Bugie in ballo

Axel

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    Il fatidico giorno era in fine giunto e io avevo sudato freddo per tutta la notte, perdendo così il mio tanto vantato sonno perfetto. Non era solamente la questione di Axel a spaventarmi a morte, perché già sapevo che presto o tardi avrebbe scoperto la farsa e me l'avrebbe fatta amaramente pagare, quanto più il mio "debutto" in società a preoccuparmi seriamente. Che tradizione stupida e sopravvalutata, non ne capivo veramente il senso e nella mia testa era alla pari di una pubblica umiliazione. Continuavo a fissare il mio vaporoso quanto esagerato abito da sera blu scuro e non riuscivo a fare a meno di tremare dall'ansia che non mi avrebbe abbandonata durante tutto il corso della serata. Le punta delle mie dita vibravano incontrollatamente e nemmeno un caldo e profumato bagno bastò ad arrestarne il movimento. Il profumo di rosa canina che i miei capelli emanavano mi riempiva i polmoni inebriando la stanza col suo pungente quanto gradevole odore. Avevo espressamente richiesto a mia nonna di lasciarmi preparare da sola, ma ovviamente le mie parole erano state totalmente ignorate, tant'è che di li a pochi minuti sarebbero arrivate due donne che si sarebbero occupate di farmi apparire come la fanciulla più splendente e desiderabile del castello. Dalla pettinatura al leggero ma ben curato trucco, fino al tasto dolente vero e proprio, ovvero il farmi indossare e calzare perfettamente l'abito blu notte ancora disteso sul duro materasso del mio letto a baldacchino. Contro voglia e un po' infastidita mi ero recata al castello di famiglia la sera prima, dopo aver terminato l'ultima lezione della giornata e aver assorbito quanta più solidarietà possibile dalle mie sorelle, che fra risatine e pacche sulle spalle mi avevano augurato di non passare la serata più orribile della mia vita. Dormire alla tenuta di famiglia era sempre stato parecchio inquietante, le numerose statue dallo stile barocco con tendenze gotiche, mi avevano sempre inquietato molto e i molteplici affreschi appesi alle pareti dei corridoi, che sembravano quasi seguirti con lo sguardo ad ogni tuo movimento, non aiutavano minimamente a ricreare un'atmosfera piacevole e per nulla soffocante, tutto il contrario della casa in cui ero cresciuta con mio padre, dove arte, colori e leggerezza erano all'ordine del giorno. Sentii bussare due volte sulla massiccia porta scura della mia camera e con flebile voce tremante diedi il mio consenso per entrare. Due figure incorniciate da lunghi capelli corvini mi assalirono e prima che potessi battere ciglio mi ritrovai con le loro mani ovunque. Tossii leggermente dopo aver inalato un po' di cipria e non ebbi modo di osservare ciò che stessero combinando ai miei boccoli scatenati fino a quando non ebbero terminato l'opera. Solo all'ora potei ammirare il mio riflesso allo specchio e ne rimasi quasi sbalordita. Ero bella. Era innegabile che lo fossi e con quell'acconciatura raccolta dietro alla nuca, con solo qualche ricciolo a incorniciarmi il viso, sembravo una vera principessa, ma quando tentarono di appoggiarci sopra una tiara scintillante, fu con un profondo ringhio che le obbligai a non farlo. Mia nonna in quel momento non era presente e loro non potevano fare altro che obbedire al mio volere e fu con estremo piacere che le vidi riporre la tiara argentata dentro al portagioie rivestito di morbido velluto rosso dal quale l'avevano presa. Feci un respiro profondo e dopo aver constato l'orario prossimo all'inizio dell'evento, mi diedi la forza per riuscire a entrare in quel maledetto vestito tanto esagerato. Il corpetto stringeva così tanto da farmi mancare il fiato e spingeva il mio petto verso l'alto, dando l'impressione che il mio seno ancora tanto acerbo risultasse più pieno e tondeggiante, mentre il mio busto appariva ancor più snello e affusolato di quanto già non fosse normalmente. Non mi sentivo molto a mio agio in quell'enorme abito ingombrante, mi dava l'impressione che sarei potuta andare a sbattere contro ogni mobila del castello, finendo per ribaltare un qualche vaso prezioso o una reliquia rara lasciandola infrangersi sul pavimento. Per non parlare delle scarpe poi, strette, dall'altezza vertiginosa e dalla comodità pari a un letto di pietra. A cosa mi servissero rimaneva un mistero, ero già alta di mio e aggiungere altri centimetri alla mia figura sarebbe servito unicamente a far apparire più minuti tutti gli uomini che mi sarebbero passati vicino, a meno che la fortuna non li avesse baciati donando loro un'altezza che superava ampiamente il metro e ottanta. Axel fortunatamente era piuttosto alto e con la sua forma fisica paragonabile a quella di un cadetto della marina, o di un qualche altro organo militare, non sarebbe di certo passato inosservato, ne tantomeno sarebbe stato oscurato dalla mia altezza, riuscendo comunque a vantare qualche centimetro più di me nonostante i miei tacchi alti. Axel, giusto... oltre al vestito meringa gigante lui era l'altro punto dolente della serata. Mi chiedevo se il completo che gli avevo spedito il giorno prima via gufo, dopo aver scoperto a mia volta quale sarebbe stato l'abito che i miei famigliari mi avrebbero imposto di indossare, gli sarebbe piaciuto e mi auguravo sinceramente di sì, così che almeno uno dei due si sentisse vagamente a proprio agio nella sua seconda pelle fatta di abiti di alta sartoria. Perché io di certo non ero la fortunata che si sentiva così. Feci un ultimo respiro lasciandomi spruzzare qualche goccia di profumo dalle note intense e agrumate e mi obbligai ad allontanarmi dallo specchio, raggiungendo passo dopo passo il patibolo di tiro che si celava subito fuori dalla mia stanza. «Aradia, sei incantevole» Esclamò mia nonna che come un generale pronto a ordinare la pubblica esecuzione di qualcuno, mi attendeva dritta e composta subito fuori dalla porta dei miei alloggi. Per un attimo mi sembrò quasi che nel suo tono di voce ci fosse una nota di sincero orgoglio, ma tutto venne rovinato dal suo seguente intervento. «Dovresti vestire sempre in questo modo, altro che quegli stracci eccentrici che ami tanto indossare» Ed ecco come moriva la magia del momento. «Mi dovrei vestire sempre come una meringa gigante? Sul serio?» Risposi equamente acida alla volta di mia nonna, che con uno sguardo severo e furioso mi incenerì all'istante. Evidentemente il sarcasmo era un tratto caratteriale che aveva toccato solo le generazioni più giovani della famiglia e usarlo fra le mura della tenuta non era cosa gradita. Ci incamminammo verso la gigantesca sala dei ricevimenti, preceduta da ampie e possenti scale di marmo con corrimano battuti in oro e fu lì che il mio cuore sembrò non dare più segni di vita. Gli ospiti dovevano già essere tutti arrivati da pochi minuti, Axel compreso, che dopo essere giunto ai cancelli del castello tramite passaporta, avrebbe di certo seguito la via che il personale gli avrebbe mostrato dopo aver visionato l'invito e seguendola, sarebbe giunto esattamente dove avrebbe dovuto attendere l'arrivo dei padroni di casa assieme agli altri ospiti, ovvero la sala da ballo vera e propria. Fu con passi pesanti e ben marcati che mio nonno ci raggiunse in prossimità delle scale e con un leggero cenno del capo mi fece capire che era lieto che avessi seguito le loro direttive indossando l'abito scelto per me, invece che un qualche vestito fuori luogo acquistato in segno di protesta. Non che non ci avessi pensato, sia chiaro, ma le conseguenze mi spaventavano molto più dell'abito scuro che avevo in fine deciso di indossare. Subito dopo mio nonno furono mio zio, il maggiore fra i fratelli Mètis e sua moglie, quell'orrida e presuntuosa strega con la puzza sotto al naso, a raggiungerci. L'unico Métis degno di quel nome che mancava era Ian, che per impegni lavorativi non avrebbe potuto presenziare, togliendomi così lunica figura mediamente sana di mente alla quale potermi appoggiare durante quell'incubo di serata impacchettato da sonorità classiche e balli infernali. La musica tacque improvvisamente, informandoci che era giunto il momento che i padroni di casa facessero il loro grandioso ingresso in scena. I primi a scendere la scalinata furono i miei nonni, accompagnati da una formale presentazione agli ospiti e da un leggerlo brusio musicale di sottofondo. A loro seguirono i miei cosiddetti zii e ultima ma non per importanza della serata, ci fui proprio io. Che tentando di apparire aggraziata e per nulla incerta iniziai a percorrere la gradinata in discesa fino a metà della sua lunghezza, dove sperando di non inciampare per la troppa pressione e ansia da prestazione, venni presentata come la giovane nipote di Stramonia e Beliar, nonché figlia di Damian Métis e promettente giovane virtuosa e appassionata di pozioni come tutta la nostra famiglia. La presentazione elogiò inoltre il mio acuto intelletto e la mia prodigiosa bellezza, come se quella che stavano presentando non fosse una persona, bensì un prezioso trofeo da sbattere in faccia al mondo intero nella speranza di accasarmi a un qualche giovane nobile dal panciotto gonfio con una potente famiglia alle spalle. Feci un leggero inchino e quando la presentazione della gallina dalle uova d'oro fu finalmente terminata, mi diressi lentamente e con impeccabile portamento verso Axel, che durante ľinterminabile attesa sulla scalinata ero riuscita a individuare fra la folla. Durante tutto il tempo avevo furbescamente evitato il più possibile di incrociare il mio sguardo bicolore al suo, temendo di scoppiare a ridere per una sua qualche espressione imbronciata o contrariata, ma ora che lo avevo a soli pochi metri da me non potevo continuare ad evitarlo e dopo aver rivolto pure a lui un leggero inchino, come ci si aspetta da una fanciulla che segue alla lettera le regole che le buone maniere e l'etichetta impongono, lo salutai accorgendomi solo dopo aver proferito parola, che la voce mi si strozzò quasi totalmente in gola per l'imbarazzo. «Axel...» Tentai di ricompormi e riprendere il controllo sulle mie corde vocali. «Alla fine sei venuto sul serio, temevo te ne saresti tirato fuori all'ultimo momento dopo aver visto il completo...» Sorrisi sincera arricciando leggermente le labbra. «T-ti sta molto bene comunque... sembra quasi scelto da me...» Scherzai nuovamente cercando di stemperare la tensione e il forte imbarazzo che provavo in quell'istante, ma diamine, nonostante quello fosse ben lontano dal suo tipico stile d'abbigliamento, dovevo ammettere che era decisamente sexy e attraente pure vestito così. Non che mi importasse seriamente, ovvio, era una mera constatazione del vero, tutto qui. Tutto qui...
     
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    Axel
    Il mannaro si guardò allo specchio, sbuffò ed abbassò leggermente lo sguardo sul taglio di dimensioni contenute che gli percorreva orizzontalmente la guancia. Si sovrapponeva esattamente al vecchio ed il diffindo era affondato con facilità nella carne ancora in corso di guarigione. Arricciò le labbra sbuffando ancora, lanciando uno sguardo intenso diretto alla sua immagine riflessa. Il biglietto si sarebbe trasformato in una passaporta di lì a due ore ed il suo aspetto non era nelle condizioni migliori. Uscì dal bagno levandosi la t-shirt e la buttò alla rinfusa nel cesto della biancheria che condivideva con l’altro Serpeverde senza curarsi nell’effettivo che la maglia fosse entrata e si chinò a rovistare nel suo baule. C’era casino lì dentro ed Axel non si era mai degnato di riordinarlo poiché a parte l’antilupo immediatamente a portata, il resto erano cose che non voleva vedere. La filosofia del mannaro era esattamente questa: lontano dagli occhi, lontano dal cuore e lui la perseguiva senza battere ciglio. Spostò le delicate fiale preziose con cura e cominciò la ricerca della boccetta di cui aveva bisogno. Spostò alcuni fogli e rovistando alla rinfusa gli capitò tra le mani una cassetta, quella cassetta. La strinse con forza quel tanto che le sue mani cominciarono a tremare prima di sbatterla con impeto sul fondo del baule. Non l’avrebbe più ascoltata. Non aveva un walkman, o meglio lo aveva ma non aveva più nessuna intenzione di ripararlo nonostante si fosse impegnato settimane per riuscire a renderlo funzionante nel castello, invano. Era la sua idea per Natale. Pensava lei lo avrebbe apprezzato vista la difficoltà che faceva ad ascoltare la sua musica nel castello ma visto come si era comportata ne aveva perso ogni entusiasmo. Si era illuso lei lo capisse, che attraverso quei testi che parlavano di lui con una precisione millimetrica ci fosse un qualche messaggio, un qualcosa che dicesse “ho capito, ho capito e ti accetto”. Non era così, non era mai stato così ed Ethan, gli insegnamenti di Ethan avevano trovato ancora una volta conferma schiantandosi uno ad uno contro il suo petto con la forza di quei pugni e di quelle parole. Poteva quasi sentirlo, vederlo persino, mentre a braccia incrociate l’uomo lo fissava con un sopracciglio inarcato: “piccolo cucciolo, voleva aprire il cuore alla sua principessina. Awww, quasi mi commuovo. Bravo coglione, bravo!” con tanto di applausi. Tra le mani gli capitò anche il walkman. «Ne ho abbastanza della tua violenza!» un rumore di pezzi infranti. «ALLORA VAFFANCULO» urlò contro l’arnese babbano distrutto. Trovò finalmente ciò che stava cercando e si recò nuovamente in bagno tremante di collera. Le gote erano arrossate dalla rabbia e la pressione del sangue aveva nuovamente aperto la ferita dalla cui estremità un minuscolo rivolo rosso era colato lungo la pelle fermandosi alla barba. Aprì l’acqua e si sciacquò il viso con un getto freddo concentrando lo sguardo sulle dita strette alla ceramica bianca del lavello. Con il viso ancora umido aprì la boccetta di dittamo e poggiandosi una goccia sulle dita tamponò il taglio che si rimarginò immediatamente lasciando però una nuova cicatrice argentea, avrebbe potuto ripararla, cancellarla dal suo bel viso ma no, lui faceva così, portava fiero ogni taglio del suo corpo a simboleggiare le battaglie che però aveva vinto. Il suo avversario poteva anche essere riuscito a fargli quel taglio, certo, ma Eddy, incapace di capire mai la lezione, era probabilmente ancora piegato in due riverso nel suo stesso sangue.
    Si tirò i capelli bruni, ormai così lunghi da arrivare a pizzicargli le iridi e montando la testina adeguata al suo regola barba la passò tra i capelli accorciandoli per poi entrare in doccia dove vi rimase più a lungo del solito con l’acqua che gli scorreva bollente sulle curve della sua muscolatura irrigidita nel tentativo di scioglierla, invano, più l’orario si avvicinava e più il nervosismo si faceva sentire con piccoli movimenti irrequieti. Ethan lo aveva incastrato in un bel compito di merda che avrebbe preferito evitarsi. Un ballo. Non presenziava ad un evento del genere da quando abitava con la sua famiglia in Bulgaria. Aveva fatto di tutto per scomparire dai radar tanto che si vociferava che il secondo genito dei Dragonov, nonché erede al titolo – la morte di Petar era stata insabbiata – fosse morto anche lui in qualche misterioso tragico incidente. Lui era semplicemente uno sconosciuto, un omonimo che ne condivideva solo il primo nome nascondendo a chiunque il secondo, quello che lo avrebbe scoperto. Indossò il completo blu che la prefetta di Corvonero gli aveva fatto recapitare e storse la bocca notando che la giacca possedeva un ulteriore gingillo dorato. Era di ottima fattura, Skylee non aveva badato a spese. Infilò la bacchetta nella manica e istintivamente, come unico gesto di ribellione s’infilò all’indice l’anello di famiglia. «Non farmi fare figuracce, mi raccomando...», roteò gli occhi al cielo, non lo avrebbe fatto ma non per Skylee ma semplicemente per confondersi in quel marasma, per non attirare in nessun modo l’attenzione su di sé, sulla sua identità. Guardò l’orologio, pochi minuti ed il biglietto si sarebbe trasformato in una passaporta, istintivamente cercò il suo coltello nella tasca ma erano giorni che non riusciva più a trovarlo. Ricordava di averlo con sé ad Halloween ma al mattino dopo non lo aveva più. Lo aveva cercato ovunque, aveva persino minacciato Mors ma nulla, il coltello di suo padre era scomparso insieme ai suoi ricordi di quella notte di cui ancora non si capacitava. Lui non era tipo da bere fino a stordirsi, in verità sì, ma mai da dimenticare le sue azioni e lui della notte di Samhain non ricordava un accidente. Sbuffò e strinse il biglietto tra le dita che a pochi secondi dalle venti cominciò a circondarsi di un lieve bagliore, poi uno strattone e nemmeno pochi secondi dopo i suoi piedi poggiarono su un pavimento di pietra. Axel si guardò intorno, la figura del castello era avvolta quasi totalmente nell’oscurità ma ciò che riusciva a vedere illuminato dalle fiaccole era imponente e sprigionava un’aurea austera da ogni anfratto. Seguì il flusso di persone ed una volta all’ingresso un valletto si sporse a prendergli il soprabito elegante anch’esso opera della Corvonero.
    «Axel», il valletto annuì ed inchinandosi si scusò chiedendo il cognome, «no, solo Axel» s’irrigidì infastidito. «Capisco signore ma dobbiamo annunciarla, è volere dei padroni», la mascella del mannaro si contrasse. «Ho l’invito. Ricevuto direttamente dalla sua padrona, ora mi farai passare a meno che tu non voglia saggiare ulteriormente la mia pazienza» il suo fu un sussurro sottile mentre la mano correva alla bacchetta, «non vorrai mica che parli con i tuoi padroni, no? Non credo la signorina Skylee apprezzi che tu abbia fatto aspettare il suo accompagnatore...», «il suo accompagnatore?!» Il valletto sembrò scattare immediatamente sull’attenti e cambiò totalmente atteggiamento conducendo il bulgaro nell’ampia sala da ballo sulle cui sommità, sospesi nel vuoto per magia, vi erano dei lampadari incantati che ruotavano lentamente espandendo la luce di mille candele che andava poi specchiandosi nei cristalli penzolanti. «Aspetti qui» concluse il valletto con un nuovo inchino lasciandolo ai piedi della scalinata. Axel giunse le mani all’altezza del bacino, nascondendo l’anello dei Dragonov – forse era stata una pessima scelta quella d'indossarlo in quella serata, doveva toglierselo – e rimase ritto come un fuso guardandosi discretamente intorno. Fu l’improvviso silenzio dell’orchestra ad avvisarlo di un cambiamento nell’atmosfera, si voltò verso l’apice della scalinata e un secondo valletto cominciò a presentare i protagonisti della festa soffermandosi all’ultimo sulla biondina di sua conoscenza che venne esaltata ed elogiata come fosse un puledro in esibizione. Skylee s’inchinò e con grazia cominciò a scendere le scale mentre il suo sguardo vagava tra la folla, era di una bellezza disarmante. «È proprio una bella giumenta la nipote dei Métis, il fortunato che riuscirà a sposarla avrà vinto tutto», sentì mormorare da un vecchio con due enormi baffì. «Beh, l’hanno presentata proprio per questo, sarebbe ora. Beliar ha temporeggiato anche troppo la sua presentazione... un anno, Edmund, un anno! È in ritardo!» Gracchiò la vecchia che lo accompagnava ed Axel non riuscì ad udire distintamente altro se non che parlassero di una qualche figlio perché la coppia si allontanò.
    AX
    Un debutto, Skylee lo aveva incastrato per un fottutissimo debutto in società con tutta la creme de la creme della nobiltà magica! Una serie di improperi in bulgaro gli irrigidì la mandibola. «Métis» Le ringhiò sottovoce in saluto quando Skylee giunse di fianco a lui rimanendo sull’ultimo gradino, da quell’altezza erano perfettamente alla pari, occhi negli occhi. Per non attirare l’attenzione sollevò il gomito e da perfetto damerino di corte le offrì il braccio affinché lei vi si aggrappasse. «Non potevo tirarmi indietro ad una ordine del tuo caro zio, no?» Continuò a pizzicarla. Aveva mandato un biglietto ad Ethan per chiedergli ulteriori dettagli ma l’uomo non gli aveva mai risposto. Si era quindi dovuto arrendere alla spiegazione che quelli fossero gli ordini e che avrebbe dovuto “smetterla di rompere i coglioni come una mocciosetta in pre-ciclo”. Arricciò il labbro con fastidio portando la bionda di fronte a lui e si piegò in un profondo, quanto forzato, inchino. «Mi concede questo ballo?» Strinse lo sguardo non dandole in verità il tempo di rispondere e le cinse la vita costringendola nella sua morsa. «Quindi? Chi è il cliente?» il tono del mannaro era affilato, tagliente mentre con serietà le mormorava all’orecchio guardandosi attorno, non c’era spazio in lui per battutine o sorrisi fugaci; era lì per un compito, per un lavoro, non c’era spazio per il divertimento.
     
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    Mi sentivo incredibilmente a disagio nel percorre quegli ultimi gradini con lo sguardo di tutti puntato su di me e tale disagio non era causato dagli scomodi tacchi che indossavo o dal soffocante corpetto rigido che mi cingeva il busto per assottigliarlo ulteriormente. Sapevo per quale motivo si era indetto tale ballo e l'idea di essere studiata e analizzata dalle nobili famiglie pronte a proporre i loro rampolli come miei futuri compagni di vita, mi disgustava. Mai avrei potuto accettare un imposizione simile e perché poi? Perché a differenza della maggior parte dei membri della mia famiglia, ero una donna. Una fragile e debole donna che senza un potente marito al suo fianco non si sarebbe potuta dire completa. Per quanto la presenza di Axel non fosse spontanea, mi infondeva tranquillità e mi ricordava che fuori da quelle mura avevo una vita mia, una vita per la quale potevo perndere decisioni mie e soltanto mie, senza sentir gravare il peso del mio maledetto cognome sulle spalle. Per buona parte della vita ero stata libera, seppur costretta fra le quattro mura di casa mia assieme a mio padre per la nostra incolumità, ma ormai non lo ero più. Sentivo corde invisibili stringersi sempre più attorno al mio corpo e se non avessi fatto qualcosa di concreto per liberarmene, ne sarei uscita totalmente sconfitta e sarei diventata schiava di un destino che non mi apparteneva. «Giusto...» Sorrisi incerta ad Axel in risposta al suo commento su gli ordini di Ethan. Ero stata incredibilmente stupida a pensare che quella potesse essere una buona idea, sentivo già la furia di Axel abbattersi su di me e in seguito pure quella di Ethan, per aver finto che gli ordini fossero i suoi. «No, no, no» Sussurrai impercettibilmente mentre il Serpeverde mi chiedeva un ballo e senza darmi possibilità di scelta mi cingeva i fianchi e mi avvicinava incredibilmente al suo busto, facendomi ritrovare così il suo viso a solo una spanna dal mio. Degluiti nervosamente mandando giù la saliva e facendo un grande respiro che colmò i miei polmoni d'aria. Eravamo ancora fermi a fissarci prima di iniziare a muoverci e con uno sguardo discreto quanto terrorizzato tentai di fargli capire che non era una buona idea. Io non sapevo ballare e nonostante le mille ore di lezioni che avevo preso, non c'era verso di insegnarmelo. Avevo un orecchio finissimo per la musica ed ero in grado di seguire il ritmo, ma i miei piedi sembravano sempre inciampare sul nulla ogni volta che tentavo di ballare con qualcuno, come se il mio corpo si rifiutasse totalmente di farlo. Iniziare la serata con una misera figura del piffero non mi sembrava per nulla allettante ed evidentemente non fui l'unica a condividere tale pensiero. Difatti, pochi attimi dopo che Axel mi chiese del cliente, i miei parenti ci furono alle spalle e con tono freddo e autoritario annunciarono la loro solenne presenza. «Aradia» All'udire del nome con il quale erano soliti chiamarmi sussultai e mi irriggidii inevitabilmente sotto la salda stretta delle mani di Axel. Mi scostai leggermente da lui facendogli perdere la presa che aveva sulla mia schiena e mi voltai lentamente per guardare i miei nonni dritti in volto. «Vuoi forse cominciare la serata nel peggiore dei modi mettendoci in imbarazzo?» Sibilò dura e a denti stretti mia nonna, che con i suoi soliti modi velenosi non si preoccupava minimamente di farmi sentire inadeguata per le mie lacune nel ballo. «No, certo che no...» Risposi a capo chino con tono sottomesso. «Perché invece non ci presenti l'accompagnatore per il quale hai rifiutato la nostra ottima proposta» Continuò incurante del fatto che Axel fosse li, che la potesse sentire e che avesse una lingua per parlare e presentarsi da solo. «Lui è Axel...» Esitai ricordando la sua richiesta del non comunicare per una qualche ragione a me sconosciuta il suo cognome. «Axel...» Replicò fredda attendendo il proseguo della presentazione. Guardai di sottecchi il Serpeverde e cercai in lui un qualche segno di approvazione, lasciandogli però la possibilità di presentarsi da solo alla mia famiglia. Mi odiavo per averlo messo in una situazione del genere e mai prima di allora mi ero sentita tanto stupida. «Ebbene perché ci presenti solo ora il tuo fidanzato?» Domandò Beliar prendendo improvvisamente la parola dopo aver dedotto che il motivo per il quale avevo rifiutato il figlio degli Eagles, fosse che nella mia vita sentimentale fosse già presente un altro uomo, un uomo al quale loro non avevano mai dato l'approvazione. «N-non ho mai insinuato che lui fosse il mio fidanzato» Risposi imbarazzata facendo saettare il mio sguardo bicolore in quello del Bulgaro per rassicurarlo che non avevo mai detto loro una cosa simile. Ci mancava solo che iniziasse a credere che io nutrissi seriamente dei sentimenti per lui e che tutto ciò che avevo fatto fosse stato per farlo avvicinare a me e alla mia famiglia. «Non l'ho mai detto...» Ripetei questa volta fissando il viso irrigidito di Axel. «Quindi chi saresti tu per nostra nipote?» Ruggì mio nonno nuovamente serioso alla volta di Axel, lasciando questa volta che fosse lui stesso a rispondere alla domanda. Era tutto così dannatamente forzato e sbagliato che iniziavo a sperare che un meteorite piovesse dal cielo e ci schiacciasse tutti mettendo la parola fine alla conversazione più imbarazzante della mia intera vita. Cosa diamine mi era saltato in mente? Nemmeno il Grifonscemo più ottuso del pianeta avrebbe pensato bene di incastrare il serioso e intransigente Bulgaro in una situazione simile. Sentivo che il crucio che sicuramente mi avrebbe castato in mezzo agli occhi a fine serata sarebbe stato il minore dei mali e ciò non prevedeva assolutamente nulla di buono per noi.
     
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    Axel
    La strinse quindi forzatamente tra le sue braccia e conducendola in mezzo alla pista da ballo continuò con i suoi modi rigidi ad indurla ad assumere la posizione. Fu un disastro su tutte la linea. Lo sguardo della Corvonero era costantemente fissato nei suoi stessi piedi che, come se fossero staccati dal suo corpo, si muovevano indipendenti seguendo totalmente un altro andamento rispetto a quello del bulgaro o della musica stessa. «È l’uomo che conduce, smettila di pestarmi i piedi», le sibilò interrompendo il ritmo per qualche secondo per fissarla direttamente in quegli occhi quasi smarriti ma quella quasi minaccia fu del tutto inutile, continuando ad abbassare lo sguardo, Skylee, imperterrita, continuava ad inciampare. A quel punto Axel sbuffò, «devi seguire la musica. Fissandoti i piedi continuerai a sbagliare», un inchino, come era da coreografia e tornò a cingerle la vita per un nuovo volteggio che s’interruppe bruscamente quando due figure altere si stagliarono di fianco a loro. Immediatamente la bionda al suo fianco s’irrigidì e si liberò dal suo intreccio, Axel rimase impassibile al suo fianco assistendo quasi come fosse uno spettatore esterno al rapporto che la ragazza aveva con i suoi parenti più prossimi, quasi come se non si trovasse davvero lì e la cosa non lo riguardasse. D’altronde non era lì per quello e Sky non gli aveva ancora indicato quale tra i presenti fosse il loro obiettivo da tenere d’occhio, la cosa cominciava a snervarlo. Avrebbe preferito più chiarezza da parte sua e soprattutto avrebbe preferito ricevere gli ordini da Ethan stesso e non dalla sua incompetente nipotina. Se quello si fosse rivelato il nuovo modus operandi dell’uomo Axel ne avrebbe tirato su una polemica infinita. «Aradia» proruppe l’anziana donna, Aradia? Bel nome di merda, pensò il bulgaro mentre il suo sopracciglio aveva un sussulto. «Vuoi forse cominciare la serata nel peggiore dei modi mettendoci in imbarazzo?» Dall’alto della sua impassibilità Axel non avrebbe potuto dissentire con la donna. Probabilmente – ma ne dubitava per quanto aveva potuto vedere – Skylee aveva altre doti ed il ballo e la musica non erano chiaramente nelle sue corde. Solo allora la donna parve accorgersi della presenza del mannaro e posando il suo sguardo austero e carico di giudizio su di lui lo giudicò senza il minimo scrupolo esternando successivamente nel tono il suo disappunto. La donna si rivolse alla nipote ed il bulgaro reputò saggio non prendere parola aspettando che fosse la Corvonero a definire i contorni della sua presenza entro la quale muoversi. A quel punto si aspettava che gli avesse confezionato un’identità fittizia visto il caso e la richiesta esplicità che gli aveva posto. Di certo non poteva presentarlo come Axel e lui stesso aveva avuto la cura di farle ben presente di non rivelare la sua identità. Quella richiesta gli era venuta spontanea, di getto, come la Métis gli aveva presentato quella missione e mai con in quel momento di fronte ai fatti era necessario che la sua identità rimanesse celata. In quella stramaledetta sala da ballo era presente tutta la nobiltà magica oscura. Nonostante gli anni ed i tratti somatici più appesantiti dallo scorrere degli stessi, Axel riconosceva alcuni di quei volti presenti ed il suo timore, molto più che fondato, era che la cosa avvenisse da entrambe le parti. Doveva rimanere in ombra, si stava facendo notare fin troppo con quel teatrino, doveva trovare una scusante che gli permettesse di dileguarsi e rimanere in disparte a controllare quello che era il loro target ma prima avrebbe dovuto farselo rivelare dalla bionda.
    «Lui è Axel» COSA? Ma era impazzita?! La fulminò con un’occhiataccia letale che dovette interrompere quando la vecchia si voltò a squadrarlo di nuovo. Il patriarca al loro fianco non si era mosso osservandoli tutti con il suo cipiglio serio e posando i suoi gelidi occhia chiari sulla figura del ragazzo. A disagio le mani di Axel si spostarono sulla giacca che istintivamente sistemò controllando che il completo fosse ben appuntato. «Non... sono nessuno» cominciò a dire con voce bassa mentre al di sopra la corva balbettava risposte stentate. La mano dell’uomo scattò contro il petto del mannaro e gli afferrò in una presa d’acciaio il polso. «Che mi venga un colpo... Dragonov! Questo è l’anello dei Dragonov!» Lo sguardo dell’anziano si modificò guardando Axel sotto una nuova luce. Dannazione. La mano di Beliar lasciò andare il polso del bulgaro mentre un ghigno si apriva sulla dentatura, «sì... Sì tu devi essere il figlio di Nadejda» mormorò con voce assorta senza smettere di squadrare il ragazzo, senza smettere, Axel poteva leggerglielo negli occhi, di cercare somiglianze tra lui ed i suoi genitori. «Conoscevo Ivàn Nikolay, tuo nonno ed io eravamo grandi amici... una vera disdetta la perdita di Dimitar», la lingua del vecchio schioccò e tutto nella sua espressione esprimeva meno che cordoglio per la perdita di Dimitar, suo padre, e di Petar, suo fratello maggiore. «Un Dragonov» mormorò ancora mentre il ghigno si allargava proporzionalmente alla mandibola irrigidita del ragazzo. «Dragonov? Non erano forse morti?» Gracchiò con stizza la donna che non aveva perso nemmeno un singolo dettaglio di quello scambio. «Mio fratello...» sputò con voce tremante di furia Axel. In cosa lo aveva incastrato Skylee... «Quale? Non erano due?» Quindi era questo che si diceva? Questo aveva messo in giro sua madre? Che fosse morto piuttosto che prendere in mano il titolo? «Tre cara, ma non immaginavo che il terzogenito fosse già in età da matrimonio». I due anziani conversavano come se i due ragazzi non fossero realmente lì ed Axel era come immobilizzato di fronte a quella situazione incapace di proferire parola, incapace di permettere al suo cervello di trovare una scappatoia che lo portasse lontano da quella situazione, lontano da quella presa di coscienza, lontano dalla sua vera identità. I suoi occhi verdi si posarono accusatori su Skylee. Cosa aveva fatto? Doveva portarlo via da lì prima che tutta la verità fosse dipanata. «No, no... non è il terzo! Nikolai Axel è il secondo!»
     
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    Quel breve quanto imbarazzante ballo era durato fin troppo. Le mie proteste, come d'abitudine di Axel, erano state totalmente ignorate e mi ero ritrovata a volteggiare sulla pista da ballo. Il bisogno di fissarmi i piedi e accertarmi di eseguire bene quei pochi passi che riuscivo a padroneggiare risultò contro producente, ogni due passi mi inciampavo e finivo per pestare i piedi del Serpeverde, che contrariato mi ringhiava contro di smetterla di farlo e lasciarmi guidare da lui, com'era giusto che fosse. L'agonia venne fortunatamente interrotta dai miei stessi parenti, che preoccupati potessi metter loro in imbarazzo a serata appena iniziata, si premurarono di farci smettere al più presto di volteggiare. Arrestati i miei movimenti e dopo essermi allontanata di pochi passi dal ragazzo prestai loro la mia attenzione. Esigevano che presentassi il mio accompagnatore e menzogne di alcun tipo non sarebbero stata una saggia scelta. Quando gli occhi di mio nonno scattarono su Axel e le sue mani andarono a posarsi sul suo polso, fui lieta di non aver inventato per lui una qualche identità fittizia. Mio nonno conosceva la sua famiglia e se l'idea del Serpeverde era quella di nascondere per qualche motivo le sue vere origini, portarsi con sé l'anello che evidentemente apparteneva alla sua famiglia, non era stata una scelta molto intelligente. Lo guardai con aria mortificata e mi morsi appena il labbro inferiore. Se dopo quella sera mi avesse rivolto ancora la parola sarebbe stato molto ed io non avrei nemmeno potuto biasimarlo per questo. Trascinarlo lì con l'inganno era stata davvero un'azione stupida e infantile, cosa pensavo di ottenere? Un po' di pace e tranquillità invece del solito senso di profonda tristezza e rabbia che provavo quando nei miei dintorni c'era la mia famiglia? Beh, complimenti Skylee. Hai fallito in pieno. L'unica cosa che ero riuscita a ottenere era imbarazzo ed estremo disagio da parte del Bulgaro, che con sguardo duro mi lanciava fredde occhiatacce. Lo sproloquio dei miei parenti sembrò durare un infinità, invece che domandare direttamente al soggetto dei loro discorsi, preferivano fare supposizioni e rispondersi autonomamente a quesiti ai quali Axel avrebbe facilmente potuto dare risposta da solo. Non sapevo come tirarlo fuori da quella situazione, ma dovevo assolutamente pensare a qualcosa, dopotutto non potevano obbligarlo ulteriormente a parlare di un argomento del quale non voleva evidentemente discutere. Non sapevo nulla della sua famiglia, né tantomeno che il suo cognome fosse conosciuto tra i ranghi alti. Sembrava provenissimo da realtà famigliari molto simili, eppure lui non aveva mai nominato un ipotetica famiglia, tant'è che svariato tempo prima mi ero chiesta se Ethan non l'avesse proprio adottato. Evidentemente non era così e la scelta di "non avere una famiglia" era stata ponderata da lui. «Non respiro» Eclamai con tono non troppo alto ma piuttosto allarmato. «M-mi manca l'aria, ho bisogno di uscire...» Tentai di afferrare il polso di Axel per trascinarlo fuori da lì, ma una mano ossuta si piantò sulla mia spalla destra, incurante della pressione esagerata con la quale stringeva la mia delicata pelle che subito si arrossò in risposta al suo tocco. «Aradia finiscila, non ti azzardare a fare un'ulteriore passo. Non abbiamo ancora terminato questa piacevole chiacchierata» Ringhiò mio nonno con tono basso e minaccioso. Il fiato mi si mozzò in gola e dovetti socchiudere gli occhi e fare un lungo e silenzioso respiro profondo per evitare di rispondergli a tono con la mia tanto biforcuta lingua. Non potevo farlo, con loro dovevo mantenere una facciata credibile e riuscire a restare calma senza scoppiare come mio solito in un impeto di ira. Non risposi, rimasi solamente immobile e con il polso del Serpeverde ancora stretto fra le mie sottili dita. «Perdonala, Aradia talvolta sembra ancora essere una selvaggia, non ha ricevuto una buona educazione da piccola, come invece avrai sicuramente ricevuto tu» Constatò mia nonna con tono stizzito. «È con noi solo da una manciata di anni, da quando il padre è scomparso» Le mie dita si strinsero ulteriormente attorno al polso di Axel e involontariamente le mie unghie si puntarono sulla sua pelle, all'udire di tali parole. Dover fingere di non sapere nulla ed essere ancora obliviata mi costava uno sforzo disumano e talvolta, quando l'argomento "scomparsa" veniva fuori senza preavviso, faticavo a mantenere la calma al cento per cento. «Lo stiamo ancora cercando e nel frattempo ci prendiamo cura della nostra amata nipote nel miglior modo possibile, purtroppo a volte è difficile quando mancano salde basi su cui lavorare» Continuò imperterrita col suo tono odioso. «Ciò non toglie che Aradia sia un ottimo partito, basta solo mantenere un pugno di ferro con lei» Sorrise altezzosa. «Non sono merce da vendere» Sibilai debolmente mollando finalmente la presa che avevo sul ragazzo. «Lo sei eccome. Quale rispettabile ragazza a diciotto anni compiuti si ritrova ancora a frequentare il quarto anno di studi a Hogwarts? Invece che pensare seriamente a farsi una famiglia e portare avanti la nostra rispettabile stirpe?» Le sue parole ferivano come punte di freccia. Ero terrorizzata all'idea che prima o poi andassero contro il mio volere, costringendomi a mollare gli studi pur di farmi sposare un qualche riccone. Non era ciò che volevo dalla vita e non sarei mai potuta sottostare a una simile imposizione. Io volevo studiare, diventare colta e indipendente, non avevo bisogno di un uomo, né tanto meno di uno scelto da loro. La vita era la mia, non potevano rubarmela in quel modo. «Suvvia Stramonia, placati, spaventerai questo buon partito altrimenti. Dico bene ragazzo?» Vedere mio nonno in vesti tanto amichevoli era spaventoso quasi quanto vederlo arrabbiato ed ero certa che nella sua maligna psiche stesse già architettando qualcosa di orribile. Per me. «Cosa fai nella vita Nikolai? Raccontaci un po'» Domandò al Serpeverde poggiandogli una mano sulla spalla. «Aradia perché non vai a intrattenere gli ospiti con della buona musica mentre noi facciamo due chiacchiere» La sua non era una proposta rifiutabile, era un ordine e mia nonna non mancò di coglierlo. Mi poggiò a sua volta una mano dietro la schiena e mi condusse lontano da Axel, fino ad arrivare sul palchetto rialzato solitamente utilizzato per l'orchestra. Mi ci fece salire e diede ordine di portarmi il mio violino. Ci fu una breve presentazione e poi il silenzio. Le mie dita iniziarono a muoversi sapientemente sulle sottili corde dello strumento e l'archetto, con movimenti veloci e precisi iniziò a produrre un brano particolarmente complicato e veloce. Se i miei piedi non erano in grado di seguire il ritmo, le mie mani sembravano essere state create appositamente per quello e il mio fine orecchio mi permetteva di azzeccare ogni singola nota, non necessitavo nemmeno dello spartito per quel brano, mia nonna me lo aveva fatto suonare fino alla nausea e ora, non vi era modo che io potessi sbagliarlo. I miei occhi cercarono le figure di Axel e Beliar, stavano ancora parlando e avrei voluto sapere di cosa, avrei voluto trascinare il Bulgaro lontano dalla sue grinfie, ma prima di avvicinarmi nuovamente a loro sapevo di dover portare a termine la melodia, non farlo avrebbe fatto adirare mio nonno e non volevo che succedesse.
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    Edited by Skylee Metis - 18/1/2022, 20:12
     
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    «Non respiro. M-mi manca l'aria, ho bisogno di uscire...» Axel roteò uno sguardo furioso verso la bionda scoccandole uno sguardo di sufficienza per quella trovata triste: tutto qui, questo pareva dire il suo sguardo fiammeggiante e pieno di disprezzo. Questo era il massimo che il suo cervello – a detta di Ethan superiore – sapeva produrre per uscirne da quella situazione? Gli occhi del bulgaro si strinsero con odio. Non fossero stati circondati da persone, circondati dai parenti di lei l’avrebbe probabilmente appesa per il collo per poi piegarla con un colpo della cruciatus direttamente nel mezzo di quegli occhi strani che parevano cosa? Chiedergli scusa? La mano di Skylee si strinse attorno al suo polso affondandogli silenziosamente le unghie nella carne mentre l’anziana si rivolgeva con superiorità alla nipote. Con un colpo secco del polso Axel si libero della sua presa per poi stirare un sorriso fintamente cordiale nei confronti di Stramonia. «Lo capisco mia signora, non si preoccupi», un leggero inchino alla volta della donna che si portò la mano alle labbra con espressione civettuola nonostante il marito lì accanto a lei. «Quando avremo finito con lei, signor Dragonov le assicuro che Aradia sarà una moglie perfetta» mormorò tagliente la donna. Il sorriso di Axel ebbe un tentennamento andando ad immaginare dove tutto quel dialogo potesse stare andando a parare. Lui non voleva ereditare nessun titolo, tantomeno comandare su di un “regno” e men che meno, alla soglia dei ventun anni, sposarsi con niente poco di meno che quella petulante impiastra di Skylee Métis. Vi andava a letto sì, ma questo non stava a significare che il bulgaro provasse un qualche tipo di sentimento che andasse più in là delle pulsioni sessuali per la bionda. Si divertivano, ognuno anestetizzando i pensieri dell’altro e lì finiva. Il battibecco tra le due donne proseguì e finalmente la prefetta sembrò trovare una punta di quell’impertinenza che solitamente teneva al castello, indossava una maschera anche lei, come tutti. «Suvvia Stramonia, placati, spaventerai questo buon partito altrimenti. Dico bene ragazzo?» “Buon partito” solo l’idea provocava un moto di nausea nelle membra di Axel ma era necessario che facesse buon viso a cattivo gioco, almeno per il momento. La mano di Beliar si abbatté sulle spalle piazzate del bulgaro in un paio di pacche che si trasformarono in una sorta di cinta mentre intimava con un ordine nemmeno troppo velato nei confronti di Skylee d’intrattenere il suo pubblico. «Sto...» un colpo di tosse per schiarirsi la voce, «terminando i miei studi a Durmstrang», mentì. D’altronde di lui non si sapeva praticamente nulla da quando aveva lasciato il suo paese natio, a maggior ragione se Elèna aveva coperto le sue tracce dandolo per disperso o peggio ancora morto. «Attualmente mi trovo ad Hogwarts per un erasmus che la scuola ha offerto» una mezza verità, se il Métis avesse indagato in maniera non troppo approfondita sul suo tornaconto vi avrebbe davvero trovato la sua partecipazione allo scambio interculturale che poi avesse deciso di rimanere in terra inglese quelli erano altri dettagli.
    «Hai intenzione di riprendere il titolo? Non ti offendere ragazzo ma... per quanto tua madre abbia fatto un discreto lavoro in questi anni, sai, è una donna... capisci ciò che voglio dire?» Lo capiva, lo capiva eccome. «Il nome dei Dragonov sta sparendo dalla circolazione e sono sicuro che tuo nonno Ivàn, pace all’anima sua» il vecchio sollevò palmi e occhi teatralmente verso il cielo mentre Skylee, di sottofondo, era lanciata con sfrenata passione in volteggi elaborati dell’archetto sul violino. Del tutto inaspettati vista la sua scarsa coordinazione nel ballo. «... Non volesse questo per la famiglia. Vedi, Nikolai» «Axel... Signore «Axel, perché una casata sia forte e continui a mantenere il suo titolo serve un uomo al comando. Tu sei giovane, figliolo. Ben piazzato, con un’eccellente istruzione come si conviene. Porteresti nuova aria al tuo clan e la mia Aradia, come dire, sarebbe perfetta per il ruolo» sulle membra del ragazzo un pesante macigno di dimensioni colossali sembrava avervi trovato fissa dimora. «C-ci penserò signore» tossì il bulgaro. «Non temere, verrà domata se è questo che ti perplime... perderà quell’impertinenza. Stramonia le insegnerà a rimanere al suo posto: accanto a te, un passo indietro esattamente come si confà», il corpo di Axel scattò impreparato quando l’uomo si fermò per elargirgli poderose pacche sulla spalla destra ed il mannaro non poté fare altro che mandare giù l’ennesimo boccone amaro mentre l’eco del violino di Skylee concludeva sulla corda l’ultima nota. «Posso...?» Indirizzò un’occhiata eloquente verso il palco ed immediatamente Beliar, euforico di aver concluso un eventuale accordo spalancò le braccia invitando la biondina a raggiungerli. Lentamente lo sguardo infuocato di Axel si posò sugli occhi bicolore della ragazza che lo stavano cercando in mezzo alla folla, la sua mascella irrigidita tratteneva a stento la furia. «Ragazzi, vi lascio a voi»
    ax
    rivolse un’occhiata carica di differente significato per entrambi e con un sorriso mellifluo si dileguò con ritrovato entusiasmo verso gli altri invitati.
    «Fuori di qui, adesso» sibilò glaciale il bulgaro senza perdere nemmeno un secondo. Posò la mano sulla base della schiena della bionda e la spinse sgraziatamente obbligandola ad uscire il più velocemente possibile fuori da lì. Una volta all’esterno si guardò attorno cercando eventuali ospiti e spinse ancora la ragazza verso l’estremità più buia dell’ampia terrazza al riparo sia delle luci della sala che dei lampioni esterni. Si girò ancora una volta e successivamente la sua mano si spostò velocemente sul collo della ragazza inchiodandola contro la parete. «Da quanto lo sapevi?» Ringhiò premendo con forza sulla carne della bionda che sotto la sua stretta cominciò a rantolare dimenando le gambe. «Con chi sei in combutta stronza? Con mia madre?» La furia di Axel era cieca ed implacabile a quel punto. Skylee avrebbe dovuto trovare in fretta una buona giustificazione per quietarlo quel tanto da permetterle di farsi ascoltare.
     
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    La melodia di accompagnamento al mio violino si interruppe non appena smisi di suonare e dopo pochi secondi riprese a intonare le note di un brano differente, molto più lento e tranquillo, tutto il contrario di ciò che suonavo abitualmente. Cercai la figura di Axel fra la folla e lo sorpresi a fissarmi con sguardo di fuoco a svariati metri dal palco. Lo raggiunsi e non appena gli fui a tiro, mi mise con fare sgraziato una mano alla base della schiena e mi condusse infastidito fino fuori dalla sala. L'aria notturna Scozzese era pungente e seppur non soffrissi particolarmente il freddo, piccoli brividi mi fecero trasalire e la pelle nuda delle mie braccia si riempì immediatamente di molteplici minuscoli puntini. Raggiungemmo la parte più buia del terrazzo e lì le forti e per nulla caritatevoli mani del Bulgaro si avventarono contro il mio collo, spingendomi con forza contro la parete. Questa volta non vi era nulla di seducente nel suo modo di fare e quel gesto era unicamente atto a minacciarmi e sottomettermi fisicamente. «C-cosa diamine stai dicendo?» Tentai di protestare fra un colpo di tosse e un rantolio affannato. Non comprendevo le sue parole e non capivo cosa c'entrasse sua madre con ciò che stava succedendo. Evidentemente mio nonno doveva avergli detto qualcosa di strano che lo aveva portato a fare simili congetture, ma la verità era che l'unica colpa da me commessa era stata quella di ingannarlo per trascinarlo a quel dannato ballo. Mi guardai terrorizzata attorno. Se solo qualcuno ci avesse visti in quegli atteggiamenti avrebbe sicuramente allertato la mia famiglia e la situazione sarebbe non poco degenerata molto in fretta. Le mie mani si posarono sul braccio del ragazzo e dopo aver serrato gli occhi, un sonoro 《Crack》 mi avvertì che ero riuscita a smaterializzare entrambi ai piani superiori, più precisamente nella stanza adibita alla mia personale camera da letto. Solo i membri della famiglia potevano smateriallizzarsi all'interno del castello e decidere qualora di portare con loro qualcuno, in caso contrario, chiunque ci avesse provato sarebbe rimasto semplicemente bloccato sul posto, senza realmente potersi spostare da nessuna parte se non sui suoi stessi piedi. Nella stanza non vi era quasi alcun effetto personale e l'arredamento discostava molto dalla mia tipica esuberante ed euforica personalità. Tutta la mobilia era caratterizzata da toni molto scuri e forme che richiamavano la corrente artistica gotica, come d'altronde buona parte dell'arredamento del castello faceva. Non l'avevo mai considerata realmente mia, quello era solo il luogo in cui mi era concesso dormire da quando la famiglia di mio padre aveva deciso di obbligarmi a seguirli con l'inganno, nulla di più e difatti l'unica sensazione che trasmetteva era la solitudine, come se quella fosse la cella di prigionia di una principessa intrappolata da una feroce bestia. «Muffliato» Approfittai della smaterializzazione appena compiuta per liberarmi dalla presa del Serpeverde e castare un incantesimo atto a proteggere la nostra prossima conversazione a orecchi indiscreti. «Sei impazzito? Sai che sarebbe potuto accadere se solo ti avessero visto mettermi le mani al collo?» Se c'era una cosa che i Métis non tolleravano era che qualcuno potesse ledere o ferire in qualsiasi modo un membro della famiglia. Solo i membri stessi potevano e non si facevano alcun problema a farlo. «Si può sapere cosa diamine stai blaterando? Cosa centra tua madre ora?» Esclamai in un impeto di ira, non accettando che mi venissero affibbiate colpe che non avevo. Lontano dagli occhi e dalle orecchie dei miei famigliari il mio solito caratteraccio era immediatamente spuntato fuori. Solo dinnanzi a loro cercavo di trattenermi e placare i miei impulsi, per evitare che in loro potesse nascere anche solo il minimo dubbio che io fossi nuovamente cosciente di ciò che anni addietro avevano crudelmente fatto. «Chiariamoci, se solo avessi saputo che provenivi da una famiglia simile alla mia non ti avrei mai fatto venire qui, diamine» Mi passai nervosamente una mano sulla fronte, sfiorando gli ordinati capelli raccolti in quella tanto complicata acconciatura. Iniziai a vagare avanti e indietro per la stanza senza fermarmi un solo attimo e non curandomi delle intenzioni del Bulgaro. «Solo un idiota mi chiede prima di non rivelare il suo cognome e poi si porta l'anello di famiglia appresso...» Constatai questa volta a voce alta certa che le mie parole avrebbero infastidito Axel, ma non mi importava, quella era la nuda e cruda verità. Era stato un coglione e ora non avevo la minima idea di come tirarlo fuori da quell'ingarbugliato imprevisto. A saperlo sarebbe stato mille volte meglio sorbirsi una spiacevole quando orribile serata in compagnia del Francese che la mia famiglia aveva scelto per me. Axel sarebbe dovuto essere unicamente un estraneo che la mia famiglia non avrebbe quasi sicuramente potuto approvare, dato che non proveniva da una famiglia altolocata, ma che mi avrebbe comunque concesso svariato tempo prima che loro potessero obbligarmi ad accompagnarmi con altri uomini e invece tale rivelazione aveva complicato tutto. Ci aveva messo entrambi in una situazione estremamente scomoda e in tutto ciò il mio senso di colpa non poteva fare altro che opprimermi all'inverosimile. Era stata inizialmente colpa mia e per quanto il gesto del Serpeverde fosse stato stupido non potevo attribuire la colpa di quanto accaduto a lui. Non era giusto. «Perdonami...» La mia ammissione di colpa lo avrebbe probabilmente potuto stranire. Dopotutto lui era certo che quella fosse una missione sotto copertura per controllare un possibile cliente e diamine, non aveva la minima idea di quanto in realtà si discostasse dalla realtà.
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    Axel
    La furia di Axel era cieca e non gli permetteva di ragionare. Lucidamente non le avrebbe stretto così tanto il collo soprattutto se avrebbe voluto ottenere delle informazioni dalla ragazza ma la conversazione con Beliar lo aveva turbato profondamente e pensare che Skylee potesse essere in combutta con sua madre, che il tutto potesse essere un piano per farlo tornare al suo posto nel ducato lo mandava fuori di testa. Strinse maggiormente il collo della ragazza sollevandola di qualche centimetro dal pavimento di pietra e fu allora che il sonoro CRACK e quella sensazione di un uncino che gli arpionasse le viscere lo deconcentrò per un’istante dal suo intento. Si sentì strappare da terra ed inghiottire in una dimensione priva di spazio e tempo prima di poggiare piede su di una superficie di legno piana. Il suo equilibrio vacillò portandolo ad indietreggiare di due passi stentati prima di rimettersi in piedi con un ringhio. «Ma che cazzo fai porco***!» Bestemmiò pronto ad appenderla nuovamente alla prima parete libera e vista la personalizzazione spartana della stanza Axel avrebbe solo avuto l’imbarazzo della scelta. Skylee sguainò la bacchetta ed Axel fu sul punto di far scivolare la sua nel palmo quando all’ultimo secondo lei la puntò contro la porta castando un incantesimo che li avrebbe protetti da eventuali orecchie indiscrete.
    «Oh non prendermi per il culo. Sai benissimo di cosa parlo, non fingere di non averne idea» sputò con astio mentre seguiva con occhio vigile i movimenti della bionda, calmi e misurati mentre lui riusciva a stento a contenersi limitando la sua rabbia ad un tremito delle mani. «Non me ne frega un cazzo di cosa sarebbe successo, preferisco morire che essere obbligato a sposarmi. Con te poi...» sputò a terra sprezzante fregandosene completamente di quelli che potevano essere i sentimenti della ragazza, del modo in cui probabilmente li aveva appena calpestati nonostante Skylee qualche giorno prima, durante il suo compleanno, fosse stata gentile, persino dolce con lui. Ma per il bulgaro adesso quel ricordo tanto dolce si era appena modificato. Attraverso una lente riusciva a vedere quelle che secondo lui erano state le intenzioni della bionda prefetta sin dall’inizio: lei voleva incastrarlo. Lei, la sua famiglia e sua madre erano tutti in combutta contro di lui. Chissà Elèna quali accordi aveva preso col patriarca dei Métis, lo aveva venduto come carne da macello? Loro le pecore nere della famiglia incastrate per quello che sarebbe stato un bene superiore secondo i loro parenti più prossimi. Sua madre glielo aveva detto nelle lettere, in quelle sporadiche lettere che raramente gli inviava e a cui Axel non rispondeva mai ammonticchiandole tuttavia in una pila dimenticata nel fondo del suo baule. Elèna lo spronava a fare ritorno a casa, lo pregava affinché riprendesse il suo posto alla guida della famiglia Dragonov e di porre fine a quel suo esilio autoindotto che ci avrebbe pensato lei a tutto il resto. Il resto, tzè, trovargli una moglie degna del suo rango ecco quale era quel resto. Axel ne era disgustato e non avrebbe mai barattato la sua libertà per niente al mondo men che meno prendendo il posto che spettava di legittimo diritto a Petar e che lui gli aveva strappato prematuramente. Non avrebbe regnato sul sangue di suo fratello, non avrebbe governato poggiando le sue fondamenta sulla menzogna.
    «Non osare darmi la colpa, doveva essere nulla di che... una missione per un cliente. Non c’è nessun cliente non è vero?» Gli occhi del mannaro si strinsero di odio. «Mi hai mentito, spudoratamente e guardandomi negli occhi... quanto mi fai schifo porca puttana» lui era il primo bugiardo della storia. Non si sarebbe mai posto scrupoli a farlo se fosse stato necessario ma preferiva, affinché ciò che dicesse non sollevasse il minimo dubbio, manipolare quella che era la verità praticando dei tagli di trama qui e là oppure omettendo direttamente delle informazioni. Era così che lui mentiva. Era così che gli era stato insegnato eppure, da quando aveva messo piede ad Hogwarts, lui il bugiardo, era stato beffato da ben due persone diverse e questo non poteva accettarlo anche se il tradimento della Métis nei suoi confronti pesava più di ogni cosa. Le conseguenze di ciò che aveva fatto pesavano più di qualsiasi cosa. «Nemmeno hai idea di cosa hai scatenato» la voce in un sussurro gli tremava insieme ai pugni stretti lungo i fianchi.
    «Perdonami...» mormorò la bionda dopo un lungo silenzio. I suoi occhi ora erano lucidi di una qualche emozione che però non riuscì ad intaccare minimamente la barriera che aveva innalzato Axel. «Tu ora ci tirerai fuori da qui» da questa situazione, «non so come intenderai farlo. Non me ne frega un cazzo di chi andrai a pestare i piedi ma ascoltami bene Métis, io non ti sposerò mai... nemmeno con la bacchetta puntata al collo» nemmeno se quella fosse stata la sua ultima opzione. Preferiva una vita in esilio, in povertà che tenuto al guinzaglio dalla famiglia.
     
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    «Axel io davvero non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo» Sbraitai con voce mozzata mentre mi massaggiavo la gola. La presa che il Serpeverde aveva stretto attorno al mio collo era stata più salda e imponente di quanto non credessi. Sul momento non ci avevo fatto caso, fin troppo presa dall'inventare qualcosa alla svelta per non finire nei guai, ma ora, al sicuro fra le quattro mura della mia stanza, iniziavo a percepire il dolore, e i segni delle sue dita sul mio collo continuavano a pulsare, provocandomi non poco fastidio. «I-io nemmeno voglio una cosa simile» Sibilai in un sussurro sentendomi ferita per il tono disgustato con il quale aveva sputato quelle parole. Se davvero credeva che quello da me ideato fosse un malefico piano per legarlo per sempre a me con una cosa tanto stupida quale un matrimonio, era davvero fuori strada e soffriva di forti paranoie su possibili complotti, ma la verità era che il mondo non girava attorno a lui e a me non sarebbe potuto fregare di meno di mettermi in combutta con sua madre per fare chissà cosa. «N-no... non c'è nessun cliente...» Ammisi profondamente imbarazzata dandogli le spalle per evitare di doverlo guardare in viso. Non ero in grado di reggere il disgusto che gli vedevo dipinto sul volto, perché io per prima stavo provando lo stesso sentimento nei miei confronti. Ero stata stupida e pazza a incastrarlo in una simile situazione. Nella mia mente non vi era passato alcun pensiero maligno, quel mio invito mascherato da missione non era nulla di più di una semplice scappatoia per evitare di rischiare che i miei parenti trovassero sul serio qualcuno da affibbiarmi, mentre con lui sarebbe dovuto andare tutto liscio. Loro non avrebbero mai potuto accettare un ragazzo qualsiasi al mio fianco, ma credendo che ci stessimo frequentando avrei ottenuto comunque più tempo. Quel tanto agognato e necessario tempo per il quale ero disposta a fare di tutto. Avevo bisogno soltanto di più tempo, tempo per mettere in piedi un piano decente assieme a Ethan e liberarmi una volta per tutte dell'opprimente presa che la mia famiglia aveva su di me. Per loro non ero nulla di più di una sacrificabile pedina da usare per ampliare e fortificare il potere che già tenevano tanto stretto fra i loro artigli. Non ero una persona, una ragazza con sentimenti e desideri. Ero solo un mezzo. Un mezzo nato unicamente per soddisfare i loro, di desideri. Tentai di scusarmi ma inutili furono le mie parole dinnanzi alla sua rabbia. Era cieco, sordo e sull'orlo di un'esplosione emotiva che avevo innescato con la mia stupidità. Ne ero cosciente, sapevo che la colpa era attribuibile unicamente a me, eppure la sua rabbia era così violenta e crudele che senza poterne avere il controllo le mie labbra si mossero istintivamente e dopo essermi finalmente voltata per guardarlo nuovamente in viso, gli vomitai addosso tutte le parole che il mio petto implorava tanto ardentemente di far uscire. «Tranquillo, presto questo sarà solo un orribile ricordo. Ti tirerò subito fuori da qui» Gridai cieca di rabbia e risentimento verso me stessa. Come potevo essere stata così idiota da credere che la sua presenza avrebbe potuto in un qualche modo lenire le ingiustizie che nel corso della serata mi sarei dovuta far scivolare addosso? «Sai cosa? Prima che tu vada ci tengo solo che tu sappia quanto ciò che credi corrisponda al vero sia in realtà unicamente frutto della tua mente malata» Ringhiai avvicinandomi a lui fino a ritrovarmi a sole poche spanne dal suo volto. «Sai non sei il centro del mondo, non gira tutto attorno a te e tranquillo, pure io preferirei morire piuttosto che farmi rubare la libertà ed essere costretta a sposarti» Il mio dito indice sprofondò nel suo petto incurante delle conseguenze più che certe alle quali andavo incontro. «Qui nessuno ha mai cercato di incatenarti a nessuno, lo capisci? Ti ho trascinato qui solo perché credevo che la mia famiglia non ti avrebbe mai potuto accettare, non potevo avere la benché minima idea di chi tu fossi realmente» Ringhiai nuovamente a denti stretti in un impeto di ira. Sulle mie gote iniziarono a cadere minuscole gocce che andarono a rigarmi il volto, era rabbia e frustrazione quella che fuoriusciva dal mio corpo e non mi vergognavo per questo. Quando qualcuno raggiungeva un certo limite era giusto che lasciasse che le emozioni fuoriuscissero in forma liquida da sé, perché sarebbe stato troppo difficile esternarle a parole. Quelle emozioni erano troppo complicate per essere realmente comprese e troppo dure da sopportare. Non ne ero in grado. Non ne avevo la forza. «Perché mai dovrei volermi legare per la vita a qualcuno di tanto presuntuoso e cieco per vedere realmente ciò che gli succede attorno? Tu pensi unicamente a te stesso, non te ne frega nulla degli altri, nulla di me e va bene così, tranquillo. Perché per tutta la sera non hai fatto altro che convincerti che questo fosse unicamente un malvagio complotto contro di te, ma hey, esistono pure gli altri e hanno vite, problemi e questioni in sospeso gravi quanto quelle che hai tu» Le mie dita tremavano e le mie labbra erano mosse unicamente dalla furia che provavo nel vedere la mia vita scivolarmi lentamente via dalle mani. Volevo solo che quella serata avesse termine, perché nulla di quanto sperato era andato nel verso giusto. Nulla. Dovevo soltanto capire cosa fare per evitare che l'ira della mia famiglia mi investisse ferocemente all'apprendere che il mio cosiddetto ospite d'onore, se ne sarebbe andato via prima del tempo. Dovevo solo pensare a qualcosa, eppure in quel momento mi sembrava veramente impossibile riuscire a ragionare a mente lucida. Dovevo calmarmi e respirare e tutto sarebbe andato meglio. Non importava se sotto ai miei piedi il pavimento pareva sbriciolarsi lentamente.
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    «N-no... non c'è nessun cliente...» ammise finalmente e fu con un ringhio quasi animalesco che il ragazzo si scagliò contro il comodino ingombro al lato del letto lanciandolo contro la parete, con forza, ammaccandone un lato che finì penzoloni. Si avvicinò alla bionda sollevando le mani contro il suo viso, la sua furia era cieca, l’avrebbe nuovamente presa per il collo strangolandola fino a farle esalare l’ultimo respiro ma solo all’ultimo richiuse la mano a pugno girandosi di scatto per sfogarlo contro la parete. «CAZZO» urlò. Sia per il dolore improvviso alle nocche, ora arrossate ed all’altezza del medio persino lacerate che per la rabbia che aveva bisogno di trovare una via di sfogo. Continuò ad imprecare e bestemmiare sottovoce tra sé prima di poggiare la base della schiena al letto perfettamente ripiegato, in ordine. Affondò le dita nei capelli scuri mentre la mente rifletteva febbrile. Doveva andarsene, allontanarsi di lì e riuscire a sfuggire alle grinfie del Métis patriarca. Doveva impedire che sua madre venisse a conoscenza di quanto successo e soprattutto che non stipulasse accordi o alleanze a suo nome, se lo avesse fatto sarebbe rimasto incastrato in quella situazione come in un vicolo cieco, allora si che non avrebbe avuto alternative se non la morte. Drastico, rigido, ma Axel non avrebbe dato eredi a suo nome, non avrebbe incasinato la vita di un bambino con la sua maledetta maledizione né si riteneva degno d’essere amato. Non conosceva l’affetto, non conosceva gentilezza, conosceva solo l’obbedienza, il dovere e la sofferenza, ogni tipo di sofferenza.
    Skylee non sembrava conscia della portata del casino in cui li aveva gettati ed Axel nella sua mente non vedeva fughe soprattutto a causa del divampante odio nei riguardi della bionda. Lei non sapeva e non avrebbe nemmeno potuto immaginare così si celava dietro la sua figura, ignorava semplicemente quale fosse il suo passato, la sua era stata una bugia bianca in buona fede, qualcosa per sollevarsi dall’impiccio di quell’incombenza rendendola più piacevole. Magari aveva semplicemente pensato di cambiare l’ambientazione dei loro incontri e con Axel al suo fianco avrebbe scoraggiato la fila di pretendenti che lo avrebbero incasellato come suo fidanzato. Appunto lei non sapeva. Non sapeva che i Dragonov provenivano da un’antica stirpe di domatori di draghi affiliati al mondo oscuro. Suo padre era stato un mangiamorte e suo nonno prima di lui persino ai tempi di Tu-Sai-Chi aiutandolo nella sua prima ascesa al potere.
    «Tranquillo, presto questo sarà solo un orribile ricordo. Ti tirerò subito fuori da qui» sollevò di scatto il capo mentre una folle risata gli deformava i lineamenti del viso. Lei li avrebbe tirati fuori, pazza! «Voglio proprio vedere come farai a farlo» sfiatò sprezzante poggiando gli avambracci sulle ginocchia. Da quella posizione studiava la Corvonero dal basso verso l’alto, la sua esile figura avvolta negli strati blu dell'enorme e vaporoso vestito lo sovrastava con austerità, bellissima nonostante i riccioli scomposti che sfuggivano all’acconciatura e le righe delle lacrime scese per la frustrazione. Gli poggiò un dito sull’ampio pettorale scandendo con disprezzo parole dettate dalla furia, Axel le afferrò il polso bloccandole il movimento puntellante contro la sua carne ma non replicò alle sue parole. La fissò gelido, cercando di mantenere salda la presa sui suoi nervi mentre le stringeva il polso incapace di trattenere la portata della sua forza; nei suoi occhi leggeva che stava dicendo il vero, non gli stava mentendo e lei non sapeva realmente chi lui fosse e tantomeno aveva tramato alle sue spalle. Rimase immobile, bloccato dalla sua reazione, dalle lacrime che copiose adesso solcavano le guance pallide della Corvonero. Aveva sbagliato, aveva sovra-reagito giungendo immediatamente alle conclusioni errate ma era troppo orgoglioso adesso per chiederle perdono e non lo avrebbe fatto rancoroso com'era. Rimase in silenzio, le labbra strette mentre i suoi occhi verdi puntavano senza il minimo cenno di vergogna il viso della ragazza. «In Bulgaria la mia famiglia ha un alto titolo nobiliare, di prestigio, siamo domatori di draghi... sono l’erede al titolo» le spiegò velocemente con estrema fatica come tutte le volte in cui doveva parlare di sé omettendo però tutta la parte che lo legava al mondo dei mangiamorte. Ci sarebbe potuta arrivare da sola daltronde, se tanto gli dava tanto anche i Métis provenivano da quel lato della fazione. Se le due famiglie si conoscevano... due più due... Semplice, banale, lineare. «Tuo nonno vuole combinare un matrimonio tra le nostre famiglie», a fatica, estrema fatica Axel la stava ora mettendo a parte mantenedo il controllo sulle sue reazioni fisiche nel tentativo di non aggredirla e per farlo le lasciò andare il polso. Il suo tono era freddo, lapidario, mentre la furia cocente gli ribolliva nelle membra ma misurata e direzionata altrove questa volta. Odiava quella situazione e odiava Skylee per avercelo messo ma dovevano uscirne e per farlo avrebbero dovuto collaborare. Solo così avrebbero avuto una chance. «Credo sia in contatto con mia madre o lo farà a breve. Dobbiamo impedirlo. Se i due riescono a parlarsi game over, è finita. Ti è chiaro cosa voglia dire questo?» Matrimonio, ecco cosa voleva dire. Per lui ritorno in Bulgaria seguito dalla ragazza e presa in mano del ducato con Skylee al suo fianco. Avrebbe voluto dire continuare l’attività con i draghi e quello sarebbe stato anche il meno ma avrebbe voluto dire responsabilità, catene e una discendenza con la sua maledizione dalla donna meno sopportabile del creato. Le catene allora non si sarebbe più limitate alle notti di plenilunio. Al solo pensiero gli mancò il fiato. Non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico la sofferenza della trasformazione, nemmeno a Skylee di stargli al suo fianco in quei giorni. «Cosa facciamo?» Lì, era sua territorio. Conosceva meglio di lui Beliar, come ingannarlo e dissuaderlo o almeno da quel momento in poi dovevano decidere con attenzione misurata quali passi compiere. Il minimo passo falso sarebbe costato a entrambi.
     
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    Avrei voluto urlare contro Axel, dirgli che non poteva distruggere in quella maniera la stanza e che era un modo di reagire sciocco e infantile il suo. Sembrava uno di quei bambini che distruggono i propri giochi per ripicca verso la madre, che non ha comprato loro l'ultimo modellino di auto telecomandata richiesto, ma la verità era che io stessa avrei reagito nel medesimo modo e ciò significava che io per prima ero una bambina impulsiva e incapace di placare i propri istinti. Come avrei mai potuto redarguire un comportamento simile se io stessa reagivo ugualmente alle situazioni che scatenavano in me un forte senso di rabbia? Sarei stata un ipocrita e non volevo esserlo, non volevo auto affibbiarmi l'ennesimo difetto da aggiungere alla lunga lista già esistente. Fu per questo motivo che non gli dissi nulla nemmeno quando la sua mano sfiorò il mio viso, fermandosi solo a pochi centimetri da esso, prima di deviare con forza la propria corsa e scagliarsi duramente contro il muro. Poco prima che lo facesse ero quasi sicura di aver visto apparire sulla punta delle sue dita, al posto delle unghie, dei lunghi artigli, ma non appena la sua mano tornò a penzolare a mezz'aria, dopo aver indirizzato la sua forza altrove, non ve ne era più traccia e per prima iniziai a dubitare di quanto visto dai miei occhi. Non replicai, non sapevo cosa dirgli, almeno non fin quando le sue dure parole mi colpirono in pieno petto, scatenando in me una reazione similare alla sua di poco prima. Furiosa, impulsiva e violenta, ma solo nelle parole, perché era con quelle che ero abituata a ferire maggiormente le persone. Le parole erano sempre state il mio scudo, il muro che divideva la parte più fragile del mio carattere dalla cattiveria delle persone e dalle delusioni che essa portava con sé. Il mio modo di proteggermi e salvaguardarmi, perché sapevo quanto già precario fosse il mio equilibrio interiore, sapevo che anche solo una piccola goccia di troppo avrebbe fatto traboccare un vaso saturo ormai da troppo tempo. Lo sapevo ed era per questo che spesso tentdevo ad allontanare le persone da me, perché distanti, non avrebbero avuto abbastanza potere per ferirmi e farmi soffrire, ma ahimè ero un debole essere umano e come tale, talvolta sembravo come dimenticarlo e finivo per cadere inesorabilmente di nuovo in una tela di ragno troppo fitta e appiccicosa per potermici liberare senza alcun prezzo da pagare. La presa attorno al mio polso si sciolse e questa volta la vista non fu l'unico senso al quale dovetti dare atto di quanto scoperto. Era successo di nuovo e non vi erano più dubbi. Piccoli solchi appena accennati frastagliavano la mia pelle d'alabastro e istintivamente non potei fare a meno di cingerci attorno una mano per coprirli. Le piccole ferite facevano male e pulsavano, ma non ero certa che Axel me le avesse inflitte volontariamente. Ero a conoscenza ormai da tempo delle sue "condizioni", Christian di ritorno dal corso estivo non aveva potuto fare a meno di rivelarmi la natura e l'identità dei presenti, spiegandomi quanto alcuni non fossero molto propensi a parteciparvi, lui stesso compreso. Lo avevo duramente rimbeccato per ciò che si era lasciato sfuggire senza il consenso delle persone chiamate in causa, perché non era giusto rivelare i segreti di qualcuno in quel modo e per limitare i danni gli avevo fatto promettere che non ne avrebbe più dovuto fare parola con nessun'altro, anche se non potevo essere certa che tale richiesta fosse stata ascoltata e rispettata. Quel che sapevo era che io non avevo rivelato ad anima viva quanto appreso e non avevo sfruttato a mio vantaggio tali informazioni nemmeno per dare contro a quello scontroso e insopportabile individuo che ora mi ritrovavo difronte, che al tempo, durante le missioni estive, al contrario di me, non aveva mai perso occasione per tormentarmi in ogni modo possibile. Avrei potuto servirmi del suo segreto per controbattere agli incessanti insulti coloriti che il Bulgaro mi riservava, ma la verità era che non me la sentivo di essere così crudele da usufruire di un informazione tanto riservata quanto probabilmente pregna di dolore per quanto essa comportava a ogni sorgere di luna piena in lui. Sarebbe stato come pressare con forza un dito su un nervo scoperto e non potevo farlo, non quando anche io nascondevo segreti altrettanto dolorosi che qualcuno avrebbe potuto usare contro di me. «Mio nonno presto potrebbe non essere più un problema» Ammisi a denti stretti fissandolo con un ritrovato senso di fermezza. Nascosi entrambe le braccia dietro alla schiena e cercai di fare mente locale su quanto appreso. Axel era l'erede di una qualche potente famiglia Bulgara e come me sembrava star tentando in tutti i modi di evitare il destino che sembrava già essere stato scritto per lui. L'avevo combinata grossa e nessuna parola, nemmeno la più sincera e pentita sarebbe bastata a ottenere il suo perdono. Non lo meritavo e al posto suo non avrei sicuramente accolto col sorriso una situazione simile. «Mi è chiaro...» Come poteva non esserlo, dopotutto era lo scopo principale di quella vergognosa serata. Trovarmi un buon partito con il quale condividere la vita, nonché le reciproche ricchezze e il potere che entrambe le famiglie avrebbero trovato rafforzato in seguito a un matrimonio. «Dovrai fidarti di me ora...» Balbettai tendendogli davanti al viso il braccio opposto a quello che mi aveva stretto in precedenza. «Al momento non saprei come rimediare a quanto fatto, ma posso smaterializzarti nei pressi di Hogwarts se me lo permetterai. Me la vedrò io con la mia famiglia questa sera. Dirò loro che i discorsi di mio nonno ti hanno infastidito e che mi consideri troppo poco degna per legarti in matrimonio con me e che per queste ragioni hai preferito andartene. A questo ci crederanno, loro per primi non mi considerano ancora degna di un uomo "perbene" e non potranno farci nulla se sarai ormai distante dal castello» Tirai su col naso asciugandomi con il dorso della mano la guancia ancora umida, in seguito all'ennesima lacrima che mi era scesa andandomi a rigare il volto. «Ti farà guadagnare tempo e magari basterà a persuaderli di non contattare la tua famiglia, ma se così non fosse, tranquillo, troverò una soluzione alternativa» Già sapevo quale fosse l'unica soluzione alternativa e mi sarebbe bastato solo accettare la proposta di Ethan, per risolvere il problema alla radice, anche se ciò avrebbe comportato il venir meno al mio codice morale, vedendomi costretta a strappare la vita a persone che per quanto malvagie e crudeli, non avevo il diritto di uccidere, perché nessuno avrebbe dovuto avere il potere di decidere e imporsi sulla vita, o sulla morte, di qualcun'altro. «Prendimi la mano. Solo in compagnia di un membro della famiglia ci si può smaterializzare all'interno del castello...» Speravo lo facesse. Speravo che mettesse da parte il suo orgoglio e mi lasciasse risolvere il problema a modo mio, perché la realtà era che non vi erano altri modi per farlo. Scendere nuovamente assieme fino alla sala da ballo avrebbe significato la fine delle nostre possibilità, perché i miei parenti si sarebbero certamente avventati nuovamente su di lui e non ci avrebbero lasciato possibilità di scelta. Non potevano lasciarsi sfuggire un così buon partito caduto giusto giusto dal cielo e che sembrava essere stato portato lì apposta per realizzare i loro più bramosi desideri di fama e potere.
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    Axel
    Lo sguardo del mannaro era perso in uno dei ricami del vestito mentre freddamente tentava di rimettere in riga i pensieri nel tentativo di riuscire a ricavare un piano sufficiente a levare entrambi dall’impiccio. Più ragionava, più sembrava vicino ad una soluzione e più alla fine si ritrovava contro un vicolo cieco nel tentativo di anticipare le varie mosse. In tutte le sue previsioni sua madre Elèna, faceva capolino nella situazione mettendolo definitivamente nel sacco. Nella mente di Axel era visibile la donna – nei suoi ricordi i lineamenti del viso erano fermi all’ultima volta in cui si erano incontrati, dieci anni prima – con una penna in mano mentre firmava la documentazione di stipula degli accordi prematrimoniali ed intorno ai polsi il ragazzo sentiva il peso delle manette mentre un rivolo di sudore freddo gli scendeva lungo la schiena. «Che intendi dire?» Le chiese mentre un sopracciglio s’inarcava naturalmente all’affermazione della ragazza, come poteva Beliar uscire dai giochi così semplicemente, così presto? Skylee aveva forse qualche asso nella manica da potersi giocare contro il patriarca Métis? Non gli spiegò il motivo ma continuò con brevi risposte criptiche fino a porgergli il braccio di fronte al suo viso. Axel lo afferrò tirandosi in piedi e la sua espressione si aggrottò a mano a mano che la bionda Corvonero gli spiegava quello che era il piano da lei ideato. «Sei impazzita?» le ringhiò lasciandole andare immediatamente il braccio perché non pensasse di smaterializzarlo nuovamente senza il suo consenso. «Sai quali sono le implicazioni di una cosa del genere? Tuo nonno a quest’ora si starà vantando con tutta la sala della nostra unione! Andarmene via corrisponderebbe a ripudiarti Gli occhi verdi del bulgaro dardeggiavano alla luce fioca delle fiaccole della stanza. Per quanto in quel momento fosse su tutte le furie con la bionda ed il suo primo pensiero sarebbe stato quello di mollarla lì e fondamentalmente “cazzi suoi” su come risolvere la situazione era anche vero che non poteva permetterglielo. Sarebbe stata cruciata, se non di peggio. Forse persino ripudiata come una reietta dalla sua stessa famiglia e porca puttana Axel non poteva pensare di avere sulla coscienza il suo destino sapendola in mezzo ad una strada, anche se per il novantotto percento del suo tempo era una stronza petulante viziata c’era stato un due percento – esattamente pochi giorni prima – in cui la ragazza si era fatta in quattro affinché lui non vivesse un compleanno di merda nonostante il suo passato. Era stata dolce, era stata comprensiva e soprattutto c’era stata. Era stata presente rifiutandosi di lasciarlo chiuso nella sua bolla di malumore cercando di portargli serenità in un giorno altrimenti da dimenticare come lo era da dodici anni a questa parte. «Porca puttana!» Inveì dandole le spalle per passarsi le mani nei capelli bruni, doveva esserci un altro modo. «No» fece poi categorico voltandosi, quella non era una soluzione nemmeno lontanamente da prendersi in considerazione. «Faremo così. Adesso scenderemo da basso e tu ti comporterai da perfetta fidanzata barra futura moglie esattamente come quei coglioni si aspettano. Ballerai e quanto è vero iddio lo farai senza pestarmi i piedi persino a costo di tenerti in braccio e poi... io parlerò con Beliar. Prenderò tempo e stipulerò un accordo come si deve. Qualcosa che ci faccia guadagnare tempo almeno fino al mio diploma» lui aveva almeno altri due anni di studi ed in due anni contava di riuscire a trovare un escamotage una volta messo al corrente Ethan della faccenda. Ethan, certo, lui avrebbe saputo cosa fare e come tirarli fuori da quel cazzo di casino. «Progetta. Il suo cervello programma cose. Tu no, tu agisci.» Eccola qui la tua nipotina progettatrice, ah? Bella merda non è vero?
    «Okay andiamo» la afferrò per il gomito e di peso, ignorando completamente quelle che potevano essere le sue rimostranze, la guidò fuori dalla stanza stampandosi un sorriso cordiale quanto perfettamente falso sul viso. La guardia fuori dalla stanza lì guardò stupito ed Axel gli scoccò un occhiolino complice mentre sistemava dietro l’orecchio della biondina un ricciolo sfuggito dall’acconciatura leggermente selvaggia. Era facile fraintendere cosa poteva essere successo in quella stanza ed Axel avrebbe fatto di tutto per mantenere quell'illusione che avrebbe salvato la pelle di entrambi, si chinò all’orecchio quasi baciandoglielo, ma la realtà fu invece un sibilo autoritario, «prova a smaterializzarti e la cruciatus sarà la cosa più leggerà che ti farò. Ricorda chi comanda in missione, adesso obbedisci da brava e fingi un bel sorriso per il pubblico», che stonava contro la sua espressione amorevole e la mano delicata con cui le stava carezzando il viso quasi fosse la perla più rara degli oceani. Istintivamente prese le scale e spinse innanzi Skylee guardandosi alle spalle poiché guidasse entrambi nuovamente verso la sala principale. «Forza forza forza» la spronò a scendere più rapidamente gli scalini della torre salvo poi passare davanti ad entrambi per schiacciarla con il suo corpo contro la parete facendole da scudo con sé stesso a coprirla da alcuni nobili che girovagavano incuranti di due giovani intenti a sbacciucchiarsi in un angolo appartato. Axel la afferrò per il polso continuando a trascinarsela dietro fino a che non irruppero finalmente nella sala dove la musica allegra dell’orchestra li investì.
    «Ed eccoli qui! I futuri sposi!» Beliar spalancò le braccia in direzione dei ragazzi ed Axel replicò stringendo un braccio intorno alla vita della biondina. «Avanti sorridi» le sibilò chinandosi lateralmente ma senza perdere di un solo millimetro il sorriso scintillante che gli illuminava i lineamenti. «I miei ragazzi! Venite, venite... c’è quacuno che vuole vedervi!» Beliar mise in mano ai due giovani un calice ciascuno e gli fece largo verso l'ospite citato...
     
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    «Non sono impazzita, questo è l'unico modo per uscirne pulito...» Lo guardai con espressione seriosa nel tentativo di fargli recepire il concetto. Non c'erano altri scenari che lo vedevano andarsene via da quel castello senza ulteriori problemi. Zero. Nessuno. Ogni possibile idea sfociava in detestabili costrizioni per entrambi, ma quell'idea, la mia idea, era l'unica che lo vedeva libero dal guaio in cui l'avevo cacciato. «Non sarebbe un tuo problema nel caso» Sibilai indurendo i miei delicati lineamenti in una smorfia criptica. Venir ripudiati era un grande classico nella nostra famiglia. Ethan era stato forse il membro più giovane di sempre a esser stato ripudiato, ma prima di lui molti altri avevano subito lo stesso destino e in un certo senso pure a mio padre era toccato il medesimo fato. Anche se nel suo caso era stato lui stesso a ripudiare la famiglia e il credo che ne conseguiva, scegliendo di percorrere una via più luminosa, all'insegna dell'amore e di tutto ciò che di buono c'era al mondo. Lo aveva fatto per mia madre, ma la sua decisione era stata punita duramente. Come prima conseguenza vi era stata la morte della stessa, in seguito ad avvelenamento e atroci sofferenze e dopo svariati anni era toccato pure a lui, che a differenza della sua amata, era stato giustiziato con la peggiore delle maledizioni senza perdono. Il fascio di luce verde era rimasto impresso nella mia mente, come il segno di un pennarello indelebile sulla carta e a volte sognavo ancora la sua espressione vuota e assente mentre cadeva a terra, solo a pochi metri da me. «Ora sei te quello impazzito! Questa è l'unica opzione che non ho preso in considerazione nemmeno per un secondo. Non puoi fare una cosa del genere! Non posso lasciartelo fare...» Tentai di protestare ricordando le sue parole di poco prima. "Preferirei morire piuttosto che dovermi sposare con te". Quel piano sarebbe stato perfetto per guadagnare tempo, era vero e lo sapevo, ma mai avrei potuto proporgli una cosa simile. Troppe incognite aleggiavano attorno a quel piano, troppi risvolti inaspettati potevano pararsi davanti a noi. Era vero, io, Ethan e Ian avevamo già un piano, che vedeva la dinastia dei Métis sopperire una volta per tutte, almeno nel modo in cui era stata conosciuta fino a quel momento, ma qualcosa sarebbe potuto sempre andare storto, il nostro piano si sarebbe potuto rivelare fallimentare e a quel punto niente e nessuno ci avrebbe potuto salvare da un contratto firmato dinnanzi alle nostre famiglie. Era troppo rischioso. «Cosa? Perché non mi ascolti? Non possiamo, noi non possiamo fare questo» Continuai a protestare nonostante l'ordine a parere di Axel, indiscutibile, che mi aveva appena dato. Era pazzo. Pazzo, sciocco e troppo ottimista. Seppure non lo avrei mai potuto credere capace di tanta positività. Sembrava quasi che la sua mente avesse ideato il piano più geniale di sempre, ma il corpo che continuava a tirarmi per un braccio verso la sala da ballo, ci stava in realtà conducendo soltanto al patibolo di tiro. Dove tiratori scelti avrebbero sfoderato l'artiglieria pesante, pur di creare gigantesche voragini in quella che appariva come una perfetta tela di ragno tessuta da mani esperte. «Tre anni, di loro che vuoi aspettare tre anni» Tentai di contrattare durante il breve percorso che ancora ci divideva dalla mia famiglia. «Io non farò pazzie, ma tu di loro che vuoi aspettare il mio diploma. Ci serve quanto più tempo possibile. Inventa che vuoi che la tua futura consorte sia adeguatamente istruita per poterti aiutare e sostenere al meglio. Per favore» Sussurrai al suo orecchio nel preciso istante in cui il suo volto sfiorò il mio. Avevo il respiro affannato, ero agitata. Sapevo già che tutto sarebbe andato storto. Eppure volevo fidarmi. Nella sua voce c'era una sicurezza tale che era in grado di affascinarmi, stregarmi e in fine convincermi che pure l'idea più utopistica di sempre potesse in realtà essere la nostra opportunità migliore. La fredda parete in pietra contro cui mi spinse il Serpeverde mi fece tornare lucida, mi ricordò quanti dettagli poco curati ci fossimo lasciati indietro. Non mi aveva dato il tempo di rimettere a posto quanto distrutto in camera mia e non avevo avuto nemmeno modo di rimarginare le lievi ferite sul mio braccio. Tutti particolari trascurabili, certo, ma che con le giuste circostanze avrebbero potuto rivelarsi fatali per la nostra tela di Penelope. «Ed eccoli qui! I futuri sposi!» Troppo tardi. Troppo tardi. Era successo tutto dannatamente in fretta e non mi sentivo mai tranquilla quando ciò accadeva. Tutte quelle incognite, tutti quei possibili scenari, tutte quelle interrogative. Il caos. Il nostro destino era dominato totalmente dal caos. «Avanti sorridi» L'ordine giunse alle mie orecchie come un promemoria. Sorridi. Sorridi e tutto andrà bene. Persino l'imminente incontro con l'ospite citato da mio nonno. Un largo sorriso fittizio si dipinse sulle mie chiare labbra, sembrava vero. Chi mai avrebbe potuto credere il contrario. Eppure quel sorriso celava in se così tanti segreti da terrorizzare persino me stessa. «Piacere di conoscerti Aradia, io sono Elena» Le mie dita si strinsero attorno al calice che tenevo in mano e lo stesso fecero quelle di Axel, attorno alla mia vita, causandomi una fitta di dolore improvvisa che a stento riuscii a nascondere. «P-piacere mio...» Risposi confusa facendo saettare il mio sguardo verso quello inaspettatamente pietrificato del ragazzo. Sembrava quasi avesse appena scorto un fantasma dinnanzi a lui. «Nikolai. Figlio mio» Figlio mio? Quasi mi soffocai col piccolo sorso di vino che mi ero concessa. Merda. «Sono così felice che tu abbia trovato una così brava e talentuosa ragazza» Disse la donna dalla bellezza disarmate difronte a noi. Quella donna. Quella bellissima e giovane donna era sua madre. Sua madre. Merlino maledica il momento in cui avevo deciso di dare ascolto a quella stupida serpe, assecondando il suo altrettanto stupido piano. «Certo avrei preferito saperlo direttamente da te, Nikolai. Invece che farmi recapitare la felice nuova da questi vecchi e buoni amici di lunga data» Sorrise amorevolmente alla volta dei miei nonni. «Oh Elena, sai bene come sono fatti i giovani d'oggi. Amano avere i propri segreti. Pure noi, come già sai, siamo venuti a conoscenza di questa loro meravigliosa frequentazione soltanto ora» La rassicurò mia nonna col suo tono cantilenoso. «L'importante è che adesso siamo tutti qui assieme per rallegrarci della notizia»
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    Esclamò Beliar allargando le braccia e riservando una sonora pacca sulla spalla del Bulgaro. Scemo. Scemo. Scemo. Se solo Axel avesse potuto leggermi nel pensiero ci avrebbe sentito ciò, seguito da un severo "te lo avevo detto" pregno di disappunto. I miei familiari non avevano perso tempo ed erano corsi a informare di quanto appreso niente popo di meno che sua madre. Ci eravamo assentati solo per una ventina di minuti scarsi, nemmeno credevo fosse possibile prepararsi in modo impeccabile, come evidentemente era riuscita a fare quella donna, in soli venti minuti. Eppure ci era riuscita e ora era lì. A pochi passi da noi. «Tesoro che hai fatto al braccio?» Mi domandò con voce premurosa la donna, che a quanto pareva era riuscita a scorgere le piccole ferite che tentavo di nascondere dietro alla schiena. «Oh, hum, queste?» Indicai con un delicato cenno del capo il mio braccio. «No-non sono nulla, ecco vede...» «Ti prego dammi del tu» Deglutii a fatica. «Vedi...» Continuai con tono incerto. «Quando sono agitata tendo a pizzicarmi la pelle con un po' troppo vigore e questa sera è innegabile che io sia agitata, per cui...» Feci spallucce e tentai di giustificare i segni sulla carne apparendo sincera. «Lascia che ci pensi io. Una così luminosa fanciulla non dovrebbe provare mai nemmeno il più lieve dei dolori. Avresti dovuto curarla tu, Nikolai. Questo è uno dei doveri a cui un bravo marito dovrebbe sempre adempiere» Rimbeccò il figlio dopo aver estratto la bacchetta e aver castato sul mio braccio un silenzioso incantesimo, che rimarginò all'istante quelle sottili ferite superficiali. «Grazie» Bonficchiai a capo chino stringendomi nelle spalle. Esternamente sembravo sinceramente grata, ma internamente mi stavo disgustando per quanto sentenziato dalla donna. Perché mai avrebbe dovuto provvedere un ipotetico marito alle ferite della propria consorte? Noi donne non eravamo forse in grado di provvedere noi stesse alla nostra salute? Pff. Stronzate. Stronzate belle e buone. Non avevo certo bisogno di un uomo per curarmi una stupida ferita. No signore. «Quando avremo l'onore di festeggiare questa magnifica coppia?» Domandò la giovane donna intrecciando il suo severo sguardo prima con quello di mio nonno e poi con quello del figlio, il reale destinatario di tale domanda.
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    Axel
    «Okay, tre» sentenziò in un sibilo ben nascosto dal suo sorriso strattonandola di poco affinché la ragazza capisse che non era quello il momento di eventuali trattative e che per una sola dannatissima volta si decidesse a stare zitta, limitandosi a mantenere l’aspetto da bella bambolina d'accompagnamento che possedeva mentre Beliar andava loro incontro con i due calici ben alti oltre le sue spalle. Inclinò il capo verso la ragazza voltandola di peso verso di sé ed i suoi occhi scintillarono di furia nell’istante in cui incontrarono i suoi, di diverso colore, denotando le labbra ancora tirate che manifestavano tutta la sua preoccupazione. “Sorridi porca puttana”, non sarebbe servito un Legilimens per leggere esattamente cosa lo sguardo del lupo le stesse intimando di fare e fu con un nuovo scossone che la roteò nuovamente per andare incontro al vecchio con entusiasmo. «Ci cercavate?» Domandò senza dover fingere l’espressione ignara. Potevano essersi assentati non più di mezz’ora, cosa c’era di così impellente adesso? Prese il calice continuando a mantenere la placida espressione ignara e pensò bene, dopo qualche istante, di portarsene un sorso a bagnare le labbra. Avrebbe preferito del rhum o un qualsiasi liquore ben più forte a dargli la vana convinzione di schiarirgli in qualche modo le idee, qualcosa che gli infondesse coraggio e soprattutto mantenesse quell’aria di presuntuosa arroganza con cui stava affrontando la situazione quando in realtà, dentro di sé, regnava il caos più totale. Il sorriso del mannaro si stirò alle parole del patriarca Métis e con fare affabile, nonostante la mano ben stretta a cingere il vitino della biondina, lo seguì in mezzo alla folla verso l’invitato misterioso che pareva non vedere l’ora di fare la loro conoscenza.
    «Piacere di conoscerti Aradia, io sono Elèna» Axel si pietrificò. Fortunatamente possedeva una presa salda e tale presa l’aveva allenata con costanza durante il corso dell’anno attraverso i serrati allenamenti di Quidditch studiati da quella palla al piede arrogante di Evans altrimenti il calice nel suo palmo sarebbe caduto sul pavimento infrangendosi in mille pezzi, ciò che rischiava, invece, era l’esatto opposto ma non fu sul vetro delicato che la sua presa si accanì bensì, gli artigli fuoriusciti istintivamente penetrarono l’abito blu notte della ragazza che con un mugugno si agitò al suo fianco svegliandolo immediatamente da quello stato di torpore. «Nikolai. Figlio mio» lo sguardo del ragazzo s’incatenò a quello della madre e passarono lunghi istanti di silenzio prima che riuscisse a proferire parola. «Madre» fece lapidario, l’espressione seria a cui solo ad un attento osservatore non sarebbe sfuggito il luccichio animale che ne animava lo sguardo. Era lo sguardo di una fiera a stento placata e contenuta. «Sono così felice che tu abbia trovato una così brava e talentuosa ragazza» le labbra del bulgaro ebbero un fremito, solo lei poteva esserci dietro a tutta quella storia e non si sarebbe stupito di scoprire che dietro a tutta quelle macchinazioni, a quei ragazzi noiosi e sbagliati ci fosse stata sempre lei. Lei che non vedeva l’ora di riprendere il prestigio, di navigare nuovamente nello sfarzo e sotto la protezione del duca cosa di cui adesso non poteva affatto godere impegnata com’era a tenersi a stento a galla per quanto ne potesse sapere. «È una... cosa... recente» sputò a fatica, le parole che a stento uscivano dalla sua gola impegnato a reprimere la bestia che dentro di sé impazzava. Gli artigli minacciavano di fuoriuscire in qualsiasi momento e la serata stava mettendo a dura prova i nervi del ragazzo oramai perennemente sul chi va là pronto ad esplodere da un momento all'altro. Il suo piano – fin troppo ottimista – era di parlare con il nonno di Skylee, strappargli la migliore possibilità di accordo e... sparire per sempre dalla sua vita? Cancellarla dalla propria esistenza tornandosene a Durmstrang o peggio, allontanandosi con l’aiuto di Ethan in qualsiasi parte di mondo dove nessuno avrebbe potuto trovarlo e costringerlo ma eccola lì, lì di fronte a sé la causa dei suoi problemi: Elèna che con fare teatralmente amichevole sfiorava il braccio della Corvonero e scoccava un’occhiata gelida al figlio. «Avresti dovuto curarla tu», bestia, la scoccata gli arrivò forte e chiara in pieno petto e la sua reazione istintiva fu di liberare dalla sua stretta la bionda evitando tuttavia di rispondere alla madre. Abbassò lo sguardo osservandosi distrattamente la punta delle dita le cui estremità erano puntellate di rosso. Si schiarì la gola pulendosele con nonchalance in un punto abbastanza remoto del pantalone, ben nascosto dalla giacca del completo. «Quando avremo l'onore di festeggiare...?» MAI, avrebbe voluto urlarle contro. Avrebbe voluto puntarle la bacchetta alla gola o meglio ancora il suo coltello, puntellarlo sulla carotide della donna, la giusta pressione ed un sottile filo di sangue si sarebbe in poco tempo trasformato in un fiume rosso impetuoso. La mano scivolò alla tasca toccando con una leggera ansia prima di ricordarsi la scomparsa della fidata lama. «Cazzo» il suo fu solo un sussurro che però Elèna, concentrata com’era su di lui, colse perfettamente: «come figliolo?» Il suo viso si reclinò vittorioso accanto al calice che dopo qualche attimo sollevò in un augurio ai futuri sposi. «Volevo proprio» si schiarì ancora la gola, «parlartene Beliar. Definire quelli che... saranno i termini» l’uomo agitò di tutta risposta una mano di fronte loro. «È tutto deciso ragazzo, tutto deciso!» Esclamò sollevando il bicchiere e portandolo a tintinnare con enfasi contro quello del mannaro. Entrambi i giovani restarono di sasso ed un rivolo di sudore scese lungo la schiena del bulgaro. Rifletti, respira e contieni la bestia. Contienila. «Ho pensato a tutto io, tesoro», esattamente quello a cui puntava. «Devo dissentire Beliar» con gesto deciso si appuntò meglio la giacca, le dita scivolarono sulla catenella dorata che ornava il capo d’abbigliamento. Un catena, una condanna, esattamente come la spada di Damocle che pendeva minacciosa sulle loro teste per l’azzardo che stava per compiere, pronta a mozzare. «In quanto duca del distretto di Burgas è con me che vanno stipulati gli accordi, ogni singola decisione in quando possessore del titolo» sollevò la mano al cui dito scintillò l’anello di famiglia, i dragoni incastonati parevano essere sul punto di sputare fiamme. «Ma caro!» «No madre, come avete detto è... un mio dovere in quanto futuro marito ed è una mia responsabilità nei confronti del distretto. Beliar... vogliamo... procedere?» L’uomo era rimasto in silenzio in quel breve scambio, così come alla fine lo era stata anche sua madre costretta a piegarsi alla figura autoritaria del figlio che prendeva finalmente in mano le redini della famiglia. «Non si può dire che il ragazzo non abbia fegato... Lo hai educato bene Nadejda. Molto bene, andiamo nel mio studio, lì ci sarà più calma» Axel annuì e si voltò verso Skylee, le posò una mano sulla guancia carezzandogliela con dolcezza, con la cura che si metteva ad un oggetto delicato. «Vi lascio con mia madre, siete in buone mani» un leggero sorriso sghembo dei suoi e la lasciò sola con la donna. La farsa doveva andare avanti, i loro parenti dovevano pensarli innamorati e così avrebbe fatto, così avrebbe contrattato fingendosi apprensivo e preoccupato più del dovuto dell'istruzione della biondina ma nell'occhiata con cui si era congedato sperava di averle comunicato tutto. Sperava che davvero la Corvonero fosse acuta come era stata dipinta e avesse capito il messaggio celato nei suoi occhi: “non fare stronzate.
     
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    La fitta di dolore si fece lievemente meno intensa, Axel aveva allentato la presa e dopo aver spostato la mano dalla mia sottile vita, si era ripulito la punta delle dita in un punto del suo abito ben nascosto alla vista degli altri presenti. Sapevo che ciò da cui si era ripulito era il mio sangue, avevo percepito chiaramente l'esatto momento in cui i suoi artigli avevano perforato leggermente la mia carne, facendomi provare quella fitta intensa che aveva avuto fine solo pochi attimi prima. Cercai di rimanere calma e impassibile, non potevo dare segni di incertezza o sofferenza, non avevo idea di cosa gli stesse succedendo e del perché in lui si stesse continuando a innescare una sorta di trasformazione parziale. Non ero a conoscenza della sua reale natura, avevo stoppato Christian prima che potesse rivelarmela, quando entusiasta aveva iniziato a spifferarmi i dettagli del corso estivo, per cui non potevo sapere se in Axel si celasse un Mannaro o un Lycan, anche se quella sorta di trasformazione priva di una tondeggiante luna piena nel cielo, sembrava rispondere alla mie domande. Non sapevo nemmeno da quanto tempo convivesse con una tale maledizione, o se ci fosse addirittura nato, manifestandola solo in età adolescenziale come capitava ai più, Christian compreso. Con lui era stato difficile all'inizio, non sapeva minimamente controllarsi e quando qualcosa scattava in lui si trasformava del tutto, mostrando la forma animale nella sua interezza, non era mai capitato che solo parti del suo corpo mutassero, per cui non sapevo minimamente cosa fare per aiutare il Bulgaro, se non tentare di placare il suo animo evidentemente impazzito. Subito dopo che sua madre mi ebbe curato le ferite con un deciso colpo di bacchetta, posai delicatamente le mie mani attorno al suo avambraccio e lo strinsi appena. Non ero certa che tale gesto potesse seriamemente aiutarlo e anzi, forse visto il pasticcio in cui lo avevo cacciato avrebbe sortito l'effetto opposto, ma il mio era un sincero tentativo di aiutarlo, calmarlo e se possibile farlo tornare totalmente in sé, per evitare altri spiacevoli inconvenienti. Le parole di mio nonno mi lasciarono di stucco, sul mio viso si dipinse un'espressione di sorpresa mista a panico interiore. Cosa diamine significava che era stato già tutto deciso? Le nostre possibilità di vittoria si erano appena azzerate? Non mi capacitavo della velocità con la quale quella donna fosse riuscita a fare tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento. In una sola mezz'ora era riuscita a prepararsi, arrivare al castello, conversare con i miei famigliari e in fine stipulare un contratto prematrimoniale e il tutto senza nemmeno degnare suo figlio di una reale e sentita parola affettuosa, perché tutto ciò che gli aveva detto con tanto di sorriso smagliante in viso, altro non era che critiche e frecciatine non troppo velate. Le nostre famiglie sembravano essere fatte della stessa identica pasta, entrambe manipolatorie e senza scrupoli, entrambe troppo concentrate sulla loro vita per fermarsi a chiedere cosa volessimo noi. Mi dispiaceva averlo costretto a subire ciò che stava accadendo e mai avrei potuto ripagare il debito che mi stavo creando nei suoi confronti. Fortunatamente Axel sembrò riprendere le redini della conversazione e in un ritrovato senso di sicurezza ed estrema autorità, che non mi lasciò affatto indifferente e che per un breve istante mi fece brillare gli occhi per l'ammirazione che provavo sempre più verso di lui, si impose sulla madre e comunicò la sua intenzione nel voler stipulare lui stesso l'accordo. La presa che avevo sul suo braccio si fece sempre meno stretta, finendo poi per lasciarlo del tutto, quando mio nonno lo invitò a seguirlo nel suo studio. Le dita di Axel sul mio volto mi fecero sussultare, ero preoccupata e intimorita per quanto sarebbe potuto accadere da quel momento in poi e fu con un delicato gesto della mano che sfiorai le sue dita e gli comunicai silenziosamente che non avrei fatto nulla di stupido, non ora che forse avevamo nuovamente qualche Chance di vittoria. I due uomini si dileguarono e ci lasciarono libere di conversare amabilmente fra di noi da brave donzelle, anche dette soprammobili che smettevano di esistere non appena il proprio uomo si allontanava da loro. Da quel momento fino al ritorno dello stesso, dalle loro labbra sarebbero potute fuoriuscire soltanto frivolezze e si sarebbero limitate a spettegolare fra loro. Esattamente ciò che avevo sempre ambito dalla vita, essere un'ombra, un bell'accessorio da indossare con orgoglio alle feste e un grembo vuoto pronto ad accogliere quello che sarebbe stato il futuro erede della famiglia, sempre a patto che fosse maschio, altrimenti alla nuova nata sarebbe toccato solo il medesimo destino. Faceva schifo nascere in famiglie tanto retrograde da imporre il proprio volere su tutto, faceva schifo aver conosciuto una realtà diversa da quella, ma ormai troppo lontana da ciò che era la mia nuova quotidianità e faceva ancora più schifo non vedere attorno a sé nessuna via di fuga. Avrei voluto che davanti ai miei occhi si accendesse uno di quei neon babbani che indicavano l'uscita d'emergenza, sarebbe stato estremamente comodo in quel momento, ma la serata prevedeva ben altro per me. «Ti dispiacerebbe se ti rubassi per qualche minuto questa graziosa fanciulla? Mi farebbe piacere parlare un po' da sola con lei» Domandò improvvisamente la donna con tono disteso e rilassato. «Figurati, nessun problema, dopotutto questi ospiti non si intrattengono mica da soli» Esclamò mia nonna con tono altrettanto pacato, senza mancare di riservarmi uno sguardo severo, prima che la madre di Axel potesse prendermi sottobraccio e iniziare a passeggiare per la sala. «Sai, mi domandavo da quanto vi frequentaste tu e mio figlio...» Domandò la donna senza girarci troppo attorno. Non mi fidavo di lei, la reazione che Axel aveva avuto nel vederla mi aveva non poco stranito, facendo nascere in me forti dubbi sui loro reali rapporti. Elena sembrava essere estremamente rilassata nel rapportarsi col figlio, come fosse la cosa più naturale del mondo, ma al contrario, l'imperturbabile e sicuro di sé Axel, sembrava essersi come disintegrato sul posto alla sua vista e ciò era strano, molto strano. Per di più non lo avevo mai sentito parlare della sua famiglia, tanto da averlo sempre visto come il figlioccio di Ethan, che sapevo tenersi ben lontano dalla società magica, se non per concludere i suoi cospicui affari. «Non da molto in realtà, suo... tuo... figlio diceva il vero. Anzi, in tutta onestà all'inizio non ci stavamo nemmeno troppo simpatici» Buttai nel discorso un pizzico di verità per risultare più realistica e convincente. Dovevo mantenere alta la guardia. Mentivo da così tanto tempo che non mi era difficile individuare chi si fingeva diverso da quanto non fosse in realtà e lei lo stava di certo facendo. Non sapevo su cosa o perché mentisse, ma la reazione del Serpeverde era stata fin troppo rivelatoria per il mio attento sguardo e istinto. Dovevo stare motlo attenta. La donna piegò le labbra in un leggero sorriso all'udire del mio breve racconto e di tutto rimando feci lo stesso, prima di rivolgerle a mia volta qualche domanda. «Deve essere stato strano avere improvvisamente il proprio figlio così lontano da casa, vero? Personalmente sono rimasta molto sorpresa nel vederlo restare a Hogwarts con l'inizio del nuovo anno scolastico» Domandai con tono falsamente innocente, in una verosimile curiosità per ciò che chiedevo. «Si è no, già durante i suoi anni di studi a Durmstrang mi ero abituata ad averlo lontano da casa, lì sono molto rigidi con le regole e difficilmente lasciano tornare a casa i ragazzi, se non durante le feste. Però hai ragione, non è mai facile per una madre stare lontana dal proprio figlio, ci si preoccupa troppo quando i propri ragazzi sono distanti, ma presto questo lo capirai pure tu» Eww. Aveva appena insinuato che io e suo figlio avremmo presto procreato? Ewww, no. Impossibile. Totalmente da escludere, mai nella vita avrei potuto dare alla luce un figlio con quello sclerotico e violento orso apatico. Mai. «L'erede dei Métis sarebbe tuo padre vero?» Domandò improvvisamente lasciandomi interdetta. Quanto a fondo conosceva la mia famiglia e le loro particolari tradizioni? Chiunque avrebbe creduto che il legittimo erede sarebbe dovuto essere Klaus, il fratello maggiore dei quattro, ma le usanze dei Métis prevedevano altro. Il testimone di capo della famiglia sarebbe passato al membro seguente che avrebbe manifestato un legame con un qualche elemento e sì, se mio padre non fosse morto il futuro capo famiglia sarebbe stato lui, per questo Ethan aveva tentato più volte di ucciderlo, per gelosia ed era per quel motivo che era stato allontanato dalla famiglia. Damian era troppo prezioso per rischiare di mettere nuovamente a repentaglio la sua vita, anche se l'ironico destino aveva deciso che alla fine sarebbero stati proprio i genitori che tenevano tanto a lui, ad ucciderlo.
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