Quella nuova condizione di Maride involontario, piombatami tra capo e collo da un giorno all’altro, stava iniziando a parermi molto simile a un matrimonio non voluto: quella nuova natura era andata a mischiarsi con quella di umano con cui ho sempre convissuto come qualcosa di indissolubile – e ad occhio e croce spaventosamente
permanente – sforzandomi di convivere con qualcosa che non avevo richiesto, riducendo la mia libertà personale come niente e nessuno aveva fatto finora. Sembrava tutto decisamente
troppo. La sola idea di non poterne uscire non faceva che rendermi sempre più irrequieto e spossato ogni mese che passava. Giunti i mesi più freddi, infatti, il mio stato di salute – fisico e morale – non aveva fatto che spomparsi sempre più, un giorno per volta, sentendomi ricaricato –
al contrario di tutti i miei compagni, probabilmente – solamente giunta la sera, quando mi immergevo a mollo nella vasca del mio dormitorio, riempiendola di sali; inizialmente mi ci immergevo senza, ma avevo presto capito che il mio corpo necessitasse qualcosa di più, così ho provato ad aggiungere del sale e, in effetti, la pensata era risultata sensata: il tipo di tritone in cui mi trasformavo non era tipico dei laghi – come quelle che abitavano il lago nero, per intenderci – ma del mare. Non sapevo se ritenere quel dettaglio una fortuna nella sfortuna o meno: da una parte il mio aspetto rimaneva per metà lo stesso, mentre gli abitanti del lago avevano un aspetto
non esattamente affascinante; tuttavia, ciò mi evitava di poter giovare appieno delle immersioni nel lago nero, che avevo proprio a portata di mano, rendendomi il tutto più difficile, costringendomi – per l’appunto – a far sparire magicamente dalle cucine confezioni di sale tutte le settimane,
ed ero certo che prima o poi se ne sarebbero accorti. Ma quali alternative avevo?
Profondamente spossato nell’ultimo periodo, avevo iniziato ad approfondire l’argomento tritone con delle ricerche specifiche, trovando un perché alla mia stanchezza perpetua: non stavo a mollo abbastanza a lungo durante la settimana.
Quella mezz’oretta al giorno non bastava. Così, salata o meno, pensai che immergermi nel lago nero per qualche ora non avrebbe potuto farmi che bene;
avrei potuto tentare, per lo meno. La mia paura era quella che mi avvistassero e, ancor peggio,
riconoscessero: come avrei spiegato tutto ciò? Ma ne avevo anche una seconda: scontrarmi con le maridi del lago, che trovavo affascinanti quanto pericolose. Tutta la mia speranza risiedeva nel fatto che, evitando di immergermi troppo a fondo, e senza andare troppo lontano, sarei riuscito ad evitarle.
Così, la mattina seguente, alle prime luci dell’alba, ci provai.
Non avevo però valutato un’altra cosa: il passare del tempo. Come avrei potuto calcolarlo? Non potendo immergermi con orologi addosso, era impossibile dirlo, se non facendo capolino dalla superficie ogni tanto e valutando i colori del cielo. Va da sé che non fosse una tecnica precisissima. Tuttavia la cosa che più mi interessava era giovare di un rinvigorimento fisico, dunque sarebbe stato quello a farmi capire che ero stato in acqua abbastanza. Sempre che avesse funzionato.
La prima cosa che notai, fu che più nuotavo, più la mia ansia diminuiva, preso da tutto ciò che mi circondava; sotto il livello del lago, sembrava di stare proprio in un altro mondo… un mondo
meraviglioso, governato da un senso di calma corroborante, per quanto alle volte mi allarmai alla vista di creature particolarmente grosse o bizzarre, che magari non conoscevo, ma che per fortuna non sembravano particolarmente interessate alla mia presenza.
Una parte di me, insomma – la parte maride – si sentiva completamente
a casa. Per un momento mi domandai concretamente cosa sarebbe accaduto se avessi abbandonato per sempre il mondo degli umani per abbracciare in toto quella parte di me, ma quando pensai alla mia famiglia, a mia sorella, al castello, e a tutte le cose meravigliose che costituivano il mondo umano, ci ripensai subito. Mi resi conto di avere, piuttosto, una vera fortuna in mano: poter abitare entrambi i mondi a mio piacimento, vivere,
perché no, una doppia vita. E in quel momento avrei tanto voluto incontrare dei miei simili,
dei maridi di acqua salata, per fare la loro conoscenza e imparare a essere uno di loro.
Questo finché non incrociai una marine d’acqua dolce in lontananza. A quella vista mi allarmai immediatamente, muovendo la coda in modo tremendamente rapido e impacciato, agitando le acque talmente tanto che quella si accorse della mia presenza; il mio cuore palpitava: avrei giurato mi fosse salito fino in gola. Il fatto era che il mio panico avesse una ragione ben chiara:
aveva una specie di tridente tra le mani. E me lo stava puntando contro, nuotando alla velocità della luce.
Soprappensiero, dovevo essermi spinto troppo a fondo. Mannaggia a me. Risalire sembrava un’impresa sempre più inutile, costretto a quell’inseguimento inaspettato: ce l’avrei fatta? O sarei morto impalato lì, nelle profondità del lago, senza che nessuno ne venisse mai al corrente? Sarei mancato a qualcuno?…
Sbom. Avevo sbattuto la testa. Per un attimo mi sentii intontito, ma mi ripresi abbastanza in fretta per comprendere di aver toccato qualcosa sulla
superficie dell’acqua. Quando riuscii a buttare la testa fuori, tutto ciò che percepì fu uno strano fastidio verso la luce del sole e un potente disorientamento. Girai su me stesso per mettere meglio a fuoco ciò che mi circondava, e capire dove fossi; realizzai con un soffio che
decisamente non ero al castello. E subito dopo…
Una persona. Con dei remi in mano. Mi stava fissando. Sicuramente avevo sbattuto contro la sua imbarcazione appena un istante prima.
Panico.
Rituffai la testa in acqua, solo per vedere la maride armata essere quasi arrivata alla superficie. Mi aveva praticamente
raggiunto.
– Hey, tu! Fammi salire sulla barca, svelto!…Sono uno studente. – pensai di aggiungere, sperando di fargli pena e, soprattutto, che percepisse il panico nella mia voce. I miei modi erano stati forse bruschi, ma non c’era proprio tempo per i convenevoli.