Bugie in ballo

Axel

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    Axel
    Ad un occhio esterno nessuno avrebbe mai potuto avere da ridire sulla farsa messa in atto dai due giovani. Axel si era mostrato protettivo nei confronti della biondina, vuoi per un mero istinto di sopravvivenza o vuoi perché in quel mese di frequentazione il mannaro si era abituato alla presenza e soprattutto al modo di porsi della ragazza tanto che non aveva avuto cuore di lasciarla lì, ripudiata, ad affrontare la propria famiglia. Si era sentito in debito e soprattutto in dovere di dover intercedere per lei tante erano state le volte in cui il padrino lo aveva rimbeccato in merito alla responsabilità sulla fanciulla: lei era sotto la sua protezione ed era suo dovere riportargliela intera e quella, a modo suo, era anch’essa una missione seppur non dettata dalla volontà del novello Métis. Avvolse le dita di Skylee in un’ultima delicata stretta prima di sfiorarne appena il dorso in un baciamano eseguito ad arte per lasciare impressionata la nonna della stessa e soprattutto Elèna che non distoglieva gli occhi di dosso ai due giovani nemmeno per un singolo battito di ciglia. «Sarò presto di ritorno» promise a Skylee volgendo però altero lo sguardo verso la madre in un chiaro segno d’avvertimento. Avrebbe fatto ritorno a breve stipulando lui stesso i limiti di quell’accordo e togliendole di fatto ogni potere decisionale che aveva potuto avere su di lui fino a quel momento. Se la donna pensava di poterlo giostrare come un burattino si sbagliava di grosso ne aveva perso ogni potere nel momento esatto in cui intorno ai diciassette anni, Axel, era finalmente diventato un adulto nel mondo magico e la donna aveva commesso l’errore di inviargli l’anello che in quell’istante luccicava all’indice del mannaro. Era lui adesso, con quella presa di posizione dovuta, a decidere le sorti del distretto di Burgas e nessun altro ed il peso di quella scelta gravava ora sulle sue spalle passo dopo passo mentre si allontanava dal clamore della folla in festa per seguire il capofamiglia verso una zona più silenziosa del castello, verso i piani alti, dove con un movimento elegante del polso Beliar comandò alle candele d’illuminarsi all’istante. «Prego figliolo, prendi pure posto» lo stesso palmo che aveva compiuto l’incanto adesso indicava al giovane la poltrona di legno intarsiato posta dinanzi al grande tavolo di legno scuro. Axel vi si sedette tirando in avanti la sedia mentre l’uomo comandava un servitore di preparare quanto necessitavano e di convocare immediatamente chi di dovere a redigere il documento ufficiale, documento che avrebbe portato in calce entrambi i sigilli delle due casate. Lo sguardo del mannaro rimase fisso e fiero di fronte a sé mentre le sue dita, al di sotto del piano in legno, tradivano il nervosismo giocherellando con le incisioni che costituivano l’anello dei Dragonov. Era il suo primo, vero, atto da adulto alla luce del sole nonostante lo fosse oramai da diversi anni era sempre riuscito a vivere celando le sue azioni nell’ombra della presenza ingombrante di Ethan, facendosi identificare come il suo anonimo quanto letale braccio destro. Nessuno ne conosceva l’identità ed in quella zona fumosa Axel agiva per suo conto macchiandosi senza remora dei peggiori crimini.
    «Filibert?» Senza quasi accorgersene dall’ombra un secondo uomo anziano emerse stringendo in grembo pergamena e calamaio e si accomodò al tavolo pronto a redigere quel dannato documento. «I nomi» disse in uno debole quanto acuto sfiato come se parlare gli costasse fatica. «Beliar Urien Métis, purosangue capofamiglia della casata Métis e...» con un cenno bonario fece segno al bulgaro di definire il suo ruolo. Nervoso, Axel si passò le mani sul pantalone del completo e si schiarì la gola, «Nikolai Axel Dragonov, duca del distretto di Burgas e...» prese un respiro prima di ultimare, era tutto così estremamente difficile per lui. Quella presa di posizione e coscienza repentina quanto forzata del suo io. «Capofamiglia purosangue della stirpe Dragonov», lo scrivano grattò la piuma sulla pergamena ed Axel percepì la fittizia spada di Damocle posizionarsi immaginariamente al di sopra della sua testa pronta a togliergli la vita. Doveva muoversi in maniera guardinga adesso, valutando ogni proposta e gli eventuali pro e contro, non si trattava più unicamente di lui e di Skylee ma di altre persone che, se i piani fossero andati storti, ne avrebbero patito le conseguenze. Nell’impasse doveva strappare il miglior contratto possibile per il suo distretto, altre vite dipendevano da lui. Si passò una mano tra i capelli bruni mentre la gamba prendeva a muoversi a rapidi scatti al di sotto del tavolo. «La dote» continuò gracchiando l’uomo che rispondeva al nome di Filibert. Axel non si scompose e puntò lo sguardo in quello di Beliar attendendo quella che sarebbe stata la sua proposta. «Non mi farai nessuno sconto, non è vero ragazzo?» Scherzò il Métis allungandosi ad afferrare dei bicchieri che aveva precedentemente richiesto con uno schiocco di dita. Ne posizionò uno davanti il mannaro ed uno di fronte a sé riempiendoli immediatamente con del liquido ambrato che investì immediatamente le narici del bulgaro. «E tu vuoi farmi bere, Beliar? Dovresti conoscere la resistenza all’alcool degli uomini dell’Est, non sarà questo scotch a farmi vacillare» l’anziano eruppe in una risata, «pensavo a quello fosse bastata mia nipote» entrambi risero e chiunque si sarebbe aspettato da Axel una conferma dei suoi sentimenti verso la bionda ma il bulgaro tacque attendendo sornione quella che era la reale proposta. «Cinquecento galeoni possono bastare?», «Beliar...» Axel strinse le labbra accennando successivamente un sorriso nascosto dietro l’orlo del bicchiere. «Ti sto facendo un favore, pensi non l’abbia capito?» Sentenziò mandando giù un sorso del whiskey pregiato, non ne beveva di così buoni da sempre e con la cifra che avrebbe pattuito ne avrebbe potenzialmente potuti bere per tutta la vita. Beliar rise e scosse divertito il capo, «Va bene, va bene, alziamo la posta.»
    Passarono diverse ore e diversi bicchieri dove entrambi gli uomini con l’aiuto del notaio vagliarono ogni singola voce della dote decidendo quanto vi avrebbe guadagnato la famiglia Dragonov da quell’unione e soprattutto quanto vi avrebbero guadagnato i Métis, il che includeva per forza di cose un mantenimento della purezza del sangue delle due stirpe magiche, o almeno così credeva e avrebbe continuato a credere Beliar, e l’acquisizione di un titolo nobiliare includendo nei loro ranghi una duchessa. Axel dal canto suo aveva dovuto ben presto smorzare il suo entusiasmo e scendere, rispetto alle sue più rosee aspettative, a diversi compromessi cedendo su ben molti punti tra cui – dovette stupirsi in negativo – della risolutezza del Métis riguardo il nome del o della, suo o sua, futuro o futura nipote e quanto ne concernesse la sua educazione. Al mannaro non poteva fregare di meno della sua discendenza poiché il grembo di Skylee sarebbe sempre stato ingombro del suo seme e mai avrebbe generato un figlio suo ma questo Beliar non poteva né tantomeno doveva saperlo; di molte cose quell’uomo sarebbe stato all’oscuro. «Quindi siamo giunti ad un accordo?» Chiese il Métis con un filo d’irritazione nel tono. «Sì direi di sì» Axel posò il bicchiere e seguitò ad imitare i movimenti dell’altro sfilando dall’indice l’anello di famiglia. «Quindi ricapitolando, Nikolai Axel Dragonov prenderà in moglie Sk...», «Filibert vi prego, lo abbiamo letto cento volte va bene così... apponiamo i sigilli!» Insisté con uno svolazzo del polso Beliar. La trattativa a discapito di quanto avevano preventivato era andata ben oltre e la festa nella sala doveva essersi oramai quasi conclusa. I due uomini si erano tolti le giacche e solo in camicia, con le cravatte slacciate avevano finito di redigere quel contratto. «Sì Filibert, chiudiamola qui. Dove devo firmare?» L’anziano scrivano puntò l’indice ossuto in un punto preciso della pergamena ed Axel, piegandosi sul tavolo appose il suo contorto svolazzo completo per poi intingere l’anello nella goccia di cera calda, attese qualche istante che si solidificasse ed il dragone rampante si appose sul pezzo di carta seguito dalla firma di Beliar che faceva le veci di Skylee e dal sigillo dei Métis. «Quindi è... fatta?» La pacca sulla spalla da parte dell’uomo gli diede conferma e non fecero altro che brindare alla loro salute.
     
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    «Hum... Sì... sarebbe, cioè, è mio padre, ma al momento non si sa dove sia...» Mentii spudoratamente sentendo un macigno cadermi addosso. Odiavo dover fingere che mio padre non fosse morto, dover nascondere il mio lutto e soprattutto mostrarmi felice e positiva nel credere che prima o poi lo avrebbero trovato. Non sarebbe stato così, lo sapevo, eppure ogni volta che mi vedevo costretta a ripeterlo ad alta voce non riuscivo a fare a meno di crederci almeno un po', sperarci. «Giusto, mi pare me ne avessero parlato i tuoi nonni...» Rispose con tono estremamente strano e sospetto. Il mio sopracciglio destro non poté fare a meno di alzarsi lievemente, mentre nella mia testa tentavo invano di trovare una spiegazione dietro quel modo di porsi tanto strano. La verità era che il "testimone del potere", con la morte di mio padre, era stato passato a qualcun' altro. Me. Nessuno lo avrebbe mai potuto sospettare, perché il cosiddetto talento che sembrava contraddistinguere l'albero genealogico della nostra famiglia, era sempre e solo passato ai figli maschi, scegliendone casualmente uno di generazione in generazione, ma con me qualcosa era andato storto e la predisposizione al controllo di un elemento naturale era stata trasmessa nel mio DNA. Non lo avrei mai rivelato alla mia famiglia, se non strettamente necessario e avrei tentato di tenere per me questo dono quanto più possibile. Non ero nemmeno sicura di cosa sarebbe potuto accadere nel caso tale informazione fosse giunta alle orecchie di mio nonno, per quanto il titolo di capofamiglia mi sarebbe spettato per tradizione, non ero sicura che sarebbe stato d'accordo nel dover cedere le redini della famiglia a una donna. Non era mai successo in tutta la lunga e antica tradizione di famiglia e ciò significava qualcosa di totalmente nuovo e inesplorato. Non potevo rischiare di usare tale carta per liberarmi dal loro controllo, le conseguenze sarebbero potute risultare tanto favorevoli, quanto disastrose e pericolose, per questo sarebbe dovuto rimanere un segreto. Un segreto così sbalorditivo da poter essere in grado di stravolgere per sempre il credo di una famiglia.
    La chiacchierata con la signora Dragonov proseguì per molto più tempo di quello da me stimato, i minuti passarono e le ore li raggiunsero per superarli e andarsi a sommare al tempo che ormai pareva essere divenuto infinito. Non avrei saputo dire con certezza per quante ore Axel e mio nonno fossero rimasti dentro allo studio del capofamiglia. Più che un contratto prematrimoniale sembrava stessero stipulando un trattato di guerra, il che non discostava di molto dal clima con il quale il Serpeverde aveva seguito mio nonno fino allo studio. Il mio stomaco continuava a contorcersi, mi domandavo quali condizioni Axel stesse riuscendo a strappare a Beliar e non potevo fare a meno di sperare con tutta me stessa che prima o poi saremmo riusciti a trovare qualche scappatoia per liberarci da tale contratto. Non volevo che la mia vita fosse per sempre segnata da un matrimonio non voluto e non mi potevo permettere nemmeno che ciò accadesse al Bulgaro, mi sarei sentita per sempre in colpa e non ero certa che sarei stata in grado di convivere con un tale peso sulla coscienza.
    Il tempo continuò a scorrere e man mano che passava quella che doveva inizialmente essere una chiacchierata, iniziò ad apparire più come un interrogatorio. Elena mi fece ogni tipo di domanda riguardante me, la mia famiglia e il rapporto che avevo con suo figlio, ma dal canto mio dosai con estrema attenzione ogni risposta e cercai di rimanere sempre piuttosto vaga, facendo in modo di essere io quella che più spesso faceva domande e pareva realmente interessata a conoscere tutti gli aneddoti che riguardavano il mio cosiddetto futuro marito. Avevo scoperto che da piccolo era molto legato al padre, ormai morto da svariati anni e che aveva due fratelli, uno dei quali se ne era anch'esso andato in seguito a un terribile incidente, del quale però non mi rivelò la natura. Se in parte fingevo di interessarmi, da un'altra minuscola e insignificante parte, dovevo ammettere che forse mi incuriosiva davvero scoprire qualcosa di più su Axel. Parlare con lui era sempre così dannatamente difficile e ogni volta che ci provavo, finivamo per litigare inesorabilmente e spesso ero io la prima a dare di matto, in seguito all'ennesimo "m mh" come risposta a una domanda. Era per tale motivo che non sapevamo praticamente nulla l'uno dell'altra. Ciò che ci univa era unicamente un'irrefrenabile chimica a livello carnale, ma nulla di più, io ero per lui un'estranea quanto lui lo era per me e se non ci fosse stato Ethan a legarci, probabilmente non saremmo mai nemmeno finiti a letto assieme e ora non ci ritroveremmo a dover fingere di volerci sposare e passare assieme il resto delle nostre felici vite. «Axel!» Il mio tono lasciò trasparire un certo sollievo nel vederlo finalmente ricomparire dal fondo della sala da ballo ormai vuota. L'evento organizzato dalla mia famiglia era terminato da una ventina di minuti buoni e subito dopo aver congedato gli ospiti, ero finalmente riuscita a raggiungere i servizi e lì, dopo aver smacchiato il vestito dai piccoli puntini rossi che ormai rischiavano di divenire visibili a tutti, mi ero lavata via il leggero strato di sangue che mi sporcava il fianco e mi ero castata un ferula in modo da non rischiare che il vestito si macchiasse ancora. Le tondeggianti ferite pizzicavano abbastanza, ma non riuscivo a fargliene una colpa, quello era stato forse uno dei pochi momenti in cui avevo visto trasparire emozioni da quello che credevo essere solamente un guscio vuoto di bell'aspetto e che rispondeva al nome Axel. Per un brevissimo attimo era stato autentico, fragile ed emotivo, il che era praticamente impossibile da ammirare in normali circostanze. Lui non si scomponeva mai, nemmeno quando con estrema precisione indirizzava una delle maledizioni senza perdono al centro della fronte di qualcuno, eppure nel vedere sua madre i muri di impassibilità che si era eretto attorno erano crollati rovinosamente al suolo, avrei giurato di essere quasi riuscita e sentirne il suono e ciò provocava in me una strana sensazione. Una lieve empatia che non potevo in alcun modo soffocare, perché ero fatta così, se lui difficilmente provava emozioni io ero invece un fiume in piena che ne produceva fin troppe e che spesso straripava perché non ero affatto in grado di controllarle. «A-avete concluso?» Domandai ansiosa senza uscire dal mio ruolo e avvicinandomi alla serpe andai a stringergli con dolcezza la mano. Una leggera pressione fu il modo per domandargli tacitamente se fosse andato tutto bene, o se invece ci saremmo dovuti iniziare seriamente a preoccupare del colore che avremmo scelto per le tovaglie del ricevimento. «Ciò vuol dire che possiamo congedarci?» Chiesi titubante e speranzosa che la risposta fosse un meritato sì. Quella era forse la serata più lunga ed estenuante che io avessi mai vissuto in vita mia.
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    Axel
    Era finita, Axel non poteva crederci. Era uscito vivo da quell’incredibile quanto interminabile tortura. Beliar non aveva smesso di servirgli scotch per tutto l’incontro non appena vedeva che il livello del suo bicchiere scendeva al di sotto delle due dita ma, come aveva preannunciato il mannaro, ci voleva ben altro per ubriacare un uomo dell’Est e lui inoltre poteva contare dalla sua il metabolismo accelerato del lupo. Se di base aveva una resistenza elevata, la creatura gli permetteva di cominciare a sentire l’alcool ben oltre la soglia di quella che per un comune umano avrebbe rappresentato il coma etilico. Axel non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva ma la bestia presentava dei vantaggi ogni tanto anche se di base odiava quella parte di sé con tutto sé stesso e mai sarebbe riuscito ad accettarla. Con un ultimo sorriso rivolto all’uomo arrotolò la copia del suo contratto e con attenzione se la infilò nel risvolto interno della giacca costosa. «Se me lo concede Beliar, torno dalla mia futura consorte», l’uomo gli fece un cenno soddisfatto a compagnandolo con la mano ed Axel, senza farselo ripetere si alzò uscendo a passò spedito al di fuori della stanza. Camminò per alcuni metri una volta uscito e si guardò attorno prima di partire a passo spedito senza un’iniziale meta precisa. Solo dopo essersi messo un piano e alcune svolte alle spalle, si appoggiò alla parete volgendo il capo verso l’alto con un gran sospiro. Si passò una mano tra i capelli con nervosismo e come se in quel momento un istinto più grande di lui prendesse il sopravvento se la staccò velocemente dalla testa e la piantò con forza contro la parete dove gli artigli della bestia, a lungo tenuta a sedata, lasciarono un piccolo solco nella pietra. Tutta l’adrenalina che fino a quel momento lo aveva tenuto saldo scemò e la frustrazione lo costrinse a tirare alcuni colpi contro la parete per sfogare quel sentimento di collera e agitazione che si portava dentro. Lui non voleva legarsi a nessuno, men che meno generare figli che avrebbero potuto portare il suo stesso fardello. Un conto era lui, lui si sarebbe potuto infliggere qualsiasi cosa soprattutto se aveva come fine ultimo quello di frenare la bestia. Un conto era quando la bestia riusciva a liberarsi e allora erano gli altri a pagare le sue conseguenze. Rivedere sua madre glielo aveva ricordato, era stato come uno schiaffo in piena faccia dal suo defunto fratello maggiore. Lui che aveva tentato di ucciderla ormai dieci anni prima e adesso era lì, al piano di sotto con Skylee, probabilmente a tempestarla di domande, stava tentando di infilarsi nella sua vita, tentando di mettere loro i bastoni tra le ruote in quel piano abbozzato in cinque minuti nella sua stanza. Con dita ancora tremanti dalla trasformazione inversa e dalle emozioni che imperversavano dentro di lui estrasse la pergamena arrotolata e con lentezza non calcolata aprì il contratto rileggendolo per un’ennesima volta nonostante fosse conscio di non essere più totalmente lucido. Era la cosa più vincolante che avesse mai fatto in vita sua e vedere il suo nome, la sua firma, legati a doppio filo con la vita della bionda gli faceva salire un moto di nausea. “Nikolai Axel, capofamiglia purosangue della stirpe Dragonov” citava il testo ed Axel fissò intensamente quella parola – purosangue – assorbendone il significato mentre i battiti del suo cuore smettevano di rincorrersi nel petto. Purosangue, eccola lì la sua chiave di volta per la fuga. Il prezzo sarebbe stato rivelare al mondo che il purissimo sangue della sua famiglia era stato compromesso ma era un prezzo che avrebbe pagato pur di non ritrovarsi con le catene. Sospirò poggiando con una mano la pergamena contro il petto e quando si sentì davvero calmo la riarrotolò nuovamente per infilarsela in tasca. A passi lenti e stanchi, il volto stravolto dalla fatica ed i vestiti non più tirati e sistemati con cura varcò la soglia della sala da ballo trovandola ingombra degli ospiti. Si ritrovò per qualche istante spaesato fino a quando non notò l’ora sul grande orologio da parete: aveva lasciato Skylee sola per fin troppo e sperò con tutto sé stesso che la bionda non avesse fatto ulteriori cazzate in sua assenza. Sua madre sapeva insinuarsi come una serpe velenosa e proprio da lei aveva ereditato quella sorta di sesto senso che gli permetteva di distinguere il falso dalla verità il più delle volte. Elèna ci avrebbe messo poco a scoprire che qualcosa non andava se la recita della Métis non fosse stata impeccabile come vantava.
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    «Axel!» La voce della biondina lo fece voltare di scatto individuandola alla destra del suo campo visivo mentre procedeva in sua direzione separandosi dalla madre. I suoi occhi brillavano di sollievo mentre lo ispezionava in cerca di qualcosa. Si piantò un sorriso sulle labbra e lasciò che le dita morbide e fredde della Corvonero avvolgessero le sue così calde ruvide. Avrebbe voluto allontanarsi immediatamente da lei, cacciarla, ma erano in pubblico e per il pubblico i due erano i “felici neo promessi sposi”. Ingollò il boccone amaro e si portò il dorso della mano di lei alle labbra poggiandovi un rigido accenno di un bacio che nemmeno le sfiorò la pelle. Tutta finzione. «Abbiamo concluso, amore mio» un nuovo moto di nausea fece capolino alla bocca dello stomaco. Non aveva mai chiamato nessuno così in vita sua e sentiva una parte di sé sgretolarsi di fronte a quella farsa, una parte del suo io, della sua integrità e della sua seppur dubbia morale. «Spero che mia madre non ti abbia messo troppo sotto pressione» il sorriso sulle sue labbra si dilatò innaturalmente mentre l’occhiata gelida delle sue iridi verdi si posò sul volto della donna che li aveva raggiunti. Non avrebbero potuto parlare liberamente. «Siete così belli e innamorati» chiocciò la donna portandosi le mani giunte al petto. Sciogliendo l’intreccio dalle dita della bionda le posò delicato una mano sulla sua guancia. «Presto, molto presto non dovremo più dividerci. Conterò i minuti nel frattempo» così dicendo si chinò su di lei posandole morbido – tuttavia senza alcun trasporto – le labbra sulla fronte di Skylee. «Vogliamo andare madre?» Così dicendo e senza degnare di un ulteriore sguardo la Corvonero si discostò da lei porgendo il braccio ad Elèna e con sua madre al fiancò lasciò il castello dei Métis.

    CITAZIONE
    CONCLUSA.

     
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