Upside down

D. R. S.

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    L'aria fredda del mattino le fece avvertire un brivido lungo la spina dorsale, sorrise. Chiuse gli occhi sollevando il viso verso il timido Sole che, con i suoi deboli raggi, scaldò appena la sua pelle sensibile. L'unica parte di lei. Raccolse le gambe portandosele al petto e, seduta su di uno spesso ramo con la schiena poggiata contro il tronco dell'albero spoglio su cui si trovava, le cinse con le braccia mentre nella sua mente si faceva largo una melodia. Era sempre la stessa da che era bambina, l'accompagnava giorno dopo giorno nei momenti di silenzio, quando le voci non la interrompevano.
    Ancora una notte lontana dal dormitorio, ed ancora una volta era riuscita a farla franca. Ormai i compagni in Sala Grande facevano colazione, e perché mai non avrebbero dovuto credere che non avesse finito prima degli altri? Per di più era Sabato, erano tutti focalizzati su Hogsmeade. Riaprì gli occhi mentre, sempre a labbra serrate, cominciò a canticchiare la stessa melodia che le risuonava nella testa. Il suo volto non mostrava troppi segni della nottata in bianco, le occhiaie erano solo appena accennate grazie alla giovane età

    “Pensa quando ne avrai trenta”

    La canzoncina si interruppe lasciando spazio ad una risatina derisoria. Rideva di quella voce che cercava di suggerirle pensieri scomodi. Figurati se sarebbe mai arrivata ai trent'anni. Rughe, preoccupazioni da adulti, Salazar ce ne scampi. Avrebbe trovato il modo di uscire di scena in grande stile.
    Un sorriso si allargò sul suo viso. Non un sorriso carino, di quelli contagiosi. Era un sorriso tagliente, gli angoli della bocca salivano lentamente a distorcere i lineamenti degli zigomi, gli occhi si assottigliarono dando l'impressione di allungarsi. Aveva un che di felino, animalesco. A vederla sarebbe venuto da chiedersi a cosa stesse pensando ma, allo stesso tempo, il luccichio sinistro degli occhi color caramello faceva passare ogni voglia.
    Eppure ci pensava spesso, a come lasciare questo mondo di matti, ma soprattutto pensava a chi portare con sé. C'erano giorni in cui si alzava, fresca e riposata dopo una notte nel comodo letto a baldacchino, in cui si chiedeva solo cosa avrebbe provato ad entrare in un'aula a caso lanciando anatemi vari, sarebbe stata più frustrata per non riuscire a prenderli tutti? Oppure il lanciare incantesimi da distante sarebbe risultato troppo asettico, impersonale? In questo preferiva le vecchie tecniche babbane, le trovava molto più fascinose e.. passionali. C'era dell'impegno. Ok si, ci sarebbero state conseguenze in entrambi i casi, l'avrebbero espulsa e, con tutta probabilità, mandata ad Azkaban, ma sai quante conversazioni interessanti avrebbe fatto li dentro? Peccato non fosse ancora pratica di magia troppo avanzata, tanto valeva rimanere ancora un po'. Qualche lezione era ancora salvabile. Una risatina le sfuggì dalle labbra ancora deformate nell'inquietante sorriso.
    Colse un movimento non troppo lontano con la coda dell'occhio, una persona si stava avvicinando e fu facile per lei riconoscerla. Non sembrava averla notata, era possibile stesse pensando ad un'unghia rotta o a qualche ragazzo che le aveva dato picche, o almeno è ciò che Reina credeva fossero le principali preoccupazioni della Scamander.

    “Prendila alle spalle e mettile un braccio intorno al collo, poi stringi”

    Ancora una volta la voce le suggerì il da farsi, succedeva di frequente nell'ultimo periodo. Si picchiettò la fronte con il palmo della mano sinistra per metterla a tacere. Non la rossa, non ancora, era strana e divertente da stuzzicare. Rimase accovacciata sul ramo che la ospitava da lungo tempo e attese che si avvicinasse ancora prima di lasciarsi cadere all'indietro, rimanendo appesa reggendosi con il retro delle ginocchia e ritrovandosi quasi faccia a faccia con la... compagna.
    -Buongiorno, pasticcino- osservò la sua concasata a testa in giù, lasciando che la lunga treccia corvina si avvicinasse pericolosamente a terra, sembrava un serpente pronto a strisciare sull'erba ancora umida.
    -Che succede, pasticcino? Hai sognato l'uomo cattivo?- il labbro inferiore andò a coprire quello superiore, anche se al momento sembravano invertiti, andando a simulare un tipico broncio fanciullesco -E puoi forse presentarmelo?- continuò tornando poi a sorridere nel suo solito modo che alcuni definivano inquietante.
    Con un colpo di reni si issò nuovamente, libero le gambe e tornò finalmente a terra con un saltino affatto aggraziato. La cosa bella dei weekend era la totale assenza dell'obbligo di divisa, così che l'atterraggio nei suoi anfibi preferiti risultasse ben più comodo di quello che sarebbe stato se avesse indossato quegli stupidi mocassini. Aveva in programma di dar loro fuoco a breve. Ops.
    Con i piedi saldi sul terreno e le ginocchia piegate, stava con il regal deretanto vicino al manto erboso, sembrava una rana accovacciata su due zampe
    -Ehi, guarda! Formiche!- la sua attenzione venne rivolta ai minuscoli insetti che, laboriosi, si muovevano rapidi sul terreno tra le due. Con l'indice della mano destra cominciò a schiacciarle una alla volta, lentamente, lasciando passare qualche minuto rimanendo in silenzio.
    -Avevo un gatto una volta, sai?- riprese a parlare alla verde-argento continuando a fissare le formiche, ma il suo tono era molto differente. Come se avesse avuto una regressione, il suo tono era cantilenante, tipico dei bambini, -Mamma non lo voleva, diceva che il suo pelo la faceva starnutire. Ma ho pensato io ad aiutarla.- continuava a premere a terra l'indice impastricciato di terra e schifo formicoso -Dopo averlo addormentato con il sonnifero di mamma l'ho passato sulle fiamme dei fornelli, non è rimasto più alcun pelo, ma non ha più giocato con me. Si muoveva così poco- alzò lo sguardo su Rain con gli occhi da cucciolo bastonato aspettandosi un “brava”, o un “bel lavoro”, che da sua madre non erano mai arrivati. Eppure si era impegnata tanto.


    Edited by Reina Scott - 23/2/2022, 22:39
     
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    Rain ♔ IV anno ♔ serpeverde


    Passeggiare era diventato un passatempo tollerabile. Non che fosse un tipo ginnico e pieno di energie. No, al contrario. Prediligeva, di gran lunga, passare le giornate spaparanzata su una delle comode poltrone della Sala Comune. In solitudine, ignorando amabilmente il mondo circostante e, di solito, in compagnia di uno di quei libri impegnativi, che tanto le piacevano. Nell’ultimo periodo, però, il castello iniziava ad andarle stretto. Si sentiva chiusa in gabbia, costretta a vivere quella routine come un qualche cosa di esaltante quando, la realtà, stava proprio nella direzione opposta. Schiacciata nell’abitudine, Rain, iniziava a nutrire la voglia di evasione e, per questo, prima di commettere infrazioni che le sarebbero costate care, aveva preso la difficile decisione di liberare le endorfine, convinta che sarebbe stata cosa buona e giusta anche per il suo stato fisico. Il cielo, quel giorno, appariva come una distesa infinita azzurra e completamente priva di nubi. Il sole splendeva ed il vento, che nei giorni precedenti aveva creato disagi, era svanito nel nulla, evitandole l’ennesimo mal di testa del mese. Respirò profondamente ed, improvvisamente, le si aprì un sorriso repentino che si spese subito dopo aver incrociato lo sguardo conosciuto di una delle compagne di corso. Abbassò gli occhi castani e continuò a camminare, evitando la seccatura di essere disturbata nel suo, già precario, equilibrio. Quest’ultimo, assente da troppo nella sua vita. Le certezze venute meno, avevano inflitto il colpo di grazia a quell’esistenza incerta e, per molti versi, traumatica. Sbuffò e decise di confinare quei pensieri patetici e volti ad abbatterla.
    La riserva naturale, sconfinata, che contornava la scuola, era divenuta la sua ancora di salvezza, un rifugio sicuro dove sfogare le sue insicurezze. Calciò distrattamente un sassolino e si fermò per osservare uno dei recinti che ospitavano le più svariate creature. L’affinità che provava in quel luogo, forse, l’aveva conosciuta solo quando, all’età di dieci anni, aveva fatto visita al ranch dello zio materno. Lì aveva cominciato a coltivare la sua passione per le creature magiche e non. Davanti ai suoi occhi, però, non esistevano differenze. Ogni vita era degna di essere considerata tale, con o senza poteri che andavano oltre l’ordinario. Si affacciò allo steccato e richiamò l’attenzione dell’Husky di Hunter. Il cucciolo giunse a lei, manifestando la sua gioia. La rossa allungò la mano, delicatamente, la passò sul suo musetto, guadagnandosi un bel bacio. Fatto ciò, lo salutò, promettendo un biscotto quando avesse fatto ritorno, probabilmente, il giorno successivo.
    Rimase abbagliata e la necessità di raggiungere un luogo d’ombra, si fece largo. Optò per la soluzione più facile e immediata. Si accomodò sotto ad un albero e respirò a pieni polmoni. Quella sensazione doveva avvicinarsi alla pace dei sensi. Ma, come per tutte le cose belle, la durata lasciava a desiderare.
    ”Buongiorno, pasticcino.” Un tuffo al cuore. Un infarto. Si chiese che cazzo stesse succedendo. Chi aveva parlato, ancora, non aveva un volto ma quella voce le ricordava qualche cosa di… spiacevole. La compagna di stanza, stavi lì, a testa in giù, a pochi centimetri dal suo viso ricolmo di esasperazione. Sì. Reina aveva questo potere: portarla sull’orlo di una crisi di nervi. ”Che succede, pasticcino? Hai sognato l’uomo cattivo?” Dissentì, così per darle la tara e sorvolare le provocazioni della Serpe. La considerazione nei suoi riguardi era bassa, così come per la stragrande maggioranza degli abitanti della scuola ma, con lei, doveva dividere il dormitorio e gli spazi più intimi. Sfiga? Probabilmente il karma avverso. “Reina. La tua classe è leggenda.” Di femminile aveva giusto le tette e il culo ma, ad atteggiamenti, somigliava più a un camionista ruttante e bisognoso di scopare per alleviare le frustrazioni. “Devi aver frequentato istituti di un certo calibro. Non è da tutti cimentarsi in questi numeri.” Constatò con una punta di ironia. Per il resto ci sarebbe stato da lavoraci duramente. Ovviamente, non la reputava alla sua altezza e, per questo, non diede peso al suo comportamento bislacco e fuori luogo. Normale, per i suoi standard. “L’uomo cattivo. Certo. Non ti negherei la possibilità di trovarti un amico. La cattiveria potrebbe essere un punto di incontro!” Sì. La stranezza della Scott non le andava a genio. Aveva tentato più e più volte, inutilmente di tenerla alla larga ma, con il tempo, aveva imparato a farsene una ragione e a, semplicemente, ignorare la sua esistenza.
    Finalmente assunse una posizione degna di un essere umano ma, con gli inquietanti occhi color nocciola, continuava a scrutarla come per studiare le sue reazioni, imbarazzandola non poco.
    ”Ehi, guarda! Formiche!” Con l’indice prese a schiacciare una per una e, Rain, paladina delle creature, con un balzo le afferrò il polso, fermando quel gesto deplorevole e insensato. “Che cazzo stai facendo? Dacci un taglio.” Lasciò la presa e si allontanò da quella persona così crudele da porre fine alla vita di esseri indifesi. “Se un giorno dovessi trovare un ragno gigante nella tua cameretta… non avere dubbi sul chi l’ha fatto entrare!” Fece spallucce, rilassando il tono e la mascella, mentre, le mani, iniziavano a prudere dalla tensione alla quale era stata sottoposta.
    La trovatella riprese la parola per esternare ulteriori eresie. Non poteva credere alle parole proferite e portandosi la mani, congiunte alla testa. Sperava in uno spiccato black humor o qualche cosa si simile ma molto lontano da quell’avvenimento. “Sei davvero pazza.” Si limitò per non scivolare nel volgare. A quel punto non stentava a credere che i suoi genitori avessero preso la decisione di liberarsi di lei, mollandola a degli sconosciuti. “Ti rendi conto di esserlo, vero? Chiedo. Perché potresti trovare questa tua particolarità simpatica. Ma non lo è. Credimi!” Che fosse un consiglio dispensato da colei che, in quel casino, si avvicinava più alla figura amicale.
     
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    Ricordava bene il giorno in cui, varcata la soglia della camera che le era stata assegnata, incontrò per la prima volta quella testa rossa parlante e le altre compagne. Era abituata a condividere gli spazi comuni, lo faceva da tutta la vita, così come era abituata ad ignorare le persone con cui conviveva. Ma quegli stupidi capelli rossi attiravano la sua attenzione, non importava l'ora o cosa stesse facendo, quella discutibile chioma rossa spiccava da tutte le parti, incapace di mimetizzarsi con l'ambiente. E non si abbinava con niente che fosse nei paraggi. Era uno di quei colori che lei trovava caotici perché capaci di scombinare le attenzioni delle persone, e lei adorava il caos. Odiava i suoi capelli, ma amava il caos. Quindi, in un certo senso, le piaceva avere intorno quel "parafulmini di attenzioni", era fastidioso e disturbante alla vista. Adorabile.
    Tutt'oggi era ancora così, quegli orribili capelli le davano ancora un piacevole senso di fastidio. Sorrise all'affermazione della Scamander sull'aver frequentato istituti discutibili fissandola a lungo negli occhi senza dire niente.

    “Schiaffeggiala! Schiaffeggiala!”


    Lentamente cominciò a ridere, aumentando mano a mano volume ed intensità fino a trasformarla in una risata di gusto. Se inizialmente era rimasta spiazzata da quella sparata, per un brevissimo istante in cui il suo istinto l'avrebbe portata a fare ben altro, poi ne emerse sincera ammirazione. C'era della perfidia a sottolineare la misera esistenza di un essere umano, insensibilità, poca empatia nel toccare tasti che, per qualcuno, sarebbero potuti risultare dolenti. Battè le mani un paio di volte finendo di ridere, fingendo poi di asciugarsi una lacrima dall'occhio sinistro. Si, ci aveva visto bene, c'era del potenziale in questa ragazza dall'aspetto deboluccio.
    -Al suo servizio, per stupirla- si piegò verso Rain mimando un inchino, senza però staccare gli occhi dai suoi -Ma ti prego, non esagerare con questi complimenti, in quanto a classe ho imparato dalla migliore- le fece un occhiolino sollevando le sopracciglia prima di continuare -Sono tornata alla Sala Comune qualche sera fa, ma quando stavo per entrare in camera l'ho trovata un po'... rumorosa, possiamo dire- il sorriso divenne malizioso e canzonatorio -Dobbiamo aver frequentato gli stessi istituti, forse. E non mi fraintendere! Approvo e apprezzo- una risatina bassa mise fine a ciò che aveva da dire sull'argomento dell'ipocrita amica.
    A Reina piacevano gli animali, anche se non sembrava. Fin da piccola aveva cercato il loro contatto, eppure ogni volta finivano sotto terra per qualche incidente, ma non lo faceva di proposito! Non era colpa sua, solo che così non sarebbero andati via. La reazione della rossa non la sconvolse, continuò a guardare il polso dove era stata afferrata mentre l'altra le dava della pazza, niente di nuovo. Così era sempre stata liquidata dalle istitutrici e, successivamente, dalle altre bambine. Dovevano avere ragione se tutti dicevano la stessa cosa, così iniziò a fare davvero la pazza e, la cosa sconvolgente, fu che le piacque da morire. Arrivò al punto da non saper più quando era reale, e quando fingeva di essere ciò che gli altri la definivano, ormai era tutto così confuso. Era l'uno e l'altro, l'importante era divertirsi. Cosa siamo, cosa non siamo, l'importante era esserci. Rise ancora della Scamander una volta tornata in posizione eretta, o quasi. La sua postura era tutto fuorché graziosa: sempre incurvata, la schiena costantemente piegata in avanti, e la testa che ciondolava da un lato all'altro ad ogni passo. Non rappresentava l'eleganza, ecco. Anche in quell'occasione si ritrovò incapace di mantenere una postura corretta, con le ginocchia molleggianti e la testa piegata verso la spalla sinistra, risultava anche più bassa di Diamond.
    -So molto bene chi sono- per la prima volta da quando si erano incontrate quella mattina, il tono era diventato serio -E tu?- le chiese sinceramente curiosa prima di continuare -Definiscimi normalità- le chiese allargando le braccia per poi farle ricadere lungo i fianchi -E poi la normalità è così sopravvalutata- un angolo delle labbra rosee si alzò facendo comparire un ghigno sul suo viso, avvicinandovi la mano usata fino quel momento. Si leccò il dito portando via terra e formiche senza mai perdere il ghigno, se anche per lei era pazza tanto valeva esserlo fino in fondo. Una volta ripulito, si portò le mani dietro la nuca e, facendo un paio di passi all'indietro, appoggiò la schiena contro il tronco freddo.
    -Mi annoio, pasticcino- chiuse gli occhi aspirando l'aria fredda -Balla per me-

    “Fino farti sanguinare i piedi”


    Edited by Reina Scott - 23/2/2022, 22:39
     
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    Rain ♔ IV anno ♔ serpeverde


    Il giorno in cui, disgraziatamente, si era imbattuta nella piccola orfanella, Rain, si era maledetta. Quella giovane dava l’impressione di essere “strana”. Non che lei fosse totalmente ordinaria ma, nei suoi tratti, leggeva della pura inquietudine. Quando si trovava in sua compagnia, sentiva il disagio percorrerle la spina dorsale, arrivandole dritta al cervello, senza passare dal via. Una sensazione particolare alla quale non aveva mai saputo dare una vera spiegazione. Si era limitata ad incolpare la poca istruzione e il ceto sociale basso alla quale apparteneva. Pensiero che scomparve dopo qualche tempo per due motivi: non le importava e, secondo, poteva essere un interessante oggetto di studio. Impegnativa ma non così fastidiosa come aveva previsto. Certo, il livello di sopportazione andava alzato di molto ma, finché le cose non fossero degenerate, poteva gentilmente concedere il beneficio del dubbio nella speranza di raggiungere una discreta relazione, volta alla pace.
    La sua risata la indispose in meno di qualche millesimo di secondo. La conosceva abbastanza per credere in una presa per il culo bella e buona. Calma. Non sarebbe stata una mossa furba farla fuori e nascondere il cadavere. Non lì, alla presenza di un segugio. Respirò profondamente, ricercando la tanta bramata e mai trovata modalità zen.
    “Ci vuole qualche cosa di eclatante per stupire me, Rei.” Commentò senza dare troppo peso alle parole. Ciò che aveva subito, di certo, neanche si avvicinava alle stranezze messe in atto da quella ragazza dalle gambe chilometriche. Neanche valeva la pena elencare le bizzarrie che, per forza di cose si era dovuta subire, lasciandola con un retrogusto amaro e mille “vaffanculo” nelle tasche. “Ti piacerebbe avere, anche solo la metà, della mia classe.” Le rifilò un sorriso poco amichevole, tendente alla sfida, come se aspettasse una risposta immediata e senza mazzi termini. Era profondamente convinta del suo potenziale, nonostante la poca applicazione, la Scamander, vantava una buona reputazione, complice il suo curriculum scolastico e la sua appartenenza alla squadra di quidditch che, per un certo verso, l’aveva resa anche popolare tra i ragazzi.

    Sapeva a cosa si stesse riferendo e, con molta disinvoltura, fece orecchie da mercante, portando la discussione su un altro fronte. “Sei, per caso, invidiosa?” Alluse, scostando una ciocca di capelli di un rosso acceso, dietro l’orecchio sinistro. “Se ti interessa l’argomento, posso darti qualche consiglio a riguardo.” Propose, sicura che avrebbe declinato l’offerta. Per quel che aveva compreso, la Scott, non nutriva particolare interesse verso le relazioni di tipo romantico e, a dirla tutta, neanche lei. Le avventure era ben accette ma il fatto di impegnarsi, costituiva un qualche cosa di veramente più grosso di lei, detentrice dello scettro libertà, Farsi incastrare non risultava in nessuno dei suoi piani per il futuro, anzi, Fece spallucce per l’ennesima volta, allontanando quel pensiero spaventoso.
    “Scopare fa bene alla salute. È Pur sempre considerata attività cardio!” La buttava sulla salute. Paracula. “Amico con benefici. Mai sentito parlare di questo ruolo? Oramai va molto di moda.” Amico. Un termine poco azzeccato da affibbiare a Oliver in quanto, in lui, ancora, non riponeva alcuna fiducia. La sua vita sessuale, comunque, non era di certo affare della compagna di stanza, alla quale non doveva nessuna spiegazione. “Vuoi che ti presenti qualcuno? Ti farebbe bene ridurre quell’acidità che ti porti appresso!” Un consiglio arrivato dritto dal cuore, come se fosse una ragazza attenta ai bisogni altrui. Come no. L’egoismo, tratto caratteriale radicato in lei, non permetteva di uscire dal seminato ma, in alcune situazioni, sentiva l’esigenza di sottolineare le mancanze altrui. Stronza.

    ”So molto bene chi sono!” Secca. Dura. La sua risposta giunse come un pugno in pieno petto. Lì, Rain, ebbe l’impressione di aver esagerato con le parole, ferendola –forse- nel profondo. “Beh. In tal caso, Reina, ritieniti fortunata.” No. Lei non aveva idea di chi fosse veramente. Aveva, per molto tempo, glissato sull’argomento con chiunque avesse chiesto informazioni riguardanti il suo passato. “Io? No. Forse non siamo così diverse, trovatella!” Si reputava un’orfana, nel vero senso della parola. Tradita e mazziata, i genitori non avrebbero mai più fatto ritorno nella sua vita. No. Non l’avrebbe permesso, neanche sotto giuramento.
    “Per me, la normalità delle persone riflette le azioni condivise dalla società, mia cara. Giusto o sbagliato, quello che conta è non fare figure di merda, non credi?” Alzò il sopracciglio, sperando che tralasciasse le discussioni sul piano filosofico, sulle quali non era ferrata. “Hai ragione. Ma la nostra opinione conta relativamente."
    Cosa stavano vedendo i suoi occhi? Reina somigliava molto, nei gesti, a donne primitive, prive di buon senso ed educazione. La osservava schifata. “Prima o poi ti prenderai qualche malattia!” Dissentì. Perse le speranze quando le chiese di ballare per lei. “Cazzo. Devi aver fumato roba forte, Scott. Altrimenti non si spiegano le tue affermazioni!” Terminò, tranquilla e senza scomporsi più del dovuto. Doveva ammettere, però, che nella sua follia, qualche cosa di interessante si poteva trovare, in fondo. Tanto in fondo.
     
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    La giovane Serpeverde aveva, se così si poteva dire, delle opinioni contrastanti per ciò che riguardava le relazioni, siano esse di coppia, di gruppo o sociali. Cresciuta in istituto dove le uniche persone adulte erano donne, probabilmente senza una loro famiglia, che si limitavano a fare il loro dovere senza mai affezionarsi troppo alle ragazze, dove le stesse compagne cambiavano con frequenza trovando una nuova famiglia, l'unica costante era la sua presenza solitaria che mal era tollerata dalle istitutrici e che, per forza di cose, non aveva nemmeno il tempo di legarsi alle coetanee. L'unica coppia che avesse mai visto da vicino erano i suoi genitori, una storia fatta di violenze e mancanze, di abusi e abbandoni. Le capitava spesso di origliare le ragazzine che sghignazzavano tra loro fantasticando sui ragazzi che avrebbero incontrato un giorno, sentirle parlare di matrimonio e cazzate del genere, in quei casi non poteva che chiedersi come mai delle persone dovessero volere tutto quello. Perché inseguire dolore e sofferenza. Quando poi arrivò ad Hogwarts, guardando tutte le coppiette strusciarsi contro i muri del castello, sussurrarsi frasi imbarazzanti, farsi gli occhi dolci durante le lezioni, capì che doveva esserci dell'altro. Forse c'era un motivo se tutti erano alla costante ricerca di qualcuno, anche solo per “togliersi un prurito”. Eppure sentiva che fosse troppo per lei, la sensazione di soffocamento che le veniva pensando di legarsi a qualcuno, chiunque esso fosse, la faceva sentire come se ad un tratto le avessero tarpato le ali.
    Da un lato quindi rifuggiva dalle persone, era abituata a tenersi in disparte ad osservare e sghignazzare tra sé fantasticando sugli altri. La sua parte razionale le diceva che non aveva bisogno di nulla del genere, che era solo un vezzo per deboli incapaci di bastare a se stessi. Dall'altro lato, quello più inconscio e incompreso da parte sua, si ritrovava di tanto in tanto ad interagire con alcune persone scelte, nell'inconsapevole desiderio di sentirsi parte di qualcosa, fosse anche solo una superficiale conoscenza che la facesse sentire, anche se in minima parte, accettata. Un po' il motivo per cui si era decisa a trovare un punto d'incontro con la compagna di stanza. Ma questo lei non lo sapeva, e anche se glielo avessero detto mai lo avrebbe ammesso. Piuttosto si sarebbe tagliata la lingua, e lo avrebbe fatto sul serio.
    Osservò con un sopracciglio alzato l'interlocutrice che si offriva di presentarle qualcuno, le rispose con uno sbuffo sarcastico. No, per le relazioni romantiche non era ancora il momento, anche perché per quanto dorata una gabbia restava una gabbia.
    Conosceva la storia della ragazza a grandi linee, il passato turbolento e una famiglia discutibile erano qualcosa che avevano in comune, forse per questo era riuscita a prenderla in simpatia. Ma Rain aveva imparato a dissimulare sui suoi traumi, mentre Reina ad esagerare. Chi delle due avesse trovato il metodo migliore non era ancora dato saperlo.
    -Forse si- le rispose quando la rossa fece notare una certa somiglianza tra loro -Quindi sei un po' matta anche tu?- le chiese con una risata bassa e di gola
    -Le figure di merda sono relative, in fin dei conti chi decide se una figura è bella o brutta è chi l'assiste in base alla sua personale percezione, e a me, come a te, di quello che pensano gli altri non frega una beata fava pelosa di Merlino- la filosofia era qualcosa di troppo poco tangibile per la sua mente semplice. Non andava mai a cercare risposte complicate o chissà quanto ragionate, per lei le cose erano semplici, bianche o nere. Il più delle volte nere.
    Se c'era una cosa che la divertiva veramente, erano le reazioni che la gente aveva ai suoi gesti o alle sue parole. La faccia schifata della Scamander la fece sorridere più del solito, lasciando vedere una fila di denti dritti e candidi, dove nessuna formica era rimasta incastrata. Peccato, avrebbe aggiunto pepe. La rossa si rifiutò di ballare, come c'era da aspettarselo. Troppo rigida quella ragazza, doveva sciogliersi un pochino, e non solo tra le lenzuola
    -Andiamo, Diamond, muovi quel bacino!- continuò ancora poggiata contro il tronco dell'albero -Ballare fa bene alla salute! È pur sempre considerata attività cardio- ripeté a pappagallo la frase detta in precedenza dalla stessa Rain. Non sembrava, ma Reina era attenta a quello che le veniva detto e, purtroppo per gli altri, aveva una buona memoria.
    -Ancheggia per me!- il tono lamentoso ed infantile era tornato -In cambio potrai avere un bel bacio formicoso- finì mandandole un bacio con un sonoro schiocco.
    Si staccò dall'albero con un colpo di reni, con la sua camminata ambigua fece un giro attorno alla povera Rain, fermandosi proprio davanti a lei a meno di un passo di distanza. Raddrizzò la sua figura dimostrando di essere più alta di lei di almeno dieci centimetri.
    -Come dicevi di volermi aiutare a liberarmi di questa acidità?- chiese ghignando con un lato della bocca -Amici con benefici, dicevi?-
     
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    Rain ♔ IV anno ♔ serpeverde


    Un passato turbolento, le rendeva più simili di quel che si potesse pensare. Certo, le circostanze non avevano le medesime caratteristiche ma, sullo sfondo si poteva notare quella sfumatura di sfiga che in entrambe le storie, compariva in elevata dose. Non provava pena per il prossimo ma riusciva a comprendere, almeno in parte, il comportamento antisociale della compagna di stanza. Essere guidai nella vita, aveva la sua importanza ma, nel loro casa, ogni cosa ottenuta, derivava dalla sola capacità individuale che avevano accentuato, in tutte le occasioni nelle quali l’unica ancora di salvezza derivava dalle proprie forze. Così erano cresciute e diventate le giovani donne che, in quel momento, iniziavano ad interfacciarsi con quel mondo che, per qualche assurdo motivo, le aveva punite in precedenza.
    Reina sembrava essere d’accordo con la sua affermazione. Nonostante le similitudini, però, il loro modo di comportarsi, pareva diametralmente opposto. Fece spallucce, ignorando che coltivare quell’amicizia le avrebbe portato dei vantaggi a livello personale. "Matta? Preferisco definirmi: fuori dagli schemi!" Mantenere la sanità mentale a seguito delle avversità, costituiva una vera e propria impresa, forse mai vinta a causa delle sue poche esperienze. “Per quanto mi riguarda, siete tutti pazzi!” Sogghignò, sapendo che poteva spingersi oltre e di non essere in presenza di una sciocca perbenista qualsiasi –razza che andava parecchio di moda tra le mura della scuola-. Ascolta distrattamente le sue parole, senza davvero coglierne il significato e l’essenza così, come era solita fare con chiunque, fino a quando la sua lezione di psicologia non urtò il sistema nervoso. “Vedo che sei ferrata in psicologia. Hai frequentato parecchi professionisti? So che i trovatelli devono affrontare percorsi tortuosi fatti di strizzacervelli e cazzate simili.” Così aveva sentito dire da non ricordava più chi. Beh, non invidiava minimamente quelle povere creature, convinte che qualche seduta avrebbe cambiato la loro vita in meglio.

    Ballare. Forse nei suoi sogni. Mai e poi mai avrebbe mostrato le sue scarse doti a quella ragazza dall’aria stralunata. Assunse un’aria interrogativa ma decise di glissare ampiamente sulla sciocca richiesta, spostando il fuoco del discorso su un altro livello. “Se ci tieni tanto all’attività cardio, mia cara, hai solo da pulire quel porcile che è la tua parte della stanza!” Non aveva idea di chi fosse quel disordine ma, di certo, non poteva trattarsi del suo, vista la mania di controllo che attanagliava il suo modo di essere. Mai e poi mai, avrebbe lasciato che un granello di polvere si posasse sui mobili che aveva in datazione. “Devi fumare qualche cosa di pesante. Allora erano vere le voci sul tuo conto. Spacci davvero piantine dalle strane proprietà?” Chiese, piegando la testa di lato e osservando la sua espressione, pian piano, mutare, prima di rincarare la dose. In fondo poteva dire di sentirsi divertita e soddisfatta del suo modo di allacciare rapporti tossici. “Sono sempre più convinta che tu abbia bisogno di fare sesso occasionale.” Perché no? Almeno si sarebbe divertita, quel luogo sembrava essere omologato solo per suore e bravi ragazzi. Andiamo, poche palle. Scopare faceva bene alla salute e, soprattutto, poteva essere considerato un buon esercizio cardio ma no, non avrebbe rimarcato la cosa in quanto non la trovava più divertente.
    “Perché mi guardi in quel modo?” Chiese attonita. Che si stesse facendo strane idee? O stava solo passando al setaccio la lista di nomi papabili che avrebbero potuto soddisfare i suoi bisogni? Rain non aveva mai fatto differenze ma, il problema stava alla base: non credeva nell’amore e su ciò che esso avrebbe trascinato dietro si sé. Impegnarsi con qualcuno avrebbe voluto dire, dire addio alla sua totale libertà e no, rinunciare a ciò avrebbe snaturato la sua persona e la sua integrità morale. “Dai. Dimmi la verità. Questo posto è così grande! Non ci credo che nessuno abbia attirato la tua attenzione, almeno a livello fisico.” Era in vena di confidenze, mancava solo che si sedessero sotto ad un cipresso a farsi le unghie e poi aveva raggiunto l’apice del trash che caratterizzava quello scambio di battute sulle loro attività sessuali più o meno conosciute. Rain non aveva mai nascosto la sua “storia” con Oliver ma neanche si era imposta di portare quella notizia sulle bocche di chiunque. L’ingenuità di aver sfilato con lui sotto al naso dei compagni, era stata la miccia che aveva acceso quel pettegolezzo. “In caso te lo stessi chiedendo, sì. Ho voglia di farmi i cazzi tuoi. Dobbiamo passare tanti anni insieme. Mi sembra giusto essere a conoscenza dei tuoi segreti più reconditi. Così da poter facilitare anche la nostra relazione e farla evolvere, insomma.” Sapeva bene che non sarebbe caduta nella sua insulsa trappola da quattro soldi ma, forse, un leggero interesse di conoscere i gusti della Scott, lo provava anche se non l’avrebbe ammesso facilmente. La fissò, ammutolendosi sperando che i suoi tentativi non fossero stati vani, così da riuscire a scoprire un piccolo pezzo di mondo di colei che, a prima vista, appariva imperscrutabile e lontana da chiunque la osservasse. Si accorse che le ombre scendevano su di loro. Il giorno stava per lasciare spazio alla sera e l’ora di rientrare tra le mura del Castello. “Dai, muovi quel culo. È ora di rientrare, non vorrai farti sgamare da qualche prefetto mentre te ne vai per i cazzi tuoi.” Sogghignò e si fermò per aspettare la compagna.
     
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