I’m not sorry

▸ Bretagna, Sky

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    Il sangue sembrava come espandersi lungo tutta la superficie del pavimento, non c'era più nulla da fare, nulla che potesse salvare il Norvegese dal destino che gli avevo imposto. La parte razionale del mio cervello lo capiva, lo sapeva, ma quella emotiva... lei no, lei non si poteva permettere di non tentare pure l'impossibile pur di riuscire a riparare a ciò che avevo fatto. Non era la prima volta che le mie emozioni fuoriuscivano così violentemente da me, ma mai avevano osato tanto. Mai avevano colpito a morte una persona portandola via dai suoi cari, dai suoi amati. Persino Einar doveva avere dei parenti da qualche parte nel mondo e io glielo avevo appena portato via per sempre. Non ero migliore della mia famiglia, non più almeno, come loro avevo strappato una vita e come loro me ne ero totalmente fregata delle persone innocenti ed estranee a quella faccenda alle quali avevo strappato un famigliare. Benvenuta in famiglia tesoro. Ora sì che ero ufficialmente una di loro. Una schifosissima Métis.《Métis》Odiavo quel cognome, eppure sentirlo pronunciare per la prima volta con dolcezza da qualcuno mi stranì e mi fece alzare il capo verso la fonte della voce. «I-i-io...» Non sapevo cosa dirgli. Axel era come ricomparso dal nulla e fissava con sguardo scioccato e sopracciglia agrottate ciò che tentavo di nascondere col mio esile corpo in preda ai tremiti. «I-i-io n-non io... non volevo, n-non volevo i-io...» Ero in preda alla confusione, non sapevo ciò che dicevo, facevo e nemmeno ciò che pensavo. Ero in preda alla scia di caos che le mie emozioni avevano scaturito.《Skylee》 Un nome diverso da quello con il quale era solito chiamarmi, un tono che mai gli era appartenuto e una scintilla negli occhi che cercava in tutti i modi di trasmettermi tranquillità. Era tutto inutile. Non mi sarei mai più potuta sentire tranquilla, non mi sarei mai più potuta guardare allo specchio e non sarei stata in grado di perdonarmi. Non potevo, non volevo. Non era giusto dopo ciò che avevo fatto. 《Skylee...》Sentii ancora una volta chiamare il mio nome, ma era come se alle mie orecchie giungesse solo un suono ovattato. Forti braccia che non ammettevano resistenza da parte di nessuno mi staccarono dal corpo del Norvegese e mi costrinsero ad affondare il viso ancira rigato di lacrime sul ampio petto del Serpeverde. Le lacrime uscirono ancora più violentemente dai miei occhi e istintivamente mi strinsi a lui in cerca di un qualcosa che non avrei potuto esprimere a parole. Non sapevo di cosa avessi bisogno, ma sentivo che stretta fra le sue braccia potevo quasi dimenticare per un istante ciò che c'era attorno a me. Lo scenario di morte e sofferenza che avevo attorno spariva se affondavo il viso contro il suo caldo petto pulsante, ma sapevo che era solamente una sensazione effimera. Uno stupefacente in grado di sballarti per un po' e farti dimenticare perché fossi ricorso a quella sostanza, ma che non appena l'effetto finiva ti faceva sentire peggio di quanto non stessi in partenza. 《Non. È. Colpa. Tua.》 Dio, quanto avrei voluto credergli, convincermi che fosse realmente così, ma nemmeno i suoi occhi color smeraldo così vicini a me erano in grado di farmi credere a una falsità del genere. «I-invece lo è...» Sussurrai con un filo quasi impercettibile di voce, mentre con decisione il Bulgaro tentava di rimettermi in piedi e portarmi via da quello spettacolo di morte. «N-no, n-non possiamo andare via, n-non possiamo lasciarlo qui, n-no...» Tentai di ribattere con tono quasi maniacale, mentre senza lasciarmi via di fuga Axel mi stringeva al suo fianco e mi allontanava prima dal corpo inerte e poi dalla casa che lentamente cominciava a collassare su sé stessa per mano delle lingue di fuoco che la circondavano. Una mano si posò delicata sulla mia guancia e voltò il mio viso per farmi perdere il contatto visivo che avevo puntato sulla casa in fiamme, un tocco leggero, veloce e in un istante ci ritrovammo lontani centinaia di chilometri da quel luogo orribile. Sentii le gambe cedermi e mi ritrovai aggrappata al tessuto della giacca del Bulgaro, mentre sotto il peso del mio corpo privato della sua forza si chinava con me verso il pavimento. Ci ritrovammo a terra e con occhi sgranati e spaventati mi guardai attorno per capire dove fossimo e se qualcuno mi avesse potuto vedere in quello stato. Riconobbi subito l'arredo del laboratorio di Ethan e solo quando capii che eravamo da soli mi voltai verso il ragazzo seduto sommariamente a poci centimetri da me e cercai con espressione persa il suo sguardo. «N-non volevo, Axel, i-io... c-ome, c-osa devo fare? D-devo rimediare, i-io non, non posso vivere c-con questo peso s-sulla coscienza, c-come si fa? C-come si fa?» Gli domandai disperata con i tratti del viso tirati come mai prima di quel momento in un espressione stralunata. «I-io s-sono come loro, sono come loro!» Esclamai atterrita stringendo così forte le mie labbra fra i denti da provocarmi piccoli tagli su tutta la superficie. Il sapore metallico del sangue iniziò a diffondersi all'interno della mia bocca, ma non mi importava. «S-sono come loro» Continuai con tono isterico, mentre con una mano tentavo di rimuovere il sangue dai miei vestiti per cancellare ciò che avevo fatto e rimuovere i miei peccati prima che loro potessero stamparsi a fuoco sulla mia carne. «Sono una Métis» Ed era orribile avere la consapevolezza che ciò che dicevo corrispondeva al vero. Quello che portavo non era un cognome, ma una maledizione. Un destino macchiato dal sangue di altre persone atto a distruggere ogni cosa attorno a noi pur di prevalere sugli altri. Una macchia indelebile dell'anima. Questo erano i Métis. Una macchia di odio e crudeltà che sporcava il mondo. «S-sono come loro, sono un mostro...» Ammisi in lacrime tentando nuovamente di liberarmi del sangue che macchiava ancora i miei abiti, ma improvvisamente sotto la pressione delle mie mani un leggero strato di ghiaccio irrigidì i miei vestiti. «No. No. No. Smettila. Smettila» Mi rimproverai da sola martoriandomi una mano con l'altra per farla smettere, ma più ci provavo e più continuavo a gelare il tessuto dei miei vestiti e il mio stesso corpo. Ero un fiume in piena e come tale non ero più in grado di controllarmi.
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    Axel
    Non l’ascoltava. Skylee giaceva riversa sul corpo senza vita del norreno mentre fiotti di sangue si spandevano sul pavimento in una larga chiazza scura. Lei piangeva, il corpo esile scosso dai tremiti e dalla disperazione nei gesti con cui cercava di rianimare invano l’uomo. «Smettila, è morto» le disse lapidario afferrandola dalle spalle, strappandole di mano la bacchetta affinché smettesse di tentare di rianimare quel cadavere. Era un accanimento il suo ed il mannaro non riusciva a sopportare di vedere il corpo esanime sollevarsi di poco per poi stramazzare inerte sul pavimento allargando la pozza. Era uno spettacolo terrificante cui qualcuno doveva porre una fine e questo qualcuno poteva essere solo che lui.
    Si smaterializzò con la bionda stretta al suo fianco nel salotto adiacente il laboratorio e come toccarono il nuovo pavimento, le gambe di lei cedettero tirandosi inaspettatamente dietro il mannaro che arrestò meglio che poté la caduta. La cinse più stretta mentre lei si aggrappava al suo collo continuando a piangere, il viso affondato nella sua giacca sgualcita. Non sapeva cosa fare, non sapeva come fare per gestirla, per farla smettere di piangere. Al bulgaro non erano mai piaciute le lacrime, che fossero le sue o soprattutto quelle di qualcun altro; non era abituato e gli era sempre stato insegnato che solo i deboli piangevano così lui aveva smesso di farlo anni prima. Lui si arrabbiava, spaccava le cose quando sentiva montare la furia arrivando a sbucciarsi a sangue le nocche ma mai una lacrima sarebbe scesa sul suo viso. Nemmeno pensando al passato. Anzi, era stato proprio quel passato ingombrante ad insegnargli questo: la razione di mazzate di Ethan diventava doppia se osava fuoriuscirgli una lacrima, c’era voluto un po’ ma alla fine quelle lezioni erano servite a qualcosa. Ma questa non era una strada percorribile con Skylee. Axel non sapeva cosa fare, non sapeva minimamente da che parte cominciare per gestire la cosa, lui non poteva capirla. Lui non aveva attraversato ciò che la Corvonero stava provando in quel momento, per lui era stato diverso. Lui la sua prima vita l’aveva strappata nell’Altra forma. Si era svegliato e si era visto sporco di sangue inizialmente senza capire, senza sapere ed avere il minimo ricordo ma presto la consapevolezza di essere un assassino era arrivata ed Ethan non aveva mai fatto nulla per aiutarlo ad affrontare realmente gli aspetti legati al trauma psicologico. Il piccolo Axel era cresciuto vedendolo uccidere a sangue freddo, vedendolo privo di compassione, il ghigno sulle labbra mentre si prendeva la vita della sua vittima senza il minimo cenno di rimorso e così aveva imparato che quello fosse giusto, che quella, fosse l’unica reazione. Uccidi o sii ucciso, la dura legge della vita. Così aveva visto fare ad Ethan, così gli avevano inculcato profondamente poi a Durmstrang. «Hai fatto quello che dovevi Métis, niente di più e niente di meno» avrebbe voluto continuare facendole presente che se non lo avesse fatto lei, Einarr, non ci avrebbe pensato due volte a seccarla come probabilmente stava per fare se lei non lo avesse ghiacciato. «Tu o lui, non c’era scelta», ma lei stava già divagando. Aveva abbandonato la stretta sui lembi della giacca affondando le mani sporche tra i capelli chiari che si sporcarono di rosso.
    «Sono una Métis!» Strillò tirandosi i capelli e vedendo solo in quel momento quanto i suoi abiti fossero imbrattati di sangue. Cominciò a strofinarsi con foga tutto il corpo cercando di grattare lo sporco dalle maniche, dal petto, dal viso, ma l’unico risultato fu la sua pelle che s'infiammava. «Smettila cazzo!» Ma lei non lo ascoltava, era persa nella sua psicosi che la portava a ripetere con una nenia sinistra delle parole stridule: «sono come loro, sono come loro, sono come loro» ripeteva continuando a graffiare oramai a sangue il suo corpo. «Porca puttana» come doveva fare? Come poteva fare? Si era rotta per sempre? «Métis piantala, piantala cazzo» ma qualsiasi cosa lui dicesse non giungeva alle orecchie della Corvonero che dondolandosi continuava nella sua furia a martoriarsi. Le bolle sulla mancina erano scoppiate dallo sfregamento violento ed essudato misto a sangue le sporcava ulteriormente mani e unghie. Fu allora che si lasciò guidare dall’istinto e le afferrò la mano dominante mentre con l’altra la prendeva per il mento costringendola ad incontrare i suoi occhi smeraldo incredibilmente seri. Uccidi o sii ucciso. Uccidi o sii ucciso, questo doveva capire e basta. «La scelta era tra te e lui. Lui non avrebbe fatto diversamente. Preferivi farti uccidere?» Le lasciò andare il volto e la sua mano scattò a bloccare l’altra che le aveva lasciato libera che aveva preso a martoriare altre parti del corpo. «Lui non ti avrebbe risparmiata Métis, quindi smettila. Era una merda Einarr, non c’è un cazzo di cui piangersi addosso. Adesso ritorna in te che non serve a un cazzo fare così, chiaro!?» La fulminò inchiodandola con un’occhiata elettrica delle sue. «Adesso vatti a ripulire», il suo fu un ordine. Forse se avesse avuto qualcosa di concreto da fare si sarebbe data una calmata e sarebbe uscita da quella psicosi. Ripulendosi – aveva capito che la bionda aveva problemi con lo sporco – forse sarebbe tornata lucida. Le lasciò quindi andare i polsi indicando con un cenno del capo la direzione del bagno. Non vedeva l’ora di ripulirsi e togliersi di dosso quei vestiti – li avrebbe bruciati – lavando via il fallimento che avrebbe dovuto poi giustificare in qualche modo ad Ethan. Avevano salvato solo tre provette e lui era riuscito a sgraffignare solo un piccolo sacchetto di pelle prima di andare via.
     
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    Avevo sempre vantato una forte forza mentale, non mi ero mai lasciata piegare e spezzare da nulla, avevo sempre razionalizzato tutto ciò che mi accadeva ed ero sempre stata in grado di sviscerare quanto accaduto per poterlo superare al meglio, eppure ora la mia tanto vantata resistenza psichica mi aveva abbandonata. Mi aveva lasciato precipitare nel piu profondo dei burroni e non avevo la forza per uscirne da sola. Ciò che era successo, ciò che io stessa avevo fatto, mi aveva crepato dall'interno. Nell’esatto momento in cui avevo realizzato ciò che avevo accidentalmente fatto, mi era come parso che un pezzo della mia anima si fosse strappato dal mio corpo, per dilagnarsi in microscopici frammenti irrecuperabili. Non sapevo se ciò che avevo percepito fosse realmente ciò che succedeva quando si strappava una vita, ma la sensazione che avevo provato era indescrivibile, un atroce dolore così intenso e straziante che non avrei agurato mai a nessuno. «Sono sporca, mi sento sporca» Sussurravo fra me e me ripetendomi più volte e continuando a sfregarmi con così tanto vigore pelle e abiti, da procurarmi innumerevoli segni rossi sulla carne. Le mie unghie macchiate di sangue continuavano a martoriarmi il corpo, come se quella che mi stavo inconsapevolmente infliggendo fosse una punizione corporea che ero certa meritarmi. Non mi rendevo conto di quanto a fondo andassero le mie unghie, né di ciò che con tono severo tentava di farmi capire Axel. Te o lui. Te o lui. Tali parole continuavano a rimbombarmi in testa e più le udivo e più mi convincevo che ci sarebbe dovuta essere per forza una terza scelta. Il mondo non era tutto bianco o nero. Era avvolto da tantissime sfumature di grigi e tali sfumature raffiguravano le scelte. Le scelte che ognuno di noi avrebbe potuto intraprendere. Scelte difficili, talvolta più lunghe e tortuose di quanto non sembrassero quelle bianche e nere, eppure erano le sfumature che avevo sempre tentato di percorrere. Lo avevo fatto fino a quando quel giorno,fra i vicoli di Notturn Alley, per puro, purissimo caso, avevo riconosciuto Ethan e senza fermarmi a pensare, dio, quanto rimpiangevo di non essermi fermata a pensare, lo avevo seguito e alla fine avevo deciso di getto che la sfumatura giusta da percorrere era quella nera come il carbone. Quella che simboleggiava una vendetta che ormai non ero nemmeno più certa di meritare. Cosa mi rendeva migliore di loro? I famigliari di mio padre avevano strappato la sua vita e quella di mia madre, questo era vero, innegabile, eppure io stessa nel tentativo di percorrere la mia personalissima vendetta, ero finita col ritrovarmi le mani sporche di sangue. Ero stata così cieca, così dannatamente egoista pur di riuscire a raggiungere ciò che desideravo così ardentemente, che non mi ero soffermata a pensare quanto male stessi facendo e quanto la mia anima venisse lentamente corrotta da ciò per il quale la mia famiglia aveva lottato e dato la vita pur di tenermici lontana. Avevo sbagliato tutto, avevo preso una decisione sbagliata dietro l'altra e ora ero diventata esattamente uguale alle persone dalle quali avevo tentato di fuggire per tutta la vita. Era stato tutto vano, tutto inutile, i sacrifici dei miei genitori non erano serviti a nulla e ora per colpa del mio egoismo mi sentivo pure il loro sangue sulla coscienza. I miei genitori lo avevano fatto per me, avevano tentato di scappare per me, per me... e io avevo rovinato tutto. Eppure non riuscivo ad accettarlo, non potevo ammettere a me stessa che ero diventata esattamente come i genitori di mio padre avevano sempre desiderato che io diventassi. Sentii le mani di Axel cingermi improvvisamente i polsi e solo allora, costretta a incrociare il suo sguardo smeraldino, mi sentii come lievemente più calma, più tranquilla. Forse mi sarei solo dovuta fidare di lui, ascoltare le parole che con tono serioso mi ripeteva, e arrendermi alla consapevolezza che quel pomeriggio non avrei potuto fare altrimenti, che il mio attacco era stato necessario, obbligatorio e che seppur non mi sentivo in diritto di aver potuto mettere mano sul fato del Norvegese, farlo era stata l'unica scelta percorribile. Ma poi lo nominò. Come faceva sempre nominò ancora una volta quel cognome che tanto detestavo e mi sentii subito attanagliare nuovamente dalle spire avvelenate di quel vortice senza fine. «Smettila. Smettila di chiamarmi Métis!!» Urlai dopo l'ennesima volta che il Bulgaro tentò di attirare la mia attenzione pronunciando il cognome della mia famiglia. Un violento pugno fendette l'aria e arrestò la sua corsa sul pavimento. Senza nemmeno rendermi conto di quando fosse accaduto mi accorsi che eravamo circondati da affilati spuncioni di ghiaccio che avrebbero potuto infilzare i nostri corpi come la punta del più affilato dei coltelli. «I-io, s-scusami, non volevo, non volevo...» Ero fuori controllo, me ne rendevo conto, eppure non avevo la più pallida idea di come obbligare il mio corpo a fermarsi. Istintivamente mi allontanai di scatto dal Serpeverde e nel farlo uno spuncione mi graffiò la carne già arrossata dalla pressione che fino a pochi attimi prima le mie unghie avevano usato per tentare di rimuovere dai miei vestiti il sangue fresco. Axel non sembrava essere ferito, o se lo era non me ne rendevo conto, non riuscivo a vederlo e tutto ciò che riuscii a fare fu tentare di raggiungere di corsa il bagno per chiudermici dentro e crollare tremante contro la parete opposta alla porta. Non avevo più forze. Mi sentivo uno straccio. Uno straccio logoro che chiunque con un po' di buonsenso avrebbe gettato nell'immondizia. Forse quello era il mio posto. Era lì che finivano gli avanzi ormai avariati che nessuno avrebbe mai tentato di mangiare. Lì finivano gli oggetti rotti ed era lì che dovevo finire pure io. Perché io stessa ero rotta e avariata. Una confezione vuota che non credeva di poter più contenere alcun sentimento che somigliasse anche solo lontanamente all'amore, alla felicità e all'accettazione di sé stessi. Ero un rifiuto. Così mi sentivo. Così mi vedevo. Nulla di più e nulla di meno. Un rifiuto sporco. Ecco cos'ero.
    ★ ★ ★
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    «Smettila. Smettila di chiamarmi Métis!!» Urlò isterica e con uno strattone si divincolò dalla presa del mannaro per colpire con forza il pavimento. Axel avrebbe voluto fermare il suo gesto, evitare che si facesse altro male in aggiunta ai tagli, le bolle e le ammaccature che segnavano il suo corpo ma lei fu più rapida ed insieme al colpo una corolla di stalattiti di ghiaccio si piantarono sul pavimento. Il mannaro sollevò immediatamente i palmi dinanzi alla Corvonero, lentamente, lo sguardo sbarrato mentre cercava di non produrre movimenti troppo azzardati che avrebbero potuto spaventarla ulteriormente. Skylee era completamente fuori di sé e quella magia involontaria – ormai la terza a tema ghiaccio – non fece altro che confermare il sospetto del mago che di fronte a lui ci fosse una strega con una particolare propensione a quella tipologia d’incantesimi.
    «Okay, okay Skylee», mosse lentamente i palmi invitando la ragazza alla calma, non era in pericolo, non più, era in un luogo sicuro e Axel non voleva né le avrebbe fatto del male. «Ora ci calmiamo Mé...» si morse le labbra, le abitudini erano difficili a morire e poche persone godevano della preferenza del bulgaro di essere chiamate per nome. Un nome significava vicinanza, un nome significava un legame e lui, di legami, non ne voleva. Le persone a cui teneva finivano per farsi male, finivano per morire. Dovevano rimanere tutti a distanza. Ignorando che stava per replicare lo stesso errore cercò di correggersi aiutando la ragazza ricordandole nuovamente l’invito a ripulirsi ma ancora una volta lei fu più rapida. Si alzò in piedi e di corsa andò a rifugiarsi nel bagno sbattendo la porta. Axel rimase immobile, fisso a guardare il punto dove fino a poco prima c’era lei e lentamente una grossa boccata liberò i suoi polmoni dall’aria trattenuta. Cosa cazzo era appena successo? Dalle ginocchia si lasciò cadere seduto e allungò le gambe sul pavimento portandosi una mano ai capelli. Cosa. Era. Appena successo? Con la sinistra si allungò e forzando un po’ la presa staccò dal pavimento una stalattite che si portò dinnanzi al viso per esaminarla. Era ghiaccio, ghiaccio perfettamente formato, solido e, a giudicare dalla cura nei dettagli, potenzialmente quanto perfettamente letale. Ci giocherellò con serietà, facendolo roteare con maestria tra le dita esattamente come faceva quando aveva il suo pugnale e all’ultimo lo lanciò brevemente in aria per afferrarlo e schiantarlo contro la parete. La punta creò un’ammaccatura sulla superficie prima di infrangersi in mille cristalli. Espirò, dal bagno non provenivano rumori così concentrò l’udito reclinando di poco il viso avvertendo il suono dei singhiozzi smorzati dalla porta chiusa. Fece una smorfia, indeciso sul da farsi. Avrebbe voluto uscire, fumarsi una sigaretta e lasciare che la bionda se la sbrigasse da sola, dopotutto era ora che la principessina si svezzasse a quello che era il vero mondo ma si alzò e con passi incerti, si diresse verso il bagno dove si fermò. Toccò la porta di legno, passandovi le dita e successivamente strinse le mani sulla maniglia, abbassandola. Sentì un movimento e quando l’aprì per entrare vide che Skylee si era rannicchiata in un angolo, tra il lavandino ed il water, stretta con il viso nascosto nelle ginocchia, le spalle ancora scosse da forti tremiti. Sul viso del mannaro passò una smorfia che gli scoprì un canino e a disagio si guardò attorno. Si mosse verso il lavandino, dalla quale fece scorrere acqua attendendo che si facesse calda mantenendo due dita sotto il getto. Appena la temperatura fu giusta afferrò un asciugamano e ne bagnò l’estremità strizzandola per poi buttarsela in spalla. Chiuse il rubinetto per poi voltarsi verso la bionda che non aveva dato segni di movimento, rimase fermo in piedi, indeciso sul da farsi, l’unico movimento era dettato dalla gamba destra che, nervosa, batteva leggera sul pavimento.
    Axel
    Buttò nuovamente fuori l’aria e con passo deciso prese la sua decisione avvicinandosi alla Corvonero, chinandosi su di lei. Con un po’ di fatica le infilò la mano nell’incavo delle ginocchia mentre con l’altra si faceva spazio dietro la sua schiena. Senza il minimo sbuffo di sforzo – porca troia quanto era leggera rispetto all’ultima volta – la sollevò dal pavimento, sfilandola dal cunicolo in cui si era rintanata e con un colpo di reni se la piazzò meglio in braccio prima di adagiarla sulla lavatrice. L'adagiò a sedere sedere e con sguardo attento le perlustrò il viso prima di sfilarsi dalla spalla l’asciugamano bagnato. Glielo poggiò sulle mani e con gesti energici quanto delicati – una delicatezza che non sapeva nemmeno di possedere – strofinò via lo sporco dalla pelle della Corvonero. Lavorò in silenzio, per lunghi minuti, dedicandosi certosino a rimuovere ogni singola macchia spostandosi da lei unicamente per bagnare ancora la stoffa e strizzarne via lo sporco. Quando le mani furono superficialmente pulite sollevò guardingo l’asciugamano e scrutandola per un breve istante passò poi a ripulirle il viso passando con attenzione, maneggiandola con la stessa cura con cui maneggiava le sue armi, l’asciugamano a ripulirle anche il viso dal sangue. «Non sei più sporca» disse senza l’ombra d’ironia nella sua voce. Non sapeva perché lo aveva fatto, non sapeva nemmeno se quel gesto fosse la cosa giusta da fare ma guidato dal suo istinto lo fece e basta. Skylee non era pulita, non davvero, ma con quel gesto il mannaro le aveva tolto i residui di sangue che le impiastravano il viso e soprattutto le mani, le mani che si era martoriata ed ora mostravano i segni della sofferenza che si era inflitta. Gliele strinse nelle sue, a coprirle. «Sei pulita, okay?»
     
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    Sentii la porta aprirsi lentamente ma non ci prestai troppa attenzione, non era difficile intuire chi fosse entrato, eppure né io né lui emettemmo alcun suono. Rimasi china sulle ginocchia a domandarmi che avrei dovuto fare da lì in poi, come avrei fatto a rialzarmi, ad andare avanti e soprattutto a perdonarmi. Non sapevo se ne ero capace, non sapevo nemmeno se fosse la cosa giusta da fare, razionalmente iniziavo a capire che non avevo avuto alternative, l'incantesimo che il Norvegese stava per castarmi contro era la maledizione che non lasciava via di scampo e se non avessi fatto ciò che avevo fatto a quest'ora non avrei avuto questi opprimenti pensieri a fasciarmi la testa, non avrei potuto averne nessuno, eppure non riuscivo lo stesso ad accettare le mie azioni, né tantomeno a giustificarle. Avevo compiuto un gesto del quale non ci si poteva dimenticare, un gesto in grado di sporcarti nel profondo e lasciare macchie indelebili dentro. Non sapevo se farlo con intenzione di causa provocasse nelle persone le stesse reazioni, quando lo avevo visto fare a Ethan e ad Axel non mi era parso si fossero sentiti lacerare dall'interno, eppure gesti del genere non ti potevano lasciare impassibile. Non era umanamente possibile, o almeno così credevo, eppure, eppure per loro sembrava quasi una sensazione normale e forse li invidiavo pure per questo, perché se anche per me fosse stato normale, probabilmente me ne sarei potuta fare più facilmente una ragione e invece così non era. Sentii le mani di Axel stringersi attorno al mio esile corpo tremante e senza mostrare il minimo sforzo mi sollevò da quel piccolo cunicolo in cui mi ero andata a nascondere per portarmi altrove. Le sue grandi mani erano calde, gradevoli e famigliari, mi piaceva quando sfioravano il mio corpo e a differenza dei suoi sguardi infuocati con i quali era in grado di incenerirmi, le sue mani, quelle poche volte che mi concedevano un contatto, erano così premurose nel loro tocco che quasi non sembravano appartenere alla stessa persona. Tentai di convincerlo a lasciarmi lì dimenandomi appena, ma la verità era che ero così dannatamente esausta, sia mentalmente che fisicamente, che impotente lo lasciai fare. Mi sentii adagiare su quella che identificai solo in seguito come una lavatrice, ero confusa, non capivo perchè avesse deciso di strapparmi da quel nascondiglio scadente in cui mi ero ranicchiata, per farmi sedere proprio lì, ma quando dalla sua spalla recuperò un asciugamano bagnato ne intuii le intenzioni. Le mani del Serpeverde cominciarono a muoversi lentamente e con estrema delicatezza ripulirono la mia pelle dal sangue seccato che la macchiava, i suoi leggeri movimenti si prendevano cura del mio corpo e facevano ciò che da sola non sarei stata in grado di fare in quel momento. Quando ancora eravamo nel salotto dello studio di Ethan, ci avevo provato, ma l'unica cosa che ero stata in grado di ottenere erano state striature rosse in seguito allo sfregamento con le mie unghie e nient'altro. Lui a differenza mia sembrava invece star riuscendo nella sua impresa e macchia dopo macchia le mie mani sembravano lentamente tornare del loro colore naturale. Solo quando la mia pelle fu totalmente ripulita le sue dita si allontanarono da me e solo dopo aver sciacquato l'asciugamano si avvicinarono nuovamente, ma questa volta sul mio viso leggermente scavato da un'alimentazione scorretta. Il mio cervello aveva smesso di torturarsi, non riuscivo a pensare proprio a nulla in quegli istanti di premure inaspettate e come imbambolata in una sorta di trance rimasi immobile con il capo leggermente chino e i miei occhi bicolore puntati su una parte indefinita del suo corpo, incapaci di sostenere il suo sguardo. Ero in imbarazzo, non avrei voluto farmi vedere in un momento di così nuda debolezza, eppure ciò che mi stava riservando era la cosa più simile al sostegno e alla comprensione che avessi mai ricevuto da parte sua. Solo quando ebbe terminato la sua impresa e mi disse con estrema serietà che ora ero pulita, riuscii finalmente a guardarlo in volto.
    Le mie mani strette fra le sue mi fecero sentire strana, non credevo lo avesse mai fatto prima e se lo aveva fatto ero stata sicuramente troppo presa dai miei pensieri per accorgermene, ma ora lo vedevo e lo sentivo forte e chiaro. Ad aiutarmi a farlo fu un leggero pizzicorio che sentii alla mano sinistra, dove alcune ustioni e bolle d'acqua ormai scoppiate mi ricoprivano la pelle. Non era doloroso, forse solo leggermente fastidioso, ma non riuscivo a dirgli di lasciarmi le mani e quello che invece feci fu avvicinare il mio viso al suo per eliminare la distanza che ci divideva e appoggiare delicatamente le mie labbra increspate da piccoli taglietti, alle sue, calde e accoglienti come sempre. Non so perché lo feci, il mio corpo si mosse da solo e forse era solo un modo per ringraziarlo, perché a parole non sarei stata in grado di farlo, non avrei saputo esprimere appieno ciò che provavo e quanto gli fossi grata ogni volta che metteva da parte la sua facciata da duro e imperturbabile ex Durmstranghiano per aiutarmi. Per aiutare me, un'inesperta e fragile ragazza che non sapeva come rapportarsi al mondo tanto spaventoso e duro nel quale si era ritrovata. «Credi io sia un mostro?» Domandai dividendo di soli pochi millimetri le mie labbra dalle sue dopo averle appena sfiorate in un bacio talmente delicato da farlo sembrare una carezza. C'era preoccupazione nella mia voce, temevo seriamente che potesse pensare una cosa simile di me, perché era esattamente così che mi vedevo io. «Perché attorno a me c'è sempre così tanta morte? Io, io non voglio che muoia piu nessuno a causa mia» Dissi in un sussuro sfiorandogli
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    una guancia con la punta del naso e andando a nascondere il mio viso nell'incavo del suo collo, quasi a fuggire da ciò che avevo appena detto e fatto. Sul mio viso aleggiava un'espressione tormentata, un velo di consapevolezza da troppo tempo celato a chiunque. Non avevo mai ammesso a nessuno quanto mi sentissi in colpa per la morte dei miei genitori, ma era così, sapevo che se io non fossi mai venuta al mondo probabilmente loro non sarebbero mai morti, perché non avrebbero avuto alcun motivo per tentare di cambiar vita e allontanarsi dalla loro famiglia e da tutto ciò che essa comportava, solo per proteggermi. Mi sentivo in colpa anche per ciò che era accaduto al cimitero, per quanto non reale fosse e persino per ciò che era successo a Vanja, perché se quel giorno invece che darle ascolto e lasciarla andare alla visita da sola avessi insistito per accompagnarla, forse ora Abigail sarebbe stata fra noi, invece che in una fredda bara bianca sotto terra. Strinsi forte le mie mani alle sue e me le portai entrambe all'altezza del petto, dove il cuore non smetteva di scalciare per quel vortice di emozioni e preoccupazioni che quella giornata aveva portato con sé. Avevo solo bisogno di spegnere il mio cervello per un po'. Avrei voluto avere un tasto reset per ricominciare tutto da capo e cambiare le mie scelte, ma ormai era tardi e ciò che era accaduto si era stampato per sempre a fuoco sulle pagine della mia storia.
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    Axel
    “Sei pulita”. Questo diceva il suo sguardo, i suoi scintillanti occhi verdi quanto lo smeraldo che fissavano il volto provato della Corvonero. Axel era serio e le stringeva con convinzione le mani segnate affinché quelle semplici parole si marchiassero a fuoco nella mente della ragazza e lei si potesse convincere di quella che era la verità che andava ben al di là di quella semplice frase. Sei pulita non stava semplicemente a significare al suo aspetto esteriore ma andava oltre, andava a riferirsi alla sua anima, alle sue colpe. Per Axel non aveva commesso nessun peccato di cui macchiarsi la coscienza perché, come le aveva detto, Einarr non avrebbe avuto gli stessi scrupoli di tormento che si stava ponendo ed ora, al suo posto, il norreno sarebbe andato a scolarsi una pinta festeggiando l’ottimo affare ricavato dai cinque barattoli pagati unicamente con la vita di una ragazzina inesperta. “Non avrei dovuto lasciarla sola”, si disse il bulgaro mordendosi internamente le pareti del labbro. Se ci fosse stato anche lui Skylee non si sarebbe trovata inerme a doverlo fronteggiare ma ci avrebbe pensato lui esattamente come aveva fatto ad ogni missione in cui Ethan li aveva buttati. Quando il lavoro si faceva duro o troppo sporco se la tirava dietro la schiena e ci pensava lui invece, questa volta, aveva dovuto farlo lei e se da un lato quasi, quasi, ai margini della sua coscienza se ne sentiva in colpa da un lato era proprio questo a cui Ethan voleva prepararla. Quando lui era indisposto a causa della luna chi le avrebbe coperto le spalle se non sé stessa? Se come diceva voleva essere una loro pari come pensava di farlo con tutte quelle fottute remore a frenarla?
    Inclinò il capo dopo le sue parole e con un rapido movimento delle sopracciglia cercò il suo assenso se avesse capito ciò che le stava dicendo ma la reazione della Corvonero fu differente: si protese su di lui annullando quella manciata di centimetri che li divideva e premette le sue labbra contro quelle del mannaro. Un bacio dolce, delicato, Skylee sapeva di calore, di affetto, di una sensazione che scaldava le membra e quel bacio era intriso fino all’ultima intenzione di gratitudine. Abbassò il capo mentre un lieve sorriso imbarazzato gli increspava i lineamenti. Cosa doveva fare con quella Corvonero? Si schiarì la gola lasciandole andare le mani unicamente per posarle agli angoli della lavatrice. «Credi io sia un mostro?» Domandò la sua voce flebile e rotta. Gli occhi, umidi, imploravano la sua risposta negativa. «Io lo sono?» replicò invece. Cos’avrebbe dovuto dire lui allora? Skylee lo aveva visto torturare senza il minimo barlume di pietà nello sguardo. Lo aveva visto uccidere a sangue freddo senza la benché minima esitazione quando la loro vita era stata messa in pericolo eppure, Axel, mai una volta aveva avuto un morso di coscienza nei confronti delle sue vittime. Tutte erano giustificate: uccidi o sii ucciso, poco spazio ad altri romanzamenti. «Perché attorno a me c'è sempre così tanta morte? Io non voglio che muoia più nessuno a causa mia» le labbra del mannaro si tirarono ed in breve si sollevò dalla lavatrice congiungendo le braccia al petto. «Skylee...» iniziò mentre un grosso sospiro gli sgonfiava il petto. «Hai scelto tu questa strada, che ti aspettavi? Gli unicorni rosa?» Si fermò dai brevi bassi che aveva compiuto nel piccolo bagno di Ethan. «Te lo avevo detto che non eri adatta per questo, che non avresti retto... per cui...» strinse le labbra in una linea di ovvietà sollevando allo stesso tempo le spalle. Glielo aveva detto e più volte, che non era fatta per quell’ambiente. Più volte l’aveva rimbeccata e le aveva reso la vita un inferno sia in missione che al cospetto di Ethan ma lo aveva fatto perché lo sapeva. La Corvonero non aveva la corazza per fare quel “mestiere”, era troppo debole e di buon cuore e per quanto il mannaro con i suoi modi oltre modo sgarbati aveva tentato di proteggerla allontanandola, lei non aveva voluto dargli retta. «Che cazzo ci stai a fare qui?» La sua non voleva essere una provocazione, non era un modo per cacciarla ma le stava chiedendo sincerità. Finalmnete la verità. Altre volte le aveva posto quella domanda in quella stessa formulazione ma lo aveva sempre fatto in modo da provocarla, in modo da cacciarla via, adesso lui voleva davvero sapere cosa l’aveva spinta ad avvicinarsi ad Ethan e a mettersi in mezzo ai loro affari. Aveva capito che i due condividevano lo stesso cognome ed Ethan fosse il gemello perduto del padre della ragazza ma non aveva capito, né Ethan lo aveva reso partecipe sull’argomento, del perché alla ragazza importasse così tanto dell’uomo e del suo consenso. Cosa doveva ricavare sa lui? Cosa le avevano fatto i Métis di così male? Sì Beliar gli era sembrato duro, mentre la moglie di cui non ricordava più il nome aveva tutta l’aria di essere un’arpia dal modo in cui l’aveva rimbeccata in continuazione al ballo ma non gli erano sembrati così malvagi da cercare vendetta e la giovane Métis in quella reggia aveva tutti i confort. Che poteva ricavare da Ethan? Di vivere come faceva lui? Nell’isolamento auto-imposto che si era scelto? Bella merda.
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    Ma lui aveva un motivo, lui aveva una bestia assetata di sangue dentro di sé, una bestia che avrebbe ucciso chiunque al sorgere del plenilunio, una bestia che aveva già assaggiato il sangue e bramava di tastarne di nuovo ad ogni luna mentre lei di questi problemi non ne aveva. «La tua vita è davvero così di merda per venire a fare questo? Pensi che io voglia fare ‘sta roba?» Rise sprezzante. «A me fa schifo ‘sta merda.» Chiarì chinandosi in avanti. «Ma lo hai visto anche tu cosa sono, io non ho scelta. Dammi retta Skylee, ma questa volta fallo davvero. Sistemati e tornatene nel tuo bel castello circondata da tutti i confort, dagli agi e servitù varie e non guardarti più indietro. Lascia perdere qualsiasi cosa tu debba fare perché davvero Métis, non ne vale la pena.» Il disprezzo nel suo tono era tutto dedicato a sé stesso ed alla sua condizione. Skylee sapeva per cui non vedeva motivo per la quale aggirare l’argomento o fare finta di niente. Lo aveva già visto nel suo momento peggiore al di fuori del plenilunio, non c’era da stupirsi perché fosse sempre arrabbiato: era una fottuta bomba ad orologeria sempre pronta ad esplodere e ad investire chiunque si fosse trovato sul suo cammino e come la Corvonero fosse riuscita a scamparla calmandolo ancora lo sconcertava.
     
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    Trovare del bene nelle persone quando loro stesse non erano in grado di vederlo era sempre stata una mia qualità, eppure, quando quel bene lo dovevo trovare dentro di me, non ero affatto in grado di vederlo. Quando si parlava di me si faceva tutto scuro e non c'era mai posto per gli errori, non mi concedevo di commetterli e quando nonostante tutti i miei sforzi ciò accadeva, non ero in grado di accettarlo e me ne facevo subito una colpa. Era stato così anche per quanto successo con Einarr, perché nonostante le parole di Axel fossero vere, io proprio non riuscivo a perdonarmelo.
    Quando il Serpeverde mi rimbalzò con voce seriosa la mia domanda rimasi interdetta. Alzai lo sguardo che con aria leggermente imbarazzata avevo fissato verso il pavimento e lo guardai a mia volta con espressione estremamente seria. Ci pensai veramente prima di dargli una risposta, non volevo pensasse stessi rispondendo di getto senza esserne realmente convinta. Mi guardai dentro e poi tentai di fare lo stesso con lui, cercando di studiare ciò che le sue movenze e le sue espressioni potevano raccontarmi sulla sua anima. «No, non credo tu sia un mostro» Risposi in fine mordendomi lievemente il labbro inferiore sul finale. Un mostro non avrebbe mai potuto prendersi cura di una persona totalmente persa e distrutta come lui aveva appena fatto con me. Non importava cosa avesse fatto o quante volte lo avesse fatto. Lui non era un mostro e di questo ne ero totalmente convinta. Tale convinzione non mi impediva però di escludere totalmente la possibilità che invece io lo fossi eccome. Forse era sciocco pensarlo, anzi, probabilmente era proprio stupido, ma non riuscivo a fare diversamente. Ripensavo a ciò che avevamo vissuto assieme a quante situazioni analoghe avessimo preso parte e ogni volta, quando le gesta del Bulgaro terminavano in un omicidio, avevo creduto fossero giustificate. C'era sempre stata di mezzo la sicurezza mia o sua e non ricordavo nemmeno più quanto spesso mi avesse risparmiato l'onere di dover compiere io stessa un simile gesto. Lo aveva fatto innumerevoli volte, si era sporcato lui le mani al posto mio ed era stato egoista da parte mia domandargli se credeva fossi un mostro, solo ora lo capivo, perché finché aveva potuto me lo aveva risparmiato e se quel pomeriggio non era stato possibile farlo, non era giusto che solo io potessi piangermi addosso per quanto accaduto, perché quando era toccato a lui nessuno gli aveva riservato parole di conforto. Forse Axel era davvero molto diverso da come lo avevo etichettato appena conosciuto. Uno stronzo. Le sue parole come al solito furono dure, ma a differenza delle altre volte in cui mi aveva domandato sarcasticamente cosa ci stessi a fare lì con lui e Ethan, questa volta pareva me lo stesse chiedendo seriamente, seppure senza il benché minimo accenno di riguardo. Sembrava voler conoscere davvero la verità che si celava dietro le mie scelte, ma non ero certa mi sentissi pronta a dirglielo, farlo avrebbe significato per sempre eliminare quella sottile linea di riservatezza che c'era fra noi, quella linea che mi faceva sentire meno nuda e attaccabile, perché se gli avessi rivelato le mie vere intenzioni avrebbe significato fidarmi di lui ed ero terrorizzata da questa ipotesi. Più volte avevo creduto di poter riporre almeno in parte la mia fiducia nel Bulgaro e più volte le mie certezze si erano rivelate errate, perché per ogni piccolo passo che facevo in sua direzione, lui ne faceva almeno tre indietro e più credevo di essermi avvicinata leggermente a lui e più invece lui mi sfuggiva dalle mani lasciandomi con un pugno di mosche fra le dita e un tarlo in testa che non smetteva di ripropormi lo stesso quesito: perché si comportava in quel modo? Forse lui per primo aveva paura di sentirsi nudo ed esposto, ma allora perché sarei dovuta essere io la prima a spogliarsi delle proprie confortevoli bugie per rimanere nuda davanti a lui. Fragile. «Io...» Tentai di cominciare una frase, ma ella mi morì in gola, incapace di uscire e abbandonare per sempre il mio corpo.
    «A me fa schifo ‘sta merda» Non avevo mai considerato l'ipotesi che Axel non fosse lì per scelta propria. Più volte mi ero domandata come le strade del Serpeverde e di Ethan si fossero incrociate e più volte non vi avevo trovato risposte, ma l'idea che Axel non avesse scelta non mi aveva mai nemmeno sfiorato la mente. Che pure lui come me si fosse visto costretto a percorrere una via tortuosa senza poter far nulla per cambiare il suo destino, se non accettandolo e facendolo proprio, almeno in parte, seppur a fatica?
    Tutta quella sincerità da parte sua mi lasciò senza parole, il labbro inferiore si abbassò leggermente e mi costrinse a socchiudere la bocca in un'espressione stupita. Non fui nemmeno in grado di rimproverarlo per l'ennesima volta per avermi chiamato con quel cognome, perché in fin dei conti sapevo che se non avessi fatto uno sforzo e non avessi tentato di essere sincera con lui, come lui stesso per la prima volta aveva deciso di essere con me, non avrebbe semplicemente mai potuto capire quanto il quadretto che si era fatto di me e della mia famiglia fosse in realtà errato.
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    Senza pensarci gli afferrai lentamente una mano e dopo aver intrecciato con delicatezza le mie dita fra le sue me la portai all'altezza del grembo e le guardai come a darmi forza. Perché me ne serviva davvero tanta per ammettere ciò che nemmeno a Ethan avevo rivelato nella sua interezza. «Nemmeno io ho scelta...» Iniziai cercando di sollevare lentamente il mio sguardo verso il suo per concedergli tutta la mia attenzione e sincerità, mentre il mio corpo sembrava quasi tremare dall'interno. «Mio padre non è scomparso...» Ammisi lasciandomi andare a un lungo sospiro colmo di rassegnazione. «È stato torturato e ucciso davanti a me quando avevo più o meno undici anni... È stato mio nonno a farlo...» Alzai per qualche secondo lo sguardo verso il soffitto per trattenere a fatica le lacrime. «È morto perchè si era nascosto e aveva rinnegato la sua famiglia per poter dare a me un futuro migliore, dopo che quella stessa famiglia si era presa pure la vita di mia madre per gli stessi motivi poco dopo la mia nascita...» Abbasai nuovamente lo sguardo per intrecciarlo ancora una volta a quello smeraldino del ragazzo. «Io non sono cresciuta fra servitù e agi, sono crescita lontana da tutto e da tutti, letteralmente, perché la famiglia di mio padre non ha mai smesso di cercarci ed era troppo pericoloso vivere le nostre vite mescolati ad altre persone. Mio padre non si fidava più di nessuno, aveva paura che chiunque potesse rivelare dove ci trovavavamo e beh, forse aveva ragione... visto che alla fine così è stato...» Avevo rivelato questi frammenti del mio passato solamente alle mie sorelle e a nessun'altro e ora, ora che pure lui era a conoscenza di parte del mio passato, ero terrorizzata. Talmente nuda da sentirmi a disagio. «Dopo che mio padre e morto sono riuscita a sfuggire loro ancora per qualche anno, ma alla fine ancora una volta mi hanno ritrovato e mi hanno cancellato i ricordi affinche io credessi di essere tornata da loro in seguito alla sparizione di mio padre, così da farmi pensare che fosse stata una mia scelta, ho vissuto per anni in una menzogna e tutt'ora credono io non sappia assolutamente nulla, per questo devo fingere in continuazione quando sono in loro presenza... loro non possono scoprire che ho riavuto indietro i miei ricordi...» Non badavo nemmeno più a quando gli stessi rivelando, ero un automa che ripeteva unicamente gli avvenimenti che l'avevano portato fino a lì, ma senza soffermarsi realmente su ciò che tali rivelazioni comportavano in lui, perché ci aveva già pianto tutte le lacrime che possedeva e se avesse ricominciato forse non sarebbe più stato in grado di smetterla.
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    Skylee ci pensò. Ma ci pensò davvero quando Axel le rifletté quella domanda di proposito. «No, non credo tu sia un mostro» disse alla fine, con convinzione, mordendosi le labbra segnate dagli eventi. Il mannaro ebbe un sospiro distogliendo lo sguardo dal suo. «Lo sono Skylee, lo sono» replicò invece con rassegnazione nella voce mentre un sorriso amaro gli increspava le belle labbra contornate dalla barba ispida. «Tu...» cominciò senza sapere bene cosa dire e come continuare quell’incipit che di lì a poco le avrebbe snocciolato faticosamente. Si fermò da ciò che stava facendo, le dita a mezz’aria mentre il sorriso si faceva più largo, più luminoso. «Sei gentile Métis, ma ciò non cambia la realtà», tornò a fissarla. Le dita che erano naturalmente andate a carezzarle la pelle morbida del viso. «Lo sono. Io sono un mostro. Sai quando ho ucciso per la prima volta?» le chiese retorico. «Avevo undici anni... già, undici. Non mi sono più fermato dopo. L’ho fatto, l’ho rifatto e rifatto ancora. E sai cosa provo ogni volta? Nulla... Nel migliore dei casi. Appagamento, nel peggiore e non me ne pento di questo» concluse fissandola con aria di sfida a sostenere ancora la sua tesi o ad autocommiserarsi per quanto le era successo. Non voleva che quella fosse una gara a chi stesse peggio ma davvero, a conti fatti, lei aveva solo dovuto scegliere tra la sua vita e quella di Einarr e nessuno, assolutamente nessuno, avrebbe potuto biasimarla, lui men che meno. Lui, che aveva tolto la sua prima vita ad undici anni. Axel era, oggettivamente, ingiusto con sé stesso. Non aveva mai avuto scelta di quanto gli era successo eppure se ne addossava totalmente ogni colpa rendendosi il maggiore destinatario di tutte le considerazioni negative che poteva rivolgere al prossimo. Si era visto piombare la maledizione addosso e nell’ignoranza generale aveva cercato di gestirla insieme a sua madre quando era solo un bambino. Ed era sempre solo un bambino quando era riuscito a liberarsi durante quell’infausta luna piena, se Petar non si fosse messo in mezzo sacrificandosi per proteggere Elèna, a quest’ora, il mannaro sarebbe stato orfano dell’intera famiglia poiché il lupo non si sarebbe fermato fino a che non avesse saggiato mortalmente il sangue di ogni essere vivente al castello. Li avrebbe uccisi tutti, Alek, il suo fratellino che all’epoca aveva solo tre anni, incluso. Ma per Axel anche quella singola vita che aveva permesso di salvarne altre era di troppo, il lupo non andava saziato, non avrebbe mai dovuto assaggiare il sangue. Per nessun motivo e mai, mai, mai avrebbe generato altri individui con la stessa maledizione sulle spalle.
    Scosse il capo e alzandosi dalla lavatrice le diede le spalle prima ancora che lei potesse emettere un giudizio su quella confessione. Sarebbe per forza di cose stata negativa secondo il suo modo di pensare poiché chi avrebbe mai perdonato una persona che aveva appena candidamente ammesso che uccidere riusciva in alcuni casi persino ad appagarlo? Nessuno sano di mente avrebbe mai potuto ed il bulgaro, seppur non lo dimostrasse, aveva una considerazione alta verso quella che era la morale della Corvonero. Ai suoi occhi lei era pura e proprio per questo era così duro con lei: non voleva che s’infettasse e si rovinasse irreparabilmente con tutto quel buio. Quella merda non faceva per una come lei! Sbuffò dalle narici passandosi una mano tra i capelli scuri che al passaggio delle dita ricaddero pesantemente nuovamente a velare l’intensità dei suoi occhi. Di colpò si voltò, le braccia incrociate al petto e d’impeto l’inchiodò con la sua domanda. “Che cazzo ci stai a fare qui?” Più ci pensava e meno ne veniva a capo e proprio per quello le sue successive parole si caricarono di ciò che provava: disprezzo e odio verso sé stesso, verso la sua vita, verso ogni singolo e minimo aspetto che lo circondasse. Avrebbe dato qualsiasi cosa, qualsiasi, persino parte dei suoi anni di vita se ciò avrebbe voluto dire cancellare il giorno dell’attacco, se ciò avesse voluto dire eliminare il lupo – la causa di tutti i suoi problemi – dalla sua esistenza.
    «Io...» la interruppe ma dopo un lungo silenzio fatto dello sguardo vitreo della Corvonero le dita della ragazza andarono a cercare le sue. Con dolcezza Skylee sbrogliò l’intreccio al petto del mannaro attirando verso di sé la sua grossa mano febbricitante. La strinse tra le sue, piccole, fredde, portandosela in grembo ed Axel non poté fare altro che avvicinarsi nuovamente a lei fissando il modo naturale in cui le loro dita si erano intrecciate. Interrogativo sollevò lo sguardo sul suo volto contrito e con pazienza attese che la ragazza cominciasse il suo racconto. «Nemmeno io ho scelta...», la sua voce era flebile ma pur se bassa era intrisa di tutta la tristezza che la Corvonero provava. L’espressione del Serpeverde si accigliò tentando di figurarsi chi e cosa potevano averla costretta. «Mio padre non è scomparso... È stato torturato e ucciso davanti a me quando avevo più o meno undici anni... È stato mio nonno a farlo...» Beliar. Quel grandissimo figlio di puttana di Beliar! La mascella del licantropo si serrò sottolineando la curva decisa della mandibola. «E Ethan? Vuoi usarlo per vendicarti...?» Ora capiva molte più cose. Capiva come mai l’uomo non la cacciasse ma al contrario lo zittisse quando aveva qualcosa da ridire. Riusciva vagamente a scorgere i contorni del piano che poteva aver vagamente preso forma nella mente del padrino. «Ti tradirà lo sai?» Non poteva esserne certo ma Ethan lo aveva dopotutto cresciuto, sapeva il modo contorto con cui ragionava e sapeva che l’avrebbe tenuta con sé solo fino a quando lei avrebbe rappresentato un vantaggio, o meglio ancora, un guadagno alla sua causa esattamente come lo era lui. Non si illudeva che l’uomo provasse un qualche sentimento nei suoi confronti, forse poteva essersi affezionato al suo destino – era pur sempre il figlio del suo defunto migliore amico e fratello – ma era ben conscio che nel momento in cui non avesse più avuto bisogno di lui lo avrebbe buttato in mezzo ad una strada. “Tutti sono utili ma nessuno è indispensabile” ed Axel era cresciuto rendendosi il più possibile indispensabile all’uomo.
    Avrebbe voluto dirle di lasciare stare, di andarsene lontano, ma presto capì che Beliar non l’avrebbe mai lasciata in pace. Avrebbe setacciato ogni nascondiglio sulla terra per trovarla e piegarla al suo volere, lo diceva il contratto custodito nel sacchettino incantato che portava al collo. Beliar l’aveva trattata esattamente come un bene qualsiasi da vendere al miglior offerente e non come la persona che era. «Ti ammazzerai nel tuo cazzo di piano folle» le ringhiò fissando i suoi ardenti occhi smeraldo in quelli bicolore della Corvonero. Il gioco che voleva portare avanti le sarebbe costato molto caro. Non era solo la sua vita quella in gioco.


    Edited by Dragonov - 13/3/2022, 15:45
     
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    Le dita di Axel si posarono sulla mia guancia e con un sorriso amaro dipinto sul volto affermò che mi sbagliavo e che invece lui era a tutti gli effetti un mostro. Mi confidò di aver tolto la sua prima vita a undici anni e non potei fare a meno di percepire una dolorosa fitta in mezzo al petto. Era orribile ma per quanto insistesse del contrario, io proprio non ci credevo che lui, in tenera età, avesse deciso di uccidere qualcuno in maniera coscienziosa e sentendosi poi soddisfatto di quanto commesso. Non ci potevo credere e non lo avrei fatto, non era ciò che vedevo quando a fatica lasciava trasparire piccoli frammenti di sé. Appogiai delicatamente la mia mano sulla sua, ma prima che potessi proferire alcuna parola Axel si girò e mi diede le spalle. Pensai attentamente alle parole con cui approciarlo, non volevo in alcun modo ferirlo o infastidito, non era mia intenzione e non volevo nemmeno che credesse io stessi minimizzando il tutto solo per sostenere quanto detto poco prima, perché ciò che stavo per dire lo pensavo veramente. «Mi dispiace ma io non ti credo...» Ammisi estremamente seriosa andandomi a raggomitolare sulla lavatrice con le ginocchia strette al petto. «Non puoi dire di odiare questa merda e poi sostenere che alle volte possa provocarti addirittura appagamento. Io, io non ti credo, al contrario penso tu ti ci sia solamente abituato a tutto questo...» Mi strinsi ulteriormente su me stessa appoggiando il mento fra le ginocchia. «Io non so perche tu abbia ucciso a undici anni...» Che età spaventosa per macchiarsi di certi crimini. «O perché poi tu abbia deciso di continuare e nemmeno te lo domanderò se non sarai te a volermelo dire, ma... ecco, non penso possa essere una cosa che un bambino potrebbe decidere di fare volontariamente» Certo, Ethan a quell'età aveva tentato e ritentato più volte di fare lo stesso a mio padre, ma ad Axel mancava quella vena di pazzia che invece era facilmente riconoscibile negli occhi di Ethan ed era per quel motivo che non potevo credere a quanto sosteneva. «Non sto giustificando le tue azioni, sia chiaro, commettere certi gesti non è mai giusto, ma ecco... se una persona non ha mai avuto l'occasione di vivere in modo diverso... ecco, temo che col tempo si abitui e che inizi a trovarla una pratica normale, per quanto non lo sia affatto...» Mi morsi nuovamente il labbro inferiore e nascosi leggermente il volto fra le gambe, incapace di scoprire se nel suo volto si fosse dipita un'espressione dura e indignata, o al contrario da esso si fosse potuta intravedere la consapevolezza di quanto le mie parole potessero corrispondere al vero. «Per questo non ti considero un mostro...» Ammisi in fine con un filo di voce. Ero felice di essermi potuta spiegare e di avergli fornito quelle che erano le mie motivazioni nel sostenere quanto dicevo. Riuscii poi ad afferrargli un braccio e sondandolo dall'intreccio che si stringeva al petto, andai a raccontargli quella che era la mia, verità. Strinsi le mie dita fra le sue in un groviglio estremamente naturale, sembrava non avessero fatto altro per tutta loro vita, eppure non era così. I contatti fisici che c'erano stati fra di noi si erano sempre limitati al mero piacere sessuale eppure, eppure le nostre dita intrecciate fra loro risultavano tanto famigliari da farmi quasi paura.
    Annuii alla domanda riguardante Ethan, ma non gli spiegai i dettagli del nostro accordo, forse perché nemmeno io sapevo esattamente cosa comprendessero. Io e lui avevamo vedute molto differenti e se io volevo trovare un modo intelligente e impeccabile per agire, lui al contrario avrebbe risolto tutto quando sterminando un intera famiglia senza alcuna remora di coscienza. «Finché pure a lui farà comodo non succederà...» Ormai avevo imparato a conoscere Ethan e sapevo bene quanto poco affidabile fosse, ma se c'era una cosa che non smetteva mai di spronarlo a impegnarsi in qualcosa quello era proprio il guadagno personale e da questa faccenda ne avrebbe potuto ricavare parecchio. Per questo confidavo nel fatto che presto o tardi saremmo riusciti a risolvere la questione in una maniera soddisfacente per entrambi. «Può essere...» Non negai quanto detto dal Bulgaro, sapevo che le sue dure parole potevano facilmente avvicinarsi alla realtà di quanto sarebbe potuto accadere. Quello che volevo fare era estremamente rischioso e altrettanto imprevedibile, ma dal mio punto di vista non avevo alternative, non potevo permettere che la mia vita fosse controllata dal volere di qualcun'altro. «Però dimmi... che vita vivrei se almeno non ci provassi? Pensi voglia dire vivere davvero, farlo sottostando al volere di qualcun'altro?» Gli domandai estremamente seria avvicinando leggermente il mio volto al suo per riuscire a fissare con più intensità i miei occhi bicolore nei i suoi. «Tu la vivresti una vita dove non ti è concesso pensare con la tua testa, decidere cosa sia meglio per te in autonomia e poter essere padrone del tuo destino?» Chiesi serrando ulteriormente la presa delle nostre mani. «Questo forse è sopravvivere, ma non si avvicina minimamente al poter vivere davvero... se decidessi sul serio di lasciar perdere tutto cosa succederebbe? Dovrei accontentare la mia famiglia e sposarmi per mero interesse, trascinando te con me in questa cosa che non hai mai voluto... E poi? Poi credi davvero che mi lascerebbero in pace? Io lo dubito...» Ammisi con un sorriso desolato a piegarmi le labbra e una triste consapevolezza a indurirmi i lineamenti. «O meglio ancora, pensa che meraviglia se riuscissimo a evitare questa stronzata del matrimonio e mio nonno decidesse di passare al prossimo fiero e potente pretendente, magari potrebbe essere un vecchio bavoso, o magari uno troglodita che trova sia giusto farsi rispettare dalla sua bella mogliettina a suon di botte, di crucio o di chissà cosa...» Sbottai improvvisamente rivelando tutti i timori che per
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    lungo tempo mi ero portata dentro senza mai poterli rivelare a nessuno. «E sai che succederebbe allora? Io dovrei stare zitta e me lo dovrei fare andare addirittura bene, perché questo sarebbe il volere della mia meravigliosa famiglia e io non mi ci potrei opporre in alcun modo!» Sciolsi la nostra presa con fare frustrato e mi passai entrambe le mani sul viso andandomi poi a raggomitolare nuovamente su me stessa. Stretta, chiusa e protetta da tutti quei problemi troppo difficili da affrontare. «Io non mi arrenderò mai a una simile vita...» Sussurrai col viso chinato verso il basso rivolgendo poi uno sguardo triste e rassegnato alla volta del Serpeverde, che dritto e silenzioso aveva ascoltato tutto il mio sfogo. Non pretendevo che mi capisse, o che appoggiasse la mia personalissima opinione di cosa significasse o meno vivere. Non volevo nemmeno essere compatita, solo, era stato bello poter parlare per la prima volta dopo tantissimo tempo in estrema sincerità con qualcuno. Ne avevo assolutamente bisogno e nemmeno me ne rendevo conto. Vivere nelle bugie era diventato così normale per me che a volte dimenticavo quanto fosse bello poter essere invece veri e sinceri con le persone.
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    «Mi dispiace ma io non ti credo...» dalle sue labbra sfuggì un colpo di tosse pieno di stizza. Ovvio che non gli credeva, quando mai lo aveva fatto? Nemmeno in una situazione di quel tipo quella maledetta ragazza non riusciva a prendere per assodato ciò che le veniva detto. Doveva sempre metterci la bocca e criticare o dare il suo parere, anche non richiesto come in quel caso. Serrò con ulteriore forza la mandibola imponendosi di calmare quel moto di fastidio che gli agitava le membra. Sapeva benissimo cosa volesse dire abbandonarsi a quell’emozione, seguirne il corso e già nell’arco di quella stessa giornata aveva lasciato che fosse l’istinto a guidarlo. Non poteva permettere che ciò accadesse nuovamente. Continuò a darle con ostinazione la schiena vietandole di vedere quale effetto le sue parole stessero avendo. Skylee aveva ragione, ce l’aveva su tutta la linea e lo aveva capito ma non era pronto ad accettarlo. Non era pronto a non vedersi con gli occhi puri della Corvonero né sentiva di poterlo fare o tutti quelle morti che aveva sulla coscienza sarebbero state come cancellate via da quella iniziale che aveva segnato definitivamente la sua vita. «Pensala come cazzo ti pare, ma non è come dici» le ringhiò alla fine stringendo i pugni le cui estremità cominciavano a pulsare mentre i lunghi artigli neri premevano per uscire. Si portò il palmo al viso e traendo alcuni profondi respiri cercò di calmarsi chiudendo forzatamente gli occhi, isolandosi. Una volta calmo innalzò una maschera di fredda inespressività. Non avrebbe mai permesso a Skylee d’intravedere quanto fosse andata nel segno con quelle parole, quanto quelle parole avessero avuto l’effetto di un balsamo che aspettava da tutta una vita e che nessuno mai gli aveva detto. Poteva crederci, lasciare che quella verità lo avvolgesse e mitigasse i suoi sensi di colpa ma non sarebbe stato Axel se non fosse stato testardo e fermo sulle sue posizioni. Ci sarebbe voluto molto di più perché lui potesse anche solo prendere in considerazione quell’eventualità. Lei non sapeva e non avrebbe saputo tutta la storia e lui non gli avrebbe dato gli elementi – sicuramente non in quel momento – per valutarla interamente e condonargli ogni peccato.
    Decise quindi di cambiare discorso, di smetterla d’indagare in quello che era il suo prezioso passato e le rivolse, questa volta con vero interesse, quella domanda che più di una volta le aveva posto con arroganza minando quella che era la sua presenza per spingerla ad andarsene. Per spingerla a smetterla di cercare d’invischiarsi in una cosa troppo più grande di lei e che l’avrebbe unicamente segnata in eterno. «Cosa ti rende certa che non stia già lavorando per farti fuori?» D’altronde era probabile anche quella variabile. Entrambi non sapevano cosa viaggiasse nella testa del mago ed Axel lo aveva visto fin troppe volte cambiare idea o piano d’azione solo perché al mattino aveva messo a terra il piede sbagliato e non si sarebbe di certo stupito se alla fine anche quella non fosse una macchinazione che avrebbe unicamente finito per ritorcersi loro contro. Chi diceva loro che quella giornata catastrofica non si fosse rivelata solamente una messinscena per far credere lei che gli fosse indispensabile, che avesse davvero un ruolo ed uno scopo nei loro affari per trucidarla poi in un secondo momento solo perché era arrivato al suo obiettivo? Conosceva Elèna e la donna aveva dimostrato loro di essere a sua volta vicina ai Métis. Avrebbe potuto facilmente insinuarsi nei piani, allearsi con il Kontos e far fuori entrambi... Ethan sarebbe entrato a tutti gli effetti a far parte della famiglia perduta e lei... beh, lei dopo la presa di posizione del figlio aveva certamente capito quanto “il suo Nikolai” non fosse più in alcun modo manipolabile. Per lei sarebbe stato un vantaggio che il giovane fosse fatto fuori per mantenere il potere e, quando sarebbe giunto il momento mettere a capo Alek. “Stai viaggiando troppo, sei stanco” si disse espirando quelle congetture. «Però dimmi... che vita vivrei se almeno non ci provassi?» La capiva come ne capiva perfettamente il punto di vista perché alla fine era anche il suo. Lui aveva scelto di isolarsi ed andarsene per quel motivo, per non dover sottostare a nessuno e non avere la responsabilità di altre vite che non fossero la sua. Aveva scelto d’isolarsi, di vivere da eremita nell’anonimato facendo il lavoro sporco per Ethan e tanto gli bastava se riusciva a tenere sotto controllo la bestia ma, ed era un grosso ma, era uscito allo scoperto al ballo. Ora la sua bella copertura era saltata ed anzi, ora, si era visto costretto a prendere le redini di un distretto che non voleva. «E se ci sposassimo davvero Métis?!» La buttò lì senza convinzione dapprima per poi prendere davvero in considerazione quell’idea folle. «Potrebbe essere un matrimonio di copertura... Ormai sono nella tua stessa situazione avendo deciso di prendere in mano il titolo. Sono il cazzo di duca di Burgas adesso! Ci si aspetta che a ventun anni io prenda moglie...» cominciò a ragionare ad alta voce mentre le sue mani afferrarono la cordicella del sacchettino di cuoio che portava al collo. «Potremmo stipulare un secondo accordo tra noi. Manterremo questa stronzata del matrimonio solo per copertura poi sarai libera e lo sarò anch’io. Non dovremo vivere nemmeno insieme, tu farai la tua vita ed io la mia. Metterò qualcuno a fare le mie veci così non sarò manco costretto a tornare lì... Potrebbe essere una soluzione, no?» due piccioni con una fava. Lui sarebbe stato libero e lei non avrebbe dovuto sposare un “vecchio bavoso” che l’avrebbe picchiata e violentata. Lui non l’avrebbe nemmeno toccata se lei non lo avesse voluto e di certo non le avrebbe chiesto e dato figli. Questo mai. Potevano continuare a divertirsi e fare la propria vita con la libertà che quel contratto gli dava avendo adempiuto almeno alla clausola del vincolo nuziale stesso e Axel non avrebbe nemmeno dovuto gettare in pubblica piazza la sua maledizione che aveva tenuto come scappatoia. Strinse la sacchetta e pronunciò alcune parole nella sua lingua madre, immediatamente i fili che la stringevano si allentarono permettendogli di estrarre la pergamena arrotolata che recava la sua firma e quella di Beliar. «Che ne dici?» Era una pazzia, una gigantesca pazzia ma... perché no?


    Edited by Dragonov - 14/3/2022, 09:16
     
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    «Mh... staremo a vedere...» Risposi con quel filo di saccenteria che ero solita riservare ad Axel. I nostri dialoghi spesso sfociavano in battaglie infinite di parole, nessuno dei due sembrava voler abbandonare la propria opinione e la maggior parte delle volte finiva con un seccato silenzio da parte del Bulgaro, che sfinito dalle mie parole, decideva semplicemente di far decadere il discorso, o almeno questo era ciò che mi era sempre parso. Questa volta sembrava però essere diversa la questione. Axel non cercava di impormi ferocemente il suo punto di vista e al contrario si limitava invece a darmi le spalle e a negarmi un contatto visivo. Non potevo sapere perché lo stesse facendo, ma di certo questo suo atteggiamento era assai strano.
    Il discorso mutò poi improvvisamente, quando il Serpeverde decise di interessarsi realmente al perché avessi deciso si seguire le orme sue e di Ethan, finendo così per cacciarmi in affari assai loschi e per nulla affini a quelle che erano le mie idee su quanto fosse giusto e sbagliato. Forse era egoista e ipocrita da parte mia farmi andare bene determinate azioni, ma la verità era che in quel momento mi conveniva fare così, non credevo di avere alternative e per quanto normalmente mi sarei duramente imposta a certe dinamiche, dovevo cercare di farmele andare bene, perché era necessario per ottenere la mia vendetta. «Questo chiaramente non posso saperlo, ma non ho altre alternative se non quella di fidarmi» Risposi leggermente seccata e con una punta di frustrazione nel tono di voce. In realtà già ci avevo pensato a una tale ipotesi e avevo preso in considerazione di pensare a qualcosa che mi potesse in un qualche modo coprire le spalle ed evitare un possibile tradimento da parte di Ethan. Avevo valutato di stringere con lui un patto infrangibile, ma non potevo conoscere le condizioni che mi avrebbe imposto a sua volta e poteva rivelarsi un'arma a doppio taglio. Per questo avevo poi archiviato tale piano per idearne uno più sicuro. Certo, il piano in questione aveva molte incognite e non ero certa di poterlo mettere in atto, ma se solo fossi riuscita a estrarre dalla mia mente i ricordi necessari a incastrare Ethan, per tenere una sorta di "copia" di quanto io stessa fossi a conoscenza, questo mi avrebbe permesso di acquisire l'ennesima arma di scambio, perché in una situazione estrema, avrei potuto utilizzare tali ricordi per tenere mio zio sotto scacco. Se avesse fatto un passo falso avrei venduto tali informazioni alle autorità magiche e con esse pure lui. Poteva dirsi una sorta di "se affondo io tu affondi con me", ma questo avrebbe implicato doverglielo dire e quindi minacciarlo, ed era ancora tutto molto confuso nella mia mente. Dovevo riusicre a definire una strategia vincente che in nessun caso mi si sarebbe potuta ritorcere contro e non era per nulla facile, perché l'avversario contro cui giocavo era scaltro tanto quanto me, ma aveva dalla sua molta più esperienza e tale disparità mi sarebbe potuta costare caro. «Che?» Esclamai improvvisamente alzando il viso dal nascondiglio tanto sicuro che avevo trovato fra le mie ginocchia. Ero sbigottita, non poteva aver realmente proposto una simile idea. Lo guardai stranita alzando involontariamente un sopracciglio. Ero senza parole ed ero rimasta così spiazzata da tale proposta che mi ci vollero svariati secondi prima di riuscire a pronunciare mezza parola. «Non vorrai dire sul serio spero, in che modo questo potrebbe migliorare la situazione?» Chiesi ingenuamente. Non riuscivo a capire in che modo un matrimonio di copertura, così lo aveva chiamato lui, potesse renderci liberi e nel mio caso permettermi di non essere più controllata dalla mia famiglia. Io lo avevo domandato ingenuamente, ma se lui pensava davvero che dopo il matrimonio la mia famiglia mi avrebbe lasciata in pace, l'ingenuo forse era lui. «I-io posso comprendere il tuo punto di vista, capisco che ti ho tirato in mezzo a questa cosa e lo sai che mi dispiace...» Ammisi sottovoce sfiorandogli titubante l'avambraccio sinistro. La sua pelle dalla temperatura perennemente febbrile mi fece increspare lievemente le labbra in un sorriso disteso, sapevo che probabilmente dipendeva dalla maleduzione che incombeva su di lui, ma tale particolarità lo faceva sembrare perennemente su di giri, come se il suo animo si infervorisse sempre alla velocità della luce. «Capisco che per te forse potrebbe tornare comodo un matrimonio di copertura... ma per me... beh... non vedo in che modo potrebbe aiutarmi, non puoi davvero credere che la mia famiglia mi lascerebbe in pace, non smetterebbero mai di pretendere altro. Prima sarebbe il matrimonio, poi l'imposizione di partecipare attivamente agli eventi dell'alta società e poi chissa, magari pretenderebbero un erede... a questo non ci hai pensato?» Lo fissai consapevole di quanto ciò avrebbe significato per una persona affetta dalla maledizione della licantropia come era lui. Era evidente che la sua non fosse una caratteristica ereditaria, la cicatrice a mezza luna che riportava sul collo lasciava poco spazio alla fantasia e se prima potevo non esserne certa, da quando Christian me lo aveva scioccamente rivelato, mi ero sentita una stupida nel non esserci arrivata prima. Probabilmente molte persone l'avrebbero vista solo come un qualcosa che faceva parte di loro e che avrebbero tramandato ai propri figli, ma Axel, Axel sembrava tutto fuorché in buoni rapporti con quella parte di sé. «Cosa faremmo a quel punto?» Domandai osservandolo togliersi una specie di collanina che portava al collo. In un primo momento non realizzai cosa stesse facendo ma quando vidi comparire i documenti firmati e siglati da mio nonno, capii immediatamente. «Cioè tu li tenevi lì?» Lo guardai incredula ripensando a tutte le volte in cui avrei voluto trovarli e rubarglieli per darci prima un occhiata e poi fuoco. Visto e considerato quanto detestassi una simile imposizione da parte della mia famiglia. «I-io non lo so, potremmo tenerla come ultima spiaggia ma ecco, io...» Ero imbarazzata, non volevo ammettere davanti a un quasi estraneo aka quasi marito, ciò che realmente provavo e perché certe imposizioni mi dessero così tanto fastidio, ma sapevo che se non gliene avessi parlato, vista la sua scarsa empatia, mai ci sarebbe potuto arrivare da solo. «I- io credo che dovremmo almeno tentare di liberarci definitivamente entrambi dalle imposizioni che ci vorrebbero vedere legati l'uno con l'altra. Perché ecco io, beh... se mai mi dovessi sposare vorrei che fosse... per amore. Non per copertura o perché me lo ordina qualcuno...» Ammisi sputando fuori le parole con estrema goffaggine e un lampante imbarazzo che mi dipinse le guance di un rosso accesso. Nemmeno sapevo cosa volesse realmente dire la parola amore o se mai fossi stata innamorata di qualcuno in vita mia, ma quel che sapevo era che avrei voluto passare la mia vita assieme a qualcuno di cui potermi fidare, qualcuno che mi comprendesse e che non mi giudicasse e seppure Axel sembrava stranamente poter rientrare in tali parametri, sapevo che sarebbe mancato l'elemento più importante, ovvero quello che avrebbe compreso un legame sentimentale. «Ti prego, non darmi della stupida ora, o giuro che ti tiro un pugno» Lo minacciai paonazza in volto con la mia minuscola mano ammaccata chiusa a pugno. Probabilmente non ero nemmeno lontanamente minacciosa in quel momento, soprattutto visto il mezzo sorrisetto imbarazzato che avevo stampato in faccia per la confessione appena fatta, ma sarebbe stato umiliante se alle mie parole fossero seguite risate o commenti acidi. Non ero una persona fissata con il romanticismo o con altre cavolate simili, solo mi sarebbe piaciuto trovare qualcuno da poter amare che per una volta ricambiasse genuinamente i miei sentimenti, invece che calpestarli e distruggerli come invece avevano fatto prima Padme e in seguito Christian.
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    Più ne parlava e più quell’idea assurda sembrava via via farsi più concreta. Più ragionava e più vedeva i pro snocciolarsi nella sua mente e più gli sembrava che quella proposta, il matrimonio di copertura, fosse la loro dannata chiave di volta per tutti i loro fottuti problemi. Sarebbero stati liberi. Liberi di vivere le loro dannate vite come meglio preferivano ed Axel finalmente sarebbe stato libero da quell'esistenza di stenti e torture. Se ne sarebbe andato lontano e avrebbe ricominciato da zero, unicamente la sua maledizione a ricordargli chi era ma lontano – in America magari – nessuno avrebbe saputo chi lui fosse e quali macchie sporcavano il suo passato. Lì, con un nuovo nome ed una nuova identità avrebbe ricominciato daccapo e Skylee, grazie a quel matrimonio sarebbe stata a sua volta indenne da quello che era il volere della sua famiglia. «Sì cazzo, pensaci!» Replicò con rinnovato entusiasmo prima di illustrarle parte del piano – a suo dire – geniale, cosa mai sarebbe potuto andare storto? Fece un cenno con una mano alle sue prime blande giustificazioni, un gesto atto ad allontanare quelle parole come un qualsiasi insetto fastidioso. Di nuovo, la bionda si stava scusando per averlo incastrato e fosse stato in un altro momento non avrebbe fatto altro che girare il coltello della piaga, alimentando i suoi sensi di colpa gratuitamente per la situazione di merda in cui aveva cacciato entrambi, ma adesso Axel aveva la soluzione! La fottuta soluzione! «Non possono!» Disse con sicurezza sventolando la pergamena arrotolata che era riuscito ad estrarre dalla piccola bisaccina di pelle che portava al collo. «Sono stato attento a contrattare anche per il dopo. In quanto duchessa non potranno pretendere proprio un cazzo da te, se vorrai potrai presenziare ad eventi oppure organizzarli tu... cazzi tuoi quelli. Ma loro potranno unicamente decidere sui nostri eredi, sull’educazione. Basterà non fare figli!» E per lui era semplice una decisione del genere. Quasi scontata. Axel con la sua maledizione aveva già deciso tutto da tempo e non si era minimamente posto il problema di una eventuale compagna per il semplice fatto che non aveva mai considerato che ne avrebbe avuta una nel suo futuro. Per lui era sempre stato tutto scritto: sarebbe vissuto e morto solo, esattamente com’era rinato quella notte del due novembre, allo scoccare del suo nono compleanno quando le ossa avevano cominciato ad incrinarsi fino a rompersi sotto la luce della prima luna che filtrava dalle grate. Da lì, tutto era cambiato e nulla lo avrebbe fatto cambiare idea, nemmeno i possibili desideri di maternità che poteva covare la ragazza che aveva di fronte. Gli offriva la libertà dalla sua famiglia, gli offriva di vivere la sua vita al sicuro da eventuali coniugi improbabili, non era già abbastanza? Alla fine lui si stava sacrificando e se ora si trovava a gestire quella situazione era totalmente colpa sua, ergo, gli importava meno che zero della sua opinione su quell'argomento.
    «Cioè tu li tenevi lì?» Gli chiese incredula indicando la sacchetta che aveva riposizionato sotto la t-shirt sporca di sangue, sia suo che non, sudore e lerciume del pavimento del norreno e fece una smorfia prima di fare velocemente spallucce. «Posso aprirla solo io» fu la sua rapida giustificazione che per quanto ne sapeva era abbastanza vera. Quella sacchetta gliel’aveva regalata Ethan molti anni prima ed era protetta da incantesimi sofisticati. Poteva aprirla solo lui pronunciando alcune parole nella sua lingua natia e, non stentava a crederlo, probabilmente anche Ethan. Sicuro il mago aveva adottato un qualche meccanismo che gli permettesse di aggirare quel sistema di protezione ma portandola sempre al collo e non avendo segreti con l’uomo, il bulgaro non si poneva particolari grattacapi in merito a furti da parte sua. «Guarda, è scritto qui!» Le indico con il dito la lunga sequenza di obblighi e aspettative. «Vedi? Non c’è nessun obbligo su di te. È come se Beliar ti vendesse a me... rompono solo il cazzo sui figli che noi non avremo!» Chiarì ancora una volta tassativo osservando con serietà la biondina. Non avrebbe mai tramandato quel fottuto gene di merda. Skylee non replicò, per la prima volta rimase silenziosa mentre si martoriava le labbra rosse. «Cosa?» La incalzò quindi spazientito. Stava imparando a conoscerla, a leggerla e lo vedeva distintamente nei suoi occhi che qualcosa la turbava e non le lasciava vedere la perfezione di quella scappatoia. Sollevò quindi le sopracciglia incitandola a parlare. «I-io credo che dovremmo almeno tentare di liberarci dalle imposizioni. Perché ecco io, beh... se mai mi dovessi sposare vorrei che fosse... per amore.» AH. L’amore. Ecco cos’era a bloccarla. Le labbra del mannaro si schiusero ed il suo sguardo si scostò da quello della Corvonero mentre con movimenti lenti si tirava nuovamente su, preso dalla foga del momento si era chinato verso di lei ma adesso, con quel rifiuto, il suo corpo, il suo istinto, gli imponevano di mettere della distanza. Amore. Già. Un’altra cosa che non avrebbe mai potuto darle. Non perché fosse lei, anzi, era bellissima esteticamente e piano piano stava cominciando ad apprezzarla anche dentro, aveva tutte le carte in regola, ma... non avrebbe mai potuto amarla. Né lei né nessun’altra. Lui non sapeva amare in quanto non sapeva cosa volesse dire essere amati. Durante tutta la vita era semplicemente stato trattato con sufficienza, come un oggetto, come obbligo e nessuno lo aveva trattato come una persona meritevole di affetto né Axel sentiva di meritarsi tale sentimento e per forza di cose non era capace di dimostrarlo al prossimo.
    Lentamente ripiegò la pergamena mentre sul suo viso un corollario di espressioni prendeva vita per morire l’istante seguente. Aprì la sacchetta e con metodo infilò il rotolo richiudendo con stizza i fili. Ancora non si era pronunciato commentando quelle parole. «Ti prego, non darmi della stupida ora», arricciò il labbro sempre incapace di guardarla e scosse il capo compiendo un passo indietro. «Non dico proprio niente. Poteva essere una soluzione ma okay, sei tu il genio qui» disse con stizza, ringhiando con disprezzo su quell’aggettivo con cui Ethan spesso lo aveva insultato di essere carente rispetto a lei, eppure, lui sapeva cosa andava fatto per risolvere le situazioni, non si perdeva in quelle fantasticherie per bambini come l’amore. Alzò le mani mostrandole i palmi per poi abbassarle. «Lavati. Quando hai fatto avverti che...», non riuscì nemmeno a concludere quella frase dall'esito scontato poiché la vena d’irritazione nel tono gli sopprimeva le parole. Così dicendo uscì dal bagno sbattendo la porta. Non l’aveva più degnata di uno sguardo.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.


    Edited by Dragonov - 17/3/2022, 00:27
     
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