentre lui, tronfio di sé continuava ad assaporare la sua pelle. Non era la prima volta che si sentiva rivolgere quelle parole, in qualche letto si era infilato più volte per spegnere la mente ma era la prima volta che quelle parole andavano più a fondo dello strato di soddisfazione personale. Sapere che Skylee lo aveva desiderato in quel senso, sapere che avesse pensato a lui che si fosse eccitata al desiderio bruciante di quel momento lo infiammava ulteriormente. «Dio Métis!» Chiuse gli occhi, abbandonandosi a sua volta mentre tra le labbra ne assaporava il seno succhiando con avidità la pelle delicata per appropriarsi poi del suo ventre e nuovamente della sua bocca. La bionda si aggrappò alla sua spalla verso cui in seguito applicò pressione spingendo il bulgaro a ruotare sul letto in cui si lasciò cadere fissandola con occhi adoranti mentre lei, nuovamente, prendeva il comando del suo corpo come altre volte aveva già fatto in passato. Per loro non era una prima volta ma un ritrovarsi, un esatto rivedersi dopo una lunga separazione che aveva messo alla prova i loro corpi bisognosi l’uno dell’altra. La lasciò fare inspirando famelico l’ossigeno, il petto che si sollevava e abbassava vistosamente mentre lei, senza discostare lo sguardo di un istante gli sfilava gli ultimi capi finendo per fissare ammirata il risultato della sua provocazione. Axel si tirò su leggermente, pungolando i gomiti sul materasso fissandola ipnotizzato mentre lei si mordeva le labbra e finiva poi per scendere su di lui assaporando il suo punto più sensibile. Le iridi verdi lasciarono il posto alla sclera bianca mentre le lunga ciglia scura fremevano dal godimento che Skylee donava al suo corpo. Imprecò a fior di labbra mentre istintivamente le mani andarono a circondare i capelli di lei sollevandoglieli dal volto senza mancare di guidare il suo movimento, di accompagnarlo insieme al bacino mentre lei succhiava avida. «Porca puttana Métis, mi farai impazzire»
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    ma la verità era che era già pazzo di lei, di loro, anche se, al mattino dopo avrebbe negato ogni cosa a sé stesso.
    La sovrastò ancora con il suo corpo, dominando quella figura tanto sottile, delicata, che pareva quasi di cristallo contro il suo, muscoloso, scultoreo, le cicatrici, tra cui quella argentea, la più grande, che risaltavano alle flebili luci della stanza. Intrecciò le dita della macina con le sue portandogliele al di sopra del capo e poggiandosi con tutto il peso sulla dominante entrò dentro di lei strappandole un lungo gemito che andò a moltiplicarsi col movimento dapprima lento dei bacini fino a che la frenesia non contaminò ogni cosa.


    Edited by Dragonov - 4/5/2022, 23:47
     
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    Ora che il mio corpo riconosceva e riapprezzava il tanto seducente e capace tocco del Serpeverde, mi domandavo come avessi potuto permettergli per tanti mesi di privarmene. Sentivo il desiderio crescere in lui, percepivo come il suo corpo ricercasse il mio con bramosia e mi chiedevo per quale sciocco motivo avesse deciso di non replicare più un qualcosa di tanto piacevolmente appagante per entrambi. Sciocco. Questo era. Sciocco ed egoista. Perché se voleva privarsi di qualcosa che lo faceva stare tanto bene era liberissimo di farlo, ma non aveva nessun diritto di imporre pure a me stessa una tanto frustrante decisione. Fin dagli albori di quella che era stata una sorta di amicizia di letto, nata in circostanze che chiunque altro avrebbe definito quantomeno bizzarre, lui era sempre stato la mia valvola di sfogo, un punto fermo, per quanto inizialmente sconosciuto, che mi permetteva di poter essere me stessa senza paura che segreti di cui non potevo fare parola, venissero rivelati. Ci conoscevamo poco, quasi per nulla, quando finnimmo per la prima volta a letto assieme, quasi ci odiavamo addirittura e forse senza nemmeno il quasi, eppure le circostanze ci avevano imposto di conoscere uno gli sporchi segreti dell'altro, segreti che implicavano famiglie complicate alle spalle, un "lavoro" che ci portava a compiere azioni tutt'altro che legali e demoni che forse non ci avrebbero mai del tutto abbandonato. Era strano, in parte complicato, eppure in questo rapporto tanto bizzarro io mi sentivo totalmente a mio agio. Con lui come con nessun'altro, nemmeno con le mie sorelle, potevo parlare e agire senza filtri e seppure erano poche le volte in cui i nostri rapporti si potevano non definire tesi, erano per me estremamente importanti e terapeutici. Axel mi faceva stare bene, spesso anche male, lo riconoscevo ma quando poi i muri crollavano e le barriere, di entrambi, si abbattevano, non ci potevo vedere altro che purezza, sincerità e benessere. Era veleno e antidoto allo stesso tempo e forse era questo che tanto mi terrorizzava. In sua presenza mi sentivo spesso troppo esposta, nuda e mi faceva paura. Avevo il terrore che l'antidoto tanto potente che poteva essere, mutasse unicamente in veleno, come a suo tempo si era rivelato Christian e non potevo permettermi di stare nuovamente tanto male per un qualcosa che dall'altra parte forse nemmeno esisteva. Era stato per quello, forse, che finché il Bulgaro aveva tentato di prendere le distanze da me, non avevo combattuto per impedirglielo. In un qualche modo tali distanze evitavano che la mia volontà vacillasse, come in quel momento stava facendo e ciò mi faceva sentire protetta, meno esposta. Eppure, eppure in quei minuti di puro godimento avrei barattato ogni mia certezza, ogni mia volontà pur di avere la certezza che quelle carezze, quei delicati e tanto precisi movimenti con il quale il Serpeverde si prendevava il mio corpo, centimetro dopo centimetro, non fossero gli ultimi. Avevo bisogno di lui più di quanto non ritenessi lecito ammettere e in un qualche modo sentivo che pure per lui fosse lo stesso, ma nonostante ciò eravamo sempre sul piede di guerra, quando uno smetteva di allontanare l'altro eccoci pronti a fare cambio posto e ricominciare tutto da capo, come due poli opposti che forse non avrebbero mai avuto la forza per avvicinarsi, anche se un piccolo passo in sua direzione, piccolissimo anzi, quella sera avevo tentato di muoverlo. «Ah si?» Domandai lasciva dopo aver sollevato le mie labbra dal corpo di Axel e aver cominciato a risalirlo fino ad arrivare nuovamente all'altezza del suo volto, sul quale senza attendere oltre, posai nuovamente le mie labbra lussuriose e desiderose di lui. «Ed è un male?» Domandai innocentemente sussurrandogli all'orecchio prima di mordergli il lobo e riempire il suo collo segnato dalla cicatrice argentea, di baci caldi e seducenti. Mi sentivo prossima al limite, desideravo che quegli acerbi contatti dei nostri corpi mutassero in un qualcosa di più intimo e senza nemmeno accorgermene le mie labbra si lasciarono sfuggire tale desiderio, tale urgenza come se da quello dipendesse la mia stessa vita. Una vita estremamente appagante, se fosse stata sempre così. Alle mie parole spezzate da flebili gemiti di piacere il corpo di axel si mosse prontamente, senza esitare un solo secondo assecondò le mie lascive richieste e strapapndomi un gemito decisamente più marcato e udibile, fece suo il mio corpo. Lo sentii entrare dentro di me come mai prima di quel momento, lo sentii estremamente vicino e la nostra pelle a contatto l'una con quella di quell'altro, mi fece comparire la pelle d'oca su tutta la lunghezza delle cosce e delle braccia. Prendevo la pillola contraccettiva ormai da quasi un anno e quindi mi sentivo tranquilla, ma non era mai accaduto che il mannaro decidesse di raggiungere il mio corpo privo di protezioni, non lo faceva mai e neppure io avevo mai permesso a nessuno di farlo, eppure quella sera i nostri corpi, nudi, interamente nudi e pulsanti, si desideravano a tal punto da venire meno a tutto pur di incontrarsi e fondersi il prima possibile. I movimenti cominciarono a farsi più decisi, incalzanti e frenetici, dalle mie labbra sfuggirono molteplici gemiti di profondo piacere e lo stesso fece Axel. Le nostre bocche si allontanavano fra loro solo per raggiungere a vicenda il collo e la mandibola dell'altro, per assaporarne il gusto e succhiarne avidi le carni. Sentivo la mia pelle arrossarsi e rispondere istintivamente al suo tocco, bramavo che le sue mani, dapprima intrecciate fra le mie, continuassero ad esplorare il mio corpo e a soffermarsi sulle mie parti più intime mentre i fianchi di entrambi non smettevano un solo secondo di muoversi a specchio per rendere ogni spinta più intensa e frenetica. «A-aspetta, aspetta...» Sussurrai ormai schiava del piacere mentre gli afferravo il viso con entrambe le mani e premevo tremante le mie labbra contro la sua mascella. Se non avesse rallentato i movimenti non avrei resistito oltre e l'apice del piacere mi avrebbe investito di lì a pochi secondi e se una parte di me voleva che quella nottata di passione non finisse mai, un'altra parte, quella più debole e sensibile, non vedeva l'ora di permettere ad Axel di farle raggiungere il culmine di quel profondo e troppo atteso atto di godimento. «Axel, non resisto più...» Ammisi con voce tremante ed estremamente appagata mentre mi stringevo al corpo del Bulgaro con la nuca che premeva sul materasso morbido rigirando le pupille degli occhi verso il soffitto. Nessuna particella del mio corpo era più capace di resistergli e seppur ancora bramosa del tocco del Mannaro, questa volta lo implorava di porre fine a quell'attesa per poter raggiungere entrambi il massimo piacere.
    ★ ★ ★
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    Viaggiavano come meteore, spediti nello spazio, chiusi in una bolla che non gli permetteva di pensare o sentire al di fuori delle sensazioni date dai loro corpi che si scontravano, si fondevano, si univano in quella danza vecchia di secoli. Axel era frenetico, il ritmo aumentato mentre leggeri rivoli di sudore percorrevano la pelle frastagliata della schiena dove due lunghi solchi – frutto dello schiocco di una cintura? – sfregiavano una schiena altrimenti immacolata dai segni rispetto al petto. Le dita della Corvonero erano strette, affondate nelle carni delle spalle mentre lui ad occhi chiusi, strizzati, i denti a mordersi le labbra perso nella beatitudine di quel momento, spingeva ritmici affondi sempre più profondi in lei. «Axel» sentì chiamarsi, ma non lo senti davvero fino a che la consistenza di quel sussurro simile ad un ansimo prese, al suo udito sviluppato, la forma di vere parole. «A-aspetta, aspetta...» Lo supplicò, ma aspettare cosa? Che doveva aspettare? Non poteva aspettare! Aveva forse cambiato idea? Era un po’ tardi adesso per tirarsi indietro vicini com’erano entrambi al limite dell’estasi. Aprì gli occhi verdi tempestosi su di lei sondandole il viso, i lineamenti, lasciandole una tacita domanda che seppur muta suonava d’accusa ma presto sia l’espressione beata di lei che le sue gambe che andavano stringendosi intorno al suo bacino gli fecero unicamente capire che voleva di più, ancora Axel, di più. Le labbra del bulgaro si aprirono in uno dei suoi caratteristici quanto furbi sorrisi sghembi, l’angolo destro della bocca si arricciò svelando la dentatura bianca leggermente più pronunciata in prossimità dei canini. Rallentò fino a fermarsi del tutto sollevandosi dal corpo della Corvonero rimanendo così, per un’istante, un lungo trepidante istante sospeso su di lei ad ammirare la bellezza di quel corpo, di quella mente e di quell’anima che stava possedendo in tutta la sua interezza. I capelli biondi erano sparsi come una corona intorno al suo viso ed i suoi occhi eterocromatici brillavano di vita e calore sulle guance arrossate mentre curiosa, lo osservava di rimando, così serio, concentrato, gli occhi verdi come il mare che imprimevano ogni dettaglio di quel momento. Schiuse le labbra inclinandosi lentamente contro il suo viso, senza smettere di mantenere l’intreccio dei loro occhi, si chinò, piegò lentamente il capo protendendosi verso la bocca turgida dei precedenti baci, rossa, invitante come un frutto proibito e quasi la sfiorò. Nel momento in cui fu sul punto di collimare quella distanza affondò nuovamente dentro di lei, fino in fondo, per tutta la lunghezza della sua mascolinità. Lento come vi era entrato si ritirò e ancora, con la stessa snervante lentezza affondò dentro di lei che lo accoglieva calda e sempre più vicina all’orgasmo. «Axel, non resisto più...» guaì tremando, ogni cellula di lei vibrava vicina al culmine. Si morse ancora le labbra e procedette in un’ultima, lenta, snervante, spinta prima che il ritmo aumentasse, incalzasse ed il respiro di entrambi si spezzasse fino ad articolarsi in sommessi urli di estasi terminando negli ultimi affondi nel corpo ancora tremante dall’orgasmo di lei. Il sorriso piegava gli angoli delle labbra del bulgaro mentre esausto crollava al suo fianco, il respiro irregolare che gonfiava e svuotava l’ampio petto segnato dal passato. Era appagato, calmo... felice, come non lo era mai stato in precedenza alla vigilia del plenilunio. L’acciaio del suo sguardo fissava il soffitto mentre le dita della dominante si muovevano naturalmente, istintivamente, accarezzando e arrotolando i capelli biancastri della Corvonero, assuefatto come sotto effetto di droghe da quella sensazione di calma che scoprì essere per lui più potente della nicotina che unita al tepore dei loro corpi lo cullò fino a vacillare tra le braccia di Morfeo.

    ...Era nel corridoio dell’ala nord, lo sguardo che vagava oltre il vasto orizzonte che si stagliava dall’ampia vetrata del castello, rimirava la tenuta dei Dragonov, il cui prato fiorito era invisibile al di sotto dello spesso strato di neve fredda che lo nascondeva allo sguardo poggiando delicata, come una coperta, sul mondo ancora dormiente. «Sua Signoria, sua signoria accorrete!» La voce del suo più fidato uomo arrivava allarmata dal fondo dell’androne. Axel si raddrizzò voltando di tre quarti il busto in direzione delle urla, l’espressione corrucciata, la pace di cui si stava beando fino a quel momento rotta dalle urla del maggiordomo. «La duchessa! Seguitemi!» Axel non capiva di cosa l’anziano domestico stesse parlando. Elèna? Cosa voleva ancora da lui? Si tirò in piedi, titubante, seguendo i piccoli passi spediti di Vasil che lo conduceva in quell’intrico oltremodo complesso di scale e corridoi di cui Axel faticava a riconoscerne la collocazione fino a che, l’anziano, non si fermò dinanzi ad una porta che spalancò con solennità. «Congratulazioni Signore...» sempre più incerto Axel mosse qualche passo all’interno della stanza. Non capiva cosa stesse accadendo e con quelle poche informazioni non riusciva a farsi un’idea. Una forte luce bianca lo accecava, irradiata dalle immense finestre e gli rendeva difficoltoso definire l’identità della figura dai lunghi capelli chiari, di schiena, che dondolava qualcosa sussurrando parole che il mannaro non riusciva ad avvertire.
    «Skylee?»
    Avanzò in quella luce accecante, tutto era bianco, indistinguibile e i sensi della bestia che lo avevano sempre guidato da quando era solo un bambino parevano addormentati come il mondo al di fuori delle mura. Avanzando i contorni di una figura si definirono. Skylee si voltò lentamente, il bel volto che irradiava gioia e dolcezza allo stesso tempo mentre teneva un fagotto stretto tra le braccia, il sorriso che le illuminava i magnifici tratti del viso era straordinario. Non era mai stata così bella, avvolta in quella luminosità eterea che la circondava tutt’attorno ma che allo stesso tempo proveniva da lei stessa. «Sssh» mormorò dolcemente al cumolo di stracci dondolanti inchinandosi per elargire uno di quegli abbaglianti sorrisi. Axel tentò un nuovo passo avvicinandosi circospetto alla sua figura mentre lei, avvolta di grazia sorrideva adesso anche a lui. «È un maschio!» sentenziò bloccandosi, gli occhi vivi improvvisamente vitrei, vuoti.
    In quello stesso momento una macchia di sangue cominciò a propagarsi dal collo della Corvonero, uno squarcio grande quanto la sua ferità si apriva sul collo della ragazza. Si toccò il collo, la ferita di lei che era anche sua ma non trovò nulla, la pelle integra e priva del velo frastagliato.

    «SKYlee!»
    Il sangue adesso sgorgava ma lei lo fissava con il sorriso sereno e spento in volto, i rivoli di sangue che si riversavano sulle stoffe che avvolgevano il fagotto. «È maschio!» Il telo che copriva il corpicino scivolò ed un neonato dagli occhi verdi, i canini pronunciati dalla quale colava del rosso lo fissò. In un attimo la pelle del neonato cominciò a sobbollire gonfiandosi di simil bubboni
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    doloranti che fecero scoppiare il piccolo in un pianto disperato mentre la morfologia del suo corpo cominciava a cambiare. La pelle si strappò e dell’irto pelo nero fuoriuscì
    .

    «NO! NONONO! SKYLEE, Skylee cazzo! Porca puttana!» Si dondolò premendosi i palmi contro il viso. “È come me! È come me!” Annaspò in cerca d’aria voltandosi verso la figura nuda rannicchiata al suo fianco tra le lenzuola ingarbugliate attorno a loro. «Skylee svegliati» la sua voce era terrore, era affanno, mentre con grossi respiri disarticolati ingeriva aria che non sembrava respirare davvero. «È come me... Sky... noi... io» si fermò cercando di recuperare il fiato. «Porca troia» cominciò a scombinare le coperte cercando in mezzo ad esse una cartina argentata che non era mai stata tirata fuori, mai stata utilizzata. «Cazzo, cazzo, ti sono venuto dentro!» Annaspò scuotendo il corpicino della ragazza. Era fuori di sé, gli occhi verdi lampeggianti pronti a perdersi nell'oblio del lupo.
     
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    Rimasi interdetta quando il Bulgaro sembrò prendere troppo seriamente le mie parole. Lo guardai confusa e con il labbro inferiore leggermente arricciato in una smorfia di protesta, mentre lentamente abbandonava il mio corpo per rimanere in silenzio sopra di me. Mi guardava, mi scrutava attentamente e quando i nostri sguardi si incrociarono ancora una volta e il suo viso si fece più vicino al mio, non potei che allargare un ampio sorriso luminoso. Forse non ci eravamo mai guardati tanto intensamente prima di quel momento, come se quella fosse davvero la prima volta che ci osservavamo a fondo. Come se fino a quel momento avessimo sempre e solo osservato il viso di un estraneo che invece ora, secondo dopo secondo, cominciava a divenire sempre più famigliare, intimo. Quando il corpo del mannaro tornò a spingersi inaspettatamente e passionalmente dentro di me, un sommesso quanto seducente gemito di piacere abbandonò le mie labbra premute su quelle del mannaro. Bastardo. Fu tutto ciò che riuscii a pensare mentre con movimenti lenti e snervanti entrava e usciva dalla mia femminilità facendomi letteralmente impazzire. Non resistevo più, ogni singolo centimetro del mio corpo tremava sotto il suo tocco estremamente capace e in grado, come nessun'altro prima di lui, di mandarmi totalmente in estasi. I nostri corpi si fondevano e completavano alla perfezione, provocando a entrambi sensazioni talmente intense da farci raggiungere l'apice del piacere a soli pochi istanti di differenza l'uno dall'altro. Lo fissai adorante e incapace di muovere un solo muscolo mentre, esausto, crollava al mio fianco in un sommesso gemito finale. Era stato fantastico, a dir poco incredibile e mentre le dita del Bulgaro si arotolavano attorno ai miei capelli, non ero assolutamente in grado di fare o dire nulla. Respiravo unicamente grandi quantità d'aria nel tentativo di far riprendere il mio corpo e quando finalmente ebbi la forza di portarmi almeno le mani al petto, lo sentii pulsare ad una velocità inverosimile. Se solo avesse potuto il cuore avrebbe certamente tentato di schizzare fuori dal petto e ciò mi faceva dannatamente paura, perché era unicamente merito del Serpeverde, se ora il mio corpo stava reagendo in quella maniera. Voltai timidamente il capo verso di lui e quando lo scoprii addormentato non potei che lasciarmi comparire un sorrisetto compiaciuto sul volto. Almeno non ero stata l'unica a farsi privare a tal punto delle proprie energie e dopo aver avvicinato le mie labbra alla sua tempia, per imprimerci sopra un leggerissimo bacio, zampettai con passo leggero verso il bagno per rinfrescarmi e gettarmi una generosa quantità d'acqua gelata sul volto. Mi guardai allo specchio per brevi attimi e sorpresi il mio viso, ancora quasi interamente paonazzo, con un ampio sorriso che proprio non ne voleva sapere di abbandonare le mie labbra. Irritata e arrabbiata con me stessa andai a picchiettare le gote con un paio di veloci manate atte a farmi tornare in me, ma nulla pareva funzionare. Ero emozionata, compiaciuta e soddisfatta di quanto successo. Volevo che riaccadesse il prima possibile e speravo che questa volta non avremmo mai più tentato di tenerci tanto a distanza l'uno dall'altra, anche se al tempo stesso continuavo a percepire un principio di terrore crescere in me. Siete solo amici. Solo amici Sky. Tu vuoi che sia così, lui vuole che sia cosi... va tutto bene... tutto bene. Mi ripetei mentalmente almeno una decina di volte affinché il messaggio si imprimesse con decisione nella mia mente e solo all'ora, con passo nuovamente felpato per evitare che il Serpeverde si svegliasse, tornai nella stanza per prendere posto al suo fianco sul baldacchino e ranicchiarmi accanto a lui. Poggiai il viso al limitare del suo pettorale e silenziosamente mi lasciai cullare fra le braccia di Morfeo dall'ancora frenetico pulsare del suo battito cardiaco.

    «Skylee svegliati» Udii Axel gridare ancora mezza addormentata, mentre le mani del Bulgaro scuotevano il mio esile corpicino per farmi ridestare dal mio breve sonno. Nella sua voce era innegabile il terrore e se ancora faticavo a comprendere con chiarezza cosa vesse dirmi, non era altrettanto difficile comprendere lo stato emotivo in cui versava. «Ax, chi è come te?» Domandai guardandomi spaventata attorno senza comprendere il contesto di ciò che mi diceva. Solo quando lo vidi cercare istericamente qualcosa fra le coperte cominciai a intuirne la natura e quando finalmente mi rivolse nuovamente la parola, non fece che confermarmelo. «Shhh, Axel, shhh, respira» Sussurrai dolcemente vedendolo privo di fiato. «Va tutto bene...» Feci con voce gentile afferrandogli il volto con entrambe le mani per indirizzare il suo sguardo verso di me e impedirgli di continuare la sua frenetica ricerca. Scrutai la sua espressione di puro terrore per qualche istante e in me qualcosa mi fece come provare una sensazione di dejavu, anche se non ricordavo di esserci mai trovati in una simile situazione. «Axel guardami...» Dissi afferrandogli una mano per portarmela in grembo. «Stai tranquillo, qui dentro non crescerà nulla per ancora tantissimo tempo...» Sibilai guardandolo leggermente rossa in volto. «Io, io... prendo la pillola anticoncezionale ormai da mesi e mesi... non devi temere...» Ammisi imbarazzata abbassando leggermente lo sguardo verso le coperte scompigliate. «Se non fosse stato così ti avrei sicuramente fermato prima... mi è bastata la gravidanza di mia sorella e... e io non rischierei mai di compromettere così il mio futuro...» Certo, se fosse mai nata avrei amato Abigail con tutta me stessa e Vanja avrebbe fatto lo stesso, ma ciò non toglieva che era fin troppo giovane per avere una figlia e che tale cosa avrebbe compromesso seriamente il suo futuro ed io non volevo rischiare di fare lo stesso. Volevo studiare, diplomarmi, crescere e realizzarmi e forse solo all'ora mi sarei sentita pronta ad avere una famiglia, ma non certo ora e non certo per non aver prestato le adeguate attenzioni a ciò che facevo fra le morbide lenzuola di un letto. «Mi dispiace averti fatto preoccupare in questo modo, non... non volevo» Pigolai alzando leggermente lo sguardo verso di lui per guardarlo imbarazzata di sottecchi. Immaginavo che rischiare di ingravidare qualcuno, viste le tanto precise accortezze che prendeva normalmente, fosse l'ultimo dei suoi desideri e mi sentivo in colpa per averlo portato a fare ciò che avevamo fatto privi di protezione, almeno da parte sua. «Io... mi dispiace, davvero, non volevo spingerti a farlo in questo modo...» Ammisi sentendo il viso andarmi letteralmente in fiamme. «I-io non... non lo avevo mai fatto così con nessuno q-quindi tranquillo...» Tentai di scusarmi e rassicurarlo pure sul fattore di eventuali malattie o cose simili che magari per tanto tempo aveva sempre cercato di evitare proteggendosi. Quella era forse la conversazione più imbarazzante che avessi mai avuto con nessuno e mi sentivo talmente mortificata che non potei fare a meno di nascondermi il viso fra le mani. «Non succedera mai più, te lo prometto...» Conlusi con voce tremante cercando di parlare attraverso i palmi puntellati sul mio volto. Dio come avrei voluto sotterrarmi in quell'istante.
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    Axel
    Gli mancava l’aria. Più cercava d’introdurre ossigeno nei suoi polmoni, più cercava di rallentare il respiro e più un grosso peso all’altezza del petto, un macigno di dimensioni epocali, gli pesava in corpo. Annaspò ancora, stringendo con forza le mani in due stretti pugni sulle ginocchia piegate. Le nocche sbiancate dallo sforzo mentre controllava, faticando intensamente per riuscirci, quell’ennesimo innesco di trasformazione parziale. “Porca troia puttana” pensò inveendo contro la stessa aria che adesso gli sembrava viziata in quella stanza. “Nonono è come me” pensò irrazionalmente quasi come quel pargolo fosse davvero già nato e riposasse in una delle stanze attigue del castello. Mandò giù l’aria in un risucchio affannato e si voltò verso la Corvonero, rannicchiata in posizione fetale accanto alla sua figura. La prese per le spalle e delicatamente quanto allo stesso tempo energicamente, la scosse cercando di strapparla al sonno pacifico che le distendeva i lineamenti delicati. Le palpebre della giovane si strinsero e stordita aprì prima un occhio azzurro per poi successivamente richiuderlo e tentare il risveglio con l’altro, verde, di un verde chiaro però rispetto ai suoi, scuri, come quello degli alberi al limitare della tenuta della scuola, la Foresta Proibita.
    «Cazzo, cazzo, cazzo ti sono venuto dentro, cazzo!» Inveì prendendosi prima la testa per poi lasciar andare le ciocche scure e sollevare ancora e ancora le coperte alla disperata ricerca della cartina argentea dei preservativi che sapeva, perché alla fin fine lo sapeva, non aveva usato. In ventun anni era sempre stato attento. Quando Ethan aveva notato che il moccioso non era più tale e che aveva cominciato a girare la testa al passaggio di due belle gambe non aveva affatto perso tempo, aveva preso da parte l’allora quindicenne e gli aveva fatto subito “il discorso” lasciandogli come regalo due cartine argentate «e il resto comprateli che ti mantengo già abbastanza», aveva terminato senza mancare di appellarsi negativamente a lui. D’altronde, come gli aveva ricordato, gli dava una paghetta, i suoi trastulli poteva pagarseli con quella. Da allora Axel aveva sempre “obbedito”, inizialmente perché il mago, banalmente, lo aveva traumatizzato a sufficienza con quello che gli avrebbe fatto se avesse messo incinta qualcuna e poi, crescendo e maturando, informandosi, con le conseguenze di cosa sarebbe accaduto se. Ad Axel poi, piaceva fare sesso, molto, e aveva scoperto con soddisfazione che quell’attività fungeva da perfetta e appagante valvola di sfogo per quello che era il nervoso che perennemente gli si agitava in corpo con la sua condizione. Senza contare che proprio la sua stessa maledizione accentuava la sua ipersessualità, bastava un bel sedere di donna per mandarlo su di giri e complice la sua avvenenza la vita sessuale del mannaro era cominciata abbastanza presto. Mentre gli altri ragazzini della sua età sperimentavano con videogame e affini, il bulgaro “faceva il filo” a quelle più grandi complici la sua altezza e la barba già abbastanza consistente per la sua età che gli conferivano qualche anno in più rispetto ai coetanei permettendogli di essere considerato proprio da quelle ragazze che ignoravano i più piccoli.
    «Shhh, Axel, shhh, respira» ma il suono nella stanza era il risucchio del suo respiro affannoso incapace di trovare calma. Cosa aveva fatto? Si era già compromesso del tutto? Le mani di Skylee si posarono sul suo viso afferrandogli con dolcezza e decisione il volto, costringendo il suo sguardo impanicato ad incontrare quello preoccupato della Corvonero. «Axel guardami...», Axel aggrottò le sopracciglia. Quelle parole, quelle mani sul suo viso... ricordava qualcosa o forse era una sensazione, non riusciva a spiegarlo ma sentiva solo la certezza che ciò non fosse avvenuto per la prima volta anche se non riusciva a riportare quell’esatto momento a galla. Skylee gli prese una mano, la punta dei polpastrelli annerita dall’artiglio del lupo che premeva per uscire e se la posò in grembo con grandissimo sconcerto del licantropo che le restituì un’occhiata afflitta. Se quello era il suo tentativo di calmarlo sbagliava di grosso. Strinse le sopracciglia interrogativo quanto impanicato, gli occhi che saettavano dal viso rosso di lei al suo grembo da cui di scatto, inorridito, svicolò la mano. «Io, io... prendo la pillola anticoncezionale ormai da mesi e mesi...» Pillola? Che cazzo era la pillola? Poi i suoi occhi si spalancarono e sbiancò. «Stai male? STAI MALE?!» Sbarrò gli occhi, il tono alto. Non solo l’aveva messa incinta ma nel farlo aveva anche contratto qualcosa, magari una di quelle strane malattie che aveva spiegato l’idiota dell’accademia al corso obbligatorio di educazione sessuale. Ora gli sarebbero spuntati tanto piccoli cervello-funghi sul cazzo. Cominciò ad imprecare ferocemente tra sé e fu il tocco delicato della Corvonero a distoglierlo da quegli insulti a sé stesso. Era stato un debole a cedere, era stato così bravo a mantenere le distanze e invece lei era riuscita ad abbattere tutti i muri che aveva tirato su con tanto impegno come fossero carta velina.
    «Quindi non stai male?» Il suo tono si fece più incuriosito mentre la Corvonero, paziente, gli spiegava a grandi linee cosa fosse la pillola contraccettiva e perché venisse usata. Tu vedi. I babbani sapevano essere utili allora! «No aspetta, fammi capire... Quindi io, se ti vengo dentro non succede nulla finché prendi questa roba?» Era esterrefatto. «Io... mi dispiace, davvero, non volevo spingerti a farlo in questo modo...», il mannaro non replicò ma non per dispetto ma perché il giovane stava realizzando le implicazioni di questa nuova informazione. Il suo cervello andava a mille. «Non succederà mai più, te lo prometto», concluse con voce tremante, acuta, i palmi piantati a nascondere il rossore marcato del viso. Hei, no, spè. Le mani del mannaro andarono a quelle di lei creandosi un varco in quel muro. «Scherzi Métis?» Il suo volto solitamente impassibile faticava a mantenere la neutralità mentre un ghigno gli sollevava l’angolo destro delle labbra nel suo caratteristico mezzo sorriso. «Tu devi rifarlo... quando vuoi!» Rise per alleggerire l’atmosfera. Il rapporto tra i due era sempre stato strano, travagliato, erano più le volte in cui si erano augurati peste e corna che i momenti spensierati come quello. Axel era come investito da un treno di emozioni. Era come se i suoi ormoni fossero in subbuglio e così alla fin fine era davvero. Il plenilunio non faceva altro che intensificare ogni sua emozione portandola allo stremo senza che lui avesse la benché minima possibilità di razionalizzare realmente e gli ormoni, la serotonina, che in quel momento gli scorreva pura rendevano inattaccabile il suo ritrovato buonumore a quella notizia.
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    Non l’aveva messa incinta e fino a quando la Corvonero prendeva quella diavoleria babbana avrebbe potuto scoparla quando voleva e per quanto voleva senza creare danni. «Quindi sta roba è sicura al cento per cento? Non stai male?» Chiese ancora conferma. Doveva esserne sicuro. «Beh in questo caso...» fece una smorfia per poi far perno sul palmo della dominante sporgendosi verso la Corvonero. Le scostò una mano dal viso, inclinandoglielo leggermente per infilarsi nell’incavo del collo d’alabastro. Cominciò a baciarla, nuovamente, come qualche ora prima quando lei lo aveva sedotto portandolo al limite della resistenza ed ora lui, ebbro di felicità, prendeva ciò che si era appena guadagnato. Lei. D’altronde era ancora notte, al mattino, pensò, ci avrebbe pensato poi.
     
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    «Cosa?» Domandai inarcando un sopracciglio incapace di capire cosa potesse aver compreso il Bulgaro. Davvero non aveva idea di cosa fosse una pillola anticoncezionale? «No che non sto male, scemo...» Risposti tirandogli una manata sulla spalla per aver anche solo insinuato che io fossi affetta da una qualche disgustosa malattia magica. «Hum... sì esatto...» Confermai sentendo il volto avvampare per l'imbarazzo di quella tanto non confortevole discussione. «Basta ricordarsi di prenderne una tutti i giorni...» Ammisi discostando il mio sguardo bicolore dal suo, verde scuro e pieno di curiosità e incredulità. «E prima che tu possa avere una nuova crisi di nervi come quella di poco fa...» Sibilai tornando ad osservarlo nella speranza che non desse nuovamente di matto o ricominciasse strane ricerche. «Ho un'ottima memoria, non me la sono mai dimenticata» Affermai certa e convinta delle mie parole tornando a cedere all'imbarazzo. Faticavo a intavolare certi tipi di discorsi persino con le mie sorelle e doverlo fare con Axel, colui con il quale ero appena stata a letto insieme e che fino al giorno prima aveva optato per il voto del silenzio in mia presenza, mi metteva non poco a disagio, anche se era stato necessario per calmarlo. Con grande fatica e gote ormai prossime alla combustione autoindotta, tentai di spiegargli come meglio riuscivo, visto che io stessa non mi potevo dire un esperta in materia, ciò che la pillola contraccettiva faceva e permetteva di fare in quasi totale tranquillità, anche se il "quasi" decisi di tenerlo per me, non volendo assolutamente innescare in lui l'ennesima crisi di nervi. Passai poi alla parte delle mortificate scuse e giunta a quel punto non potei fare a meno di tentare in tutti i modi di nascondere il viso per l'ormai incontrollabile imbarazzo che sembrava essersi impossessato del mio corpo, mentre con sguardo incerto e colpevole lo fissavo attraverso le sottili fessure fra le dita. «Scherzi Métis?» Domandò sarcastico il serpeverde con un sorrisetto sulle labbra che non riuscii a decifrare. Lo guardai colpevole e mortificata, mentre lentamente afferrava le punte delle mie dita per spostarle e aprirsi un piccolo varco necessario a fissare i suoi penetranti occhi nei miei. «Tu devi rifarlo... quando vuoi!» Deglutii incredula davanti a parole tanto diverse da quelle che solo fino a pochi attimi prima mi aveva rivolto. Socchiusi leggermente le lebbra e permisi loro di allargarsi in un timido sorriso. Mi stava dicendo che nonostante i silenzi, gli sguardi mancati e ciò che era appena successo, ancora mi voleva, e non una volta, bensì tutte quelle che desideravo. Arrossii inconsciamente compiaciuta di quanto appena ammesso dalle labbra del Mannaro e ammirandolo con una ritrovata aura luminosa, non riuscii a nascondergli la mia sincera e impacciata felicità. «Quando voglio? Mh?» Domandai timidamente sporgendomi di qualche centimetro verso di lui, il petto colmo di sensazioni ed emozioni indefinite. «Sì e no, non sto male...» Ripetei con fare fintamente seccato mentre il Bulgaro si protendeva lentamente verso di me per posare le sue calde e morbide labbra sul mio collo. Un lieve gemito, ancora memore di quanto compiuto da quelle stesse labbra solo poche ore prima, abbandonò il mio corpo nel preciso istante in cui la sua bocca si posò sulla mia pelle e lasciandolo procedere mi godetti la scia di baci infuocati che mi riservò. «Sai...» Sussurrai con voce spezzata dall'eccitazione che non tardò molto a impossessarsi nuovamente del mio debole corpo. «Ti hanno mai detto che cambi umore molto in fretta?» Scherzai fra un sommesso gemito di piacere e l'altro mentre con desiderio lo spingevo verso il limitare del baldacchino, all'altezza della testata preceduta da morbidi cuscini in seta. «E dimmi, ora, dopo aver dato di matto dal nulla...» Continuai sovrastando il suo corpo nudo, perfetto e desideroso di me, per sedermici nuovamente sopra, ma questa volta privi di qualsiasi tessuto a limitare il contatto della mia intimità premuta contro la sua. «Sei nuovamente calmo?» Chiesi avvicinandomi al suo lobo per morderlo leggermente. Trovavo dannatamente eccitanti i piccoli pendenti con i quali era solito adornarli. «Felice?» Continuai andando a ricercare il suo viso per osservarne ogni minima e tenue sfumatura. Volevo poterlo leggere, qualora avesse deciso di non esprimere a parole le sue emozioni, cosa per nulla rara quando si parlava del Bulgaro. Con lui la comunicazione era tanto difficile quanto emozionante, erano rare le volte in cui ricorreva all'uso della parola, facendolo in totale sincerità, per esprimere concetti e pensieri normalmente celati dietro ai suoi possenti muri, ma quando lo faceva era sempre così dannatamente intenso da privarmi dell'aria precedentemente accumulata all'interno dei polmoni e lo odiavo per questo suo potere che sembrava avere su di me. «Io lo sono, molto...» Ammisi afferrandogli entrambe le mani per poi posarmele sulla vita e indirizzarle verso l'alto, in direzione dei seni ormai turgidi in seguito al contatto dei nostri corpi. Era dannatamente piacevole percepire le sue mani dalla temperatura febbrile farsi strada sul mio corpo, freddo e d'alabastro che non desiderava altro che lui. «Era da tanto che non mi sentivo così...» Ammisi rossa in volto per la sincerità che gli stavo riservando. Mi sentivo quasi stupida ad ammettere ciò che provavo in quella maniera, ma avevo ormai cominciato a comprendere che con lui, se non si volevano rischiare incomprensioni, bisognava mettersi a nudo in quel modo tanto schietto quanto intimo da non lasciar spazio ad altre interpretazioni. «E la colpa è tua, tua e del tuo continuo ignorarmi...» Continuai cominciando a muovere avanti e indietro i fianchi premendo il corpo sulla sua mascolinità ormai innegabilmente desiderosa delle mie carni. «Non mi piace quando lo fai... lo detesto» Affermai spostando le mie mani dalle sue per sfiorare a mia volta il suo petto, ispido e contornato da innumerevoli cicatrici di cui prima o poi avrei voluto conoscere l'origine. «Lo odio» Conclusi imbronciata eliminando la distanza fra i nostri volti per premere le mie labbra sulle sue e leccargliene il contorno. «Ero seria prima... voglio starti accanto Ax... voglio conoscerti, capirti...» Sussurrai dolcemente a fior di labbra prima di recuperare qualche centimetro di distanza per permettergli di rispondermi, perché no, questa volta non lo avrei accettato il suo tipico e tanto caratteristico silenzio. «Me lo permetterai?» Chiesi avvicinando le mie sottili e affusolate dita verso la sua mascolinità, per accarezzarne ed esplorarne le sue affatto modeste forme e dimensioni con tocco deciso e incredibilmente gentile, quasi solo a sfiorarlo per farne impazzire gli ormoni. Ero eccitata. Dannatamente e profondamente eccitata. Sembrava che del suo corpo non ne avessi mai abbastanza. Mi sentivo caparbia nei suoi confronti e a tratti persino avara, perché non avrei voluto condividere nemmeno un millimetro del suo corpo con nessun'altra, anche se probabilmente mai glielo avrei confessato o richiesto. Dannato orgoglio e dannata paura di essere totalmente sincera con le altre persone, ma soprattutto con me stessa. Dannata me.
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    Edited by Skylee. - 8/5/2022, 02:41
     
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    Axel
    «Sai... Ti hanno mai detto che cambi umore molto in fretta?» Axel non si lasciò distrarre da quelle parole. L’unico ad averglielo mai detto era forse stato Ethan ma per motivi ben lontani da quanto i due stavano in quel momento facendo. Replicò facendo spallucce, davvero, poco gli importava di apparire lunatico ai suoi occhi anche perché, lui, lo era davvero e ben poco poteva farci data la sua maledizione. Per definizione un lupo mannaro era guidato dagli influssi della luna e più si avvicinava il suo culmine, più il suo umore si faceva altalenante. Solitamente si era sempre dimostrata una spirale in discesa verso gli inferi con il suo tormento che andava accentuandosi insieme al malumore e così era stato fino al pomeriggio, quando erano partiti, ma il modo in cui quella giornata si era evoluto avevano fatto fare un netto balzo in salita a quello che era il suo umore portandolo allo stremo dell’allegria. D’altronde, come dargli torto dopo una scopata con i fiocchi ed un nuovo round che aveva tutte le carte in regola per giocarsi? Posò umidi baci carichi di desiderio sulla pelle d’alabastro di lei perdendo più tempo del dovuto ad insistere verso l’attaccatura dove di riflesso, sulla sua di pelle, vi era il taglio frastagliato della sua maledizione. Incalzò scendendo, tirando con il dito il lenzuolo con cui lei ostinatamente si copriva non tanto per la nudità in sé ma come simbolo dello scudo che aveva innalzato dopo quell’imbarazzante discorso. Axel aveva capito che parlare di sessualità con lei poteva essere un argomento tabù, non era la prima volta che era arrossita sotto il suo tocco o dopo una parola. Anche in passato, quando una era la valvola di sfogo dell’altro, – era ancora così? – la Corvonero aveva sempre puntato sulla discrezione. Il lenzuolo cadde sotto il suo sapiente tocco ed Axel cominciò a farsi strada sul seno di lei mentre ansimi sempre più frequenti intervallavano le parole di lei. Con la mano gli prese il viso, discostandolo contro voglia dalle sue intenzioni, spingendolo a spostarsi contro la testata del letto. Axel seguì il silenzioso ordine che lei gli andava dettando nello sguardo acceso e si sedette contro la parete morbida del baldacchino circondando i fianchi della Corvonero che, con eleganza, si stava sedendo, nuda, su di lui. Il bulgaro schiuse le labbra, espirando sottilmente il piacere dato dal contatto privo di barriere dei loro punti più sensibili. Il suo corpo poi, stava già lavorando inviando a tutto spiano sangue al cavallo dei pantaloni solleticato e provocato dal movimento di lei e del suo intrigante bacino. «E dimmi, ora... Sei nuovamente calmo?» Il mannaro si leccò le labbra mentre l’angolo destro della bocca si sollevava nel suo mezzo sorriso caratteristico. «Direi di no» replicò, il tono basso, roco, tremante del desiderio che continuava ad essere sollecitato dal movimento di lei contro il suo sesso e dalla bocca che, lasciva, mordicchiava e giocherellava con i pendenti del suo orecchio. Le dita si strinsero sul suo addome seguendo e guidando il movimento mentre leggermente la portava a divaricare maggiormente le gambe su di sé. Quel tocco caldo, umido, febbrile, lo stava già facendo impazzire ed il fatto che lei continuasse a parlare mentre lo provocava lo mandava in confusione. «Felice?» Skylee si protese in avanti, cercando il suo volto serio, concentrato a fissare il movimento dei corpi e di primo acchito non capì cosa stesse cercando di strappargli con quel suo modo di fare. Le sue sopracciglia ebbero un lieve movimento convulso, come un tic interrogativo, «io lo sono, molto», ammise e nella sua voce era facilmente distinguibile quella nota di pura e cristallina felicità che l’accendeva e faceva vibrare di vita. Gli afferrò le mani, strette lungo i suoi fianchi e le guidò al seno dove si strinsero avvolgendo quelle carni della dimensione perfetta per una coppa di champagne. Si sporse a baciarli, succhiarli avidamente mentre le mani scendevano ancora lunghi i fianchi sollevandola di peso gentilmente affinché la sua femminilità calasse su di sé avvolgendolo e rendendolo nuovamente intero. «E la colpa è tua, tua e del tuo continuo ignorarmi», il tono si fece irremovibile mentre il corpo non seguiva più gli ordini che le mani del bulgaro le stavano dando procedendo per una nuova strada, parallela alla prima, che non faceva altro che torturare il ragazzo ormai bramante di quel pieno contatto di cui aveva fatto un pasto poche ore prima. «Métis», il suo sussurro era carico di tortura. Perché gli stava facendo questo?
    «Non mi piace quando lo fai... lo detesto. Lo odio.» Concluse rabbiosa schiacciandosi contro il suo petto per appropriarsi nuovamente della sua bocca, alla quale il mannaro cedette senza esitazioni.
    «Ero seria prima... voglio starti accanto Ax», lo sguardo del mannaro s’incupì. Gli occhi verdi, intensi, tumultuosi, incrociarono lo sguardo cangiante della Corvonero. Lei lo fissava di rimando attenta, sulle spine per quella risposta che avrebbe rappresentato un totale punto di svolta per il rapporto di entrambi. Cosa gli stava chiedendo di preciso? Di essere la sua ragazza? La mascella del mannaro si serrò ed un muscolo nei pressi della tempia si tese a quel movimento. Lui non voleva legami, i legami avrebbero rappresentato un limite, una debolezza che avrebbero potuto usare contro di lui, contro la sua natura. Ma Skylee non era disposta ad accettare un “no” come risposta. Si puntellò contro il suo petto e nonostante la salda presa sui suoi fianchi scivolò via dal corpo del mannaro afferrandogli però il suo sesso. Axel s’irrigidì trattenendo il respiro mentre lei, stronza, cominciava a muovere la mano ripetutamente dall’alto verso il basso mandando in tilt ogni pensiero di senso compiuto. «Skylee...» Protestò, il respiro che si faceva via mozzo quanto più il movimento seduttorio di lei andava intensificandosi. Allungò una mano verso la nuca di lei aggrappandosi ai lunghi, ingarbugliati, capelli biondi mentre la sinistra andava a stringersi contro il polso di lei. Strappò la sua presa dal suo punto più debole e le tirò il braccio al di sopra del capo mentre con prepotenza invertiva le posizioni. La sua stazza e la sua forza base erano più che sufficienti per sottometterla al suo controllo. L’appiattì contro il materasso sovrastandola con il suo corpo mentre era giunto il suo turno di provocarla strusciando con insistenza contro la sua femminilità. «Cosa mi stai davvero chiedendo, mh?» Ringhiò mentre con un colpo di reni entrava dentro di lei, calda e pronta ad accoglierlo. Cominciò a muoversi lentamente affondando ogni volta con ferocia. «Prima rifiuti, mi rifiuti e adesso cambi idea?» Un nuovo affondo controllato, feroce, che le mozzò il respiro. Lui non avrebbe mai potuto darle la relazione dei sogni che voleva, lui era dannato, rotto, un completo disastro e non avrebbe tirato in mezzo nessuno a condividere quella miseria.


    Edited by Dragonov - 8/5/2022, 19:23
     
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    Per quanto cercassi di non ammetterlo a me stessa, più tentavo di stregare e sedurre Axel con i lenti movimenti del mio corpo e più finivo per ritrovarmi totalmente assuefatta da quegli stessi movimenti accompagnati dalle mani del Bulgaro. Persino parlare cominciava a costarmi una certa fatica, ma ero testarda e ormai avevo deciso e ciò significava che per quanto la mia voce sarebbe stata sempre più spezzata da sommessi sospiri affannosi, non mi sarei data per vinta e avrei continuato fino allo stremo della volontà a indagare e farmi strada, a parole, nei meandri più nascosti della mente del Serpeverde. Ci sarebbe voluta pazienza e perseveranza, ma lo sapevo, me lo sentivo, che prima o poi sarei riuscita ad abbattere almeno un po' quei giganteschi muri che gli impedivano di permettermi di avvicinarmi. «Direi di no» Sorrisi con un leggero sorrisetto compiaciuto all'ammissione del Mannaro. Ciò che stavo facendo gli piaceva, piaceva a entrambi e ne ero felice. Mi sentivo in estasi nel lasciar guidare i movimenti del mio corpo al Serpeverde, leggera e come sotto l'effetto di un potente stupefacente, ma dovevo rallentare, dovevo recuperare almeno un po' di terreno o in quella battaglia di sguardi, parole e delicati tocchi, avrei sicuramente perso. Non potevo permettermelo, avevo bisogno di mantenere la concentrazione, mentre con astuzia e pacatezza, tentavo di strappare dalla consapevolezza del Mannaro un qualcosa che gli facesse finalmente ammettere che pure lui, come me, si sentiva felice e appagato quanto i nostri corpi e le nostre menti si avvicinavano come in quel momento. Volevo che ammettesse che per quanto, con estrema veemenza, tentasse in tutti i modi di allontanarmi costantemente, non fosse in realtà ciò che realmente desiderava. Volevo portarlo ad aprire almeno un minuscolo spiraglio nel suo muro a lungo innalzato per potermici insinuare, per poi, prima o poi, riuscire ad abbatterlo definitivamente. Avrei voluto solo avvicinarmi un pochino a lui, ma era così dannatamente complicato. Così dannatamente difficile. «Skylee...» Protestò il Mannaro con espressione torturata e aria stremata mentre i movimenti ben studiati del mio corpo si facevano via via più snervanti per entrambi. Pure io, come lui, desideravo di più e bramavo di appropriarmi totalmente del suo corpo, ma con estrema fatica tentavo di costringermi a posticipare quel tanto atteso momento finché il mio corpo ormai estremamente eccitato me lo avrebbe consentito, ma fu il turno del Bulgaro di muoversi sulla scacchiera e avvalendosi della ben più piazzata forma fisica e forza che essa comportava, invertì le posizioni dei nostri corpi e con veloci movimenti mi premette contro al materasso. Dalle mie labbra sfuggì un affaticato sospiro, mentre con estrema forza di volontà tentavo ancora di resistergli per continuare la mia partita. Sembrava essere sempre più dannatamente impossibile farlo e il continuo strusciarsi del corpo del Bulgaro all'altezza della mia femminilità, stava letteralmente facendo impazzire i miei ormoni, che a gran voce mi urlavano nella testa di lasciarlo vincere. «Cosa mi stai davvero chiedendo, mh?» Domandò Axel impossessandosi infine del mio corpo con un energico colpo di reni. Fu quello l'esatto momento in cui la mia volontà vacillò di più, ma con i pungni stretti attorno al liscio tessuto delle lenzuola, tentai di estraniarmi da quella frenetica danza che i nostri corpi stavano ormai compiendo, quel tanto che bastava a farmi almeno proferire parola, seppur con tono spezzato dalle spinte sempre più veloci di lui. «È così impossibile per te accettare di lasciarmi essere almeno... tua... tua amica?» Pigolai con tono estremamente eccitato mentre ripensavo alle parole appena dette per poi correggermi pochissimi istanti dopo. «Un amica con qualche... privilegio magari...» Socchiusi le labbra ormai tremanti dai continui gemiti e sospiri sempre più appagati e assuefatti dai movimenti del Bulgaro. Tentai di rivolgergli un sorrisetto sghembo nel chiaro tentativo di lasciargli intuire a quali privilegi mi stessi riferendo, perché per quanto la proposta di essere solamente amici mi permettesse di non dover fare i conti con quell'enorme macigno di ansie e incertezze che sarebbe stata una reale relazione, probabilmente mai avrei consentito a me stessa, né tantomeno a lui, di privarmi dell'assoluto piacere che i nostri corpi erano in grado di regalarsi a vicenda. Una nuova feroce spinta fece tremare interamente il mio corpo e mi obbligò a rivolgere uno sguardo interrogativo alla volta del Bulgaro. Per quanto affatto delicati, quei quasi rabbiosi movimenti erano comunque piacevoli, ma era evidente che qualcosa all'interno del Mannaro si stesse smuovendo costringendolo a un'aggressività che fino a poche ore prima non aveva minimamente sfiorato il suo corpo. «Ax... ahh...» Non riuscivo quasi più nemmeno a riempire i polmoni dell'aria necessaria a farmi riprendere fiato, ma dovevo almeno tentare di far capire al Serpeverde il perché di quel rifiuto sul quale tanto sembrava averci ricamato sù. «I-io non stavo rifiutando te q-quando ti ho detto di no...» Socchiusi nuovamente le labbra aggrappandomi con entrambe le gambe ai suoi fianchi per contenerne almeno in parte i frenetici movimenti con i quali stava facendo venir meno la mia abilità di parola. «A-ax... » Lo guardai con sguardo serioso nonostante il corpo ormai infuocato dai suoi costanti movimenti del bacino. «I-io volevo solo impedire a te di fare un q-qualcosa che in realtà probabilmente non desideravi ahh-affatto fare. Non volevo che come sempre tentassi di agevolere me, m-mettendo poi in difficoltà te stesso...» Sussurrai allungando una mano in direzione della sua nuca per poterla sfiorare con le dita mentre spingevo leggermente il suo capo verso di me, verso le mie labbra. «N-non posso farmi sempre salvare da te Ax, n-non è giusto...» Pigolai incerta tentando di avvicinare le labbra alle sue per poterle baciare e assaporare ormai pazza di desiderio nei suoi confronti. «N-non è giusto» Ripetei sofferente chiedendogli con lo sguardo di continuare a impossessarsi tanto avidamente del mio corpo ormai prossimo al raggiungimento dell'apice massimimo del piacere, mentre la mente, per chissà quale ragione, mi riportava alla memoria le dolorose sensazioni provate alcuni mesi prima nel vederlo soccombere a terra, quando come sempre aveva tentato ancora una volta di agevolare me, finendo poi per farsi sovrastare dall'innarestabile bacio di un dissenatore, che, crudelmente, era infine riuscito a strappargli il suo ultimo respiro, mentre io, impotente e incapace di aiutarlo in un qualsiasi modo, avevo dovuto osservare ancora una volta morire qualcuno al quale ero ormai innegabilmente affezionata.
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    Axel
    Entrava in lei, con forza quasi animale e la studiava, la studiava e la penetrava, questo faceva il mannaro stringendo la mandibola mentre un colpo secco dietro l’altro sentiva sotto di sé lei tremare, probabilmente prossima all’orgasmo quasi quanto lo era lui. Ed era proprio quell’egoistica voglia di piacere che gli impediva di smettere quel movimento, assuefatto, totalmente a quella sensazione d’incalzante godimento. In un’altra circostanza se ne sarebbe compiaciuto di questo, del potere che aveva sulle donne e del modo in cui riuscisse a farle venire mandandole letteralmente in estasi. Era bravo, molto, nel suo operato, e questo proprio perché a differenza della vita di tutti i giorni, dove si comportava come uno stronzo egoista taciturno, a letto sapeva essere altruista mettendo la sua compagna del momento al centro delle sue attenzioni, questo nonostante il suo interesse fosse fermo puramente all’atto in sé ma vederle inarcarsi sotto di sé, gemere, mordersi le labbra dal turbinio di sensazioni non faceva altro che innalzare la sua stessa autostima traendo a sua volta piacere da quella consapevolezza che altro non faceva che aumentarne l’ego.
    «La mia amica del cuore allora» ironizzò con un ghignò fermandosi e tuttavia continuando a rimanere dentro di lei, quasi ad infliggerle una punizione per ciò che gli stava proponendo, per ciò, che gli aveva fatto subire con quel rifiuto. L’angolo destro delle labbra si acuì mentre accoglieva quelle che sarebbero state le sue proteste per quella pausa che le stava imponendo. Era lì, ad un passo da toccare il cielo con un dito e lui, stronzo maledetto figlio di puttana, si era fermato, giusto per infliggerle un po’ di tormento come aveva fatto per tutta quella sera dapprima facendosi trovare nuda, in tutta la sua maledetta perfezione ai suoi occhi, e poi, in un modo che non avrebbe nemmeno lontanamente immaginato, seducendolo, provocandolo e invocando perché lui la facesse sua marchiandola a fuoco come una sua proprietà.
    Ma non aveva finito così. Retrocedette, cominciando a sfilarsi con l’illusione che l’avrebbe lasciata lì, eccitata, al limite, ma letteralmente a secco quando con rabbia tornò ad affondare in lei prima che le sue parole, affilate come coltelli, tagliassero la pelle evocando quello che era stato l’eco di un torto subito ormai quattro mesi prima. Quel rifiuto, così di getto, che Axel aveva interpretato come disgusto nei suoi confronti dopo quello che lei aveva visto di lui, della sua natura e adesso gli stava chiedendo cosa? Di fare davvero coppia? Non capiva. «Perché ti preme definire?» Il suo tono era basso, un sussurro, ma nel silenzio del movimento dei loro corpi e dei gemiti di piacere che lasciavano le loro labbra parve come un tuono assordante. «Chissene frega se sei mia amica o no...» giusto? Per lui era tanto semplice. Perché definire ciò che avevano se non voleva dare adito al contratto ben conservato nel piccolo sacchettino di pelle magico che gli penzolava dal collo? A che pro, se tanto non avrebbe voluto sposarlo, se si fosse cacciata nei casini tirando comunque in mezzo anche lui? Non vedeva quanto ormai fossero legati a doppio filo in quella storia?
    Cominciò a muoversi con più foga, man mano che la rabbia cresceva. «Pensavi lo facessi per te? Awww che tenera...» La fissò sprezzante, più sprezzante di quanto avrebbe voluto. Mentre la breve risata si fermava in gola. «Per chi mi hai preso?» Le afferrò la base del mento, stringendola e portando la sua testa a premersi sul materasso esponendo il collo mentre lui vi affondava con la bocca, sfiorando la pelle con i canini salvo poi baciarla affondando dentro di lei ad una velocità che li avrebbe condotti verso la fine di lì a poco. Gemette, ansimando di rabbia nonostante l’orgasmo ancora vibrante in lui si propagava dentro come un balsamo, un balsamo che non avrebbe sortito l’euforia del primo. Se il primo amplesso era stato un ricongiungimento di quei due corpi, una danza seduttoria che aveva portato i due a cedere al desiderio dell’uno verso l’altra quello, il secondo, partito allo stesso modo era finito per ridestare l’astio del Serpeverde, punto sul vivo da quella ribellione. «Non faccio mai nulla per nulla, Métis» chiarì duramente, scoccandole un’occhiata gelida in netto contrasto con le espressioni di poco prima. Axel si era chiuso, nuovamente, in quella barriera che teneva lontane da sé le persone. “Nessun legame” si ripeté spostando oltre il baldacchino lo sguardo mentre fuoriusciva da lei. Non si sdraiò accanto a lei nel letto, addormentandosi come aveva fatto poco prima, ma si mise a sedere al bordo mentre le mani cercavano nelle lenzuola parte del suo abbigliamento. «Il mondo non gira intorno a te e ai tuoi casini. Sarebbe stata una double win. Secondo te mia madre non cercherà di mettermi una sua leccapiedi al posto tuo?» Si voltò a fissarla, il sopracciglio destro inarcato. Vinci tu, vinco io. Tu ti liberi dei tuoi sotto la mia protezione ed io non devo avere una cessa, sgorbia spiona. Skylee rimaneva nel suo olimpo delle scopate, certo, e non male sarebbe stato continuare a scoparsela a maggior ragione se prendeva quella pillola inventata dai babbani che gli permetteva di non rimanere incinta. Poteva funzionare, ma no, non avrebbe mai potuto dare a nessuna ciò che realmente desiderava, ciò che lei desiderava: l’amore.
    Si alzò dal letto recuperando i pantaloni, infilandoseli e abbottonandoli tirando su la zip. Non male come serata, gli era andato bene alla fine quell’invito e per una volta non arrivava alla trasformazione con i coglioni fin troppo girati... forse, ma quel silenzio non era destinato a durare. Poteva averla lasciata interdetta ma sapeva che presto la Corvonero sarebbe tornata alla carica. Ma lui era così che faceva, per un briciolo che dava, un passo avanti che potevi fare allo stesso tempo altri dieci indietro erano pronti a retrocedere così come l’euforia iniziale del mannaro di cui ora, si stava vagamente pentendo nella conclusione che forse aveva lasciato illudere la ragazza verso qualcosa che non avrebbe potuto darle. Fare lo stronzo, essere uno stronzo, gli riusciva bene. «Quindi... attendo il tuo prossimo invito a “parlare”» mimò con le virgolette prima di calarsi ed afferrare anche la camicia scura non prima di aver posato uno sguardo affamato sul corpo nudo della ragazza.
     
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    Le parole di Axel mi lasciavano interdetta quasi quanto i suoi movimenti, che da prima lenti, piacevoli e gentili, erano poi diventati frenetici, violenti ed egoisti. La persona che famelica spingeva energicamente i fianchi contro la mia femminilità, pareva essere divenuta nuovamente un qualcuno di sconosciuto, freddo e dannatamente lontano. Tutto il piacere che avevo provato fino a quel momento si stava quasi trasformando in fastidio, mentre con tristezza e disappunto fondevo il mio sguardo in quello vitreo del Bulgaro. Si era chiuso. Lo avevo capito. Sarebbe stato impossibile non farlo, ma questa volta non mi andava bene, non mi andava giù. Con tutta me stessa avevo tentato di fargli comprendere le mie ragioni, di fargli capire quanto mi importasse stare al suo fianco, conoscerlo, capirlo ed era per questo, che l'ennesimo rifiuto da parte del Mannaro non fece che infuocare il mio animo a tal punto da diventare a mia volta fredda e distaccata nei suoi confronti. Non mi interessava se ciò che diceva fosse vero o se invece lo avesse detto solo per tenermi distante da lui, ignara di ciò che desiderasse davvero, perché mi aveva ferita e lo aveva fatto in un modo che non mi sarei aspettata. «Sai cosa Axel? Forse farebbe bene a farlo» Stoccai glaciale spostandomi da sotto il suo corpo con fare infastidito. «Magari così saresti finalmente felice. Nessuno che si preoccupa per te, nessuno che ci tenga, diamine, non ti pare perfetto? Perché lasciare avvicinare qualcuno quando invece puoi dannarti per il resto della tua vita nella più totale solitudine, mh?» Domandai sarcastica fulminandolo con lo sguardo, mentre una ritrovata antipatia nei suoi confronti si faceva strada in me. Lo odiavo quando con freddezza ribaltava ancora una volta le carte in tavola per impedirmi di avvicinarmi anche solo di qualche passo a lui. Lo odiavo, eppure ciò che più mi dava fastidio era che le parole che poche ore prima gli avevo rivolto fossero vere, perché nonostante tutti i suoi disperati tentativi di rimanere solo al mondo, in me continuava a vivere la speranza di riuscire ad avvicinarlo per poter essere meno soli, assieme. Lui faceva bene a me e io avrei potuto fare bene a lui, se solo me lo avesse permesso e invece come due sciocche anime arrugginite, che per troppo tempo si erano abituate a procedere con la loro vita in solitaria, continuavamo a sabotarci a vicenda, troppo timorosi per accettare realmente di poter essere felici in quell'esistenza che tanto stretta ci era sempre stata addosso. «Ma certo Ax, quando vuoi» Sorrisi gelida servendomi di un tono falsamente cordiale e gentile, mentre mi alzavo dal letto per raggiungere la mia vestaglia color perla per avvolgermela addosso. «Portami a casa» Sussurrai con tono quasi impercettibile mentre le mie affusolate dita si stringevano attorno alla pietra di ametista che portavo al collo. Non avrei passato nemmeno un singolo altro minuto in quella stanza per quella notte. Non avrei osservato Axel uscire dalla porta di quella dannata camera mentre, come se quella che lasciava a torturarsi di domande su quel morbido letto fosse solo l'ennesima tacca da incidere sulla cintura, se ne fuggiva compiaciuto senza voltarsi indietro. Non gli avrei permesso di avere un così pericoloso e spaventoso potere su di me, no, non glielo avrei permesso mai. Con un secco schiocco sibilante mi ritrovai in pochi secondi fra le terre desolate dell'Alaska. A soli pochi passi da me vi era casa mia, ma prima di entrarci feci dietro front e liberandomi della pesante vestaglia avvolta attorno al mio corpo, mi tuffai nelle gelide acque del lago che circondava l'isolotto da secoli appartenuto alla famiglia di mia madre. Le sue fredde acque mi permisero di raffreddare immediatamente la mente ormai fin troppo provata da quella serata dalle sensazioni tanto contrastati. Per un attimo avevo creduto che quel maledetto ragazzo mi avrebbe finalmente permesso di entrare in punta di piedi nella sua tanto tormentata vita, ma in fondo lo sapevo, lo immaginavo, che all'ultimo, quando meno me lo sarei aspettata avrebbe innalzato nuovamente i suoi altissimi muri lasciando che ancora una volta ci andassi a sbattere contro in pieno volto. Sarei tornata al castello dei Dragonov solo a pochi minuti dalla colazione e silenziosa come me ne ero andata, sarei ricomparsa in quella stessa camera con l'ausilio di una passaporta incantata per l'occasione. Ero stata così stupida anche solo a credere che avrei convinto Axel a seguirmi in Alaska durante le nottate di luna piena. Una vera sciocca, un'illusa. Io avrei voluto aiutarlo, avrei voluto impedirgli di rinchiudersi come una bestia in una cella nei sotterranei, ma non avevo minimamente considerato quanto segretamente fosse ormai assuefatto a tal punto da quel così famigliare dolore da trovarcisi ormai probabilmente a suo agio in mezzo a tutta quella merda. Ero stata troppo ingenua.
    A fatica tentai di ignorarlo per tutta la mattinata, riservandogli falsamente qualche occhiata accompagnata da un dolce sorriso al solo fine di non far saltare la nostra copertura e con la stessa tecnica tentai di evitarlo pure per il resto della giornata, domandando a sua madre se le fosse andato di accompagnarmi in paese per farmi conoscere almeno un po' quella che fra pochi anni sarebbe divenuta la mia nuova dimora, ma quando la sera cominciò ad avvicinarsi e l'ora di cena divenne sempre più vicina, le carte da giocare per riuscire a stare il più lontano possibile da Axel, si erano ormai andate ad esaure e ciò significava che non mi sarei potuta più sottrarre a quel confronto che sarei stata certa sarebbe arrivato. Perché già me la immaginavo la sfuriata imminente per l'aver abbandonato il castello senza un minimo di preavviso e soprattutto, senza degnarmi minimamente di dirgli dove sarei andata, ma poco mi importava di ciò che mi avrebbe detto, fra sole poche ore si sarebbe andato a rinchiudere nei sotterranei come da programma e allora, impossibilitato dal trattenermi, me la sarei squagliata di soppiatto ancora una volta da quel castello, incapace anche solo di immaginarmi ferma e immobile a dormire beatamente in quel letto a baldacchino a me riservato mentre ogni centimetro della pelle di Axel si sarebbe lacerato per lasciare il posto al manto della bestia che per tutta la notte avrebbe abitato il suo corpo.
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    Axel
    Come c’era da aspettarsi anche la Corvonero, ferita, aveva finito per chiudersi a riccio. Mai, mai una volta che Axel lasciasse entrare qualcuno nel suo mondo, mai una. Sempre a distanza, sempre pronto a colpire come una serpe mordendo il suo avversario in quello che determinava essere il suo punto debole quando qualcuno, innocentemente, tentava di scalfire la dannata corazza di cui si rivestiva. Sprezzante s’infilò la camicia cominciando a chiudere bottone dopo bottone con rapidi movimenti delle dita finendo poi, per infilarla all’interno dei jeans che chiuse con soddisfazione. Tutta sua chiaramente. Lui, ovviamente, da perfetto egoista, si era svuotato alla fine, a dispetto della ragazza che aveva finito per rotolare via da lui, lontano da lui, per coprirsi con qualcosa dopo essere stata banalmente usata per quello che doveva essere unicamente il fine ultimo. «Non hai idea di quanto sarebbe perfetto», replicò ghignante con quella faccia incredibilmente bella quanto da schiaffi. Stronzo. L’espressione beffarda e maligna su quegli occhi freddi come il vetro, impassibili, insondabili, «solo che mia madre sceglierebbe un cesso in-scopabile» strizzò il naso, la chiara illusione che per quanto fastidiosa, lei era un piacere da portarsi a letto. Altre parole mai sarebbero state più taglienti provocando un tale affondo nell’animo dolce, apprensivo e premuroso di lei. Non se lo meritava, nemmeno di un po’. Lo sguardo bicolore che Skylee gli restituì era spento, freddo come il ghiaccio dell’artico e fu solo un sussurro, perfettamente percepibile dal mannaro, quello che attivò il ciondolo che portava al collo. «Ma quale casa sei confinata a stare qui per il resto...» Cominciò per poi interrompere la frase e l’ultimazione della sua vestizione quando si accorse che nessuna reazione, che senza ombra di dubbio lei avrebbe esplicitato, arrivò da parte della bionda. Si voltò, più volte, la stanza era vuota. Axel aggrottò le sopracciglia guardandosi immediatamente attorno. CHE CAZZO?! Lasciò perdere gli anfibi e a piedi nudi cominciò a cercarla in ogni angolo della stanza. «DOVE PORCA PUTTANA SEI?» Urlò salvo poi essere cosciente che la sua sparizione avrebbe disattivato gli incanti che rendevano insonorizzata la stanza. Bestemmiando scagliò un pugno al primo oggetto davanti al suo cammino. La mano affondò nel legno e tante piccole schegge immediatamente entrarono dentro la pelle mentre il sangue prendeva a sgorgare dal taglio. «Porca puttana», strinse il pugno infilando più in profondità alcune schegge, con la mancina si levò il grosso sprezzante che tanto la sua natura avrebbe fatto il resto. Era scomparsa, andata via, smaterializzata nel cuore della notte tutto perché lui, patologico stronzo che non era altro, aveva dovuto per forza chiudersi a riccio! Non poteva per una volta accontentarla rispondendo alle sue domande? Levandole alcuni dei dubbi che corollavano la sua mente? No, figuriamoci! Axel Dragonov non avrebbe mai permesso che nemmeno una singola persona entrasse nella sua vita e non per forza come compagna, ma come amica, esattamente come la Corvonero aveva richiesto. Perché doveva sempre respingere tutti? Perché aveva respinto anche l’unica persona che si ostinava a stargli accanto? «Come volevasi dimostrare» mormorò tra sé, pieno d’amarezza, fissando lo sguardo al soffitto, gli occhi verdi che finalmente tradivano un’emozione. Skylee aveva detto che non si sarebbe arresa, eppure, era appena andata via, di punto in bianco e solo perché l’aveva fatta arrabbiare. Non proprio la dimostrazione di quanto avesse affermato con le sue parole, si disse Axel giustificando il suo comportamento. La mandibola tesa, lo sguardo d’acciaio, concluse di vestirsi. Doveva tornare infondo, sapeva che per quanto lui fosse stato una merda, lei non avrebbe mai mancato ad un impegno, men che meno nella situazione di vita o di morte in cui vertevano entrambi, legati appunto a doppio filo. “Sciocca bambina permalosa”, strinse la mascella mentre tirava la cintura in vita, la mano già perfettamente rimarginata. Si fermò sull’uscio, indeciso ed alla fine, dopo lunghi tentennamenti castò comunque tutti gli incantesimi di cui era a conoscenza atti a proteggerla quando lei sarebbe tornata. Perché sarebbe tornata. All’aprirsi della porta la guardia al di fuori corse immediatamente da lui ad informarsi a seguito di urla e rumori da parte sua ed Axel abbozzò una scusa comprando poi il silenzio dell’uomo infilandogli alcuni galeoni nel pugno. «Conto su di voi» fece suadente intimando nuovamente il servitore alla discrezione prima di tornare nella sua stanza, quella padronale che adesso gli spettava, nell’altra torre. Ovviamente, dopo quanto successo, non riuscì più a chiudere occhio interrogandosi ed analizzando la situazione da tutte le angolazioni possibili. Con il senno di poi si rendeva conto che si era comportato da stronzo, come sempre faceva con lei, ma nella sua mente distorta quello era un meccanismo di protezione per sé stesso ed il prossimo, soprattutto il prossimo, chiunque sarebbe entrato nella sua vita, mischiandosi ad essa avrebbe corso un perenne pericolo mortale con il suo carattere di merda in primis e la bestia che fuoriusciva ad ogni luna e ad ogni colpo di testa, poi. Si alzò dal letto con un pulsante mal di testa e nessuna risposta da dare a sua madre quando lo avrebbe messo a parte che la Corvonero era sparita. Aveva fatto un casino ed era solo colpa sua. “Emergenza di famiglia, nel cuore della notte”, sì le avrebbe detto questo! Fu con la coda tra le gambe che scese a fare colazione, sulla punta della lingua quella scusa raffazzonata e vedendola seduta alla tavola un ampio quanto involontario sorriso gli si aprì in volto. Benedetto il suo senso del dovere! Le poggiò una mano sulla spalla e si chinò per sfiorarle con un bacio la tempia ma lei, più rapida, riuscì a sfuggire abilmente al gesto senza destare sospetti. Ouch! Era arrabbiata giustamente e dal modo in cui lo guardava furente non era calato nemmeno di un po’ il fastidio nei suoi confronti. Se l’era cercata come si era cercato il fatto che lei preferisse ora la compagnia di sua madre che in tutti i modi tentò di risparmiargli. Fu con enorme disappunto che dovette finire per chiudersi nello studio del padre promettendosi che entro sera le avrebbe parlato. E così fu. Finita la cena, che non toccò quasi per nulla, si alzò da tavola affiancandosi immediatamente alla ragazza. «Vieni, voglio mostrarti i giardini di sera, con la luna piena sono magici.» Il tramonto era ancora lontano in realtà, complice l’allungamento delle giornate ed il fatto che nella sua terra si mangiasse presto aveva ancora due ore prima che la maledizione lo piegasse tra gli spasmi. Aveva tutto il tempo. Arpionò il bracciò della ragazza e contro la sua volontà la costrinse a seguirlo. Quella pagliacciata finiva lì. «Che cazzo fai, mh?! Dove cazzo eri finita?» Ringhiò al suo orecchio quando furono soli nel giardino sufficientemente a distanza dagli uomini di guardia. «Volevi mandare a puttane tutto? Se ti avessero scoperta?» Perché non era una questione se lei non fosse tornata o non ne avrebbe avuto l’intenzione poiché alla fine lo aveva fatto ma se qualcuno al mattino fosse andato a controllare e non l’avrebbe trovata, lì, allora, cosa sarebbe successo? «Non è che posso sempre pararti il culo qualsiasi stronzata ti salta in testa» lo faceva già abbastanza dopotutto, al lavoro, a scuola, con Ethan, ogni qualvolta potesse agevolarla lo faceva e non per il suo tornaconto come le aveva detto ma perché, alla fine, anche se non lo avrebbe ammesso, a lui importava fin troppo di lei ed il modo in cui se n’era andata era stata solo l’ennesimo rifiuto, l’ennesimo abbandono.
     
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