You feel your strength in the experience of pain.

privata. - Russia -

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    Il pianto di Zoya mi ha letteralmente strappato il cuore, le sue poche parole ancora di più. Sembra tornare indietro tutto, la mancanza che abbiamo sentito l'uno dell'altra sembra essersi improvvisamente affacciata. Avrei voluto rimanere abbracciato forse per qualche minuto, qualche ora in più, ho sentito il distacco quando lei si è allontanata quasi scappando. Tra un'ora ci vediamo ha detto lei. Quell'ora è sembrata così lunga, così piena di pensieri e di paure. Non esiste una parola per descrivere ciò che pensavi di non provare più ormai da anni, in questo momento non riesci più ad avere quella sabbia che hai avuto all'inizio, non capisco me stesso perché penso di non aver mai vissuto una cosa così strana. Come se i miei sentimenti fossero tornati improvvisamente dal passato, probabilmente è anche l'effetto del recupero della memoria. Questa cosa un po' mi fa paura, come se stessimo andando in una direzione sbagliata, come se quello che provassi fosse un tabù perché ho fatto una cazzata quando ero giovane, come se non mi meritassi di provare ciò che sto provando, e questo sentimento ha un nome ben preciso. L'amore per quella che ormai è una donna adulta non è mai finito, o semplicemente si sta svegliando pericolosamente. Lo so che cosa voglio però, rimanere concentrato sull'obiettivo è la cosa giusta. Preparo la valigia e chiamo il dottor Jordan, in poco tempo arrivo a casa di Zoya e partiamo attraverso una passaporta che ci porta in Russia. Il viaggio è davvero brevissimo, arriviamo di fronte all'ospedale pubblico di Volgograd, è ancora abbastanza distante ed ho il tempo di dire due cose mentre proseguiamo lentamente, come se non volessimo arrivare subito. Forse lo faccio un po' per lei, non so che reazione avrà. La valigia me la sono messa in tasca, la magia ha sempre la meglio per i viaggi e questo ci sgrava da un ulteriore peso. < Ho prenotato delle camere non troppo lontano da qui, a quest'ora il comune sarà chiuso, dobbiamo fermarci una notte. > mi fermo e mi volto verso l'ospedale, poi porto lo sguardo su di lei. < Ce la fai? > chiedo con tono delicato e rispettoso, ritrovarsi improvvisamente li non è facile per lei e al dire il vero neanche per me. Onestamente io mi sento agitato, spero di trovare quello che trovo, ma allo stesso tempo ho paura di avere improvvise visioni che mi permettano di vedere magari qualcosa che non voglio vedere. < Andrà tutto bene. > accenno un sorriso per incoraggiarla.

     
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    Vorrei avere il tempo di digerire l'incontro e la decisione che abbiamo appena preso :andare in Russia. Sono conscia di non averlo e non posso assolutamente fare la bambinata di chiamare Jon e dirgli che non ce la faccio. La tua bambina è rimasta senza di te per tutto questo tempo, vai e prendila mi rammento e quello diventa il mantra che cercherò di ripetermi ogni qual volta sembrerò titubante o spaventata.
    Preparo un trolley di piccole dimensioni per i viaggi brevi, ci infilo l'album, non so perché lo faccio ma voglio portarlo con me, come se quello potesse tamponare il fatto che non troveremo nulla o quello che ci capiterà per le mani non avrà valore da indirizzarci. So che Jon non é un credulone, in cuor suo sa che non sarà facile questa ricerca ma da qualche parte dobbiamo partire :stimolare e aprire la sua mente perché io non basto. Forse la polvere depositata sui ricordi di questi anni ha avuto la meglio, ha nascosto Anastasya dai suoi poteri. Lascio un messaggio ai gemelli, da buona madre, perché mi ritengo tale anche se questa parte della mia vista è stato un enorme fallimento. Eppure fino a poco tempo fa ripetevo a me stessa che era giusto fare così, che quella piccola si meritava una famiglia d'oro, con soldi e amore. Eppure d'altro canto mi ero portata dietro una voragine al petto che queste convinzioni che mi insediavo in testa per convincermi, non avevano cucito.
    Chiudo la porta alle spalle e lui é già lì, la sua auto ferma davanti al cortiletto.
    Non scambiamo molte parole, forse siamo tutti e due immersi fra i nostri pensieri e sarebbe così facile dire il tutto senza paure o giudizio. Eppure non lo facciamo e mentre camminiamo verso l'ospedale, che sembra avere subito un restauro, noto che rallenta il passo.
    Sono al suo fianco e capisco che mi sta dando il tempo di prepararmi. La sensazione che sto avendo é quella di un macigno posato sullo stomaco. Sono incapace di sentirmi meglio e per la prima volta dopo parecchi anni penso al passato dove in queste crisi ricercavo il mio ansiolitico. Jonathan é un medico, dovrei parlargliene però al momento l'unica cosa da fare é attuare lunghi respiri e soffiare l'aria con lentezza. Aiuta a regolare il respiro e quindi a focalizzare la mente su questo e non su altro. É eseguire un esercizio che fa bene a mente e organi.
    Comincio a farlo mentre mi informa che passeremo una notte nel paese caucasico. Sinceramente non ne sono felice, la storia della mia famiglia distrutta parte da qui. Qui non ho lasciato solo mia figlia, ho anche subito la mia prima ferita al cuore quando ero giovane : mio padre aveva una seconda vita parallela, un'altra donna, un altro figlio. E quello che io consideravo letteralmente il mio eroe era diventato l'uomo ingnoto che avevo finito per odiare nei miei incubi. Un uomo che non avevo mai conosciuto per via dei suoi segreti e per il suo tempo speso fuori e lontano da noi, i suoi figli e sua moglie. Aveva altro da nascondere con astuzia, quell'uomo, che ora ricordavo con fastidio.
    Se dobbiamo farlo va bene dico amareggiata riguardo l'alloggio. Si è curato di prenotare le stanze e quella é una cosa fatta.
    Non lo so, ti mentirei dicessi che sono pronta sussurro mentre si ferma davanti alla porta di vetro. Sospiro. Come stai tu? Insomma sta per vedere dove é nata sua figlia. Lui non c'era e non ho idea che genere di emozioni possa generare in lui questo. Curiosità? Ansia? Fastidio?
     
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    Ho detto a Zoya che saremo rimasti per poco tempo in Russia, tuttavia mi rendo conto che per fare le cose come si deve necessitiamo di restare qui una notte, domani andremo al comune per ulteriori informazioni, ma io spero di trovare ciò che serve già in ospedale. Conosco tantissimi medici e infermieri, ho chiesto al dottor Jordan di corrompere coloro che lavoravano in ospedale a quei tempi, spero vivamente di trovarne almeno uno che si ricordi qualcosa. Ma la mia seconda speranza sta sulle visioni che non arrivano e non si fanno neanche sentire quando la tensione aumenta ad ogni passo verso l'ospedale. È difficile per lei stare una notte qui, ma sto chiedendo un sacrificio per qualcosa di veramente importante. Sarà una notte bianca anche per me dopotutto, sto condividendo le sue ansie e preoccupazioni. < Credo di non essere mai stato così nervoso ma sono determinato. > sorrido per sdrammatizzare ma mi rendo conto che serve a ben poco, siamo rigidi e siamo nervosi, questo è normale ma Zoya è davvero tanto in ansia. La prendo a braccetto non appena apro la porta dell'ospedale, tutto il personale medico ed infermieristico ci guarda. Vorrei avere un'altra faccia in questo momento, alle volte essere conosciuto ovunque mi infastidisce, lo sanno anche le pietre che sono una persona molto riservata. Ma il gioco vale la candela, essere conosciuto mi permette di avere tanti contatti, gli stessi contatti che ci aiuteranno a trovare nostra figlia.
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    Mentre percorriamo il corridoio la mia immaginazione va altrove, mi vedo con una bambina, la tengo per mano e immagino sia nostra figlia felice. Non è una visione, ma è semplicemente la speranza di una visione che mi fa immaginare queste cose. Il dottor Jordan ci sta aspettando e ci viene incontro quando ci vede avanzare verso il suo ufficio. < Buongiorno dottor Jordan! Lei è Zoya Stojnov. > gliela presento - Che piacere dottor Bennet è un onore averla qui, non sapevo venisse in piacevole compagnia.. Piacere! - sulla mia faccia si disegna lo stupore, al dire il vero il dottore sapeva già che sarei venuto con la mamma di mia figlia, ma che lui pensi sia la mia compagna mi fa pensare. Ci fa accomodare nel suo ufficio e prendo subito la parola, siamo seduti sulle poltrone davanti alla scrivania del dottor Jordan, ma lui non si siede. < Lo sai perché sono venuto, hai trovato qualcosa di interessante per noi? > gli do del tu perché l'argomento lo richiede e dentro l'ufficio siamo meno formali del solito. - Si, un infermiera che lavorava a quei tempi nel reparto.. Dovrebbe arrivare a momenti. - il dottore si sposta verso la porta. - Aspettate cinque minuti e ve la mando. - esce e rimaniamo soli, silenziosi, la tensione è nell'aria e le punte delle mie scarpe sbattono ripetutamente a terra. < Hai provato ad avere la cartella clinica del tuo ricovero? > mi viene in mente questo piccolo dettaglio, in teoria dovrebbero potergliela dare senza problemi, chissà se magari scopriamo qualcosa in più. La speranza è sempre l'ultima a morire.

     
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    Ce la faremo dico più per convincere entrambi che veramente sicura di ciò. Entriamo dalla porta trasparente, l'odore di cloro e soda mi colpisce le narici ribaltandomi le budella. Deglutisco in silenzio e forse non mi rendo conto che la tensione me lo fa fare di continuo, la schiena si tende, i palmi cominciano a sudare, le dita si ancorano sul tessuto della maglia di Jon, come se lui potesse conferirmi più forza. Ma gliene sto dando anche io in questo modo mi dico. Bisbigli e occhiate ci assalgono e non vorrei proprio averle addosso, Jonathan è famoso nel suo campo e io mi sento un po' piccola e quelle iridi curiose e stupite mi fanno sentire sotto esame. Sono quì per trovare lei, non sono felice di tornarci ma devo aver la forza di ricavare informazioni su dove è andata a finire.
    Stringo la mano del dottore che pare conoscere Jon anche troppo bene, sforzo un sorriso tirato e dico La ringrazio del suo tempo.. della tempestività.. So che Jon gli ha raccontato ciò che gli serve per aiutarci e anche se io sono l'artefice e la colpevole di tutto spero che non mi faccia sentire tale. Entriamo in quello che sembra il suo ufficio personale, prendo posto di fronte alla scrivania mentre il Dottore rimane in piedi pronto a dialogare con noi.
    Ci sarà di sicuro mormoro alla domanda di Jon, sento il rumore della suola delle sue scarpe a terra, è ansioso e aspettiamo l'infermiera. Con mio marito la vedemmo, saranno documenti forniti di dettagli sul parto, sul mio ricovero e nient'altro, non vi è un nesso con le informazioni della nascitura, che è ciò che in verità vogliamo. Una donna sulla cinquantina entra nella stanza, i capelli raccolti in un chignon e uno sguardo pensieroso. Stringe una cartella, il mio nome è riportato al centro. Non c'è molto all'interno estrae il tutto guardandomi con uno sguardo rigido e professionale. Sono l'infermiera Marijska Kuznetsov, lavoro quì da oltre vent'anni, compreso quando lei ha partorito presso il nostro ospedale, signora Sotjnov tende quei pochi fogli ingrafettati e firmati dal responsabile del reparto e dell'ospedale. Insieme a Jonathan ci puntiamo l'occhio e rileggo ciò che ho già visto quando sono venuta quì con Harry anni addietro.
    Zoya Veronika Stojnov, nata a Ekaterinburg, il 7 febbraio 1980; Registrazione presso l'ospedale pubblico di Volgograd il 20 luglio 1999, a seguito di ciclo di n° 4 settimane di controllo a cura del Dottor Viktor S. Vasilyev. Parto naturale non indotto giorno 22 luglio 1999. Orario ufficiale di nascita ore 5.08 am. Stato del nascituro: sesso femmina, lunghezza 48 cm, peso 3.145 kg, sana. Stato della partoriente: valori entro norma, sutura classica, degenza stimata 4 giorni. Equipe di supporto: Marijska Kuznetsov, Arnela Gomez, Dean Mendel.
    Richiesto appoggio servizi sociali comunali. Presa in carico da Sign. Richie Rados.

    Un timbro caratteristico sottolinea l'autenticità, i fogli dietro di questo sono valori di controllo del ricovero. Le iridi si dilatano a seguito di una stretta al collo: la mia firma sottostante dà il consenso alla rinuncia del mio legame verso di lei.
    Sollevo lo sguardo su Jonathan e non ho parole, mi manca l'aria e credo di non poter rimanere molto quì dentro. Il dolore mi sta schiacciando, il filo spezzato a lei si vede un'altra volta. Dove sei finita? Mi domando pensando a quel nome dei servizi sociali che può dire tutto e nulla. Chissà dove è finito quell'uomo e se il comune corrompendolo ci darà qualcosa. A me e a mio marito hanno negato tutto perchè per la legge io non sono la madre della bambina perchè ho scelto di darla in affidamento.
    Questo è tutto ciò che abbiamo dice il dottor Jordan ad un certo punto rompendo il silenzio. Sento la sua voce imbarazzata e indirettamente si sta scusando per il fatto che ha preso parola. Rinunciando al suo dovere come madre. La sua compagna ha perso i diritti verso la bambina aggiunge. Sfila l'ultimo foglio rimasto. E questo è il documento attestante il nome che lei ha scelto quel giorno di luglio tremolante prendo fra le mani quel documento. E' probabile che se è stata data in affidamento ad un a famiglia non abbia più nemmeno questo nome, signori si rende conto che è difficile per noi e non sa come aggiungere il resto. Qualora non fosse giunta una richiesta veloce per lei i servizi sociali, sempre se riuscirete ad avere aiuti da loro visto la privacy, potranno dirvi se vive ancora in uno dei centri di raccolta di bambini problematici o abbandonati. La Russia pullula di orfanotrofi, purtroppo anche adesso, nel duemilaventuno continuiamo a ricevere richieste di questo genere. Io non voglio assolutamente sapere il motivo della sua decisione, Signora e Signore. Non intendo giudicare nessuno. Questo per dire che.. che se non è stata adottata si trova ancora presso ad uno di questi centri. Sospira e guarda oltre la finestra. Però.. se posso dire la mia, dubito fortemente che sia rimasta per vent'anni in quei luoghi, i bambini affidati ai servizi sociali russi non se la passano bene. Deglutisce. Non c'è niente di peggio che il sistema russo per la gestione di queste faccende. A parere mio il peggiore. Scuote il capo. Ci sono troppi bambini e neonati da piazzare e la gestione del tutto risulta difficile se non impossibile per gli addetti. Così tanto che le regole umane e il rispetto alle volte.. alle volte.. vengono meno.
    Una doccia fredda, sbianco e le mie mani sudano fortemente aggrappandomi a Jon. Che sta dicendo, Jon? Sono incredula. Sta dicendo che con tutta probabilità Anastasya non è stata tratta bene? Dimmi di no, ti prego ho capito male? Il labbro trema, i miei occhi diventano lucidi e lo tiro di nuovo. Sono così confusa che non sono certa di percepire le parole come vengono dette. Voglio uscire di quì.
     
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    Non importa, vorrei toccare anche la cartella clinica.. Non si può mai sapere. > se non troviamo informazioni concrete forse possiamo sperare in una visione, ma temo che neanche oggi è la giornata giusta. Quando vedo entrare l'infermiera tiro un sospiro, sono agitato e vorrei trovare un modo per toccare quella donna. < Piacere di conoscerla signora Kuznetsov! > mi alzo e stringo la sua mano di proposito, non succede niente di niente. Ormai è come se non avessi più il dono delle visioni, di solito mi capita nei momenti più importanti, quando sono coinvolto emotivamente riesco ad avere numerose visioni, oggi come l'altro giorno sembra si si completamente bloccato il tutto, questa cosa inizia a farmi innervosire. Ci mostra la cartella clinica e la prendo in mano io: tremo, perché leggere quei documenti per la prima volta è qualcosa di emozionante e terribile allo stesso tempo, stiamo parlando di vent'anni fa.. Vent'anni. Mi sfugge lo sguardo che punta agli occhi di Zoya, poi torno sui caratteri che indicano i dati della bambina, mi si forma un nodo alla gola e vedo che anche Zoya è agitata, spero non abbia un attacco di panico, se così fosse dobbiamo uscire in fretta di qui. Appunto mentalmente il nome dell'uomo e so già da dove potremmo incominciare a cercarlo. Potrebbe essere una piccola luce che ci conduce alla verità. È difficile parlare con i servizi sociali per quanto riguarda questo tipo di fatti, ma siamo entrambi determinati ad avere informazioni più dettagliate, la tappa al comune è d'obbligo. Punto lo sguardo di nuovo in quello di Zoya, sembra molto turbata e anche io non ho una faccia molto tranquilla, è doloroso ricordate tutto questo per lei, è doloroso vivere per la prima volta questo tipo di sensazione per me. Provo angoscia, perché so che questa ragazza è in giro, da qualche parte, e noi non sappiamo ancora come trovarla. La mia mano va a stringere quella sua e non la molla, sto trasmettendo la mia vicinanza e il mio calore, forse questo può aiutarla a sentirsi meglio, a ricordarsi della mia promessa, quel "non me ne andrò stavolta". Il mio sguardo va altrove, verso il medico che prende la parola. Sto odiando quelle parole, suonano pesanti, vedo Zoya cambiare colorito.. Cambiare espressione, è decisamente preoccupata e lo sono anch'io. Nostra figlia avrà fatto una vita dignitosa o avrà sofferto tanto? Non ci voglio neanche pensare, al sol pensiero mi vengono i brividi e una profonda tristezza. La mia mano stringe ancora la sua per regalargli conforto, cerco di mantenere la pace dentro di me, ma sono preoccupato dopo le parole dell'uomo e le domande disperate di Zoya. <... Non è detto che abbia davvero sofferto.. Magari.. Ha trovato una famiglia.. > rispondo rassicurandola, perché deve e ha bisogno di calmarsi. È quello che spero nel profondo del cuore, vorrei che lei fosse cresciuta in un ambiente sano, pieno di valori e soprattutto pieno di amore. Insomma, i Russi non possono essere tutti rigidi e freddi. - Altre domande? - chiede il dottor Jordan, io rimango muto a pensare che ho già esaurito tutto, la mia speranza era nell'infermiera, ma a quanto pare non ha niente su speciale da dire.. Forse l'unica pista possibile è cercare quell'uomo. < Posso visitare il reparto di ostetricia? > chiedo di punto in bianco, non voglio perdermi nessuna cosa, devo provarci fino in fondo e poi sarò soddisfatto per uscire da qua dentro. < Se vuoi .. Puoi rimanere qui ad aspettarmi. > dico rivolto a lei, con un tono delicato le suggerisco di rimanere lì dov'è, ci metterò poco tempo e poi saremo fuori da questa struttura.

     
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    Il calore della mano di Jon sulla mia ha effetto almeno in parte nel trambusto di emozioni che sto percependo. Sapere che esiste qualcuno che potrebbe sapere apre uno spiraglio di luce ed è ciò che anche lui sono sicura sta pensando. Andremo alla ricerca di quella persona, sperando di non schiantarci contro un muro di omertà. La privacy sembra una parola fatta, così semplice da pronunciare ma così potente da annientare. Possibile che ci siano dei documenti, delle negazioni o cose non materiali a dividere noi genitori biologici da quella ragazza? Mi sento ancora una volta l'apice del problema, l'unica vera responsabile di tutto ciò. Mi domando se questo dolore è lancinante e presumo che quando la incontreremo sarà peggio, ho questa sensazione che mi logora dentro.
    A mia volta stringo la mano di Jon, chiudendola entro una cupola con l'altra mano. Ci siamo, siamo quì, vogliamo la stessa cosa. Può essere commento al fatto che le cose potrebbero essere andate meglio di come racconta il dottor russo. Ma i suoi toni, la sua esperienza a parere mio è colma di verità perchè è del posto e la percentuale che sbagli è davvero bassa. Voglio però credere al meglio anche se non ne sono convinta mi sforzerò di crederci in modo da avere sempre un pensiero positivo sulla sua sorte.
    Quanto l'ho sognata fra le braccia di una madre differente dalle mie, alla luce di un caminetto in cui l'albero di Natale splendeva e le sue radici erano colme di regali incartati con cura e coloratissimi.
    La domanda che rivolge al suo collega mi spiazza, vuole vedere dove è nata? Deglutisco impreparata mentre lascio lentamente la sua mano, mi guarda cercando di comunicarmi che ne ha bisogno. O meglio spera di vederci qualcosa con il suo dono. Rigidamente annuisco. Ti aspetto quì. Non è saggio seguirlo, anche se l'ambiente è stato rimodernato non credo di riuscire a controllarmi oltre il corridoio candido.
    Sparisce dall'ambulatorio e dietro di sè il dottore lo accompagna facendogli strada. Li sento vociferare e dopo poco rimango sola poichè anche la donna con la cartella è sparita poco fa. Rigiro i fogli fra le dita che tremano, si appiccicano ai palmi tanto sono sudati dalla situazione di tensione che sto vivendo. Ricomincio a leggere come se qualcosa potesse invano uscire da quelle parole stampate da un vecchio computer ospedaliero. Eppure il mio pensiero non fa altro che correre a lui, lo immagino con lo sguardo grigiastro passare su stanze vuote, strumenti di lavoro sterili e sono curiosa di sapere se questo ha innescato il suo potere. Deve farlo, ci sarebbe di enorme aiuto.
    Non so quanti minuti sono passati, sono rimasta seduta su quella sedia, di scatto mi alzo quando li sento vicini e la voce di Jon pare congedare qualcuno che è con lui, lentamente la maniglia si piega e io senza pensarci troppo gli vado incontro più stanca che mai, con le iridi che vacillano e cercano di scavare qualcosa nel suo viso. Vorrei avere il dono di capire subito qualcosa prima che inizia a parlare. Jonathan sussurro quando sono si fronte a lui, incrocio il suo sguardo e piegando la testa lo incito a parlare, sono così ansiosa di sapere che un gorgoglio allo stomaco mi colpisce all'istante. Nervosamente me la prendo con un bottone della sua camicia cercando un contatto che per ora mi viene naturale. Hai visto qualcosa? Sei stato esattamente nella stanza dove è nata? Appoggio i palmi sul suo petto, incapace di contenermi. Dimmi.. funziona?
     
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    Ha deciso di rimanere qui e non posso pretendere altro da lei, non posso insistere e capisco che il momento è davvero troppo oltre ogni limite. Posso solo immaginare cosa provi una madre a lasciare andare via il proprio bambino, si dice che le donne sentano un legame ancora più forte con il proprio figlio e questo è molto legato al fatto che quel figlio cresce dentro di lei, è una parte di lei. Ma allora un padre cosa prova? provo angoscia, una costante paura e senso di protezione che mi stringe lo stomaco, vorrei poter fare qualcosa, qualsiasi cosa per strappare quella ragazza dalle mani della solitudine, mi sento responsabile di aver fatto una promessa a Zoya, una promessa che non vale neanche tutto l'oro del mondo. E' troppo grande la posta in palio, io mi impegnerò al limite delle mie possibilità per trovare le sue tracce, per assicurarmi almeno che lei stia bene, da qualche parte in questo mondo. Un mondo fatto tante volte di contraddizioni e di persone che ti vogliono male. Chi avrà protetto la nostra bambina? quanto amore avrà ricevuto? ha mangiato, ha dormito abbastanza? ha studiato? quali sono i suoi sogni, le sue ambizioni, dove si trova.. dove sei Anastasya?
    null
    I miei passi sono decisi, entro nel reparto che voglio vedere emi volto ovunque, chiedo al medico di portarmi in sala parto, quella sala. Mi lascia da solo e apro la porta lentamente, un leggero vento mi indica che la stanza è stata usata da poco, una nuova vita è nata e adesso la stanza è deserta, con le finestre spalancate e un odore di disinfettante. Il mio sguardo si posa sui pavimenti ancora bagnati, appena lavati. Faccio qualche passo verso il lettino, la mia mano si posa accarezzandolo e i miei occhi si chiudono. Avanti Jonathan. dico a me stesso mentre il cuore si agita, ho paura di non vedere niente, rimango li fermo per cinque minuti.. insisto. Batto la mano sul lettino ripetutamente, mi mordo le labbra, ci provo con l'altra mano. Niente. Che cosa c'è che non va? ho fatto tutto questo viaggio per non vedere nulla? forse se Zoya fosse venuta con me sarebbe stato più facile avere delle visioni, perchè non funziona? dovrebbe funzionare.. dovrebbe. Signore? mi scusi... una voce alle mie spalle, è un infermiera. Signore.. mi sente? istintivamente mi volto di scatto, con aria infastidita. Dottore. Sono il dottor Jonathan Bennet. non un signore. La donna mi riconosce e riconosce nei miei occhi quella superbia tipica del mio lato caratteriale più oscuro. Mi sto incazzando chiaramente, questa intrusione mi urta ma mi ricompongo vedendola esterrefatta. Mi scusi... . di cosa aveva bisogno? quella risponde leggermente infastidita, nonostante le mie scuse puntuali. Deve uscire da quì.. abbiamo bisogno di questa camera alla svelta. Mi scusi. DOTTORE! la donna lascia la porta aperta e se ne va, io esco immediatamente e vado incontro al dottore. Grazie per la sua accoglienza, per adesso basta così. ci dirigiamo verso il suo ufficio dove c'è ancora Zoya, stringo la mano a lui e lo saluto. Quando entro il mio umore cambia, si intenerisce alla vista di lei che mi viene incontro. Il mio sguardo sembra spento, la mia speranza di vedere qualcosa è andata a farsi benedire. Appoggia le mani sul mio petto e vorrei che non lo facesse, per questo le mie mani vanno a stringere le sue e le spostano via, come a sancire una certa lontananza, una linea di confine . Forse sarà il brutto umore che ho guadagnato con questo fatto di non riuscire a vedere le visioni, forse perchè per quanto io mi impegni.. ogni volta che le cose vanno male ho l'istinto di prendermela con lei. In fondo quella ferita non si è ancora chiusa, quella rabbia esiste ancora. Però allo stesso tempo non voglio stare lontano da lei. Provo un misto di sensazioni diverse e lo so, il mio cuore vorrebbe fare di tutto con lei, la mia testa, il mio ragionamento mette dei chiari limiti che hanno un significato. Una spaccatura tra il vero me e il me stesso arrabbiato, una continua lotta con me stesso per cercare di rimanere lucido durante le ricerche. Combatto contro me stesso anche per parlare in modo confortevole, tranquillo, vorrei infondere in lei una sicurezza che in questo momento non ho. Niente. rispondo lasciando le sue mani in modo che lei allunghi le braccia ai suoi fianchi, così rimango anch'io: di fronte a lei con le braccia lungo i fianchi, faccio spallucce mentre i miei occhi azzurro/grigio vagano per poi posarsi sul suo viso candido, i suoi occhi distrutti, le sue labbra carnose che evito costantemente di guardare. Ho visto la stanza ma non succede nulla. Per me possiamo andare, per oggi basta così. prendo il cellulare dalla tasca e faccio una chiamata al comune, mi volto e giro per l'ufficio, mi metto d'accordo per un orario che non sia troppo presto: Zoya è stanca, avrà bisogno di riposare bene prima di fare il grande salto verso il comune, per ora questa è l'unica speranza che abbiamo. Chiudo la chiamata e appoggio la mano sul suo braccio. Usciamo.Vieni. dopo cinque minuti usciamo dalla struttura e le luci della città sono già accese, camminiamo l'uno affianco all'altra e siamo silenziosi. Domani alle dieci abbiamo l'appuntamento al comune. Per adesso è l'unica pista che possiamo seguire, oggi non è andata molto bene ma.. per domani sono fiducioso. sembro più rilassato e sorrido a Zoya fermandomi davanti a lei. Come stai? chiedo a bassa voce, come se quella domanda fosse davvero impossibile da sopportare. Vuoi fare una passeggiata? lungo il fiume di Stoccolma sembra esserci tranquillità, forse questo potrebbe aiutarla o forse deciderà di andare a letto subito.
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    So che non dovrei vederlo come un rifiuto il suo gesto. Eppure una parte di me lo pensa anche se siamo quì per lo stesso motivo. Non tutti comunque vivono il dolore cercando un contatto, avvicinandosi all'altro per sentirsi più accuditi, in un certo senso. Eppure condivido, dopo un attimo di esitazione, il fatto di rimanere di fronte a me. Noto, come la volta precedente, che i suoi occhi mi guardano ma a tratti sembrano fuggire via oltre la mia figura. Alle volte lo faccio anche io ed è la mia arma migliore per mantenere la calma e mi mordo la lingua trattenendomi nel dire che tutto questo deriva da errori giovanili. Se lui non mi avesse tagliata fuori dalla mia vita questo non sarebbe successo. Anastasya sarebbe nata e sarebbe cresciuta con la nostra vicinanza. In America, in Inghilterra, non importa di preciso dove.
    Stranita, mentre assorbo un altro colpo allo stomaco mormoro Come? Lo incalzo in verità, spero che adesso ritratti dicendo che ha visto qualcosa di confuso ma almeno qualcosa. Invece conferma, non riesce a vedere il passato nemmeno stando nel posto giusto. E'.. forse è passato troppo tempo, Jonathan cerco di giustificare il fatto.
    La telefonata lo allontana e io rimango a fissare la parete bianca per dei secondi interminabili e quando si volta verso di me osservo il la sua mascella contratta e penso che stia provando delle forti emozioni, rabbia, impotenza. Non glielo chiedo ora, perchè rispetto il suo dolore possedendone anche io moltissimo. La sua mano stringe leggermente il mio braccio richiamandomi, così annuisco e mi avvio al suo fianco verso l'uscita.
    La prima cosa che faccio quando metto piede fuori soffio fuori il fiato, mi fermo un secondo a smistare i pensieri e a respirare aria che non sa di disinfettante. Dietro di noi c'è un pezzo di storia, anche se lui ci ha messo piede oggi per la prima volta, è anche sua.
    Lo sento proseguire, le sue scarpe lucide con la suola pregiata sfregano sul pavimento ruvido. Scuoto il capo. Non credevo avresti visto molto, però ero speranzosa la voce è rauca e trasmette tutta la mia delusione. Di nuovo scuoto il capo con vigore, mentre gli occhi pulsano e il nodo allo stomaco non scompare. Non lo so.. non differente da ieri credo, non diversa da tutte le volte che ne parliamo. Continuo a camminare di fianco a lui osservandomi la punta delle scarpe. Credo che sarà più dura di quanto ci immaginiamo.. sospiro e infilo le mani nelle tasche dei pantaloni neri che si stringono appena sopra le caviglie, lasciandole ben libere visto la stagione. Volto il capo verso di lui. Cosa hai sentito? domando infine con uno sguardo comprensivo. Quando sei stato là dentro intendo.
    Il silenzio è rotto solo dai nostri passi, in particolare dal mio tacco che si percepisce di più, dai granelli sul nostro cammino che grattano. Qualche auto sfreccia sulla strada limitrofa. Siamo diretti all'hotel dove Jonathan si è premurato di prenotare due stanze. So che sarà una notte lunghissima in attesa dell'appuntamento appena fissato al telefono. Camminiamo annuisco, facendo un gesto con il braccio. Il fiume scorre e nessuna nave rompe il silenzio. La Russia è sempre stata così.. con un gesto della mano. Da quando ero piccola, non è cambiata molto. Non Sono cresciuta in questa cittadina ma più in là specifico. Eppure, questo paese non mi mancava per niente. Anche se ero solo una bambina, quando mia madre e mio padre divorziarono fu per me un fatto cruciale. Il tradimento di quell'uomo si abbatté su di noi. Sospiro toccandomi la fronte come a volere smettere di parlarne. Non voglio venire quì perchè i miei dolori più grandi sono tutti in questo stato dell'est. Lo guardo e continuiamo a camminare. Se io provo questo.. e sono una donna adulta e formata.. io la voce si stringe e difficilmente le parole mi escono. Mi domando cosa può pensare lei di me.. di noi? Nostra figlia. Forse mi dia come io detesto quel fedifrago padre.
    Mi è passata la fame dico mentre la strada che affianca l'argine volge leggermente a sinistra. Possiamo trovarci comunque nella sala da pranzo dell'hotel se dici, non riuscirei comunque a dormire a stomaco vuoto.Non so che strada dobbiamo percorrere, non sapendo come si chiama e dove si trova di preciso il quartiere dove alloggeremo. Seguo le sue indicazioni. Jonathan mi fermo senza esitazione, catturando la sua attenzione. Questa situazione.. come l'ha presa Nora? sono perplessa perchè non tutti riescono ad accettare che un figlio compaia di punto in bianco. Scusami.. non sono affari miei.. sono troppo stanca.
     
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    < No Zoya... Non è perché è passato tanto tempo, però è come se... Qualcosa mi impedisse di avere visioni. Mi sento bloccato. Non era mai successo. > rispondo con sicurezza perché davvero è la prima volta che le mie visioni si spengono, almeno una visione a settimana mi capita, invece adesso non succede nulla, e forse so perché, o almeno credo di saperlo... Sono così coinvolto emotivamente in questa storia che ho paura di vedere cose che non vorrei vedere, ho continuamente la sensazione che quella bambina non abbia vissuto una vita felice. Usciamo fuori silenziosamente, siamo diretti all'hotel che si ospita per una notte, è a circa dieci minuti da qui e indico la strada da percorrere, ma camminiamo lentamente. Zoya si sente esattamente come me, sconfitta, il mondo crolla addosso a noi ed io mi sento allo stesso modo, soprattutto oggi che credevo di avere delle notizie in più.. Invece stiamo tornando con le mani vuote. Infilo le mani dentro le tasche dei pantaloni e proseguiamo, faccio spallucce e rispondo alla sua domanda che è così complessa. < Per un attimo ho sperato di vedere qualcosa, ho provato... Forse credo di aver provato quella sensazione di ansia e felicità che si prova quando diventi padre, o almeno credo sia così.. Ho toccato il lettino ma non è successo niente. > sospiro e non la guardo neanche una volta, continuo a guardare davanti a me con lo sguardo abbassato. < Avrei voluto vedere almeno il parto.. > aggiungo con voce delusa per tante cose, forse avrei anche voluto essere lì quel giorno, mi sono aggrappato alla speranza delle visioni per poter vedere almeno una volta mia figlia da neonata. Questo però non glielo dico, sono pensieri e delusioni che mi tengo per me. Stiamo già abbastanza male per discutere di altro. Mentre proseguiamo Zoya mi racconta di tutto il suo dolore, dovrebbe odiare molto la Russia perché ha vissuto tante cose negative in questa terra. Mi rendo conto che in fondo avrei voluto esserci, ma ormai è troppo tardi e le cose fatte non si possono più modellare, si può solo provare a costruirci qualcosa sopra... Ma è tutto così difficile e complicato. < Probabilmente potrebbe odiarci, non è facile sopportare il dolore dell'abbandono.. Noi siamo responsabili di quello che è successo, sin dall'inizio .. Non mi stupirei se la trovassimo e ci sbattesse la porta in faccia. > rispondo quasi con freddezza, ma le parole che dico sono oggettive e sono vere, nessuno ama essere abbandonato, qualsiasi sia il motivo. < Si, ceniamo. >
    null
    rispondo e poi rallentiamo il passo, mi fermo davanti a lei, il mio sguardo si addolcisce, ogni volta che la guardo è sempre così.. Non riesco ad essere arrabbiato fino in fondo con lei. Poi arriva la domanda che non mi aspetto. < Ci siamo lasciati.. > abbasso la testa e guardo le sue ginocchia per una manciata di secondi. È successo tutto così in fretta, credevo di essere un uomo felice e invece non lo sono affatto. Il nostro problema è davvero importante, bisogna risolverlo o farsene una ragione. Non aggiungo altro al discorso di Nora, neanche io ci ho più capito qualcosa del nostro rapporto. Ma sono sicuro, sono sicuro di quello che provo davanti a questa donna, Zoya era una ragazza, ora siamo entrambi adulti, eppure mi sento così legato a lei.. Sento così naturale l'istinto di parlare in modo confidenziale con lei, di stargli vicino. Mi conferma tutto il costante calore che ho al centro del torace, il mio cuore probabilmente sta pompando molto più sangue del normale, gli occhi chiari e grandi che incontro quando alzo lo sguardo sono quelli di Zoya, sono uguali a quelli terrorizzati quando li ho visti l'ultima volta prima di andare via. Istintivamente curvo le labbra in un sorriso, la fisso negli occhi più del dovuto e le mie mani prendono la sua, mi porto la sua mano sulle labbra, bacio il palmo della sua mano più di una volta mentre chiudo gli occhi e il cuore pulsa forte, il profumo delle sue mani non l'ho mai dimenticato e solo merlino sa perché mi sto lasciando andare a questo gesto così spontaneo. Riapro gli occhi e il mio sguardo cerca il suo, ora un po' pieno di speranza. < Grazie per essere venuta Zoya, so quanto ti costa e so il sacrificio che stai affrontando. > lascio andare le sue mani e mi volto verso l'hotel. < Siamo arrivati. Proviamo a mangiare qualcosa. > aggiungo con un sorriso e un ottimismo che non so neanche io da dove viene. Proseguiamo insieme e andiamo in reception a prelevare le chiavi delle nostre camere, dopo di che entriamo in sala per la cena, ci accomodiamo in un tavolo per due, quadrato e ben curato come tutto il resto della struttura, i colori dominanti sono il verde e il bianco, i soffitti sono molto decorati e sembrano ricordare il barocco di alcune chiese arabe. < Come stanno i tuoi figli? > chiedo per cambiare il discorso, a volte meglio cercare si staccare la spina. I miei occhi non si staccano dalla sua figura.

     
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    Jonathan aveva sperato di vedere il parto. O sua figlia da piccina almeno una volta? Mi mordo il labbro pensandoci e inevitabilmente un'altra ondata di colpe mi assale. Sospiro, gettando altrove lo sguardo azzurrino. Mi dispiace mormoro. Mi dispiace di averti tagliato fuori, ma devi capire.. che non ho avuto scelta, è così. Non posso pensarci rispondo in fretta quando avanza l'ipotesi che la ragazza può odiarci per ciò che ha subito. Voglio credere che non sia così, se sono una che sogna troppo lasciamelo fare, il dolore che porto sulle spalle e che vivo in questo ultimo periodo è già veramente troppo. Sto pregando di lasciarmi illudere, per quel che vale, per mascherare la mia mente di ulteriori sofferenze.
    La risposta riguardo la sua fidanzata mi lascia spiazzata, non so cosa dirgli, non comprendo se siano questi avvenimenti ad aver rotto la loro relazione o se avevano già dei problemi irrisolti. Jonathan.. sussurro quindi cercando di avere invano i suoi occhi su di me. Mi porto le mani alla bocca perchè incredula. Posso fare qualcosa per te..? E' una domanda banale ma ha tutto il sapore di un mi dispiace molto. Comprendo che non ne vuole parlare e non insisto. E' già abbastanza tormentato.
    Sono impreparata quando le sue mani afferrano la mia, le sue labbra si poggiano sulla superficie della mia mano. Non riesco ad oppormi perchè quel gesto delicato significa grazie. Annuisco arrossendo, tossisco di fretta per cercare di scacciare il tutto dal mio viso. L'unico ringraziamento va a te, hai insistito abbastanza per venire quì.. e andava fatto. Ora che abbiamo visto l'ospedale possiamo proseguire anche se non abbiamo niente di più che un nome Sfilo la mano, cercando di non essere scortese, annuncia che siamo arrivati all'albergo e colgo l'occasione per volgere lo sguardo all'edificio rimanendoci troppo, evitando il suo viso che mi passa affianco. Sono imbarazzata e voglio mantenere il mio posto. In silenzio ci muniamo di chiavi, ognuno la propria e ci dirigiamo direttamente nello stanzone del ristorante al pian terreno. Prendiamo posto in silenzio, con una ciocca fra le dita che continuo a rigirare sfoglio il menù cartaceo con le dita libere. Prendo questo tamburello sul nome di un piatto tipico russo e anche se la giornata è stata di una tristezza enorme faccio cenno al cameriere di avvicinarsi. Per favore.. Porti una bottiglia di buon vino bianco, non dobbiamo festeggiare nulla, ma che sia buono. So che non dormirò bene stanotte, forse mai chiuderò le palpebre. Non sono in vena di brindare o che altro, ma credo che del vino possa rilassare i nervi tesi ed aiutarmi. Attendo che Jon abbia scelto e quindi ordiniamo insieme. Nell'attesa il silenzio si fa pesante, siamo seduti su un tavolo da due lungo la parete, i miei occhi azzurrini si soffermano sui decori della stanza, sui lumi accesi e sulle persone che stanno via via prendendo posto. Non ci sono molti clienti però non siamo nemmeno soli. Il vino viene stappato e la bottiglia adagiata sul tavolo fra di noi. Due bicchieri si riempiono in fretta e non intendo far tintinnare il mio col suo, sicuramente non abbiamo l'aria di due che hanno voglia di ridere. Forse conversare però farebbe bene piuttosto che rimanere muti, perchè l'imbarazzo aumenta. Dopo un po' la sua domanda spezza il silenzio. Le iridi guizzano sul suo viso parzialmente illuminato, schiarisco la voce sentendo il gusto vinoso scendere nella gola. Oliver e Liam verranno a casa per le vacanze estive, sono certa che Liam avrà un bel programma deciso su cosa fare.. mentre l'altro sicuramente non mi dirà mai le sue idee faccio spallucce. Ci ho fatto l'abitudine, Oliver è imprevedibile ed inutile sperare nei cambiamenti Sospiro e rigiro lo stelo del bicchiere fra le dita, tenendolo però appoggiato. Harry verrà a casa un paio di giorni, di certo lui e Liam avranno qualche genere di giornata full immersion padre-figlio. Questa estate io mi concentrerò sul programma per il prossimo anno. Non so se ho mai avuto occasione di dirglielo. Ho insegnato part time ad Hogwarts quest'anno, l'anno prossimo dimezzerò o ridurrò ad un terzo il mio tempo in azienda, fortunatamente Ian riesce a gestire il tutto in mia assenza. Ricordo le parole di Ian come appena pronunciate e sento la schiena irrigidirsi perchè nell'insieme delle cose ha in parte ragione: Jonathan è stata la persona che ha causato un mio grande dolore nel passato che si ripercuote nel presente e da quando lui è tornato è stato un tormento dietro l'altro. La veridicità di quelle parole si scontra con le mie colpe e allora continuo a pensare al fatto che stare distante da Jon e limitarmi a cercare Anastasya sia la cosa più corretta da fare. Eppure adesso che sto seduta di fronte a lui non riesco ad allontanare quell'uomo come andrebbe fatto, nè odiarlo come Ian vorrebbe; ho percepito nelle parole del mio collega un astio non da poco, probabilmente alimentato dal suo essere protettivo nei miei confronti. E' stanco di vedere la mia vita precipitare e i miei occhi arrossati.
     
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    < No Zoya... Non era destino. > è così che funziona, se una storia è destinata a durare per sempre funziona o semplicemente si trovano i modi per farla funzionare, ciò che ho capito invece è che i sentimenti per Nora erano arrivati ad un certo punto senza mai fiorire, molto diversi da quelli che sono stati per Zoya. Questi sentimenti non sono mai svaniti del tutto, ecco perché sono pericolosi in un momento così cruciale. Mi sento in colpa per averla lasciata soffrire per tutti gli anni dopo che me ne sono andato, mi sento responsabile di quanto è accaduto e non riesco a darmi pace. Allo stesso tempo so che lei ha sbagliato, ma forse non avrebbe sbagliato se non avessi reagito in quel modo così brusco. Ero ancora troppo giovane per capire che mi ero lasciato sfuggire una perla preziosa dalle mani. Zoya per me lo era e forse lo è ancora, la ragazza, la donna migliore che io abbia mai conosciuto... Una parte di me spera che lei sia ancora quella bellissima persona che ho conosciuto, l'altra spera che non mi ci affezioni troppo. Quello che è andato perduto non si può più recuperare. Ora bisogna mettersi in pista e pensare alle cose concrete, basta sognare cose da ragazzi, l'amore puro è esistito ma adesso siamo impastati di problemi, tanti problemi e delle vite vissute in modo completamente differente. Lei mi ringrazia e quasi non ci credo, ci stiamo comportando bene tutto sommato, sembra che ci capiamo al volo.. Sembra quasi che ogni uno riesca ad entrare nei problemi dell'altro, ci comprendiamo a vicenda e questa è una cosa positiva. Ordino uno spezzatino con i funghi, lei ordina anche e richiama il cameriere per il vino. Il suo viso è costantemente triste, non oso immaginare che cosa abita il suo cuore, vederla in quel modo spezza ancora di più il mio, mi piego davanti all'evidenza che non abbiamo concluso quasi nulla ma non mi spezzo, resisto perché voglio essere io la persona su cui Zoya può contare, nonostante tutto, per questo ogni tanto accenno un sorriso per cercare di infondere un po' di fiducia. Ce la faremo. < Perché dici che è inutile sperare nei cambiamenti? > chiedo inclinando la testa un po' di lato con fare interrogatorio < Chiunque può cambiare in meglio... Non è mai troppo tardi per certe cose. Non credi? >
    null
    è un invito ad essere positivi il mio, non si tratta solo di Oliver, il mio tono chiaramente ammette questa cosa per tutto, vale davvero per tutto.
    Tengo il calice di vino in mano, lo faccio ondeggiare e lo osservo, ci portano la cena mentre Zoya continua a raccontarmi della sua famiglia, mi chiedo come mai una famiglia così bella si sia spezzata, non oso ancora chiedere, non mi sembra il momento giusto e lascio correre la curiosità. < Che bella notizia, insegnare ad Hogwarts è una cosa molto bella e di prestigio.. Non ho mai avuto dubbi sul tuo talento nelle pozioni. Complimenti. > molto tempo fa ho pensato che fosse un'ottima professoressa, adesso lo è diventata per davvero. Non posso fare altro che andare indietro con i pensieri, la memoria mi ha restituito qualcosa di veramente prezioso, ora mi ricordo tutto, anche se vorrei poter dimenticare alcune cose. Qualche minuto di silenzio tra noi indica che non è ancora stato rotto il ghiaccio della tristezza, ceniamo silenziosamente e non so davvero cosa altro dire, sembra così imbarazzante ma allo stesso tempo insolito, perché stiamo cenando insieme, da soli, ma stiamo in una situazione particolarmente pesante. I miei occhi si alzano e la osservano senza che lei possa vedermi, perché ha lo sguardo incollato al piatto e sta cercando di mangiare. Mi rendo conto che questa donna diventa sempre più bella ogni secondo che passa, ma provo un senso di inquietudine se la vedo così triste.. Mi sento il peso, la responsabilità sulle spalle. Poso le posate < Hey.. > la richiamo a bassa voce affinché sposti il suo sguardo su di me < Cosa posso fare per farti sorridere? > alzo un sopracciglio e la mia fronte si disegna di rughe di espressione, mi aspetto una risposta da lei e mi sporgo in avanti appoggiando le braccia al tavolo. Il mio sguardo è fisso sulla sua figura. < Non voglio che tu sia triste.... > aggiungo con un tono grave < Il tuo sorriso è molto bello, è uno spreco non usarlo per tutto questo tempo... > aggiungo un debole sorriso alla frase e la mia mano va ad appoggiarsi sulla sua, ma appoggio solo le dita molto delicatamente sulle sue, le ritiro in fretta portando le mie mani sotto il tavolo, ma i miei occhi rimangono fissi su di lei. Mi rendo conto che sto andando fuori e che devo darmi una calmata, la mia testa c'entra l'obbiettivo, ma il mio cuore è da un'altra parte e sento un senso di frustrazione. L'elettricità che sento però non credo di immaginarla c'è davvero e non può essere così. Non adesso ormai. Quelle parole forse non dovevo neanche dirle. Non mi stupirei se si alzasse e scappasse letteralmente. Abbasso la testa e sospiro. < Scusa... Vorrei solo poterti aiutare.. >


     
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    Pur parlando mi rendo conto che c'è qualcosa che non funziona tra di noi. C'è la costante presenza delle nostre colpe che riaffiorano, che non ci permettono di essere limpidi, che in qualche modo ci limitano. É come se fossimo due soldati ammaccati, feriti, reduci da una guerra. Come loro subiamo le conseguenze di un conflitto passato che disturba il presente.
    Cerco di concentrarmi sul filetto davanti ai miei occhi, il profumo è delizioso e vorrei avere la forza e l'umore di fiondarmi su di esso eppure l'unica cosa che mi viene bene, per via del suo agire sulla mia psiche, é bere del vino. Non voglio di certo ubriacarmi ma vorrei solo avere la testa più sgombra per non rischiare di impazzire continuano a pensare alle solite cose. Pensarci troppo infine a cosa porta? Nulla perché saranno le ricerche che faremo giorno dopo giorno a darci una spinta verso Anastasya.
    É che conosco molto bene mio figlio, Jonathan rispondo alzando gli occhi su di lui mentre con il coltello sto tagliando dei pezzetti. Non cambierà e ho smesso di spronarlo, é adulto ormai annuisco convincente. La sua frase non fa una piega. Le persone cambiano se lo vogliono questo é vero. Se hanno qualcosa per cui lottare, magari. Gli occhi azzurri si fermano, intrecciano i suoi e li fissano per qualche secondo senza muoversi.
    Grazie Jon, come ben sai era il mio sogno, oltre ad avere un'azienda tutta mia aggiungo. Assaggio un pezzo della carne, é una tipica ricetta del mio paese e forse la cucina è l'unica cosa che mi mancava.
    Riporto lo sguardo sul piatto, il rumore di piatti, di passi e di voci riempie la stanza eppure non sento nulla. Ho la testa piena e sono stanca, così come lui che mangia in silenzio. Se qualcuno ci stesse guardando potrebbe commentare la scena che ha davanti come una coppia reduce da una litigata molto pesante oppure colpita da un avvenimento che li ha toccati nel profondo infondendo un distacco lacerante. La sua voce spezza la bolla in cui sono immersa, lentamente i miei occhi osservano al di là del piatto, il braccio lungo il perimetro del tavolo, sopra la tovaglia. Cosa può fare per farmi sorridere? Mi lascia di stucco e credo che sia il suo modo per dirmi che porto una maschera che mi imbruttisce. Un timido sorriso laterale modella le mie fini labbra. Chiacchiera con me e bevi del vino, Jon propongo. Penso che faccia bene ad entrambi. Sospiro e termini il bicchiere prima di riempirlo di nuovo. Faccio finta di non aver colto il suo complimento, in verità sto pensando se frenare le parole che vogliono uscire dalle mie labbra. Il tuo è sempre lo stesso, come vent'anni fa gli rispondo. Appoggio il mento sulle mani intrecciate sotto di esso facendo perno sul limitare del tavolo poco dopo che le sue dita si sono velocemente ritirate. Ti faccio questo effetto Jon? Ci vedo bene e credo di non sbagliarmi proprio. Lo imbarazzo o lo metto in difficoltà?
    Scuoto il capo. Non scusarti.. Alle volte quando lo fai sembra che tu stia parlando con un estraneo. Sposto una ciocca bionda di lato. Io direi che ci conosciamo anche troppo bene, Jonathan.
    Sospiro e sciolgo le braccia, prendo in mano il bicchiere proprio mentre il cameriere sta venendo a ripulire il tavolo. Sono piuttosto stanca, possiamo terminare la bottiglia nel solarium del piano superiore propongo piuttosto di buttar via mezza bottiglia. Nello stesso piano ci sono le nostre camere. Poi penso che mi rinfrescherò sperando che il sonno venga presto.
    Faccio spallucce e mi alzo stringendo il calice. Se preferisci ritirarti va bene, io.. Una chiacchierata per sciogliere i pensieri la farei volentieri. Attendo un attimo, sfioro il collo della bottiglia e penso che se non sarà dell'umore lo capisco bene.
     
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    Annuisco alla sua affermazione, è vero quel che dice, se una persona ha qualcosa per cui lottare farà qualsiasi cosa per cambiare in meglio, per realizzare quel sogno. Zoya durante gli anni ha acquistato saggezza e si vede, anche da studente aveva un modo di ragionare che andava oltre, il suo modo di ragionare era più maturo rispetto alle altre ragazze della sua età. L'esperienza di vita che ha avuto non ha fatto altro che affinare questo suo carattere responsabile. Adoro questo lato di lei, quando parla la sensazione è quella di avere davanti una donna sicura di sé, determinata. Mi chiede di bere del vino con lei e penso possa essere un'ottima idea, dopotutto si dice che il vino porti allegria, anche se la mia intenzione è quella di non bere eccessivamente. < Ma certo. Volentieri. > accetto volentieri la sua proposta, sorrido e mando giù un'altra goccia di vino. La sua affermazione mi capisce, ci conosciamo fin troppo bene ed è molto vero...ci conosciamo benissimo e mi ricordo bene di lei anche dopo tanti anni. < Si, ci conosciamo molto bene.. Sai.. È da molto tempo che non ci trovavamo a parlare da soli, così.. Alle volte non so se posso permettermi di esagerare, ma se vuoi chiacchierare mi prenderò tutta la confidenza di farlo come tanto tempo fa. > non ci sono barriere, ci siamo conosciuti bene e abbiamo persino una figlia in comune, che cosa c'è che in fondo non possiamo dirci? Stiamo vivendo le stesse cose e se vogliamo stare bene, parlare davanti ad un bicchiere di vino può riservare tante cose importanti e interessanti. Lei si alza in piedi e automaticamente mi alzo anch'io, non ci penso neanche un attimo a tornarmene in camera, voglio seguirla perché si, ho detto che farei qualsiasi cosa per farla stare meglio e se ha voglia di chiacchierare lo farò, e ci tengo a farlo perché il dialogo smonta i muri che ci siamo creati. < Sono d'accordo con te. > sorrido e prendo la bottiglia al posto suo, sfioro la sua mano e prendo anche il mio calice. Ci dirigiamo verso il solarium al piano superiore. La terrazza è spaziosa e sopra di noi c'è il cielo stellato, questa sera ci sono poche persone sedute sui divanetti e sulle sedie, noi prendiamo un divano e appoggiamo il vino sul piccolo tavolinetto. Mi siedo insieme a lei e mi occupo di riempire i calici. < Ecco a te. > porgo il calice a lei e poi prendo il mio, la osservo con un sorriso perenne mentre penso al discorso che potrei fare con lei, piuttosto semplice potrebbe essere.. Anche se la vista del cielo stellato mi fa pensare molte cose. Appoggio le spalle al divano e tiro lo sguardo all'insù, penso... Chissà dove sarà Anastasya. < Poco fa mi chiedevo se alla fine sei riuscita a realizzare tutti i tuoi sogni.. O almeno tutti quelli più importanti. > torno con lo sguardo su di lei, bevo un altro sorso di vino. Mi viene in mente un'altra domanda, visto che non voglio usare filtri decido di fargliela. < Sei sola Zoya?.. Nel senso che non c'è nessuno nella tua vita? > bevo ancora del vino per schiacciare i pensieri che mi affiorano nella mia mente. <... Credo che oggi sia complicato portare avanti delle relazioni, in generale.. Sempre più persone decidono di rimanere sole. Dopo aver raggiunto l'apice della mia carriera però ho capito che... Nessun successo può colmare il senso di solitudine. > faccio un attimo di pausa e cerco di guardare altrove, il bicchiere si muove continuamente, giro il liquido chiaro come a scaricare la tensione. Sto cercando di arrivare ad un punto preciso. < Ho scoperto troppo tardi che avevi un'importanza enorme nella mia vita e che avevo fatto una cazzata. Sono venuto a trovarti due anni dopo e ho scoperto che.. Ti eri sposata. Ti ho vista felice con la tua famiglia. > sputo fuori un ricordo, quel ricordo particolare che mi ha fatto stare male ma mi ha reso felice allo stesso tempo sapendola felice e realizzata. < Secondo me sei un'ottima madre. Ti luccicano gli occhi quando parli dei tuoi figli. > sposto ora lo sguardo su di lei e sorrido, poi lo abbasso sulla sua maglietta, sulle sue forme, prima di puntare lo sguardo su una coppia di anziani che sta guardando felicemente le stelle.
     
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    Esatto mormoro puntando gli occhi sui suoi. Fallo come vent'anni fa, non siamo degli estranei. É la frase che sancisce l'abbattimento del muro che involontariamente entrambi abbiamo costruito, perché stando distante per tutto quel tempo alle volte fa sentire le persone sconosciute. Non mi sono dimenticata di te, Jon, come potrei mai. Il mio fiato rimane sospeso pensando che la mia proposta non sia gradita. Eppure ci vogliono ben cinque secondi per vedere le sue dita sfilare la bottiglia panciuta in vetro scuro dalla mia presa. Sorrido mentre scaccio una ciocca che vuole coprirmi l'occhio. Il tratto che dal ristorante inferiore va al solarium é solo di una scalinata di gradini e ben presto siamo seduti su un divano da esterni di materiale intrecciato. L'aria estiva Della Russia è più fresca del quartiere dove abito. Un venticello leggero ci avvolge, così come i presenti che sono sparpagliati sul terrazzo. La luce è fioca, emanata da delle lampade da esterno tondeggianti, non vi è granché silenzio ma nemmeno un rumore assordante o fastidioso. É l'atmosfera di una serata d'estate, in cui la temperatura lascia respirare, il buon vino scorre in gola e si ha qualcuno con cui parlare. Sono le cose più semplici quelle che mi piacciono e ho riscoperto il fatto che questo con lui non è cambiato. Anche se abbiamo vent'anni in più, le nostre strade si sono divise e la nostra vita ha avuto delle tappe diverse, siamo seduti sulla stessa panca, con un vino fresco fra le dita e sembriamo gli stessi di anni or sono. Assomigliamo a due amici che non si vedono da tempi immemori, che non vedono l'ora di fare una lunga chiacchierata sotto le stelle - perché si, solo ora mi rendo conto che il cielo sopra di noi è nero come la pece ed è punteggiato da quelli che sembrano diamanti rari - raccontandosi del più e del meno. Il fatto è che quando si siedono, quelle due persone, sanno tutto dell'altro che sono indecisi da dove iniziare.
    Rigiro il calice e il liquido rotea sul vetro, la sagoma di Jon di fianco a me é intenta a osservare il cielo. C'è un certo distacco fra di noi, con ciò intendo fisicamente sul divanetto, io sono dalla parte destra e lui sulla sinistra. Mi aggrappo al bracciolo per ancorarmi meglio col peso e lo trovo davvero comodo.
    Il suo discorso é insolito, ma conosco molto bene Jon da sapere che i suoi discorsi non sono mai banali. Soprattutto se ha qualcosa da dire e che ha pensato più di una volta. Alcuni rispondo senza pensarci troppo, nel buio sorriso timidamente spostando lo sguardo sopra l'apertura del bicchiere. Mi sembra quasi inverosimile che spesso i miei pensieri sono speculari ai suoi, molte volte nel periodo seguente al divorzio mi sono chiesta se mi sentivo realizzata. La risposta era si. Se in verità ero felice da sola. Se avevo ottenuto ciò che avevo sempre voluto e la risposta rimase inesorabilmente incompleta. Sento lo sguardo su di me e glielo lascio fare anche se sono certa che se la zona fosse più illuminata vedrebbe correre i miei occhi distanti dai suoi e soffermarsi su piccoli dettagli del terrazzo anche se in verità non mi interessano per niente.
    Indugio, la sua domanda accelera i miei battiti, non so perché e non so come, ma ho la forza di bere un sorso anche se il mio movimento pare meccanico e forzato. Deglutisco e mentre friziono i residui di vino sulla lingua mi molto verso di lui, tamburellando le dita della mano libera sul bracciolo. Lo credevo inizio a dire. In verità ci ho creduto molto, però mi rendo conto che alle volte il futuro é imprevedibile, le persone lo sono. Sospiro e il mio pensiero va a Harry, un padre amorevole, un uomo che stimo ancora oggi. Non riuscirò mai ad odiarlo per come l'ho amato tanto. Infine non puoi pretendere di essere amata, non é una cosa che si può decidere. Quindi sì sono sola prendo un altro sorso di vino e solo in quell'istante mi dedico al cielo sopra di noi. Non ci pensi mai? Alle volte si è meno soli di quanto si pensa.. Sotto a questo cielo. Appoggio anche io la schiena sospirando. Poi una persona felice, perché mai dovrebbe sentirsi sola? É una domanda tagliente non precisamente mirata a qualcosa o qualcuno. Gliel'ho posta se desidera coglierla. Hai ragione, nessun successo può colmare il senso di solitudine però alcune persone ce la fanno, dedicano tutti loro stessi in quello che fanno o in una passione. Infine é questione di carattere. La rivelazione che dice poco dopo mi spiazza, mi volto completamente verso di lui, nell'insieme raccolgo i capelli di lato con la mano perché si spostano ovunque. Tu cosa? Chiedo allibita. Tu sei tornato? Appoggio il calice incompleto sul tavolino dinanzi a noi. Sei tornato dall'America.. Prima di quest'anno.. Tu.. Non ci posso credere e mi domando se sia venuto per studio, per la sua famiglia o solo per vedere me. Credo per un insieme di cose ma non glielo domando. Come è possibile che si siamo cercati silenziosamente e nessuno l'ha detto o fatto esplicitamente? Le parole mi escono di bocca senza freni perché sembra uno strano gioco. Le cose sarebbero cambiate se io avessi urlato il suo nome quando lo vidi nella scalinata dell'università nascosta sotto l'ombrello? Se lui avesse bussato alla mia porta e io l'avrei rivisto come avrei reagito?
    Perché non l'hai fatto? É una domanda retorica che sa di supplica. La stessa che può porgere lui a me.
    Grazie mormoro ricompondomi, ma é inevitabile, sento un calore anomalo sprogionarsi dal centro del petto. Cerco di domare la sensazione dando la colpa alla bevanda. Ciononostante decido che un altro bicchiere, l'ultimo, mi servirà. Ecco perché lo riempio. I miei figli sono la mia felicità dico categorica. Loro e nessun altro. Smorzo la frase in fretta e non sono sicura di esser sincera del tutto in questo momento. Lo sarò del tutto quando troveremo nostra figlia. Lei é il tassello mancante. Non posso più stare con questo vuoto. Seriamente e con un velo di tristezza nella voce porto il bicchiere alle labbra. Ai tuoi occhi sarò stata una persona senza cuore Jon, ma non fu così. Spiego.
     
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    Man is sometimes extraordinarily, passionately, in love with suffering.
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    La sua affermazione non lascia più spazio al dubbio, mi sono trattenuto fino ad ora ma sento che con lei non posso avere particolari freni, il muro che ci siamo costruiti lei lo vuole abbattere e forse anche io, senza quello possiamo essere più veri ma allo stesso tempo mi sento più vulnerabile. Siamo decisamente più esposti, ma forse non è meglio essere esposti a pericoli pur di trovare l'intesa giusta? Meglio fingere o mostrarsi davvero per ciò che si è e che si prova? Non ci può essere questo muro che stiamo costruendo, non possiamo più essere indifferenti e questa cosa da un lato mi piace, dall'altro mi fa paura. Di che cosa ho paura? Forse sono solo i sensi di colpa per averla lasciata sola, sono ferite del passato che non mi lasciano respirare e mi rendo conto di essermi messo una grossa armatura di fronte alla donna per cui ho provato i sentimenti più veri e più forti in vita mia. < Si. > rispondo infine quando mi chiede di essere e di comportarmi come vent'anni fa. Non siamo estranei. Mi sento il cuore salire in gola, appoggio le spalle al divanetto e sostengo lo sguardo verso il cielo, la sua voce e le sue parole non fanno altro che accendere sempre di più questo sentimento che è reale e concreto, che esiste ancora e si sente stasera... Forse più delle altre volte, forse perché so che siamo soli e lontani dall'Inghilterra, l'idea di essere lontano dai soliti posti mi mette in una posizione diversa, come se potessi realmente essere ciò che sono. Lei parla dell'amore, non puoi decidere chi ti deve amare e si questo ha ragione, ripenso ancora una volta a noi, a tutto quello che abbiamo vissuto in quell'anno.. Probabilmente il periodo più bello della mia vita, ho vissuto con lei le cose migliori, ora con lei sto vivendo uno dei momenti più sofferenti della mia vita, ora che ci siamo incontrati nuovamente non facciamo altro che piangere gli errori che abbiamo fatto, scusandoci a vicenda, evitando lo sguardo dell'altro, una sensazione di costante preoccupazione e imbarazzo. No, non voglio più vivere questa situazione come un incubo, sono stanco. Per questo mi volto verso di lei, lo sguardo rimane fisso sui suoi occhi mentre appoggio il bicchiere sul tavolo. < Ci si sente meno soli sotto questo cielo, perché sai che da qualche parte esiste qualcuno che ti ama davvero... Non esistono persone sole, esistono solo persone che hanno paura.. Una persona non può mai essere felice da sola, bisogna almeno condividere la propria felicità con qualcuno.. > mi spunta un leggero sorriso e lo sguardo è fisso nei suoi occhi. Lei non sapeva che ero venuto a trovarla, non lo sapevo neanche io prima di riprendermi la memoria. Mi siedo più lateralmente e mi sposto tutto verso di lei, mi avvicino un po' e stirando il braccio lo appoggio sulla spalliera del divanetto. < Si Zoya. Sono tornato. > rispondo sicuro quando me lo chiede, si che sono tornato Zoya, sono venuto a cercarti, proprio come hai fatto tu. mi chiede perché non mi sono fatto vedere, ho visto una giovane donna felice, realizzata, come potevo andare a stravolgere la sua tranquillità? Noi lo sappiamo, solo noi sappiamo quanto ci siamo amati e quanto sarebbe stato distruttivo quel sentimento per lei, in quel momento della sua vita, non potevo permettermi di farla soffrire quando aveva già una famiglia, sarei stato un egoista. <Perché non potevo farlo, ti ho vista così felice... Sarebbe stato da egoisti, capisci? Eri felice e non ti meritavi di soffrire per una persona che ha scelto la sua strada da solo. Ti ho vista con i gemelli, non avevo motivo di entrare nuovamente nella tua vita. > ti amavo così tanto che ho deciso di lasciarti andare, probabilmente ti amo ancora ma non voglio ammetterlo a me stesso. È questo che pensi Jonathan? La furia di qualcosa che ho sotterrato da anni sta per riemergere, ed io continuo a schiacciare quel sentimento che in parte è rimasto puro per lei. L'amore puro che ho sempre sognato e che non ho mai trovato dopo di lei.
    Dice che i suoi figli sono la sua vera felicità e nessun'altro, sembra una di quelle frasi che ti costruiscono nuovamente un muro enorme davanti, Zoya è sempre stata una persona forte, ma molte volte maschera la sua normale debolezza con muri che la fanno sembrare forte. La conosco molto bene. I suoi figli sono la sua felicità, non c'è ombra di dubbio, ma c'è anche qualcosa che la spinge a parlare in quel modo, a rifiutare costantemente l'idea che ci possa essere altro per lei. Dice che ai miei occhi lei è una persona senza cuore, per me non è così. Allora accorcio la distanza fisica tra noi avvicinandomi, mi sposto al centro del divanetto e sono molto più vicino a lei. < No. Non sei una persona senza cuore. > deglutisco, non ce la faccio.. Ho solo bisogno di toccarla e okay Jonathan, calmati.. Le mie mani prendono la sua, la stringono calorosamente mentre il mio sguardo si abbassa sulla sua mano, un po' di silenzio tra noi due e poi rialzo lo sguardo, i miei occhi sono pieni di sentimenti, non c'è bisogno di parole per parlare, i miei occhi raccontano tutto quello che provo senza nessuna maschera. Il mio sguardo è positivo anche se straziato da questa situazione, c'è un bagliore di speranza infondo ai miei occhi, c'è la tenerezza, l'amore perché di amore si sta parlando, l'amore per lei. La guardo negli occhi senza dire niente, poi la mia mano accarezza il suo viso, sposta una ciocca di capelli. < Abbiamo fatto degli errori, ma possiamo ripararli. > il tono della voce è profondo, infonde sicurezza. < Credo di aver capito perché non ho più visioni... Perché mi sono sentito molto triste, perché alla fine non siamo ancora riusciti a perdonarci fino in fondo.. Non riusciamo a fidarci. > la mia mano accarezza la sua nuca, i miei occhi sono incollati ai suoi. < Facciamo pace, proviamo a fare qualcosa di bello.. A condividere qualcosa di felice. E domani andrà meglio. > anche se non siamo di certo nel momento migliore, ma avere delle visioni diventa fondamentale. Le mie mani ora stringono la sua maglietta e attirano lei verso di me, le mie braccia la avvolgono, da quando ci siamo ritrovati non l'ho mai abbracciata così profondamente, il mio naso si appoggia sul suo collo e respiro il profumo di Zoya, posso sentire il suo cuore pulsare velocemente e questa non è una mia impressione, istintivamente la stringo più forte e sprofondo la mia faccia tra i suoi capelli. Se vuole sfogarsi, piangere.. Può farlo per liberarsi dal macigno che si sente, posso capirlo. Possiamo anche fare una cavolata qualunque, vorrei che per un attimo ci buttassimo alle spalle tutta questa tristezza per provare quella sana gioia che provavamo da giovani, questo può esserci di aiuto.. Non voglio più vivere con angoscia questo rapporto ammalato, che ha bisogno di cure.

     
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