Quando Mackenzie mi confidò di voler provare un particolare tipo di rum, sorrisi complice. A differenza di lei, i miei gusti in fatto di alcol erano molto meno raffinati e più dozzinali, ordinari. Avendo lavorato nelle peggiori bettole londinesi per sopravvivere alle vacanze estive, mi ero sempre limitata a farmi una birra o due dopo i turni massacranti cui venivo sottoposta dal titolare profittatore di turno. Chiaramente, quelle che riuscivo a portarmi nell'alloggio a fine giornata non erano gentilmente donate, ma piuttosto un gentile contributo che mi premuravo di rubare all'insaputa dei miei datori di lavoro.
Stupidi pidocchiosi: dopo dodici ore di duro lavoro durante le quali dovevo sopportare urla, risse, apprezzamenti non richiesti e pessime avance, come minimo avrei dovuto pretendere un aumento, altro che contentini.
La Corvonero non mi convinse immediatamente, quando tentò di dirmi che la mia compagnia era migliore di quanto potesse desiderare. Stava forse allundendo al fatto che avevo davvero fatto una
gaffe, sedendomi al suo tavolo senza chiederle un vero e proprio permesso? La domanda mi tormentò finché - poco dopo - non insistette perché continuassi a passare la serata con lei.
«Colpita e affondata. Va bene, resto.» la rassicurai, piegando le labbra in un sorriso che probabilmente non lasciava trasparire nessun sentimento in particolare. Non ero mai stata una ragazza particolarmente espressiva, in molti me lo avevano fatto notare. Quello che quasi nessuno sapeva, però, era che quando mi sentivo tesa, o in imbarazzo, cominciavo a parlare velocemente e a muovermi oltremisura: mi torturavo i capelli, sfioravo guance, fronte, mento, labbra...proprio come in quel momento, in cui non smettevo di agitare il piede sotto il tavolo. Un tic che non tutti notavano e che personalmente ignoravo il più delle volte.
«Vorrà dire che non lo sarò nemmeno io.» la sfidai con lo sguardo, mentre - braccia incrociate al petto - mi lasciai andare contro lo schienale della sedia. Alla mora piaceva giocare, era evidente e, sinceramente, dopo gli ultimi mesi non avevo bisogno di altro: divertirmi, trascorrere del tempo di qualità con persone piacevoli, star bene; e qualcosa mi diceva che Mackenzie era la persona adatta.
«Normale?» ripetei ironica e stranita che fosse passato un messaggio simile parlando della mia famiglia. Se c'era una cosa che non eravamo mai stati era proprio quello. Ordinari, forse... oppure no?
«Se intendevi dire "com'è stato crescere in una famiglia di babbani", allora posso dirti con certezza che è stato un vero schifo.» mi limitai a dirle, ritrovandomi a pensare a quanto mi sarebbe piaciuto nascere in un mondo - quello magico - dove tutto è possibile e la speranza non è solo una parola vuota ed insignificante, così com'era stato durante tutta la mia adolescenza.
«Argh... Peccato.» mi lamentai, ridendo subito dopo. No, in effetti in un'ipotetica classifica dove "mago oscuro" si trovava in vetta non mi sarei mossa dalla base. La magia oscura era solo un argomento interessante, per me, niente di più.
«Sei stata a Camden? Ti è piaciuto?» le domandai, sinceramente curiosa di scoprire cosa avesse visitato, quali negozietti l'avessero colpita e se avesse trovato qualcosa più interessante di altro. Non avendo ancora inquadrato Mackenzie in uno stile particolare, non ero sicura di aver capito quali fossero i suoi gusti, se amasse il lusso, l'alta moda e quelle robe lì, o se preferisse il vintage, l'usato, il retrò. Personalmente, avevo sempre dovuto accontentarmi e Camden mi aveva aiutato ad essere sempre abbastanza alternativa, almeno nel modo di vestire. Pantaloni strappati, felpa e vans: era quello il mio outfit preferito, erano quelli gli abiti in cui mi sentivo veramente me stessa, ma Mackenzie... c'era qualcosa di eccentrico, energico nel modo in cui decideva di apparire ogni volta che sceglieva i suoi look, eppure. Se mi avessero chiesto di descrivere la mora, lì su due piedi, avrei sicuramente menzionato quel suo aspetto anticonformista, determinata, simpatica. Una forza della natura, almeno apparentemente, che secondo me nascondeva un lato più fragile, un lato che avevo intravisto e da cui sentivo di essere attratta.
«Cosa?! Vuoi dire che...» esclamai esterrefatta, quando la Rosier confutò la mia tesi. A quanto pareva, la verità si nascondeva nell'informazione più assurda delle tre che mi aveva fornito. Il padre della Corvonero era
davvero in carcere, un'informazione che avrebbe sconvolto sicuramente un gran numero di pretendenti e a dire il vero persino io ne rimasi sorpresa, ma quell'informazione non significava
niente, non avrebbe cambiato l'idea che mi stavo facendo della ragazza. La nostra storia personale non determina chi siamo o chi possiamo diventare, o almeno era quello che volevo credere.
«Mi dispiace per il profess...per Seth.» cercai di dirle, notando il velo di tristezza che aveva cominciato ad offuscarle lo sguardo. Sfiorai involontariamente il dorso della sua mano con i polpastrelli.
«E' lui a perderci, lo sai questo?» cercai di rassicurarla, sincera. Non ci conoscevamo più di tanto, ma se c'era una cosa che sapevo era che Mackenzie era una brava persona. Ritrassi la mano nel momento in cui lei accennò alla penitenza che avrei dovuto subire per aver sbagliato supposizione durante il mio turno.
«...se proprio dobbiamo. Parla.» la rimbeccai, in ascolto.
«Ti ho detto che non sarò stata clemente perciò...vedi quel gruppo di ragazzi la giù?» Alzando un sopracciglio, seguii il suo sguardo e incrociai i soggetti che aveva appena citato.
«Mh-mh, quindi?» chiesi, quasi innocentemente.
«Scegline uno e bacialo.» mi ordinò con aria di sfida, mentre io rimanevo immobile, incerta sul da farsi. Non avevo mai baciato un ragazzo. Tornai a guardare il gruppetto, pensierosa, poi espirai profondamente. Mi tirai sù, appoggiando le mani sul tavolo e - prima di andare in azione - mi sporsi abbastanza in avanti da raggiungere l'orecchio della mora.
«Se è quello che vuoi.» la provocai, allontanandomi in direzione del gruppetto. Una sfida era una sfida ed io non ero solita tirarmi indietro, quindi. Raggiunti i ragazzi, non persi tempo. Bussai sulla spalla dell'unico dei quattro che non mi aveva vista arrivare e - prima che potesse chiedermi qualsiasi cosa - gli buttai le braccia al collo e lo baciai. Chiusi gli occhi e lo baciai sul serio. Volevo che Mackenzie mi guardasse, che si pentisse di quello che mi aveva chiesto. Così, nell'impeto del momento, lasciai scivolare la mano tra i ricci castani dello sconosciuto e non mi frenai nemmeno davanti alle risatine degli amici. Mi fermai solo quando fui certa di essermi divertita abbastanza e, senza dire nulla, mi passai il dorso della mano sulle labbra e ammiccai ai ragazzi.
«Scusate, colpa mia.» ammiccai, sorridendo al riccio - che per la cronaca era rimasto sconvolto - e tornai a sedermi al tavolo, soddisfatta. Tutto sommato non era stato male, per fortuna quello non aveva deciso di allungare le mani, ma aveva solo risposto al bacio. A momenti un po' troppo...
«Contenta?» domandai alla mia interlocutrice, cercando il suo sguardo. Sinceramente, una parte di me sperava che non lo fosse.
«Ammetto che mi hai messo in difficoltà e non me ne volere se dico che hai mentito sul dormire in strada.» Bingo, ora tocca a me.
«Mi spiace deluderti allora, ma...» sorrisi, allargando le braccia. Ero sempre stata una pessima bugiarda, ma forse per ero stata in grado di depistare la mia vittima.
«Se fossi di Londra, sapresti che Camden Town non è conosciuta solo per il folklore e il turismo... Non sono cresciuta nell'oro e beh, la strada a volte è stata l'opzione migliore. Ora cerco di fare qualche lavoretto estivo per mantenermi, ma quando ero più piccola...» feci, alzando le spalle. La mia vita era costellata di periodi bui in cui ero caduta e dopo i quali mi ero sempre rialzata, ma ricordarli non era sempre piacevole, motivo per cui cercai di sorvolare.
«Era un Corvonero il ragazzo che ho picchiato, un pugno solo.» le confessai, omettendo il fatto che non fosse stato l'unico. Non era un segreto che il mio rapporto col sesso opposto non fosse dei migliori.
«Come penitenza, dovrai rispondermi ad una domanda.» Una stupida, ecco cos'ero.
«E' stato per il drink che hai deciso di baciare me e Khyntia, a San Valentino?» le domandai, forse troppo precipitosamente. Insomma, quante altre occasioni avrei avuto di chiederle qualsiasi cosa?
«Stiamo ancora...?» le chiesi, incerta. Non che non fosse possibile che avesse avuto una relazione duratura, né che potesse avere dubbi sul proprio orientamento sessuale, ma...
«Ti va di uscire?» le proposi, senza pensarci. Improvvisamente, tutta quella folla di gente mi infastidiva. Senza contare che i ragazzi di prima non ci toglievano gli occhi di dosso, forse in attesa di una replica di quanto successo prima.
La luna era ormai alta in cielo e il clima mite del pomeriggio aveva lasciato spazio ad una brezza leggera ma pur sempre fredda. Dopo aver pagato per entrambe, ci chiudemmo la porta del locale alle spalle e, mani in tasca, ci incamminammo in direzione del Castello.
«Quindi...cosa ti ha colpito di me?» tentai, cercando il suo sguardo, senza smettere di camminare. Se avessi sbagliato, sarei stata pronta a fare qualche altra pazzia, in caso contrario...beh, avremmo avuto la giusta calma per parlarne.