Happy B.ad Day

Axel

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    2 Novembre.

    La buona azione della giornata l'avevo fatta, il che significava che potevo dare libero sfogo alla stronza che era in me e impegnarmi al massimo per rovinare le passeggiate notturne dgli studenti più impudenti. Prima di uscire dal dormitorio mi assicurari che Ellie finisse di farsi la doccia, per evitare ogni possibile fuga della Russa. Dopo la bravata in biblioteca non le avevamo più dato tregua, ogni sera almeno una delle due le rimaneva appiccicata al culo da quando lasciava il banchetto fino a quando non iniziava a russare beatamente a pancia all'aria. Era estenuante, inutile negarlo, ma necessario. Purtroppo il suo cervello partoriva almeno tre malefatte all'ora e lasciargliene portare a termine anche solo una, avrebbe significato finire tutte nei guai, mettendo a repentaglio le spillette scintillanti che io ed Ellie portavamo tanto fieramente al petto. «Non aspettatemi sveglia, ho intenzione di essere spietata sta notte. Non sarò soddisfatta fino a quando ogni singolo studente si troverà al calduccio sotto le coperte» Esclamai divertita avvolgendo il mio corpo sotto il mantello della divisa. La zona intorno alla torre sembrava piuttosto desertica, segno che tutti i Corvi erano rientrati in tempo, o che al contrario, fossero decisi a infrangere consapevolmente il coprifuoco. Scesi di qualche piano e nel mentre chiacchierai come mio solito con il fantasma di Nick quasi senza testa, che sembrava sempre più interessato a conversare con me piuttosto che... beh... fare ciò che normalmente facevano i fantasmi. «Solita strategia di perlustrazione? Io vado giù mentre te controlli le torri e inizi a scorazzare come un pazzo per le scale se noti qualcuno di sospetto?» Chiesi con tono complice al fantasma che sembrava entusiasta di compiere per l'ennesima volta la parte del piano che lo riguardava. Tale strategia mi aveva portato a sorprendere un numero indicibile di studenti fuori dalle proprie stanze e vedere Nick svolazzare come un pazzo su e giù per le scale era veramente esilarante. Sembrava divertirsi molto e mai avrei fatto qualcosa per spegnergli l'entusiasmo. Non sapevo come fosse la vita dei fantasmi, ma sicuramente doveva essere piuttosto monotona e solitaria. Molti studenti li evitavano e riservano loro occhiatacce disgustate senza motivo. Lo trovavo un comportamento molto maleducato, perché anche se decedute, erano pur sempre persone e il motivo che li costringeva a rimanere nel mondo terreno solitamente era molto triste e doloroso. «Hey!! Sai che ore sono? Fila subito in camera o giuro che ti trascino dal tuo capocasata per un orecchio» Intimai severa e intransigente a un Grifondoro intento a uscire dai bagni comuni con aria colpevole. «C'era qualcun altro con te nel bagno?» Domandai con un sopracciglio alzato e le braccia conserte. «Ok, non voglio saperlo...» Alzai le mani voltandomi di scatto. «Vedete di tornare subito nelle vostre sale comuni. Se fra dieci minuti ti trovo ancora in giro posso assicurarti che ti pentirai amaramente di qualsiasi cosa tu abbia fatto in quel bagno» Eslamai seriosa mentre ricominciavo a scendere i gradini verso il piano terra. I corridoi sembravano piuttosto silenziosi e a parte qualche vociferare di quadri nottambuli, non sembrava esserci anima viva in giro. Trotterellai allegra per il resto del corridoio portandomi le mani dietro la schiena. Quella sera mi sentivo particolarmente di buon umore, ma non ne avrei saputo motovare il perché, probabilmente era solo l'aria di festa reduce del periodo di Halloween a rendermi allegra. Non ci prestai troppa attenzione e continuai il mio giro di ronda osservando con sguardo vigile ogni angolo delle mura, fino ad arrivare davanti al portone principale, dove appoggiato di spalle a una colonna laterale, ci vidi una Serpe a me molto famigliare. «Hey Mr. Bella giacca!» Esclamai allegra e soddisfatta. Vederlo indossare la pesante giacca di pelle che gli avevo regalato solo poche ore prima mi rendeva felice. Durante il corso della giornata avevo meditato molto, cercando di capire se avessi fatto bene o meno a fargli un regalo e a rivelare così a buona parte della scuola che giorno fosse quello per lui, ma ora che gliela vedevo indosso non potevo fare a meno di supporre che il presente fosse stato gradito e tale pensiero mi fece rilassare. «È la seconda volta che trovo le tue flaccide chiappe fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco» Constatai pizzicandogli una natica con il dorso delle dita. Lo spesso tessuto dei suoi pantaloni non mi semplificò l'impresa e fui subito certa di non essere riuscita a fargli il male che speravo. «Dovrei portarti dal tuo capocasata o metterti in punizione io stessa?..» Sussurrai maligna alzandomi sulle punte per appoggiargli il mento nell'incavo della spalla. «Dato che è ancora il tuo compleanno ti lascerò scegliere...» Scherzai con tono pungente pronta a difendermi dalla cattura che con quasi assoluta certezza avrebbe tentato di farmi. Era così piacevole infastidirlo che lo avrei fatto volentieri a ogni ora del giorno, anche solo per vedere il suo volto accartocciarsi nella sua tipica espressione da orso arrabbiato.


    Edited by Dragonov - 17/1/2022, 10:00
     
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    Novembre non era mai stato un mese felice per il mannaro. O meglio, un tempo molto addietro lo era stato, un tempo dove lui era un bambino felice che correva per il castello dei Dragonov inseguendo suo fratello maggiore, Petar, con l’ultima pistola giocattolo che suo padre gli aveva acquistato. Correva, inciampava e finiva lungo disteso sulla pietra ruvida del castello ma non piangeva, Axel era un bambino che non piangeva mai e non pianse nemmeno qualche anno più tardi quando sua madre finalmente lo portò a casa dall’ospedale dove aveva trascorso venticinque lunghissimi giorni con una flebo fastidiosissima attaccata al braccino smilzo. Sua madre quella mattina del due novembre lo aveva baciato sulla fronte con un enorme sorriso e gli aveva dato la bella notizia: Axel si torna a casa, e lui era così felice di tornare da Petar, persino di tornare dal piccolo Aleksandar di poco più di tre anni, che si attaccava ai fratelli maggiori sperando che lo considerassero almeno una volta nei loro giochi. Era ancora stremato dall’attacco subito il piccolo Axel quando quella sera, dopo i festeggiamenti, sua madre lo aveva condotto con l’inganno verso le segrete del castello. “Adesso faremo un gioco nuovo Nikolai” gli aveva detto con un largo sorriso mentre mano nella mano scendevano le scalinate verso gli umidi sotterranei, il bimbo al suo fianco trottava dalla contentezza nonostante le forze fossero poche dopo i lunghi giorni passati in ospedale. Lo aveva condotto all’interno di una cella e gli aveva mostrato le catene al muro. “Quando inizia il gioco?” Axel era impaziente e sullo sgabello agitava le gambine mentre la madre gli stringeva ai polsi le catene che gli aveva mostrato fino a poco prima, “tra pochissimo amore mio e ricorda, quando sarà ora, stringili forte forte”, gli aveva posato un bacio sulla chioma mora spettinata ed era uscita ordinando alle guardie di sbarrare l’ingresso della cella. Le urla erano arrivate nel giro di qualche minuto. Axel aveva avvertito il suo corpicino piegarsi in maniera innaturale fino a sentire lo schiocco secco delle ossa che si fratturavano, la pelle gonfiarsi fino a tendersi all’estremo per poi lacerarsi dolorosamente lasciando spazio all’irto pelo nero della bestia... Questo potrebbe dirsi abbastanza da metabolizzare per un bambino di soli nove anni appena compiuto ed invece no, il destino aveva deciso di accanirsi contro il ragazzo e solo due anni dopo, quando ormai aveva semi-accettato la sua nuova natura ecco che gli eventi prendevano una piega inaspettata. Aveva da poco festeggiato il suo undicesimo compleanno e come tutti i mesi seguiva sua madre giù nelle segrete per permetterle di incatenarlo, quella volta però, fu diverso, le catene non ressero le sollecitazioni impresse dalla Bestia e... solo al mattino dopo, sporco di sangue su viso e mani era tornato zoppicante al castello, non capiva come avesse raggiunto la foresta ma una volta arrivato sulla soglia d’ingresso la copiosa scia di sangue era stata impossibile da ignorare. Elèna era in lacrime e non riusciva a guardarlo tenendogli a distanza il piccolo Alek. Axel era diventato un mostro.

    Un sonoro tonfo seguito da un battito d’ali che gli scompigliò i capelli bruni già incasinati davanti agli occhi. «Cazzo vuoi pennuto?» Lo apostrofò con il suo solito cipiglio aggressivo stringendo le palpebre. Il gufo di tutta risposta emise un verso prima di alzarsi in volo lasciando di fronte a lui un grosso pacco di carta scura tempestato di mille stelline argentate. «Ma porca troia», come aveva fatto Daisy a scoprire quando fosse il suo compleanno? Eppure, era certo di non averne fatto parola con nessuno, men che meno con lei ed era anche certo che non lo avrebbe più messo in ridicolo con i regali da stalker... Ora erano amici, no? Non aveva bisogno di fare quelle follie alla Julie! Sbuffando aveva lanciato un’occhiata di fuoco verso il tavolo dei Tassorosso e si era poi allungato a prendere il bigliettino non riconoscendo la grafia della biondina. Aggrotto le sopracciglia, incredulo e la sua faccia andò via via imbronciandosi riconoscendo l’autrice di quel gesto: Skylee. Allora si voltò cercandola al tavolo della sua casata e la trovò intenta a sghignazzare di gusto. Le direzionò un dito medio. Portò il pacco in camera e se ne dimenticò fino al dopo cena, quando tornando in stanza trovò sul suo comodino un tortino di cioccolata. «Dio ancora!» sbatté la porta con astio andando a vedere se c’erano biglietti ad accompagnare quel dolce ma nulla. Non c’era nulla. La candelina si accese con una piccola luce tremolante ed un piccolo strombazzare di trombette. Doveva essere un bel gesto probabilmente ma il ragazzo lo fissò con tristezza. Avrebbe preferito non ricordare quel giorno. Avrebbe preferito che quel giorno venisse persino cancellato dal calendario. Rimase fermo sul letto, le mani sul viso, le cicatrici dei tagli sui polsi che scintillavano al chiarore della candelina. «Vado a fumare», disse alzandosi di scatto per scartare il pacco della Corvonero. All’interno, ben ripiegata, vi era una giacca nera di pelle di drago, nuova, stupenda e perfettamente nelle corde del mannaro. Se la infilò immediatamente, gettando nelle tasche il necessario per fumare ed uscì dalla sala comune. Si fermò all’esterno, fuori dall’arcata e si posizionò come al solito alla colonna di sinistra lasciando libera quella di destra per la prefetta dei Grifondoro. Tirò quindi fuori il walkman e srotolando le cuffie fece partire la cassetta dal punto in cui l’aveva lasciata. Immediatamente il rumore assordante della chitarra elettrica gli azzerò l’udito insieme agli strilli del cantante dei Three Days Grace che urlava definendosi – ironico, no? – un animale.
    Axel

    “So what if you can see the darkest side of me?
    No one will ever change this animal I have become”

    «Hey Mr. Bella giacca!» Lo apostrofò qualcuno che non sentì per via dell’alto volume della musica, si accorse solo quando quel qualcuno si prese una confidenza tale da pizzicargli con forza il sedere. Allora aprì un occhio trovandosi la sua “bastarda preferita”. «Métis», fu il suo tetro saluto mentre si sfilava le cuffiette dalle orecchie per poi bloccare la riproduzione del nastro. Lei non sembrò cogliere il suo umore nero tanto che continuò imperterrita a provocarlo poggiando fastidiosamente il viso sulla sua spalla. La reazione di Axel fu immediata, la prese per la base della mandibola sbattendola con forza contro la parete poggiandosi con il braccio libero sulla superfice ruvida quanto fredda. La fissava da incredibilmente vicino. «È come pensi di punirmi prefetto? Sentiamo?» Sibilò stringendo le sue carni. Le sollevò forzatamente il viso verso l’alto per scendere con il suo e poggiarle un bacio sul collo, esattamente sulla carotide dove il battito del cuore era ben percepibile. «Come hai scoperto di oggi?» La sua domanda fu più un ringhio dopo averle stretto delicatamente tra i denti il collo. «Bastava la giacca, non serviva anche un dolce... potevi farti trovare nuda se proprio volevi o senza mutande come l’altro ieri»


    Edited by .Danielle - 25/1/2022, 17:45
     
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    La musica ovattata che fuoriusciva dalle cuffiette del Serpeverde si interruppe e con un ringhio profondo mi riservò quello che nella sua contorta psiche, doveva essere la cosa più simile a un saluto che riuscisse a fare. Considerando la silenziosa faccia da culo che fino a un mesetto prima mi riservava ogni volta che mi vedeva, era un interessante passo avanti e ciò, non poteva che farmi sperare che in un futuro non troppo lontano il suo odiosissimo modo di fare mutasse anche solo di poco, permettendomi così di eliminare la crisi di nervi dalla lista di possibili conseguenze che le missioni in sua compagnia potevano causarmi. «Carina la canzone» Riuscii a sibilare stranamente sincera, prima che con la sua solita delicatezza mi facesse sbattere con la testa e la schiena contro al muro poco distante da noi. Se il mio fine udito non mi ingannava e non lo faceva quasi mai, quella che fino a poco prima fuoriusciva da quei piccoli aggeggi babbani, doveva essere musica rock e per quanto il suo aspetto lo potesse lasciar supporre, avere la certezza che avevamo in comune, almeno in parte, le stesse preferenze musicali, mi irritava parecchio, perché l'ultima cosa che volevo era proprio avere qualcosa in comune con quello stronzo. Non lo tolleravo. «Non sono un fantoccio, se continui a farmi tirare testate contro alberi o muri mi aprirai la testa in due prima o poi e non credo che farsi una cadavere sia molto eccitante» Affermai a denti stretti massaggiandomi la nuca dolorante e guardandolo con sguardo duro e infastidito come quello di un piccolo troll arrabbiato. «Non immagini nemmeno a quanti modi di punirti potrei pesare...» Sussurrai contro le sue labbra prima che le stesse si spostassero verso il basso per regalarmi un eccitante bacio caldo contro la carotide. Con senno di poi avrei potuto pensare sul serio a qualcosa di divertente per punirlo, o magari a qualcosa di utile, tipo ad esempio salvarmi le chiappe da una preannunciata serata fallimentare in compagnia di un viscido francese stupido. Uno sorrisetto perfido mi piegò quasi impercettibilmente le labbra. Dopotutto poteva essere sul serio una buona idea e per quanto la compagnia del Serpeverde non sarebbe stata poi più di tanto piacevole, sarebbe pur sempre stata migliore di quella di un coglione del quale non mi interessava assolutamente nulla. Con Axel per lo meno avrei potuto trovare modi creativi di far passare il più velocemente possibile la serata. Il che non mi sarebbe affatto dispiaciuto. «Sarebbe il tuo modo di ringraziarmi per il regalo di questa mattina? Perché potrei prenderci gusto» Ammisi godendomi per un'altra manciata di secondi le sue calde labbra premute contro la mia pelle diafana e fredda come la roccia della parete contro la quale ero appoggiata. Per quanto privi di sentimento, i suoi baci erano capaci di accendere qualcosa in me, qualcosa che per molto tempo avevo cercato di domare, relegando il mio istinto più animale in un piccolo cassetto all'interno della mia mente, al quale nessuno poteva aver accesso, perché se solo qualcuno avesse scoperto com'ero realmente, temevo si sarebbe ben visto dal continuare a frequentarmi. Davanti a tutti cercavo di mostrarmi pacata e tranquilla, come la mia famiglia mi aveva sempre ricordato di fare, ma nel profondo, ben lontano dalla vista di chiunque, celavo un desiderio nascosto di adrenalina, passione e totale rifiuto delle regole a me da sempre imposte. Volevo vivere libera e a modo mio, volevo non preoccuparmi del parere altrui e non temere il giudizio di chi mi stava affianco, ma era una cosa talmente difficile anche solo da pensare che avevo sempre preferito immaginarla come un utopia impossibile da raggiungere. Con lui però era diverso, era come se nonostante tutto potessi essere me stessa, perché dall'alto della sua indifferenza e supponenza, sentivo che non c'era quasi alcun giudizio nei miei confronti, almeno non riguardo a ciò per il quale temevo sul serio di essere giudicata. Non avere sentimenti che mi leggessero a lui, se non un odio viscerale e un disgusto latente, era stranamente rassicurante. «Secondo te?» Domandai criptica sollevandogli appena il viso per fargli perdere la presa che i suoi denti aguzzi avevano sulla mia carne. «Un nostro amico in comune qualche giorno fa mi ha chiesto di ricordargli di fingere di essersi dimenticato del tuo compleanno» Ammisi in fine fissandolo con un sorriso tirato sul volto, come a comunicargli quanto non fossi d'accordo con tale gesto. Forse a lui non importava nemmeno, magari dopo anni di convivenza si era abituato ai modi di Ethan, ma a me risultavano ancora troppo subdoli e spietati e non ci potevo fare nulla, contraddirlo e fare il contrario di ciò che mi suggeriva di fare, mi veniva naturale. Nessuno avrebbe mai dovuto essere così crudele nei confronti di chi gli stava vicino e fingere di dimenticarsi del compleanno di qualcuno mi pareva veramente orribile. «Ti piace?» Gli domandai premendo l'indice sulla nuovissima giacca di pelle nella quale era avvolto, mi sentivo stranamente intimorita dalla risposta che poteva darmi, dopotutto il fatto che la indossasse non doveva per forza significare che gli piacesse, non che mi importasse davvero il suo responso in merito, sia chiaro, se non gli piaceva avrebbe potuto semplicemente restituirmela e l'avrei portata tranquillamente indietro. Era più il gesto in se quello su cui riservavo dubbi, non eravamo abbastanza amici da scambiarci regali come se nulla fosse, ma nemmeno così estranei da ignorare il compleanno dell'altro, almeno non qualora fossimo venuti a conoscenza della data incriminata, mi sarebbe parso troppo brutto far finta di nulla. Piegai leggermente la testa di lato e prima che potesse rispondermi avvicinai le mie labbra al suo lobo e glielo leccai lentamente tirandogli poi leggermente il pendente del suo orecchino con i denti, come a corromperlo in favore di una risposta positiva. «Dolce?» Ignorai di proposito il resto della frase per non dargli soddisfazioni in merito a ciò che era successo due giorni prima, quando approfittando della dapprima annunciata assenza per lavoro di Ethan, avevamo colto l'occasione per recarci nel suo appartamento e soddisfare i nostri animaleschi istinti senza la preoccupazione che occhi, o orecchie indiscrete, potessero scoprire ciò che da un mesetto a quella parte eravamo soliti fare ogni qual volta ne avevamo la possibilità. «Perché avrei dovuto regalarti un dolce per poi andarmene?»
     
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    Axel
    «Non mi sono mai scopato un cadavere, ma non dovrebbe esserci differenza tra il rigor mortis ed il palo che non ti sficchi mai dal tuo bel culo» concluse ridacchiando mentre con la mano le scoccava un sonoro schiaffo sul gluteo per poi afferrarlo con più ardore, era rivestito unicamente del tessuto della divisa scolastica... Sul sesso opposto cominciava ad apprezzare quel capo d’abbigliamento, così veloce da togliere o così rapido da sollevare... come in quel momento, mentre la mano percorreva con bramosia la parte posteriore della coscia salendo con disinvoltura al di sotto della gonna, lungo la sua pelle candida disseminandola di brividi prima di arrestarsi all’attaccatura del sottile capo d’intimo. «Ne sto tastando esattamente uno», replicò a fior delle sue labbra palesandole quanto avesse perlappunto apprezzato l’incontro di qualche giorno prima dove aveva piacevolmente scoperto la prefetta Corvonero priva di qualsivoglia capo d’abbigliamento intimo. Skylee lo aveva fatto impazzire del tutto prima di concedersi quando, nella lieve nebbiolina del bagno dei prefetti, aveva giocato con le trasparenze della camicia inumidita. Fosse dipeso da lui le avrebbe vietato di farne utilizzo ma come lei teneva a specificare a più riprese tra loro non c’era niente, nulla più di quel tacito accordo che li vedeva sfogare i reciproci stress in maniera più dilettevole. «Ci hai già preso gusto, a chi vuoi darla a bere?» Un nuovo morso direttamente al di sotto del lobo, esattamente dove la pelle liscia incontra l’attaccatura dei capelli, il corpo della riccia reagì immediatamente rabbrividendo sotto i suoi denti. Poi Axel si scostò guidato dal dito sotto al mento che la Corvonero gli aveva infilato per allontanarlo, se non lo avesse fatto sapeva benissimo come sarebbe andata a finire quella finta “scaramuccia”, lui continuò a fissarla con quel suo mezzo sorriso sghembo che tanto sapeva infastidirla. «Secondo te? Un nostro amico in comune...», certo Ethan e chi se no poteva dirglielo? Alzò gli occhi al cielo. «Non ti stava sfottendo per una volta. Non mi piace festeggiarlo», il viso gli si contrasse in una smorfia che cercò immediatamente di dissimulare. Da quando Ethan aveva saputo il motivo aveva smesso di ricordarglielo, si nascondeva dietro lo sfottò fingendo che lo facesse per la cattiveria che tanto lo caratterizzava invece, quel piccolo gesto, dimostrava quanto in realtà l’uomo tenesse al ragazzo evitandogli la sofferenza di dover ricordare quel compleanno di oramai dodici anni prima... l’anniversario della sua prima trasformazione, l’inizio del suo incubo personale. Aveva deciso di addossarsi quell’odio per lui, evitandogli spiegazioni che sapeva non avrebbe voluto dare ad anima viva.
    «Ti piace?» Lo sguardo del mannaro si abbassò incupito sul dito che la ragazza gli premeva sul petto e indossando la sua maschera migliore replicò: «beh come minimo! Visto la fine che gli hai fatto fare all’altra...» altra faccia di bronzo prima di allontanarsi con un salto all’indietro per evitare lo scappellotto che la Corva gli avrebbe sicuro rifilato, manco fosse stata davvero colpa sua. Gli domandò quindi del dolce e si stupì di apprendere che non fosse opera sua, allora di chi? Questo non avrebbe mai potuto saperlo in quanto col gesto plateale della prefetta tutta la scuola adesso era a conoscenza di quel giorno. Che palle! Mors se ne sarebbe sicuro vendicato, odiava le violazioni della loro camera e sapere che una sconosciuta fosse entrata nella loro, rovistando tra le sue cose... Gliel’avrebbe fatta pagare.
    «Perché sei una Métis», replicò semplicemente per poi concludere sotto il suo sguardo stretto dall’astio, «e voi Métis siete fuori come balconi!» Si lasciò andare ad una breve risata per quelle frecciata che non aveva poi tutti torti in sé e per sé: Skylee si era dimostrata molto capricciosa soprattutto con lui: millantava d’odiarlo dal profondo dell’anima e che lo avrebbe ucciso o torturato, che avrebbe fatto pratica su di lui per la maledizione cruciatus! Però poi, una volta chiusa la porta del nascondiglio di turno in cui lo trascinava gli pigolava all’orecchio “Axel ti prego... Oh si, Axel continua” quando le dita del mannaro smettevano di muoversi tra le sue gambe. Le meraviglie di portarsi a letto un prefetto! Nessuna punizione per le sue uscite notturne, anzi, si beccava una punizione dalla suddetta proprio se non si faceva trovare. “Ho avuto da fare” non era una giustificazione accettata alle quattro notti che aveva passato nella stanza delle necessità durante il plenilunio ma Axel non si sarebbe dilungato in spiegazioni, non con lei.
    Poi c’era Ethan e... andiamo, già lui bastava ad identificare tutta la categoria dei suoi consanguinei. L’uomo era pazzo, anch’esso capriccioso quasi infantile nel modo in cui reagiva ai torti e assolutamente psicopatico perché nessun uomo sano di mente crescerebbe un bambino nel modo in cui lo aveva fatto lui con il bulgaro spegnendogli le sigarette addosso, somministrandogli veleni come mezzi punitivi, alterandogli l’antilupo per studiarne gli effetti...
    «Ti sei aizzata Mors contro oggi», un’altra sonora sberla sul sedere.
     
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    «Pensa al manico di scopa che hai infilato nel tuo» Replicai con un ghigno antipatico dipinto sul volto. Ogni volta che tentava di sfottermi con insulti creativi gliene ributtavo addosso il doppio, giusto per non fargli credere che potesse mettermi i piedi in testa tanto facilmente, o che pendessi dalle sua labbra lasciandogli il potere di fare o dire ciò che più gli andava. Lo vedevo per i corridoi a fare il diavolo ammaliatore con mezzo castello, ma io non ero come certe oche giulive che gli sbavavano dietro affascinate dalla facciata del bel tenebroso con il suo modo di fare tanto misterioso, io non mi lasciavo ingannare dal suo sguardo filtrante o dal suo falso sorriso smagliante dipinto sul volto. Io, nel bene o nel male, sapevo molto meglio di tante persone com'era fatto realmente. Sapevo che quello che indossava durante buona parte della giornata era un falso sorriso per ingraziarsi professori e donzelle e che il vero Axel era ben diverso. Lui era scaltro, manipolatore, senza scrupoli e pure bastardo. Non si lasciava scomporre mai da niente o nessuno, non lasciava trasparire alcuna emozione sul suo viso e si vedeva bene dal rivelare anche la più piccola cosa vera su di lui. Le considerava debolezze e in missione non mancava mai di farmi notare quanto a differenza sua io fossi attaccabile, perché io avevo persone alle quali tenevo e ciò era un male. Nulla più che una debolezza. «Sono ben lontana dal prenderci gusto» Tentai di allontanarlo in malo modo senza avere molto successo. Ciò che stava facendo dava troppo nell'occhio. Gli avevo ripetuto un infinità di volte quanto non volessi che ciò che facevamo diventasse di dominio pubblico. Dovevamo essere discreti, furbi ed evitare di cedere al tocco dell'altro proprio in mezzo a un corridoio. In pratica tutto il contrario di ciò che stavamo facendo in quel momento. «Smettila...» Gli scostai la mano da sotto la gonna e gliela rimisi a posto con un'espressione divertita in volto. Quello che c'era fra noi era la mia piccola fonte di tranquillità, un limbo distante dal mondo reale, dove poter cedere al desiderio e appagare me stessa nel profondo, senza però temere critiche, giudizi e ciò che più mi spaventava. Il tradimento. Non avrei resistito all'ennesima persona che tradiva la mia fiducia e con lui era più facile. C'erano paletti, regole e confini oltre i quali non ci era permesso andare e tali restrizioni mi rassicuravano, perché sentivo di non dovermi preoccupare di nulla, se non del prossimo posto segreto nel quale nasconderci. «Oh...» Gli angoli della bocca si piegarono quasi impercettibilmente verso il basso e uno sguardo cupo si impadronì del mio viso, indurendone i lineamenti. «Mi dispiace, non lo sapevo... perdonami, con senno di poi ti avrei risparmiato la scenetta in sala grande» Un piccolo stralcio di sincerità si impadronì di quel momento. Non capitava quasi mai con lui, era sempre tutto uno scherzo o una litigata per chissà quale motivo stupido e iniziata casualmente per una battuta dell'altro, ma la sincerità... la sincerità con lui era un tabù. D'altronde come avrei potuto sapere che non gli piaceva festeggiarlo, lui non parlava mai di sé e mi vidi bene dal chiedergli il motivo, sapevo che tanto non mi avrebbe risposto e se lo avesse fatto mi avrebbe appioppato una qualche balla stupida che mi avrebbe soltanto fatto saltare i nervi. Era più saggio lasciar perdere e fingere che ciò che aveva detto poco prima fosse già stato accantonato in un qualche angolino buio nella mia mente. «La fine che ho fatto fare all'altra?» Domandai retorica sollevando entrambe le sopracciglia in una falsa espressione stupita. «Non è colpa mia se eri cosi eccitato da dimenticare i tuoi vestiti a terra» Sussurrai avvicinandomi al suo lobo con fare sensuale. «Dovresti stare più attento alle tue cose...» Conclusi mordendogli velocemente la parte superiore dell'orecchio prima che potesse spostarsi nuovamente all'indietro con un balzo felino. «Pensa che io sono quella più sana...» Sibilai tentando di sembrare divertita, ma un leggero tremolio nella voce mi tradì, rivelando quando poco divertita fossi in realtà da tale battuta. Era vero. I Métis erano pazzi e io non avrei voluto essere in alcun modo accomunata a quella famiglia tanto orribile, né tantomeno a quel cognome che gravava sulla mia testa come una spada di Damocle. L'unico Métis del quale ero fiera di portare il nome non esisteva più, era stato ucciso, giustiziato e cancellato dalla faccia della terra. L'unica cosa che di lui continuava ad esistere era il vivido ricordo che custodivo con tutte le mie forze nel mio petto e nonostante tutto, quella feccia che dovevo chiamare famiglia, aveva tentato di portarmi via pure quello, come se di lui non dovesse rimanere assolutamente nulla. L'unico suo sbaglio era stato credere che i suoi genitori potessero accettare che il futuro capo famiglia decidesse di andarsene, di rinnegare il sangue del suo sangue e di sceglie la felicità piuttosto che la vita infelice che era già stata confezionata per lui come un vestito di alta sartoria troppo stretto. Lo stesso vestito che ora tentavano di far indossare a me e se solo avessero scoperto che come mio padre e mio nonno prima di lui, ero un elementarista, la faccenda si sarebbe di gran lunga complicata. Perché avrebbe significato che il futuro pilastro della famiglia sarei stata io, come da tradizione e mai avrei accettato di ricoprire un tale ruolo capace di segnare tanto nel profondo il mio destino e atto a distruggere ogni possibilità di felicità a me concessa. «Ti ho già detto che non sono stata io. Piantala» Gli intimai con tono duro portandomi le braccia al petto e incrociandole come una bambina imbronciata. «Che cosa stupida regalare un dolce per poi andarsene. Anzi...» Ci pensai su per qualche secondo per poi corrugare le sopracciglia e assumere un espressione di disappunto. «È una cosa cattiva... Che avresti dovuto fare? Mangiarlo festeggiando le ultime ore del tuo compleanno da solo?» Il solo pensiero mi riempiva di tristezza. Nemmeno una persona perennemente incazzata e fastidiosa come lui si meritava uno scherzo tanto crudele. Se già non gli piaceva festeggiare il suo compleanno, doverlo fare da solo con un misero dolcetto a ricordargli che giorno fosse, doveva essere davvero orribile. «Dov'è il dolce incriminato? Ne voglio un pezzo ora...» Strinsi ancor di più l'intreccio delle mie braccia al petto assumendo una postura decisa e autoritaria. Non avrei accettato un no come risposta e avrei preteso di condividere assieme a lui quel dannato dolcetto. Era diventata una questione di principio ormai.
     
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    «Ah Métis che devi sempre replicare, ogni volta che apri bocca me lo smosci un po’» ribatté a quell’infinita battaglia verbale che quando si accendeva tra i due difficilmente aveva una fine. Entrambi testardi ed entrambi determinati ad avere l’ultima parola si pizzicavano fino a colpirsi sul vivo del personale finendo però nel loro caso ad avere l’uno le mani addosso all’altra nella maniera più imprevista perché sì, quello era l’unico modo possibile tra i due di ottenere una tregua e vicendevolmente – di solito il primo era proprio il mannaro, che non sopportava più la Corvonero – si zittivano baciando l’altro.
    «M mh, e come mai hai i brividi Métis?» Si sporse fregandosene bellamente delle mani della ragazza che cercavano di allontanarlo. I brividi, un modo carino per alludere quanto invece lei fosse eccitata a vederlo, a sentire le sue mani addosso che scorrevano lente e voluttuose al di sopra degli strati di vestiti alludendo alle mille cose che sapevano fare. Il solo sapere quel dettaglio sulla prefetta lo inorgogliva mandando in iperattività il suo sistema circolatorio. Tuttavia, si allontanò da lei quando l’argomento cadde sul topic caldo della giornata, ovvero il suo compleanno, per un brevissimo istante sul volto del bulgaro si dipinse una smorfia indefinita ed il verde dei suoi occhi s’incupì prima di tornare a sollevare fiero la testa rivolgendole il solito sorriso strafottente. Fece spallucce, come se l’argomento non lo toccasse e piuttosto tornò a punzecchiarla in merito alla giacca. Rise del modo piccato in cui gli rispose ed un fuoco ardente risvegliò i suoi lombi quando le labbra carnose della ragazza sfiorarono il suo orecchio per poi mordicchiarlo. Le mani di Axel scivolarono immediatamente quanto istintivamente a cingerle con possesso la vita mentre calcolava rapidamente quanto ci avrebbe messo a trascinarla nella prima aula libera. Il bagno dei prefetti era troppo distante, fuori era da escludere... ormai troppo freddo persino per un temerario come lui... e poi c’era l’aula vuota nei sotterranei... sì, quella poteva essere un giusto compromesso! Una volta eccitata abbastanza non c’era pericolo che teneva per la giovane prefetta, lo avrebbe seguito in capo al mondo.
    «Ma che bella famigliola che siete» mormorò soprappensiero non accorgendosi minimamente dell’espressione tesa sul volto di Skylee, era troppo preso da sé stesso e dall’ascoltare i suoi impulsi che mostrare un minimo interesse per quello che aveva detto alla bionda, se lo avesse fatto si sarebbe accorto che ciò le aveva toccato un qualche nervo scoperto.
    «Stupida?» Axel corrucciò le sopracciglia scure che s’inarcarono in due linee rette oblique mentre inclinava a sua volta il capo. Lui lo aveva trovato un gesto tutto sommato carino anche se avrebbe preferito sapere chi fosse l’autore – o come meglio sperava, l’autrice – dietro quel gesto. «Messa così non hai tutti i torti», mormorò riflettendoci, guardandolo dall’ottica della bionda quel gesto all’apparenza dolce, che quasi poteva scaldare il cuore assumeva un’altra sfumatura. “Tieni Axel, festeggia il tuo compleanno solo... solo come il mostro che sei”. L’espressione sul volto del ragazzo s’irrigidì mentre lo sguardo si faceva più assente. Dannato compleanno di merda! Avrebbe preferito non essere mai nato, oppure, se proprio doveva, di morire con Petar quella notte. «Dov'è il dolce incriminato?» Per un attimo il mannaro fissò la bionda senza capire poi, schiarendosi la gola, intuì cosa gli aveva chiesto e facendo calare nel palmo la bacchetta la roteò puntandola su quello libero. Gli bastò sussurrare a fior di labbra l’incanto perché nella mano si materializzasse il tortino al cioccolato. La candelina sullo stesso si animò nuovamente mentre delle piccole illusioni di fuochi d’artificio gli scoppiettarono attorno. «Non credo basti per due...» arricciò le labbra mentre rinfilava la bacchetta nella manica della giacca sollevando il braccio, braccio che si portò tra i capelli scuri scompigliati che stropicciò ulteriormente al passaggio delle dita. «Nemmeno mi piace il cioccolato» non sapeva nemmeno lui il perché di quell’ammissione ad alta voce. Troppi pensieri negativi gli affollavano la mente in quel triste giorno, avrebbe davvero preferito che tutti ne fossero rimasti all’oscuro.
     
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    «Oh, ma per favore, non ti crede nessuno, caro Axy» Replicai con occhi da cerbiatta e un sorrisetto fastidioso dipinto sulle labbra. Mai e poi mai gli avrei lasciato l'ultima parola e soprattutto la soddisfazione di vincere una battaglia verbale contro di me. Forse, o meglio sicuramente, poteva vincere uno scontro magico o meno che fosse, ma a parole, a parole potevo ancora vantare uno smisurato numero di vittorie contro di lui e il premio finale era sempre estremamente soddisfacente, il che animava unicamente di più la mia voglia di cercare altri scontri con lui. In fondo chi non l'avrebbe fatto per una ricompensa simile? «Sai com'è, il freddo... le temperature sono sempre molto rigide qui...» Risposi con un sorrisetto sornione alludendo a un freddo che pure nelle giornate più burrascose, difficilmente provavo. Abituata alla gelida aria dell'Alaska, il freddo e i tipici tremolii o brividi dovuti ad esso, erano per me un tabù e difficilmente li provavo sulla mia cerea pelle. Da che ricordavo non avevo mai avuto realmente freddo in vita mia, fin da piccola mi ero abituata a temperature che scendevano ben sotto lo zero e col tempo mi ci ero iniziata a sentire a mio agio, finendo al contrario a temere le temperature più torride. «A proposito di famigliola, dopo ricordami che ti devo dire una cosa importante...» Tagliai corto con tono deciso per allontanare almeno momentaneamente il discorso dalla mia famiglia e facendo scivolare le mani lungo il suo busto tentai di distrarlo per farlo deconcentrare riguardo l'argomento di cui stavamo parlando. Avevo bisogno di pensare a una scusa credibile per convincerlo a raggiungere il castello della mia famiglia per salvarmi da una serata orripilante e qualcosa mi diceva che chiederglielo per favore non sarebbe di certo bastato. Lo stuzzicare il suo corpo perennemente caldo e rigido sembrava funzionare piuttosto bene, le mie mani si insinuavano al di sotto della giacca di pelle e scostavano leggermente il sottile tessuto della sua maglia, scoprendo la pelle al loro passaggio per farla sfiorare dalla tenue ma pungente aria che soffiava fra i corridoi, per fargli venire a sua volta quei tanto chiacchierati brividi che fino a poco prima di rimproverava di avere. «Ovvio che non ho tutti i torti...» Lo fissai cercando di studiare l'espressione corrucciata che gli si stava stampando in viso mentre rifletteva e valutava le mie parole. Era evidente che nella sua testa qualcosa si stesse muovendo e dal suo sguardo via via sempre più cupo si poteva evincere che ciò che iniziava a passargli per la mente, non gli piaceva affatto. Fece calare la bacchetta nel suo palmo e dopo un veloce gesto del polso fece comparire il dolcetto incriminato nella sua mano. Era una sorta di tortino simile a un muffin al cioccolato e non era molto più grande di un pugno. «Caspita Axy...» Mi portai una mano sul petto fingendomi sorpresa e scioccata. «Ti ho visto fare cose indicibili, comportarti come un vero stronzo, ma mai avrei creduto che non ti piacesse il cioccolato, sei una persona veramente orribile...» Sussurai con tono sconsolato continuando il teatrino che avevo messo su, prima di scoppiare in una candida risata per segnalare quanto le mie parole fossero scherzose e afferrarlo per un polso per trascinarlo fino a un'aula in disuso poco distante. «Forza, seguimi prima che passi un'altro prefetto» Esclamai con tono pacato facendogli oltrepassare la scura porta di legno dell'aula e castando un Lumos per farci almeno in parte un po' di luce. «Seduto mr. muso lungo» Ordinai spingendolo con forza verso uno dei tanti banchi presenti della stanza per obbligarlo a sedersi su di una panca poco distante, facendo poi a mia volta lo stesso incrociando le gambe sulla stessa e rubandogli il tortino dalle mani. «Ora... chiudi gli occhi e soffia sulla candelina esprimendo un desiderio...» Gli intimai fissandolo nuovamente ma questa volta con sguardo serioso e indeclinabile. Non mi importava proprio nulla che considerasse quella richiesta stupida o noiosa, non avrei accettato un no come risposta e lo avrei obbligato in ogni modo a fare quella piccola e insignificante cosa, che era però in grado di riscaldare il cuore più freddo con la sua intrinseca magia. Festeggiare la propria nascita non doveva mai essere triste o brutto, dovevamo essere felici e grati ai nostri genitori per averci regalato il dono della vita e festeggiarla ogni anno era un modo molto piacevole per ringraziarli di ciò. Attesi che si convincesse a fare ciò che gli avevo richiesto con tono tanto severo e non appena ebbe soffiato sulla candelina, avvicinai il mio viso al suo e gli sfiorai la guancia con le labbra, in un quasi impercettibile bacio rubato. «A molti compleanni migliori. Tanti auguri Axel» Sussurai allontanando di poco il mio volto dal suo e riponendo il dolcetto con la candelina ormai spenta sul banco.
     
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    Axel
    Axel non alzò nemmeno gli occhi al cielo alla battutina della Corvonero, non fosse impegnato a riflettere sulla natura del tortino avrebbe replicato con una risposta tagliente delle sue chiedendole magari quando mai di preciso avesse avuto ragione. Sospettava la ragazza interpretasse i suoi tentativi di zittirla ficcandole la lingua in bocca come una qualche vittoria, con Skylee si trattava sempre di vincere una qualche guerra di superiorità a cui il mannaro non era interessato a giocare. Lui voleva solo che la smettesse di blaterare all’infinito con quel tono stridulo mentre se la tirava – eccome se se la tirava! – millantando doti di cui il ragazzo non ne intravedeva l’esistenza. «Certo, certo Métis... come dici tu», borbottò senza prestarle davvero attenzione ma preferendo martoriare il labbro inferiore mordicchiandosi le pellicine interne. Lui non vi aveva visto del marcio in quel gesto ma ora che la Corvonero gli faceva notare quell’eventualità non poteva fare a meno di considerare l’opzione. Magari quel tortino carico di rancore veniva dalla piccola Corva che aveva bullizzato sulle rive del lago Nero, un suo modo da stronza – quale Axel sosteneva che fosse – per ricordargli che solo era e solo sarebbe rimasto, nel caso ce ne fosse stato ulteriormente il bisogno. Axel lo faceva di proposito a risultare duro e burbero, gli era stato insegnato così e aveva provato quel disprezzo sulla sua stessa pelle dopo la prima trasformazione. Sua madre, Elèna, non lo aveva guardato più con gli stessi occhi. Il suo piccolo Nikolai si era trasformato di colpo in un mostro nonostante la giovane età e l’odio... l’odio che aveva letto nei suoi occhi dopo quanto aveva fatto a Petar era stato troppo per il giovane mannaro che in poco aveva racimolato i suoi miseri averi scappando di casa. “Tu non toccherai anche Alek”.
    Scosse il capo, ritornando al presente mentre la bionda di fronte a lui inclinava lateralmente la testa, i riccioli biondi che attiravano i suoi occhi verdi rimbalzando nel vuoto, guardandolo interrogativa. Si scombinò i capelli scuri, a disagio, mentre cercava di levarsi dalla testa la voce di Elèna e dell’ultima cosa che gli aveva urlato, strofinò quindi la mano sul jeans ed evocò sul palmo libero il tortino di cioccolata. «Diecimila volte meglio il salato di quella roba stucchevole! Va a farti fottere Métis, anzi... ci penso io» le aveva detto stampandosi forzatamente la sua miglior espressione sorniona che cancellasse immediatamente i pensieri avuti fino a poco prima e a cui la biondina aveva sicuramente fatto caso. Lei dal canto suo sbuffando, lo prese immediatamente per il polso trascinandolo esattamente nell’aula in fondo ai sotterranei a cui aveva pensato lui. «Come siamo impazienti...» le circondò la vita mentre con il piede chiudeva la porta dell’aula ma Skylee non sembrava sulla sua stessa lunghezza d’onda: accese la punta della bacchetta e con una spinta lo fece sedere sulla panca di un banco. Axel espirò alzando gli occhi al soffitto per poi guardarla inarcando un sopracciglio, che diavolo aveva in mente adesso? Gli strappò dalle mani il tortino e sorridendogli dolcemente lo spronò a chiudere gli occhi e soffiare. «Ma è una cosa da bambini...», tentò di protestare ma la bionda scosse le spalle incenerendolo con i suoi occhi bicolore prima di protendergli il dolce davanti alla faccia. Axel sbuffò dalle narici scocciato ed alla fine, dopo ulteriori proteste dalla stessa si chinò a fissare serio la candela. Nonostante il suo viso fosse inespressivo i suoi occhi verdi rendevano palese il tumulto che invece gli si agitava dentro. Fissò Sky e successivamente chiuse gli occhi, “vorrei...”, gonfiò le guance trattenendo l’aria dentro di sé prima di soffiare sulla candelina che si spense in un coro di “Happy birthday!” con tanto di stelline e trombette prima di spegnersi. «A molti compleanni migliori. Tanti auguri Axel» le labbra fresche di Sky si erano posate con dolcezza sulla sua guancia ruvida, esattamente dove la pelle incontrava le prima file di barba. Lui la fissò per un singolo istante prima di sporgersi posandole un dito sotto al mento e la baciò a sua volta, sulle labbra, ma un bacio diverso dai soliti che si erano scambiati caratterizzati unicamente da quella foga animale priva di sentimento. Fu un bacio dolce, lento, puro di quelli in cui i due non avevano mai osato avventurarsi. Con un colpetto di tosse il bulgaro si scostò, la voce profonda leggermente arrochita: «Grazie Métis», disse semplicemente abbassando lo sguardo sul dolce, in imbarazzo quasi? Lo prese con le mani e lo divise strappandolo in due porgendo la fetta più grossa alla prefetta. «Prima hai detto che dovevi dirmi qualcosa di “importante”... » mimò nonostante la mano impegnata le virgolette alla parola che intendeva sottolineare, «non vorrai farmi conoscere i suoceri spero!» Addentò il dolce mentre una risata appena accennata lo scuoteva. Figuriamoci, ciò che c’era tra loro non aveva niente a che vedere con una relazione... se la spassavano e basta. Prese l’ultimo morso del dolce, chiunque glielo avesse regalato almeno ne aveva scelto uno fondente, di quelli amari che solitamente infastidiscono i palati ma che il bulgaro preferiva. Si passò la lingua sui denti sbattendo le mani dalle briciole e concentrò lo sguardo su Skylee che fino a quel momento non aveva proferito parola rimanendo per la prima volta in silenzio, le labbra socchiuse, ed inarcò un sopracciglio interrogativo.
     
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    «Te lo concedo, il salato batte il cioccolato, ciò non toglie che se non ti piace sei comunque una brutta persona» Scoppiai a ridere arricciando leggermente il naso in una smorfia divertita alla sua battuta sul farsi fottere da qualcuno. I discorsi con lui, volente o nolente, andavano quasi sempre a parare lì e poco mi importava, andava bene così, anzi, in quel modo era solamente più facile desistere dal rischiare di sviluppare un qualsivoglia accenno di sentimenti nei suoi confronti e ciò non poteva che tranquillizzarmi. Era tutto nuovo per me, non ero mai stata un tipo da cosiddetta "botta e via" e probabilmente non lo sarei mai stata, ma in quel momento provare nuovamente dei sentimenti per qualcuno, che irrimediabilmente avrebbe sicuramente finito per deludermi e ferirmi come chi lo aveva preceduto, mi terrorizzava a tal punto da farmi trovare allettante una relazione del genere, basata esclusivamente sul piacere fisico e sulla tolleranza reciproca. «Come siamo impazienti...» Un sorrisetto malizioso macchiò il mio viso e mi dovetti obbligare ad allontanare le mani dell'irresistibile Serpeverde dal mio corpo, per non rischiare di cedere come sempre al suo caparbio e lussurioso tocco. Dopotutto non lo avevo portato in quella stanza per fare ciò, non subito almeno. «Sai cos'è da bambini? Lamentarsi per ogni dannata cosa proprio come stai facendo tu ora...» Risposi con tono affilato e pungente alle sue lamentele e dopo qualche altra protesta totalmente ignorata dalla sottoscritta, sembrò finalmente convincersi e chiudendo gli occhi fece ciò che tanto gli avevo richiesto di fare. Poco prima di soffiare sulla candelina la sua mandibola si irrigidì appena e una leggera contrazione all'altezza della guancia mi comunicò che doveva essere teso, o forse nervoso. Glielo avevo visto fare più e più volte, era una sorta di tic nervoso che si presentava nei momenti di tensione, ma non ero mai stata in grado di comprenderne realmente la natura, dopotutto il suo livello di comunicazione ed esternazione delle emozioni era paragonabile a quello di un'ameba e io non potevo fare altro che intuire e supporre a cosa potevano essere legati i suoi atteggiamenti e le sue reazioni tipiche, ma senza averne realmente una certezza. Quando le mie labbra si posarono sul suo viso, in seguito allo scoppiettio di piccole bombe di coriandoli e allo squillante suono di fastidiose trombette, la sua pelle sembrò come rilassarsi e i suoi lineamenti divennero meno duri del solito, tanto da farlo sembrare una persona diversa con la quale non avevo mai avuto il piacere di parlare. Non appena le mie labbra si allontanarono da lui il tempo sembrò come fermarsi e dopo un brevissimo istante durante il quale i nostri sguardi si incrociarono, sentii il suo viso farsi sempre più vicino, fino ad eliminare totalmente la distanza che ci divideva per appoggiare le sue labbra sulle mie con delicatezza ed estrema lentezza calcolata. Quello che ci stavamo reciprocamente dando era un bacio ben diverso da quelli che caratterizzavano i nostri incontri. Era intenso seppur estremamente casto e sincero, nulla a che vedere con un bacio dato per abitudine o dettato unicamente da un istinto animale. Era dolce e per quanto impossibile da ammettere a me stessa, mi stava piacendo quanto quelli passionali che ero abituata a ricevere dal Serpeverde, che incurante di tutto ciò che non riguardava se stesso, non si preoccupava minimamente di dosare la forza o l'intensità con la quale mi baciava.
    La sensazione delle sue labbra premute sulle mie in quel modo tanto inaspettato, mi fece momentaneamente dimenticare di respirare e una volta che le nostre labbra tornarono a sciogliersi dal loro intreccio, mi accorsi che mi mancava il fiato e che i miei polmoni anaspavano in cerca di aria e sollievo. Tutto mi sarei aspettata fuorché una reazione simile da parte sua. Ero preparata a un insulto per il gesto tanto sciocco che gli avevo imposto di fare, a una battuta tagliente delle sue, sarei stata pronta addirittura a una qualche pacata e composta reazione positiva, ma a quello, a quello non ero minimamente preparata e una volta allontanata da lui, mi sfiorai istintivamente le labbra ancora socchiuse per la sorpresa. «Hum... non c'è di che...» Sussurai tentando di schiarirmi la voce in maniera discreta nel tentativo di non attirare troppo la sua attenzione. «Oh certo, sì, dovevo dirti una cosa importante» Scossi il capo sbattendo più volte le palpebre per schiarirmi le idee e allungando leggermente la mano, afferrai il pezzetto di muffin che il Serpeverde aveva accuratamente diviso in due cedendomi poi il pezzetto di dolce più grande, come fosse a conoscenza di quanto golosa e insaziabile fossi. «Beh... i suoceri no, ma temo potresti dover conoscere i miei... hum... nonni» Affermai con tono lento cercando di prendere tempo e mettere insieme le idee. Perché diamine iniziavo a sentirmi in colpa? Non avevo ancora proferito parola e già sentivo che ciò che stavo per fare era sbagliato, eppure lo volevo fare ed ero convita fosse l'unico modo intelligente per sopravvivere a tale serata senza dare di matto. «Hai un completo elegante?» Domandai con un sopracciglio alzato per allungare ulteriormente il tempo a me concesso per inventarmi qualcosa e strappando un pezzetto di tortino me lo portai alle labbra, assaporandolo lentamente mentre attendevo una risposta dal ragazzo. «Vedi... so che non ti entusiasmerà per nulla questa cosa e credimi, nemmeno a me fa impazzire l'idea...» Iniziai riservandogli uno dei miei soliti sorrisetti tirati e fastidiosi che ormai conosceva bene. «Ma l'altro giorno, parlando con Ethan, abbiamo scoperto che un possibile cliente piuttosto importante sarà presente al ballo che terrà a breve la mia famiglia e Ethan ha pensato potesse essere una buona idea tenerlo un po' sotto controllo per assicurarci che non sia un auror sotto copertura, prima di stringerci un qualche accordo» Cosa. Diamine. Stai. Dicendo. Skylee? Ok, ok. In realtà potrebbe pure funzionare se stai attenta e non ti fai tradire da qualche espressione strana. Dopotutto alla tua famiglia menti in continuazione e nessuno sospetta ancora nulla, quanto potrà mai essere diverso farlo con lui? Ce la puoi fare. «Ethan per forza di cose non può esserci» Continuai dando per scontato che lui sapesse il perché di tale impossibilità. «Per cui rimaniamo noi e dato che non si fida a lasciarmi fare questa cosa da sola, nonostante gli abbia tentato di spiegare che sarebbe stato più facile così, vuole che venga pure tu» In realtà era un piano piuttosto sensato quello che la mia mente aveva partorito in quei pochi minuti. Che Ethan non si fidasse a lasciarmi da sola a portare a termine pure la missione più facile, lo sapevano pure i muri e il fatto che fosse partito per un viaggio di lavoro praticamente dall'altra parte del mondo, sembrava cadere proprio a pennello. «Ah giusto... Ha pure detto che se hai qualche lamentela, cito: te la puoi infilare lentamente su per il culo» Mh sì, questa potrebbe proprio sembrare una delle sue colorite frasi con le quali ama insultarci. «E che dato che sarà in viaggio per un po', non vuole che gli rompiamo i coglioni se non in caso di estremo bisogno» Feci spallucce assumendo una postura rilassata e piegai un angolo delle labbra verso l'alto come a ribadire che io non centrassi nulla col suo volere e nel caso la mia espressione non gli fosse bastata, contornai il tutto con i palmi delle mani alzati verso il cielo. Che ci potevo mai fare se Ethan aveva deciso così? Nulla... Chi ero io per contraddirlo? Posai nuovamente il mio sguardo in quello verde acceso del Serpeverde, nel tentativo di intuire se mi stesse credendo o meno e feci molta attenzione a non lasciarmi tradire da un qualche movimento strano o espressione diversa dal solito. Ero rilassata e sicura di ciò che dicevo, mentire era più facile di quanto molte persone credessero e nonostante una volta Axel mi avesse rimproverato di dover imparare a farlo meglio, sapevo bene che non era così e che se realmente volevo ero più brava di quanto lui potesse mai immaginare. Dopotutto era solo grazie alle bugie se riuscivo a vivere la mia vita in pace e apparente in armonia con la mia famiglia. Buona parte della mia esistenza si basava sulla menzogna e per quanto mi facesse incazzare quando gli altri mentivano a me, io ero la prima a farlo in continuazione e ne ero fin troppo cosciente.
     
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    Un lungo silenzio aleggiò tra i due ragazzi dopo quel bacio. Skylee ne era rimasta come congelata ed il Serpeverde, dal canto suo, come nulla fosse, aveva preso il tortino strappandolo in due per dividerlo con la ragazza. Gli allungò la fetta più grossa dato che la bionda aveva confessato di essere un amante del cioccolato e del dolce e a quel punto meglio per lui che invece non ne era ghiotto. Gli bastò poco per concludere la sua porzione, gli sarebbe bastato un morso solo ma poi avrebbe sbriciolato dappertutto e non avevano nemmeno della burrobirra per mandare giù il boccone stopposo che gli si sarebbe incollato al palato così se lo divise in due morsi prima di passarsi la lingua sui denti e rivolgere un’occhiata alla Corvonero che era rimasta piuttosto silenziosa. Inclinò il capo inarcando un sopracciglio interrogativo mentre la bionda fissava il vuoto sfiorandosi ancora le labbra. Le chiese quindi di quella famosa cosa “importante” che gli aveva detto di ricordargli ed Axel annuì lentamente come a spronarla ad iniziare a vuotare il sacco. Ma cosa diamine le stava succedendo? Non che non gli facesse piacere che Skylee tenesse finalmente il becco chiuso... finalmente un po’ di pace senza la sua voce da insopportabile so-tutto-io pronta a rimbeccarlo su qualsiasi cosa, pronta ad iniziare un battibecco pur che Axel le ficcasse la lingua in bocca e la zittisse. Si appuntò mentalmente che doveva metterla al corrente che bastava glielo dicesse, magari potevano inventarsi addirittura un gesto di cui solo loro due ne sarebbero stati a conoscenza così si sarebbe evitato quegli interminabili litigi fino all’ultima virgola. Esasperanti, terribilmente inutili, irritanti. Vuoi scopare? Sì, boom fatta!
    «Addirittura saliamo ai nonni? È così seria la nostra relazione?» La stava chiaramente sfottendo, sollevò nuovamente il sopracciglio nel suo gesto caratteristico e scoppiò in una nuova risatina sommessa facendole cenno di proseguire in quella richiesta che aveva sempre più dell’assurdo. Si sistemò meglio sulla panca appoggiando entrambi gli avambracci sullo schienale, la sinistra che quasi cingeva il corpo della Corvonero, quindi accavallò largamente le gambe. «Quindi, che ti servirebbe?» Inclinò la testa poggiandola sulla spalla sinistra ed inarcò nuovamente le sopracciglia quando gli chiese se possedeva un completo. In teoria ne aveva uno... al massimo avrebbe arrangiato la vecchia divisa di Durmstrang per le occasioni, a lui quella roba da damerino lucidato non serviva. Cos’era tutto quel mistero? «Se già dici che non mi entusiasmerà...», affilò lo sguardo leccandosi le labbra cercando d’intuire dove volesse andare a parare nonostante si nascondesse dietro quel sorrisino fastidioso. Quindi Skylee cominciò a vuotare il sacco, eccome se lo fece. Una cazzo di macchinetta senza soste. Quasi quasi la preferiva prima, quando stava imbambolata! Ethan voleva che lui facesse le sue veci, tipo, presenziando al ballo dei Métis per tenere d’occhio un cliente. «Ethan per forza di cose non può esserci» il suo viso si aggrottò, «“Per forza di cose”? E perché? Perché avvelenerebbe tutti con la sua abbagliante presenza?» Un nuovo sorriso sghembo carico di tutto il suo sarcasmo gli increspò le labbra, continuava a non vedere per quale motivo non potesse sbrigarsela Ethan, d'altronde erano cose loro, lui che c’entrava? «Che palle Métis, quando crescerai a modo che non dovrò più farti da balia? Inizi ad essere impegnativa», calò indietro la testa sbuffando e tornò a fissarla roteando all’indietro gli occhi mostrando unicamente la sclera bianca. L’idea non lo entusiasmava, sapere di doversi vestire tutto curato, elegante, fasciandosi in un completo stretto che gli avrebbe limitato i movimenti... non poter andare a fumare ogni tre per due per rispettare l’etichetta. Sapeva come andavano quelle cose, sua madre aveva fatto a tempo ad insegnare a lui e a Petar qual era il buon costume per il loro ceto e cosa ci si aspettasse da loro. Non esisteva essere un bambino iperattivo nella società altolocata con cui si circondavano i Dragonov durante i balli di inverno o di primavera.
    «E ti pareva che il lavoro sporco non dovevo cuccarmelo io, sempre così va e poi paga pure una miseria!» Almeno lui veniva pagato, la Corvonero non riceva il becco di un quattrino in quanto loro apprendista e... ricca sfondata di suo. Di certo ricevere quei quattro spicci che guadagnava Axel dagli incarichi non le cambiava la vita ed Ax dal canto suo non aveva la più pallida idea del perché Ethan si fosse intestardito a tenerla con loro. Il mannaro faceva del suo meglio per tenerla in vita, stufo l’aveva persino obbligata a vedersi al sabato per qualche ora di allenamento fuori dall’istituto. Erano principalmente lezioni incentrate sui duelli dove il bulgaro la metteva sotto torchio sia verbalmente, minando alla sua autostima, sia psicologicamente mettendola in determinate condizioni che l’avrebbero costretta a forzare la mano e, ultima tra tutte ma non per importanza, fisicamente. Ax la massacrava attaccandola senza sosta e spronandola perché a sua volta lei gli scaricasse contro tutto ciò che aveva. “Devi volerlo, Métis” le ringhiava di continuo deviando i suoi deboli attacchi con un gesto della mano.
    «Ah pure le ferie si fa... bella vita!» Commentò Axel scuotendo il capo e sollevando le braccia per incrociarle sull’ampio petto. Beh, gli avrebbe comunque mandato un biglietto! Giusto perché non dimenticasse l’ultimo punto che aveva sollevato ancora durante l’estate: l’aumento e... l’antilupo gratis di cui aspettava la spedizione per quel mese, il diciannove sarebbe arrivato in un battito di ciglia. «Quando è ‘sta rottura di coglioni? Ti dico già che il weekend del venti non posso. Quindi vedi di non rompermi i coglioni nel caso, chiaro?» Concluse imprescindibile con un'occhiataccia torva delle sue.
     
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    Ero rimasta stranita dal gesto del Serpeverde e come ogni volta che cercavo di fare ordine nel mio cervello per raggiungere la risposta che cercavo, la parte esteriore del mio corpo rimaneva come bloccata, impietrita e incapace di muoversi senza uno specifico ordine della testa. Mi domandavo perché avesse avuto una reazione tanto ambigua, ma evidentemente sembrava non essersene nemmeno accorto, il che mi stranì pure di più. Sembrava come se il suo corpo fosse guidato da due voci ben distinte che non interagivano minimamente fra loro, come se mente e subconscio lo guidassero ma solo alternandosi e mai unendosi realmente assieme. Dovevo smetterla di pensarci, da sola non sarei mai giunta a una vera risposta sul perché Axel facesse determinate cose apparentemente prive di senso e non potevo restare imbambolata per sempre lasciando il mio corpo alla deriva, mentre la mia mente mi assorbiva totalmente. Dovevo tornare nel mondo reale. «Già, sento che sei il mio unico vero amore» Risposi tagliente socchiudendo gli occhi e appoggiandogli una mano sul petto scherzosamente. La verità era ben altra e anche volendo, e sia chiaro, non volevo di certo, presentargli prima i cosiddetti suoceri sarebbe stato veramente impossibile, a meno che a lui non fosse andato di fare un bel giretto allegro e per nulla imbarazzante al cimitero. Andai lentamente avanti con la ben cucita tela del ragno che stavo totalmente improvvisando e quando l'argomento ricadde su Ethan, Axel sembrò come spaesato e di tutto rimando mi si sollevò istintivamente un sopracciglio ed iniziai a fissarlo con aria stranita. «Sul serio? Ethan non ti dice proprio mai un cazzo...» Il loro rapporto era veramente unico nel suo genere, era come se fossero padre e figlio in un certo e contorto senso, eppure ciò che sapevano l'uno dell'altro rasentava il ridicolo e urlava a gran voce: Problemi di comunicazione. Non che mi sorprendesse, erano uno più idiota dell'altro quando si trattava di comunicare limpidamente e se Ethan aveva dalla sua il fatto che fosse prossimo al manicomio, Axel doveva avere una qualche altra scusante ben valida per rimanere sempre ben avvolto nel suo bozzolo di silenzio e occhiatacce apatiche. «Ethan è il fratello gemello di mio padre... Sarebbe strano, molto strano se si presentasse al castello come se nulla fosse...» Il solo pensiero, per quanto malinconico sotto certi aspetti, mi faceva molto ridere e se tentavo di immaginare la reazione della mia famiglia, proprio non ci riuscivo. Sarebbe stato estremamente superbo presentarmi assieme a lui alla porta d'ingresso, chiaramente dopo avergli cambiato il colore degli occhi in un qualche modo magico o meno che fosse, e gridare a gran voce la mia felicità nell'aver ritrovato finalmente il mio disperso padre chissà dove. Perché questa era la fandonia con la quale i miei nonni si divertivano a torturarmi, credendo ciecamente che il loro figlio minore mai gli avrebbe traditi restituendomi i ricordi che mi appartenevano per diritto. L'avrei proprio voluta vedere la loro faccia stupita e chissà, forse avrebbero continuato con la loro recita persino giunti a quel punto. «Fidati, non vedo l'ora di liberami di te almeno quando tu non vedi l'ora di liberarti di me» Ammisi con tono così svelto da far sembrare la mia frase una sorta di filastrocca di altri tempi. «Nel frattempo se vuoi posso chiamarti papà» Piegai la testa di lato riservandogli il sorrisetto più stronzo e tirato che riuscissi a partorire. «sempre così va e poi paga pure una miseria!» Caspita, giusto... il pagamento. Non avevo idea di come fossero soliti accordarsi, se gli desse qualcosa dopo ogni missione, o se il loro fosse una sorta di vero e proprio contratto di lavoro dove Axel riceveva una determinata cifra alla fine di ogni mese. «Certo, i soldi, quasi dimenticavo» Mi diedi un colpetto in fronte come a simboleggiare che tale particolare mi fosse quasi passato di mente. «Dato che Ethan è già partito, nel caso ti servisse qualcosa per l'abito, o beh... per altro, dimmelo, provvederò io per il momento» Diamine. La questione diventava sempre più imbarazzante, non mi piaceva ingannare le persone, non se almeno in minima parte mi importava di loro e sfortunatamente con lui era proprio così. Mi sembrava di star ingaggiando un qualche gigolò babbano per presentarlo alla mia famiglia e farmi smettere di chiedere dalla zia dove fosse il mio fidanzatino. Ok, forse avevo visto troppi brutti film babbani per pura cultura del genere e ora mi stavo fasciando un po' troppo la testa, ma non riuscivo davvero a fare a meno di convincermi sempre più che quella si sarebbe rivelata una pessima idea. «Oh sì, certo, il venti, cioè... no, tranquillo... è questo sabato...» Zitta e calma. Calma e zitta. Non puoi andare nel pallone in questo modo per una cosa del genere. Feci un respiro profondo e mi grattai la fronte cercando di minimizzare l'imbarazzo che provavo e con fare estremamente professionale mi ricomposi e tornai a mostragli la mia facciata più calma e rilassata. «Ti farò avere l'invito, alle otto di sabato sera si trasformerà in una passaporta e ti condurrà proprio davanti ai cancelli della tenuta. Io sarò già lì, purtroppo... quindi ci incontreremo direttamente al castello» Conclusi infine sperando di non essermi dimenticata nulla d'importante e mi portai alle labbra l'ultimo pezzo di tortino rimasto. Era estremamente amaro e dovevo ammettere che ne ero felice, per quanto mi piacesse il cioccolato, non essendo una fan dei cibi stucchevoli e saturi di zuccheri, quello fondente lo preferivo senza ombra di dubbio. «Felice di dover conoscere l'ennesima potenza dei suoceri?» Scherzai cercando di far tornare la solita aria leggera che si respirava quando ero in compagnia di Axel. «Riuscirai a fingerti un perfetto damerino?» Quasi mi scappò una risata nell'immaginarmelo senza il suo secondo strato di pelle, avvolto invece in un abito di sartoria fatto su misura per lui. «Sai, nella mia famiglia sono dei bacchettoni alla vecchia maniera...» Forse era molto minimizzante dipingerli in quel modo, ma non mi sembrava il caso di rivelargli fra le mura del castello che la mia famiglia fosse composta nella sua interezza da mangiamorte e che la loro morale fosse più sudicia di un porcile. «Non farmi fare figuracce... mi raccomando...» Sussurrai con tono di sfida avvicinandomi a lui per dargli un leggero morso all'altezza della mandibola. Questo si che sapeva molto più di leggerezza.
     
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    Fece spallucce, «certo che no, se non sono cose che mi interessano fottesega», concluse come se quella fosse la cosa più naturale al mondo e per lui lo era davvero. D’altronde aveva già i suoi cazzo di casini e problemi a cui pensare aggiungersi il carico di quelli di una seconda persona non faceva parte delle sue ambizioni. Stava bene così, con quel rapporto che c’era e non c’era. Lui sapeva il necessario dell’uomo che lo aveva tolto dalla strada, cresciuto e sfamato ed Ethan sapeva il necessario – forse qualcosa di più per colpa o merito, in base al punto di vista, di sua madre – di ciò che lo riguardasse strettamente. Ethan lo aveva accettato così com’era, licantropia inclusa dandogli gli strumenti per trovarsi dov’era adesso. Senza, Axel dubitava che ad undici anni ce l’avrebbe fatta, quando il mago lo aveva trovato non mangiava da giorni ed era molto disidratato, probabilmente sarebbe morto nel giro di qualche giorno.
    Con le braccia ancora incrociate al petto inarcò entrambe le sopracciglia spronando quindi la Corvonero a proseguire il suo discorso e soprattutto a dargli la stramaledetta risposta che, lo vedeva, si agitava nel fondo dello sguardo fiammeggiante della ragazza. Ormai aveva avuto modo di conoscerla e aveva capito che Skylee avrebbe trovato il modo di spiegarsi anche forzatamente costringendo il proprio interlocutore ad ascoltarla. Aveva provato ad allontanarsi da lei, dalle sue provocazioni, eppure ecco dov’erano finiti un paio di fatture ed una maledizione senza perdono dopo. «E sono uguali anche caratterialmente? ...Cazzo mi hai già fatto conoscere tuo padre con l’inganno!» Sbottò mettendo su una maschera di pura teatralità prima di lasciarsi andare ad una risata sommessa a cui sicuramente la bionda avrebbe replicato con un buffetto se non con una sberla in piena regola e finì di ascoltarla prima di lamentarsi del motivo del suo coinvolgimento in cui, come al solito, centrava il suo dannato padrino e la sua moda di delegargli quelle spedizioni con la sua fastidiosa quanto bionda nipote, per giunta, senza guadagnarci nemmeno un galeone in più. Star dietro ad un’inesperta come Skylee era un lavoro a tutto tondo che gli imponeva di non avere unicamente un piano A ed un piano B sulla quale fare affidamento, con quella rompi coglioni-testarda-so tutto io era necessario avere anche un C, D, E, F e così via con annesse e connesse le variazioni in base al momento specifico in cui la ragazza avrebbe dato di matto facendo di testa sua, facendosi puntualmente scoprire e/o mettendo entrambi nei casini. Senza considerare che il suo buon cuore non le permetteva di andare oltre certe azioni, riusciva a farlo solo se la situazione era disperata ed era certa al cento per cento che il suo avversario fosse colpevole ed immeritevole di redenzione ma se ci fosse stato il minimo motivo di risparmiare qualcuno lei non sarebbe stata in grado di portare avanti ciò che andava fatto. Le ricordava un po’ il sé stesso di diciassette anni quando, privo della traccia, Ethan aveva cominciato ad iniziarlo alle missioni. Aveva avuto i suoi tentennamenti ma il padrino si era premurato di cancellarglieli tutti. «Temo di non essere abbastanza vecchio per soddisfare le tue perversioni da porca», le strizzò l’occhiolino mentre con le dita del braccio sinistro che successivamente aveva allungato nuovamente a rilassarsi lungo lo schienale, le pizzicò il retro della schiena. «Beh, visto che paghi tu... e non ho voglio che tu mi rompa il cazzo con le lamentele che SICURO avrai, prendimi quel cazzo di completo.» Così almeno su quello si sarebbe risparmiato la predica. Già la immaginava mentre starnazzava qualcosa agitando come un’ossessa le braccia in merito al mancato abbinamento del suo abito e del disonore che ne sarebbe derivato. Si passò una mano tra i capelli ancora lunghetti che, a differenza della barba, non aveva ancora dato una sistemata e le chiese ormai rassegnato quando avrebbe dovuto presenziare a quella tortura aspettandosi come minimo di avere una settimana per prepararsi psicologicamente. «È questo sabato» COSA? Pure. Anche quello. Nemmeno il preavviso! La sua mandibola s’irrigidì visibilmente. Senza la barba più marcata a coprire la flessione della pelle quel suo tic appariva visibilissimo e denotava distintamente ogni qualvolta qualcosa lo infastidisse.
    «Un castello», borbottò, la cosa cominciava a piacergli sempre meno. Cambiò posizione, alternando la gamba accavallata mentre il suo sguardo spaziava nel resto dell’aula di fronte a sé. Dieci anni che non metteva piede in Bulgaria, dieci anni che non entrava in un castello... Il castello dei Métis sarebbe stato simile a quello dov’era nato e aveva trascorso una parte della sua infanzia? Chi avrebbe presenziato a quella cosa? Passò la mano destra sulla guancia in un gesto meccanico che effettuava sempre tirandosi il pizzetto, che non aveva più, mentre si perdeva a riflettere su qualcosa. Il suo sguardo andava via via incupendosi. «Mh? Cosa? Sì sì, non preoccuparti... Chi ci sarà a questa roba? Che evento è?» Chiese brusco guardandola di colpo negli occhi, affilando il suo sguardo di smeraldo con cui la stava fissando adesso serio. Nemmeno l’ombra del tono leggero che aveva usato fino a poco prima, con cui si era preso gioco. «Limitati a dare il mio nome», disse poi sollevando il mento a modo da non ammettere repliche. Non poteva rischiare che la sua identità uscisse allo scoperto arrivando alle orecchie sbagliate. Nella mano destra avvertì il peso del grosso anello d’oro che portava all’indice, il rubino incastonato nelle bocche dei draghi pareva rovente.
     
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    La battuta su mio padre mi mise non poco a disagio, ma cercai di non darlo a vedere e dopo una lieve scrollata di spalle feci un respiro profondo e tentai in tutti i modi di buttarla in ridere come lui per primo aveva fatto. «Beh... a meno che Ethan non sia segretamente amorevole, premuroso, divertente e appassionato di arte e musica no, direi che non gli somiglia per nulla in quanto a carattere...» Una risatina isterica mi sfuggì dalle labbra e mi obbligò ad arricciare lievemente il naso. «Uh... giusto, mi raccomando, Ethan non esiste, intesi?» Proseguii seria cercando di metterlo in guardia su cosa non avrebbe assolutamente dovuto rivelare nel corso della serata. Spiegargli il perché sarebbe stato davvero troppo complicato e non ero certa di volergli raccontare tutta la storia della mia famiglia con tanta leggerezza. Sapevo che era abituato a certe dinamiche, ma spiegare a qualcuno che la propria famiglia aveva abbandonato un figlio e che in seguito gli aveva cancellato la memoria per impedirgli di ritrovarli era... troppo Complicato. Per non parlare poi del modo in cui avevano deciso di liberarsi pure di un altro figlio e di tutta la sua famiglia, escludendo chiaramente me, perché ovviamente la morte non sarebbe stata abbastanza orribile e dover vivere con loro, fingendo di non ricordarmi cos'avessero fatto o perché lo avessero fatto, era decisamente un modo migliore per punirmi eternamente. A loro non interessava cosa fosse meglio per me, o che non avrei mai potuto accettare ciò che avevano fatto, a loro interessava unicamente controllarmi, obbligarmi ad essere un degno membro della famiglia e accertarsi che non avrei seguito le orme di mio padre, abbandonando e ripudiando il credo di famiglia. «Oh... ma che disdetta, dovrò aspettare ancora qualche anno per chiamarti daddy, allora...» Feci spallucce rivolgendogli un'espressione fintamente affranta e pizzicandogli a mia volta un braccio con fare scherzoso. «Io che mi lamento? Quando mai?» Replicai con fare sarcastico. Sapevo bene quanto la mia cura per i dettagli potesse essere un limite difficile da superare. Quando qualcosa non era perfetto andavo giù di testa, che si trattasse di una piuma dalla punta sbeccata, di una piega sull'angolo della pagina di un libro o di un numero di bocconi non uguali fra loro, io impazzivo. Se avevo sei pezzettini di bacon ne dovevano seguire sei di pane e sei di uova strapazzate o la giornata sarebbe stata rovinata per sempre. Certo, ero consapevole che la mia mania per i dettagli rasentasse l'internamento in una qualche struttura psichiatrica, ma io avevo bisogno di ordine, certezze e perfezione per considerarmi tranquilla, perché tutto ciò che sarebbe sfuggito al mio controllo sarebbe stato eguale al caos e io lo temevo tantissimo il caos. Quando era presente tutto era incerto, effimero e spaventoso, sarebbe potuto succedere di tutto e c'erano così tante possibili evoluzioni che mi veniva la nausea al solo pensiero. «Ok, ti prenderò un completo, ma solo perché sono certa tu non abbia nulla di abbastanza elegante» Incorciai le braccia al petto con aria impettita. Non che mi importasse che il colore del suo completo fosse uguale al mio vestito o che per lo meno si intonassero fra loro, erano dettagli sciocchi quelli ed io non ci prestavo troppa attenzione, anche se un corretto utilizzo dei colori apportava un netto vantaggio quando si parlava di vestirsi, o beh... di tutto il resto, ma non era quello il punto. A me non importava. Fine. Non ero certo così ossessiva e maniacale... pff, certo che no... «Già... un castello... questo sabato... hehe...» Mi grattai il capo stringendomi nelle spalle. «Scusa per il poco preavviso. Ops...» Questa corte la dichiara colpevole. Accettare la mia auto sentenza mentale era l'unica cosa che potessi fare, eppure non minimizzava il senso di colpa che sentivo crescere in me e ciò mi infastidiva. Perché mai doveva importarmi e farmi sentire in colpa il fatto di volerlo ingannare. Dopotutto lui con me lo faceva sempre e non mancava di rivolgermi un sorrisetto stronzo non appena scoprivo il suo bluff. Oddio Skylee... lo hai ucciso. Cazzo, hai aggiunto la pianta sbagliata e ora dovremo buttare via la pozione. Erano cose stupide, certo, eppure se qualcosa implicava la tortura psicologica a mie spese lui era il primo a farsi avanti e lo detestavo per questo. «Un po' di gente... nulla di che... un normale ballo privo di significato...» Era evidente che Axel si sentisse a disagio, oltre a irrigidire la mandibola ora iniziava pure a tirarsi un pizzetto che non gli era ancora ricresciuto e quelli lo sapevo bene, erano tutti segni di disagio lampante e ciò aiutava soltanto a perorare il mio sentirmi in colpa. Come avrei potuto dirgli che quello al quale lo avevo incastrato a partecipare non era un semplice ballo, bensì un evento fatto apposta per presentare ad alcune delle famiglie più nobili del nostro territorio e non, la giovane e promettente nipote "prodigio" di Beliar Mètis. Come potevo? Come?.. Non era facile dire a qualcuno che non aveva la minima idea di ciò che lo aspettava, che da tale ballo sarebbe dipeso il mio ingresso ufficiale nella società adulta, o che da tale ballo sarebbero dipese le sorti della mia sanità mentale, visto e considerato che in caso di orribili e pietose figure imbarazzanti, la mia famiglia mi avrebbe letteralmente reso la vita un inferno. Dopotutto quella che mi era venuta in mente era proprio una bella idea del cazzo. Brava Skylee. Pat pat sulla spalla... «Sono piuttosto sicura che ciò causerebbe l'ira dei miei nonni» Risposi sincera alla richiesta che con tono tanto serio quanto intransigente, mi aveva posto. «Per cui ok, questo e altro pur di infastidire la mia... hum... famiglia» Conclusi abbozzando un sorrisetto complice. Questo almeno era vero. Scatenare l'ira di mia nonna per poi fingermi inconsapevole di ciò che avessi fatto per causarla non aveva veramente prezzo ed era una piccola gioia per il cuore che di tanto in tanto mi concedevo. «E ora che abbiamo parlato dei dettagli...» Sussurrai al suo orecchio con fare seducente. «Che ne diresti se dessimo a questo giorno che tanto detesti una degna conclusione?..» Domandai sfiorando il suo viso con la punta del naso e iniziando a insinuare la mia mano sinistra sotto i suoi abiti, accarezzando e tastando il suo busto tempestato di cicatrici di svariate forme e lunghezze che per quanto potessi intuirne la provenienza, non gli avrei domandato come se le era procurate. Sapevo che per quanto curiosa fossi l'unica risposta che avrei ricevuto sarebbe stato un profondo e annoiato ringhio rabbioso. Dopotutto erano fatti suoi e non me la sentivo anche solo di tentare di invadere la sua privacy in quel modo. «Che ne dici? Ti alletta l'idea?» Domandai infine senza aspettare la sua risposta per sedermi su di lui e iniziare a baciargli il collo fino a risalire all'altezza delle sue calde e sempre disponibili labbra per assaporarle. Sapevano ancora di cioccolata.

    Chiusa
     
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