Posts written by Will`

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    Wilder Singh

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    21 anni - III anno

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    Non mi ero preparato nessun discorso da farle, semplicemente perché avevo preferito evitarla a tutti i costi. Non avevo le palle necessarie? Forse era davvero così. Non era l’unica motivazione, però: non sapevo davvero che spiegazioni darle per la mia sparizione. Imperdonabile. Non la biasimavo. Ma come facevo a spiegarle che non mi reputavo più ciò che credevo di essere un tempo? Ossia un semplice umano, senza particolari problemi, che avrebbe avuto tutta la libertà possibile e immaginabile per darle tutto ciò che voleva, se lo avesse voluto. Ero certo che continuare a frequentarla avrebbe portato solo in una direzione: il mio interesse, per lo meno, non avrebbe potuto che crescere a dismisura, fino a incontrare due riscontri, e due soltanto: contribuire a far nascere qualcosa di molto bello fra di noi, o soffrire per non venire ricambiato o, peggio, sforzarmi con tutto me stesso per non toccare certi tasti con lei, per non darle la maledizione di impegnarsi, nel migliore dei casi, con un fottuto mezzo pesce. Certo, avevo un carattere romantico per natura, e di conseguenza davo vita a dei voli pindarici senza eguali, ma non era forza una possibilità da tenere anche solo minimamente in considerazione? In realtà, era più un discorso generale, con il quale non sapevo bene fare i conti: insomma, se non fosse stata Rain, sarebbe stata qualcun’altra: stesso problema. Forse sarebbe bastato solamente conoscere meglio me stesso e la mia situazione attuale, forse sarei davvero riuscito a trovare una quadra in tutto quel caos che era ora la mia vita, ma al momento non sapevo che pesci pigliare (espressione molto ironica, non credete?) e non volevo costringere nessuno a impelagarsi in un qualcosa di troppo grande, di troppo strano e difficile. Forse le avrei semplicemente fatto schifo, a lei come a chiunque altra, ma non volevo scoprirlo: mi avrebbe fatto troppo male. Eppure… ciò che avevo ottenuto, ora come ora, era tanto diverso? A quanto pare no: anche in quella via che avevo deciso di percorrere, quella del vigliacco, ero riuscito ad ottenere lo stesso esatto feedback, se non peggiore: era davvero meglio farsi schifare per una coda di pesce - uno stato delle cose che non potevi in alcun modo controllare - o per la persona che, oltre le squame, eri? La risposta era chiaramente la seconda. Eppure non lo avevo totalmente tenuto in considerazione, troppo impegnato a scappare. “Chi ti credi di essere?” inspirai profondamente, lasciando svuotare i polmoni nel dire molto semplicemente: – Non lo so, Rain. Non credo di saperlo più. – era la verità. Ciò che ora ero, probabilmente avrebbe cambiato la mia identità… forse lo stava già facendo. Ma non sapevo in che modo. I miei pensieri, nonché piani per il futuro, ormai, sembravano solo un groviglio confuso, come una matassa di lana nelle mani di un gatto per una mezz’ora buona. – Desideri e azioni hanno preso due strade diverse… e credo sarà così per un po’. – dubitavo che avrebbe capito ciò che intendessi, a mala pena riuscivo a farlo io, ma non sapevo davvero come meglio esprimermi. E forse era meglio così: non dire troppo, continuare a non farle sapere come stessero davvero le cose. Non confonderla ulteriormente. “Non ti capisco e non credo di essere la persona adatta a te.” sorrisi, un sorriso amaro, nell’abbassare di poco il capo, debole e sconfitto: – Forse lo eri troppo. Sai, a volte… le persone giuste semplicemente si incrociano nei momenti sbagliati. So che non puoi capirlo, ma… fidati. – parlavo già al passato, sì, ma che il treno, dopotutto, fosse già bello che passato, lo vedevo nei suoi occhi, nel linguaggio del suo corpo… c’era ancora qualcosa, di non meglio identificabile, che faceva sì che nessuno dei due fosse totalmente impassibile di fronte all’altro. Fra di noi c’era come un filo rosso diviso da un pesante masso che impediva a una parte di raggiungere l’altra, un masso che avevamo messo noi… no, anzi… che probabilmente avevo messo tutto da solo. Un filo che, lo sentivo, stava per spezzarsi tristemente.
    – Che non mi avessi dimenticato, forse. Comportamento incoerente com’è la mia vita in questo periodo… ti ho rovinato quella serata, forse. Non avrei dovuto. – almeno delle scuse… quelle gliele dovevo. Meglio tardi che mai, suppongo.
    – So che sai cavartela da sola, Rain. Ma, non so… vorrei semplicemente che ti circondassi di persone che ti trattino bene. Come meriti. Tutto qui. – quindi non io, fu una realizzazione triste che feci.

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    Il momento in cui ci ritrovammo successivamente, affondati entrambi fra i cuscini in quell’angolo confortevole della serra, fu improvviso e destabilizzante. L’aria si rilassò un poco e, per un momento, mi parve di tornare a quell’estate. Una posizione in cui non avrei dovuto mettermi. – Rain, io… stavo scherzando… – cercai di ritrarmi quando il naso di lei andò a immergersi nel folto dei miei capelli umidi. Quella vicinanza mi destabilizzava, lo faceva sempre. Scherzi a parte, tra i due, era sempre stata lei a tenere il coltello dalla parte del manico: ero più che convinto che, con un solo sguardo, sarebbe potuta riuscire ad ottenere da me qualsiasi cosa. Questo era il livello di rincretinimento che mi causava. Maledizione. – Sapresti bene come torturarmi, tu. Altroché… – voltata su un fianco, mi parve più vicina e bella che mai. – Ti sei vista, Rain?… ma aspetto a parte, non potrei mai scordarmi di te. – avvicinai lentamente una mano al suo orecchio, spostandole con fare leggero e quasi impercettibile una ciocca dietro ai capelli fulvi Mai. Ascolta… – feci scivolare poi una nocca sotto il suo mento, nel sollevarglielo leggermente, nel tentativo di ottenere tutta la sua attenzione, – …Non volevo ferirti con la mia assenza, Rain. Lo giuro su ciò che mi è più caro: la mia famiglia. Non meritavi che lo facessi. Ma… come ho detto prima, sono convinto che siamo due anime affini che si sono incrociate nel momento sbagliato. Qualcosa… è cambiato, da quel Luglio. In me. Non so bene come spiegartelo. Spero che un giorno, presto, riuscirò a trovare una quadra nella mia vita, ma… al momento è tutto troppo complicato. So che la nostra vicinanza non può che farmi desiderare solo… di averti mia. Non sarei in grado di darti solo dell’amicizia, sei… sei troppo, per limitarmi a quello. – mi passai la lingua sul labbro inferiore, cercando di scegliere le parole più giuste, ma sembrava tutto così difficile e, da quelle che sarebbero state orecchie esterne, probabilmente poco sensato, – Credo che sia giunto il momento di andarmene. Dal castello. C’è una situazione grossa, più grossa di me che devo cercare di sistemare, e non posso farlo qui. Probabilmente mi dimenticherai in un batter di ciglia… ma io non lo farò con te. Solo… non odiarmi, ti prego. Questo… non è ciò che vorrei. Ma dubito di avere altra scelta. – avvicinai le mie labbra alle sue, come un soffio: se avesse voluto, si sarebbero incontrare per quella che sarebbe stata, quasi sicuramente, l’ultima volta. In caso contrario, mi sarei limitato ad immaginare di assaporarla per l’ultima volta, prima di alzarmi, deciso ad andarmene. Prima di voltarmi, però, ci tenni a dirle un’ultima cosa: – Divertiti, se vuoi, ma… trova qualcuno che ti tratti bene, per davvero. Se io non posso averti, voglio saperti tra le giuste braccia. Non… non odiarmi. Ti prego. – e in quel momento lo percepii: lo spezzarsi del filo rosso.


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    Wilder Singh

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    21 anni - III anno

    – Eppure mi sei sembrata tale, l’estate scorsa. Dietro tutte quelle apparenze. Ma forse mi sono sbagliato. – diedi un’alzata di spalle, consapevole che, dopo la scenata vissuta alla festa di Natale, probabilmente stessi dicendo il vero. Che mi ero sbagliato sul suo conto. Ma, dopotutto, non era sempre così? Quanto puoi dire di conoscere una persona dopo una giornata passata assieme? La gente tende sempre a mostrarti i suoi lati migliori, o a fingere di averne. La realtà, ormai lo sapevo, era molto diversa: forse le apparenze non erano davvero così ingannatrici. Forse ciò che sembrava a primo acchito, cioè una stronzetta di facili costumi, lo era davvero. Non cercava di nasconderlo neanche poi così tanto, dietro a un sorrisetto costantemente sarcastico e derisorio. Mi era piaciuto credere che fosse un angelo travestito da diavolo, ma ora iniziava a sembrarmi proprio l’opposto. C’era un dettaglio, però: mi meritavo quell’atteggiamento così passivo-aggressivo? “Perché dovrei essere carina nei tuoi confronti? Che hai fatto per meritarti questo privilegio?” …ecco, appunto. Non sapevo come rispondere a quella domanda, e per questo non lo feci. Recentemente non avevo fatto nulla per meritarmelo: aveva ragione. Eppure, non pensavo che “non fare nulla” equivalesse a diventare il cattivo della situazione…
    “…ti è riuscito benissimo il tentativo!” la guardai con incredulità: sapendo bene cosa mi fosse passato realmente per la testa per tutto quel tempo, mi suonava come una realtà completamente opposta. Le parole che seguirono mi fecero mordere le labbra; più la rossa si esprimeva, più leggevo nei suoi occhi che, dietro la rabbia, vi fosse dell’altro. E allora mi diedi mentalmente dello stupido: l’avevo allontanata in automatico, convinto che fosse la cosa migliore e che a lei non avrebbe cambiato proprio un bel nulla, anzi, certo che non si sarebbe neppure accorta della mia ferma posizione, essendo stato unicamente una stella cometa di passaggio: sorprendente finché fa parte del tuo campo visivo, ma destinata a spegnersi e ad essere dimenticata in un tempo quasi immediato. Ed era ciò che avrebbe dovuto essere anche lei: non era quello il punto delle cottarelle estive?
    La rossa continuava a ribadire che non avesse interesse nei miei confronti, eppure avevo rapidamente smesso di crederci. Aveva innalzato uno scudo nei miei confronti, uno scudo altissimo e pieno di aculei: lo percepivo. Non ci voleva un genio o uno psicologo per capirlo. Certo, avrebbe potuto essere solo rabbia repressa, a quel punto, ma allora perché incarognirsi così tanto? – Se davvero qualcuno non ti interessa, non ti prendi neanche la briga di farglielo sapere e ribadirlo così tanto. Non credi? – volevo farle capire che fosse chiaro come il sole ma, più di tutto, volevo che giocasse a carte scoperte; senza mettere alcun velo alle verità, e a ciò che realmente provasse… ma la capivo. Mi percepiva come una minaccia o, per lo meno, qualcosa di negativo, di falso; ed era vero. Mi ero comportato da falso per tutto quel tempo. – Non è la tua reputazione… – cominciai a dire. Ma per finire dove? Non lo sapevo, e infatti non conclusi quella frase. “Hai rovinato tutto.” le mie iridi tremarono, mentre ogni tentativo di mostrarmi forte e impostato, davanti ai suoi occhi, svaniva. Una parte di me avrebbe voluto afferrarle una mano, ma non lo feci, sapendo che avrebbe scacciato la mia. Mi sentivo completamente atterrito. In quel preciso momento, mi resi conto di quanto mi fossi interessato solamente alla mia presa di posizione, senza tentare neanche di valutare quella che sarebbe stata la sua.
    E quindi continuai a prendermeli in silenzio i suoi rimproveri, usando quel tempo per valutare l’effetto che facessero su di me quelle parole, per riflettere. “L’hai baciata perché ti andava di farlo?” qui mi mise davvero in difficoltà. Mi era piaciuto baciarla? Sinceramente, . Era una bella ragazza, baciava bene, e avevo tentato con tutto me stesso di spegnere il mondo attorno grazie a quel gesto. Ma, per fortuna, non era stata quella la sua domanda. – L’ho baciata perché tu avevi baciato un altro. E volevo scaturire una reazione. – e ci ero riuscito. Ne ero soddisfatto? Ovviamente no. Nessuna reazione che fosse possibile scaturire da quel gesto avrebbe potuto piacermi. Eppure, un curioso senso di rabbia interiore mi aveva spinto a farlo. Qualcosa che non avevo mai sperimentato prima di allora. Prima di quell’estate. “Sei proprio un cazzo di idiota.” trattenni il fiato solo un istante, per poi rilasciarlo con una nuova arrendevolezza: – Hai ragione. Lo sono. Sono un fottuto cretino. – ammisi. Un vero uomo, dopotutto, si prende le proprie responsabilità. “Abbiamo finto. Tutto quanto. Dal principio.” quelle parole, però, mi stizzirono. La guardai con un nuovo fare severo e sprezzante: – Se mi dici così, però, siamo i due coglioni dentro lo stesso boxer. – un modo piuttosto esplicito per dar voce a una grande verità. – Tu non capisci un cazzo. – l’unico sbaglio della rossa (a parte baciare Marcel), forse, era stato essere troppo precipitosa: neanche lei, fino a quel momento, aveva cercato un confronto, dopotutto. E anzi: quello stesso confronto era completamente casuale. Anche lei continuava a credere di sapere tutto, senza sapere un bel niente.
    – Tu credi di averlo. Ma così fai solo la parte del giocattolino. – la fissai stizzito. – Pensi di valere questo? L’essere un inutile sfogo per qualche coglioncello al castello? – per quanto divertente potesse essere per lei, infondo quel comportamento non faceva che dimostrare a sé stessa e al mondo quanto poco credesse di valere. O, almeno, quella era la dura impressione che avevo di lei. – È triste. – strinsi i pugni, le labbra strette, nel reputare ingiusto il modo in cui trattasse sé stessa.
    “Lo sei, per quel che mi riguarda!” sorrisi ironico: quel piccolo momento di sfida rese per un attimo l’aria più leggera.
    Questo finché non mi pestò un piede con tutta la forza possibile.
    Non mi fece neanche così male, in realtà. Ma volevo farglielo credere.
    Solo per un momento.
    Mi chinai verso il mio piede sinistro, fingendo di provare un gran dolore: – Merda… che dolore… come farò a camminare adesso??? – ovviamente quelle parole resero ovvio il mio scherzo, ma tanto era troppo tardi: nell’alzarmi, la presi di peso e la gettai sopra il mare di cuscini all’angolo della serra come uno scarpone dopo una lunga giornata di lavoro.
    – Tu. Pazza. Ora ti fai anche aggressiva? Sai che so come domare le bestie. – in un attimo alzai una lunga gamba e la portai oltre il suo corpo disteso, piegandomi su di lei a mo di ranocchia, senza però arrivare a toccarla. – Ahhh. Come devo fare con te? – scossi la testa guardandola come una bambina che si era comportata male. Un caso perso. – Pensi che uccidermi ti farebbe sentire meglio? O ti piacerebbe solo rendermi disabile? – mi avvicinai leggermente col busto a lei, in modo da farla affondare ancora di più fra i cuscini. – Sicura che non ci sia proprio un altro modo? –


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    Wilder Singh

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    21 anni - III anno

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    Mi schiaffai in volto un’espressione incurante, nello star per dire qualcosa di ovvio: – Affatto. Impossibile essere nervosi nella serra zen. – ”…ma forse tu potresti rompere la regola”, avrei concluso nel dire, ma il mio sesto senso da maschio, figlio e fratello di due donne dal carattere altrettanto peperino mi indicò fosse meglio omettere quell’ultima parte, che per me avrebbe semplicemente constatato l’ovvio, ma dall’altra parte sarebbe stata vista sicuramente come una provocazione bella e buona. La rossa, a Natale, aveva dimostrato uno spirito distruttivo che non mi era piaciuto per niente, e non avevo la minima intenzione di rivivere un round two, per quanto, quantomeno, questa volta fossimo lontano da orecchie e occhi indiscreti. A meno che Blackwood non avesse stregato qualche pianta…cosa plausibile quanto le nuove intenzioni di Rain che, qualsiasi cosa avesse intenzione di fare in quel luogo e a quell’ora, dovevano essersi sicuramente tramutate in una nuova splendida, fantastica occasione per aizzarsi contro di me. E infatti…
    “Questo implicherebbe un mio interesse verso di te.” abbassai di colpo la testa, con un improvviso interesse verso la composizione naturale di fiori davanti a me, scostando distrattamente le foglie mentre ruotato la lingua attorno al palato in preda a uno strano sentimento in risposta a quelle parole. In quel momento non avrei saputo definirlo, ma non era piacevole.
    “Sei il nulla cosmico!” aggiunse poco dopo in risposta al mio sarcasmo, l’arma che più mi veniva naturale usare, nonché quella che mi parve la più consona alla situazione e alla mia interlocutrice. – Oh, Rain… non sono cose carine da dire – mi espressi ancora una volta ironico, imitando un padre scontento della figlia; tornai a guardarla, tentando di mascherare quanto quelle parole così fredde e taglienti avessero potuto ferirmi. Dopotutto, chi era lei esattamente? Una compagna di scuola e nulla più. Al di là delle lezioni, non ero minimamente tenuto a starle attorno e a sopportare la sua supponenza.
    Guardarla, però, era sempre letale per me. Per questo evitavo di farlo. Per questo mi posiziona vo puntualmente al lato opposto della classe, mi sedevo di spalle rispetto al suo posto alla lunga tavolata di serpeverde, cambiavo strada nei corridoi e, persino ora, lottavo per riuscire a tenere lo sguardo alto su di lei. Mi stregava. Lo aveva fatto sin dal primo momento; non saprei come altro descrivere quell’ascendente che riusciva ad avere su di me, anche dopo quei lunghi mesi di silenzio. Non era solo bella, Rain: aveva un’aura che ti assorbiva completamente, ed ero certo che fissarla troppo avrebbe potuto portare un uomo alla pazzia. Mi meritavo di venire punito con quelle parole eccessivamente dure da parte sua, pronunciate come la più innocua delle constatazioni? Forse sì, per quanto continuasse a parermi eccessivo. Ma io dubitavo fortemente che, se le parole che pronunciavano fossero state tanto vere, avrebbe perso tempo nel dedicarmele. Che non avrebbe fatto subito retro front, abbandonandomi nuovamente alla mia solitudine nella serra piuttosto che fronteggiarmi ancora una volta, dopo quel gesto così plateale. – …ne sembri quasi convinta – sputai con convinzione dopo quell’ultima realizzazione mentale. – Dipende: migliore di chi? – domandai interessato, piegando la testa di lato mentre decidevo di sistemare in un angolo gli attrezzi che stavo usando, come a segnalare chiaramente che ero ora disposto a dedicarmi a lei e ai suoi sfoghi, tornando presto a fronteggiarla con due mani sui fianchi. Dall’alto del mio metro e novantuno, torreggiavo su di lei, ma questo non sembrava affatto intimidirla. Continuava imperterrita a mantenere quell’adorabile quanto isterica aria da chihuahua agguerrito, che era una delle cose che più mi piacevano di lei. Masochista? Probabilmente. Però non riuscivo proprio a mantenere uno sguardo totalmente serio, davanti a quella scena; questo finché non riprese la parola, ora decisa ad esprimersi seriamente. Fece persino un passo verso di me, come a volermi attaccare con ogni brandello di sé stessa. “Trattata come una povera stronza.” No. Cosa??! No! Feci ora un passo io verso di lei, tentando di riprenderla in quel punto, ma fu tutto inutile: era un carro armato pronto alla lotta. La mia espressione però era cambiata: dal far di tutto per trattenere una risata divertita, ora aggrottavo la fronte concentrato nel suo discorso, portato per la prima volta, dalle sue parole, a vederla esattamente dal suo punto di vista. – Non mi sono scagliato proprio su nessuno – puntualizzai quando me ne diede modo. – Sei stata tu ad attaccarmi per primo, alla festa… come hai detto, ti ho ignorata. O almeno… ho cercato di farlo – lasciai trapelare, ripensando a come quella sera, in particolare, splendesse come un rubino prezioso. Sarebbe servito a qualcosa informarla del fatto che avrei tanto voluto invitarla a quel dannato ballo? O che avessi quasi ceduto, ma che fosse ormai troppo tardi perché Marcel mi aveva abilmente anticipato? – Tra tutti i ragazzi al castello… volevi che ti invitassi io? – fu ciò che dedussi dalle sue parole. Le mie sopracciglia si aprirono in un gesto di sorpresa, nello sguardo pura incredulità. – La mia lingua non era sudicia, comunque, quando si trovava nella tua di bocca… – mi leccai le labbra facendo un nuovo passo verso di lei, con rinnovata aria di sfida: ormai ci dividevano solo pochi centimetri. Era da molto che non eravamo così vicini, e quasi mi ero scordato di quanto i suoi capelli fossero visibilmente lucidi e setosi, o le sue labbra fossero così perfettamente disegnate e… piene e invitanti come pezzi di frutta in una giornata cocente… ripensai allora alla mia “sporca lingua” nella sua bocca, e a quanto ci stesse bene.
    No, assolutamente no. Strinsi gli occhi e scossi energicamente la testa (rilasciando goccioline volanti dai biondi capelli ancora umidicci) distogliendo lo sguardo da lei: ecco, l’avevo fissata troppo. E troppo da vicino. Ritorniamo alla realtà, cazzo. Quella ragazza mi dava alla testa. – Guarda che hai fatto più tu per manipolarla che io, visto quello che le hai detto per farla fuggire. Ti sembro quindi uno che usa tattiche? Uno che usa le ragazze? Davvero, Rain? – per cosa, poi? – Inoltre… mi pare sia stata tu la prima a baciare Marcel. Come mi spieghi questa bella mossa, dopo tutto il tuo discorso? E anche cosa ti ha spinta ad abbandonare le braccia di un nobile per dedicarti all’ambita demolizione di uno squattrinato come me – lo dissi senza vergogna: era ciò che ero, almeno al momento. Un altro motivo che si aggiungeva al non essere così egoista nel volerla per me.
    – Ah, cavolo, che invidia. Ti fai usare da altri, quindi, adesso? O sei tu che usi loro? – ero tornato a fare il sarcastico per mascherare quanto infondo non mi sembrasse un’ipotesi così assurda. Ero certa che di concasati che volessero passare la serata con lei ne avesse a bizzeffe dentro l’armadio… – Quindi, alla fine… sono questo? Un rompicoglioni? – ignorai bellamente la sua ultima domanda, mentre le mie lunghe gambe muovevano, come mosse da una forza esterna, il passo definitivo che portò il mio viso diretto sopra il suo. – Pensavo fosse il tuo ruolo, nanetta un modo giocoso per stuzzicarla, per sovrastarla, quando doveva vedersi bene nei miei occhi quanto l’ultima intenzione che avessi nei suoi confronti fosse litigare seriamente. Proprio in quel momento, avrei voluto passarle una mano fra i capelli e prenderle il volto tra le mani, ma dovetti trattenermi con tutto me stesso dal farlo. Era troppo preziosa per me.


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    Scheletro role:

    Wilder Singh

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    21 anni - III anno


    Mi afferrai all’imbarcazione guardando lo sconosciuto dritto negli occhi, cercando inconsciamente di capire che tipo di persona fosse: quella che mi avrebbe aiutato a fuggire dalle grinfie della orrida maride, o quella che mi avrebbe lasciato lì sulla superficie del lago come un sacchetto che aveva smesso di fare la sua utilità? Qualunque fosse stato l’esito a quella domanda implicita, l’uomo doveva sbrigarsi ad agire, in un modo o nell’altro, decidendo le mie sorti.
    Fui fortunato. Quello, infatti, non fece troppe domande, anzi, non ne fece proprio nessuna, almeno in un primo momento; si limitò ad afferrarmi il braccio che tenevo appigliato al fianco della barca, issandomi con tutta la forza che aveva in corpo per farmi scivolare al suo fianco.
    Un dettaglio impossibile da ignorare dovette balzare subito agli occhi dello sconosciuto: la mia grossa coda da tritone che si schiaffò sul legno della barca con un tonfo umidiccio, infradiciandogli le vesti e anche la faccia. Le circostanze non favorivano però il suo tempo di reazione, che doveva dedicarsi interamente alla scena che stava avvenendo alle nostre spalle: il tridente della maride aveva tutta l’intenzione di finirci addosso con violenza, quando l’uomo – dopo aver incantato i remi per far sì che si muovessero da soli (bella pensata) – lanciò un incantesimo di protezione che ci salvò in corner, senza però metterla fuori gioco.
    In quel momento riuscivo a pensare solamente a una cosa: che avrei voluto avere la mia bacchetta con me. Pensai infatti che fosse inutile trascinarmela nelle profondità marine, in quanto sarebbe stato di una facilità imbarazzante perderla. Senza di quella, però, adesso, la mia presenza lì era non solo dannosa – essendo stato quello a portare in superficie la maride – la perfettamente inutile; l’uomo doveva cavarsela con le sue sole forze, facendo appiglio a tutta la prontezza di spirito che possedeva, sperando fosse stata abbastanza da garantire a entrambi la salvezza da quelle acque oscure e ora turbolente, riuscendo ad accostarci alla riva in tempo per non far diventare carne al sangue lui e sushi io. A dir la verità dubitavo che nella dieta delle sirene d’acqua dolce – come anche di quella salata – vi fossero umani o altri loro simili ma, per quanto ne sapevo, saremmo tranquillamente potuti finire vittime di riti sanguinari contro gli stranieri che si erano insediati nelle loro acque senza il minimo straccio di invito.
    Il Diffindo che castò successivamente sembrò fare abbastanza per rallentare la creatura, garantendoci un lasso di tempo sufficiente per scambiare uno straccio di parola tra un fittone e l’altro. – Mi avevano invitato alla loro festa, ma forse non hanno gradito il regalo… – tirai a indovinare sarcasticamente, vista la domanda altrettanto idiota che mi venne fatta. Chi non conosce la pericolosità di quelle creature? Avevano la classificazione ministeriale di XXXX, ossia esseri di una pericolosità tale da richiedere la presenza di un mago esperto e loro abile conoscitore, cosa che comunque serve a nulla essere senza l’ausilio di una bacchetta.
    L'unica cosa che potevo fare era impadronirmi dei remi e pagaiare il più rapidamente possibile.
    – Ecco la riva! – esclamai, prontò a schizzare via dalla barca come un’anguilla non appena ce ne fosse stata l’occasione. Mi voltai per controllare nuovamente la situazione della maride, che prese sorprendentemente a rallentare la sua corsa, fino a fermarsi; si bloccò a guardarci con astio, gli occhietti neri che ci perforavano appena oltre la superficie del lago, i sottili capelli scuri che vi si muovevano ondulatamente. Dovevamo ormai essere fuori dalla sua portata, troppo vicini al territorio umano per spingersi oltre. Poco dopo, infatti, con il solo ausilio della forza delle braccia, mi spinsi fuori dalla barca di legno vecchio e scricchiolante, dando una botta di pinna sulla riva, i respiri intensi. – Ce l’abbiamo fatta – sfiatai credendoci appena, mentre con un leggero brivido notavo la parte inferiore del mio corpo ritrasformarsi – ormai più asciutta che bagnata – rivedendo sbucare un paio di lunghe gambe umane al posto della coda da tritone.
    Unico dettaglio negativo: ero nudo dalla vita in giù.
    Mi portai così entrambe le mani a coprire i gioielli di famiglia, trasalendo dall’imbarazzo e voltandomi nel guardare la gente attorno che iniziava ad accerchiarci; possibilmente non erano stati partecipi della mia trasformazione, ma erano spettatori della mia situazione attuale.
    – Ehm… non avresti qualcosa per coprirmi le palle? – sussurrai sporgendo il busto verso l’orecchio del mio compagno di avventura.
    Non proprio la giornata che avevo immaginato.


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    Wilder Singh

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    21 anni - III anno

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    Quella serra non risultava particolarmente popolare, almeno negli orari in cui la frequentavo io; rimasi dunque di stucco quando, tra quelli che probabilmente erano più di trecento abitanti dell’intero castello, mi ritrovai davanti (o dietro) proprio Rain Scamander, praticamente l’unica persona che evitavo. In realtà non lo facevo a posta, almeno credo: quando la incrociavo nei corridoi, nel cortile o da qualche altra parte, le mie gambe si accavallavano da sole, in un groviglio che mi portava a fare dietrofront. Puro spirito di sopravvivenza? Probabile. Quella ragazza era un tipetto per nulla raccomandabile, sotto certi versi. Poi chissà perché aveva deciso di prendersela tanto con me al ballo di Natale, appena due mesi prima; non c’eravamo praticamente più parlati, d’altronde. Il nostro rapporto, così come era rapidamente nato, mi sembrava ormai del tutto morto. Certo, non avevo smesso di pensare a lei, e proprio per quel motivo mi ero spinto a volermi svagare con una ragazza diversa per quella serata – diversa in ogni senso: le due avevano sia aspetto che personalità opposti, in più mi era piaciuto davvero stare con Mac, parlare, ballare con lei… per quanto quel bacio finale non fosse uscito del tutto spontaneo. Fu solo in risposta al bacio intercorso tra la rossa e il nobile lussemburghese, infatti, che decisi di fare la mia mossa. La corvonero pareva averla presa anche bene, ricambiando con trasporto, almeno finché Rain non si è decisa a interromperci per buttarmi in faccia tanta di quella merda da lasciarmi totalmente basito. Insomma… da dove diamine usciva fuori tutto quell’astio??! Il discorso che fece, per me, aveva avuto ben poco senso. Me lo ricordavo ancora: “sedotta e abbandonata”. Sedurre? Io? Certe cose si fanno consapevolmente o mi sbaglio? In ogni caso non credevo affatto di averla “accalappiata” come un randagio per conquistarla e farla per sempre mia… ci eravamo trovati bene, sì, ma era stato tutto spontaneo. In più, ciò che era accaduto dopo non sarebbe stato prevedibile da qualunque piano avessi avuto la benché minima voglia di farmi nei suoi confronti. Non che fossi un tipo da piani, beninteso. Stavo giusto per inviarle una lettera, quando, lo stesso giorno, subii la mia prima trasformazione; volevo rivederla prima che cominciasse la scuola, ma va da sé che avessi cose di gran lunga più importanti a cui pensare in quel momento. Poi ci riflettei su, e pensai che non valesse la pena per lei invaghirsi di uno come me, allo stato attuale. È forse un pensiero sciocco? Può darsi, ma come faccio a far spazio nella mia vita a qualcuno quando ogni mia certezza è andata persa? Io, per lo meno, vorrei sapere a cosa andrei incontro, ma il fatto è che… non lo sapevo neppure io.
    Durante il periodo festivo avevo anche deciso di accorciarmi – per la prima volta in dieci anni, forse – i capelli, da sempre distintivi della mia persona, mettendo atto a un cambiamento piuttosto drastico nel mio aspetto; per questo non mi aspettavo che fosse poi così ovvio che mi riconoscesse, di spalle. E invece…
    “Mmm mmmm!” raddrizzai di colpo la schiena in risposta alla sua voce netta e brusca, sorpreso dal solo fatto che fosse rimasta ad aprir bocca nei confronti di uno verso il quale riserbasse tanto rancore. Si era già sfogata abbondantemente con quella gran scenata di due mesi prima, no? Okay, forse no
    “Sei qui solo?” incalzò; stavo per risponderle qualche ovvietà, quando quella partì come una mitraglietta a far sarcasmo, indisponendomi in un primo momento, ma finendo infine per incresparmi marcatamente gli angoli della bocca, senza che quella potesse però vederlo. Mi voltai solamente quando ebbe finito (apparentemente), e fu con la più grande non chalance – nonché una grande faccia da culo – che decisi di risponderle con la stessa moneta, avendo stuzzicato abilmente la mia parte più giocosa.
    – Oh, sì, ma per fortuna se n’è andata poco fa: sarebbe stato strano se le mie due amanti si fossero incrociate, non credi? – "per la seconda volta, poi, pensai, nascondendo un fugace ghigno con il palmo della mano, fingendo di grattarmi la guancia. Scrollai le mani verso i cespugli adiacenti per rimuovere l’acqua in eccesso dai palmi, prima di riprendere il mio "attacco", indicando un angolo preciso della serra: – Abbiamo fatto sesso sfrenato proprio su quei cuscini. Ah… un’ora e mezza giocata proprio bene. Tra una carezza e l’altra, chiaramente, per un rapimento emotivo e sensoriale a trecentosessanta gradi. Le cose si fanno per bene… – e fu lì che andai ad incrociare bruscamente il suo sguardo: – …proprio come ho fatto con te, no? – sarcasticamente, volevo puntualizzare il fatto che, nonostante ci fossimo baciati, e lei si fosse dimostrata così disponibile nei miei confronti, io non fossi andato oltre con lei. Davvero non riuscivo a comprendere in quale incredibile modo l’avessi sedotta, e poi… non c’era nulla da “abbandonare”. Giusto? Chissà quante cotte estive aveva avuto… di certo i ragazzi intorno non le mancavano.
    – Comunque la serra era diventata talmente bollente che mi è toccato rinfrescare tutte queste povere piantine. Oh, quante cose hanno visto… non ditelo al preside, piccine – feci finta di accarezzare la foglia di una pianta particolarmente grossa, rendendo ormai palese più che mai la mia presa in giro. – Se vuoi puoi spogliarti anche tu: mi sono rinfrescato abbastanza per un secondo round – dissi facendo accenno al mio petto nudo grondante acqua fresca, ma pentendomi praticamente subito delle mie parole: quella ragazza era capace di ritorcere tutto contro di te. – ...ma immagino che tu fossi venuta per fare qualcosa di specifico, Pioggia sì, bravo, ritorniamo sui nostri passi, in modo da allontanarci da sentieri fin troppo pericolosi.


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    Wilder Singh

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    21 anni - III anno

    Quella nuova condizione di Maride involontario, piombatami tra capo e collo da un giorno all’altro, stava iniziando a parermi molto simile a un matrimonio non voluto: quella nuova natura era andata a mischiarsi con quella di umano con cui ho sempre convissuto come qualcosa di indissolubile – e ad occhio e croce spaventosamente permanente – sforzandomi di convivere con qualcosa che non avevo richiesto, riducendo la mia libertà personale come niente e nessuno aveva fatto finora. Sembrava tutto decisamente troppo. La sola idea di non poterne uscire non faceva che rendermi sempre più irrequieto e spossato ogni mese che passava. Giunti i mesi più freddi, infatti, il mio stato di salute – fisico e morale – non aveva fatto che spomparsi sempre più, un giorno per volta, sentendomi ricaricato – al contrario di tutti i miei compagni, probabilmente – solamente giunta la sera, quando mi immergevo a mollo nella vasca del mio dormitorio, riempiendola di sali; inizialmente mi ci immergevo senza, ma avevo presto capito che il mio corpo necessitasse qualcosa di più, così ho provato ad aggiungere del sale e, in effetti, la pensata era risultata sensata: il tipo di tritone in cui mi trasformavo non era tipico dei laghi – come quelle che abitavano il lago nero, per intenderci – ma del mare. Non sapevo se ritenere quel dettaglio una fortuna nella sfortuna o meno: da una parte il mio aspetto rimaneva per metà lo stesso, mentre gli abitanti del lago avevano un aspetto non esattamente affascinante; tuttavia, ciò mi evitava di poter giovare appieno delle immersioni nel lago nero, che avevo proprio a portata di mano, rendendomi il tutto più difficile, costringendomi – per l’appunto – a far sparire magicamente dalle cucine confezioni di sale tutte le settimane, ed ero certo che prima o poi se ne sarebbero accorti. Ma quali alternative avevo?
    Profondamente spossato nell’ultimo periodo, avevo iniziato ad approfondire l’argomento tritone con delle ricerche specifiche, trovando un perché alla mia stanchezza perpetua: non stavo a mollo abbastanza a lungo durante la settimana. Quella mezz’oretta al giorno non bastava. Così, salata o meno, pensai che immergermi nel lago nero per qualche ora non avrebbe potuto farmi che bene; avrei potuto tentare, per lo meno. La mia paura era quella che mi avvistassero e, ancor peggio, riconoscessero: come avrei spiegato tutto ciò? Ma ne avevo anche una seconda: scontrarmi con le maridi del lago, che trovavo affascinanti quanto pericolose. Tutta la mia speranza risiedeva nel fatto che, evitando di immergermi troppo a fondo, e senza andare troppo lontano, sarei riuscito ad evitarle.
    Così, la mattina seguente, alle prime luci dell’alba, ci provai.

    Non avevo però valutato un’altra cosa: il passare del tempo. Come avrei potuto calcolarlo? Non potendo immergermi con orologi addosso, era impossibile dirlo, se non facendo capolino dalla superficie ogni tanto e valutando i colori del cielo. Va da sé che non fosse una tecnica precisissima. Tuttavia la cosa che più mi interessava era giovare di un rinvigorimento fisico, dunque sarebbe stato quello a farmi capire che ero stato in acqua abbastanza. Sempre che avesse funzionato.

    La prima cosa che notai, fu che più nuotavo, più la mia ansia diminuiva, preso da tutto ciò che mi circondava; sotto il livello del lago, sembrava di stare proprio in un altro mondo… un mondo meraviglioso, governato da un senso di calma corroborante, per quanto alle volte mi allarmai alla vista di creature particolarmente grosse o bizzarre, che magari non conoscevo, ma che per fortuna non sembravano particolarmente interessate alla mia presenza.
    Una parte di me, insomma – la parte maride – si sentiva completamente a casa. Per un momento mi domandai concretamente cosa sarebbe accaduto se avessi abbandonato per sempre il mondo degli umani per abbracciare in toto quella parte di me, ma quando pensai alla mia famiglia, a mia sorella, al castello, e a tutte le cose meravigliose che costituivano il mondo umano, ci ripensai subito. Mi resi conto di avere, piuttosto, una vera fortuna in mano: poter abitare entrambi i mondi a mio piacimento, vivere, perché no, una doppia vita. E in quel momento avrei tanto voluto incontrare dei miei simili, dei maridi di acqua salata, per fare la loro conoscenza e imparare a essere uno di loro.
    Questo finché non incrociai una marine d’acqua dolce in lontananza. A quella vista mi allarmai immediatamente, muovendo la coda in modo tremendamente rapido e impacciato, agitando le acque talmente tanto che quella si accorse della mia presenza; il mio cuore palpitava: avrei giurato mi fosse salito fino in gola. Il fatto era che il mio panico avesse una ragione ben chiara: aveva una specie di tridente tra le mani. E me lo stava puntando contro, nuotando alla velocità della luce.
    Soprappensiero, dovevo essermi spinto troppo a fondo. Mannaggia a me. Risalire sembrava un’impresa sempre più inutile, costretto a quell’inseguimento inaspettato: ce l’avrei fatta? O sarei morto impalato lì, nelle profondità del lago, senza che nessuno ne venisse mai al corrente? Sarei mancato a qualcuno?…
    Sbom. Avevo sbattuto la testa. Per un attimo mi sentii intontito, ma mi ripresi abbastanza in fretta per comprendere di aver toccato qualcosa sulla superficie dell’acqua. Quando riuscii a buttare la testa fuori, tutto ciò che percepì fu uno strano fastidio verso la luce del sole e un potente disorientamento. Girai su me stesso per mettere meglio a fuoco ciò che mi circondava, e capire dove fossi; realizzai con un soffio che decisamente non ero al castello. E subito dopo…
    Una persona. Con dei remi in mano. Mi stava fissando. Sicuramente avevo sbattuto contro la sua imbarcazione appena un istante prima.
    Panico.
    Rituffai la testa in acqua, solo per vedere la maride armata essere quasi arrivata alla superficie. Mi aveva praticamente raggiunto.
    – Hey, tu! Fammi salire sulla barca, svelto!…Sono uno studente. – pensai di aggiungere, sperando di fargli pena e, soprattutto, che percepisse il panico nella mia voce. I miei modi erano stati forse bruschi, ma non c’era proprio tempo per i convenevoli.


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    Wilder Singh

    casa
    21 anni - III anno

    Sabato 25 Febbraio 2023,
    Serra numero tre


    Nevicava. La sciarpa giallo-nera mi avvolgeva il collo e metà del volto, proteggendo le vie aeree dall’esagerato freddo scozzese, che già da Dicembre mi aveva fatto dono di ben due influenze pesanti. Complice era anche il fatto – probabilmente – che avessi interrotto l’assunzione di integratori da qualche mese a quella parte, di cui necessitavo data la mia dieta vegana; si dà il caso, però, che siano tipicamente di manifattura babbana, dunque non erano facili da reperire nella zona sperduta della Scozia in cui mi trovavo. Il villaggio più vicino era Hosgmeade, e tutto aveva fuorché babbanerie. L’unica sarebbe stata farmi spedire una bella scorta da mia madre, pensai, o magari trovare qualche erba equivalente… ne esistevano? Chissà. Avrei chiesto all’insegnante di Erbologia.
    Per rimanere in tema, poi, stavo dirigendomi proprio alle serre, respirando attraverso la lana, con la pelle già arrossata dal trauma delle basse temperature; per fortuna non erano molto distanti, e mi ci volle poco per spingere l’entrata in vetro della serra numero tre e chiudermela alle spalle con un sospiro soddisfatto, respirando a pieni polmoni l’aria decisamente più vivibile che stanziava lì dentro. In quella serra in particolare, infatti, regnava un’atmosfera più calda e rilassante che nelle altre, essendo l’originalissimo luogo di ritrovo per gli amanti del relax, del tè, dello yoga e della meditazione, per quanto – fino a quel momento – non avessi ancora conosciuto nessuno al castello che praticasse certi hobby… a parte me, chiaramente. Questo mi aveva portato a frequentare quel luogo regolarmente, precisamente quasi ogni mattina prima delle lezioni, ma non era quello il motivo per cui mi trovavo lì quel sabato pomeriggio; cercando di tenermi impegnato in tutti modi come mio solito, infatti, avevo chiesto al guardiacaccia se potessi aiutarlo con eventuali lavoretti, e così mi ero messo a disposizione anche con alcuni insegnanti, come quello di Erbologia, che mi aveva gratificato nel permettermi la cura settimanale di alcune serre, che consisteva in una semplicissima innaffiata generale alle piante che ne necessitavano. Era un modo come un altro per tenermi occupato, e Merlino solo sa se in quel periodo ne avevo un bisogno disperato; ancora, infatti, nonostante le mie molte ricerche, non avevo trovato una cura alla mia nuova condizione “acquatica”, stressandomi nel cercare di non dare troppo nell’occhio con i miei bagni serali particolarmente lunghi (a base di sale) che rendevano il bagno del mio dormitorio inagibile per il resto dei miei coinquilini dalle undici e mezza in poi. Quel segreto che mi portavo dietro aveva iniziato lentamente a logorarmi, facendomi rivalutare tutta la mia vita, o meglio, tutte le mie possibilità di vita. Il mio rendimento scolastico ne stava soffrendo, e così rendermi disponibile al corpo scolastico era anche un modo per mettere una toppa alla mia recente “pigrizia” didattica.
    L’ambiente zen di quel luogo, insomma, era divenuto utile più che mai, come un rifugio anche nei momenti di maggiore stress emotivo, immerso nel delicato profumo delle molteplici piante curative presenti e nel rilassante suono della cascata che discendeva il piccolo torrente goccia a goccia.
    Diedi una schiaffata alla neve sulla spalla sinistra, prima di spogliarmi di mantello e maglione, per poi sbottonarmi leggermente la camicia candida del completo scolastico e alzarne le maniche a tre quarti, in modo che fossi più comodo nel muovermi lì dentro. Recuperai dunque la pompa manuale e mi misi subito al lavoro, iniziando dagli innumerevoli cespugli farfallini disseminati per tutta la serra.
    Non arrivai neppure a finirli, infatti, che dovetti avvicinarmi alla cascata per rinfrescarmi un po’ il volto: immersi entrambi i larghi palmi sotto il getto cadente dell’acqua, a coppa, riempiendoli e schiaffandomeli in viso; lo percorsi poi dalla fronte in giù per rimuovere l’acqua in eccesso, quando mi accorsi di un ingresso inaspettato nella serra (perfettamente silenzioso, visto che eravamo tenuti a rimuovere le calzature all’entrata)… decisamente inaspettato.
    Era Rain.
    Cazzo.
    La fissai per un istante, incerto, per poi distogliere lo sguardo non appena possibile, voltandole le spalle per recuperare il tubo da terra; quando mi rialzai, riuscivo a stento a guardarla di sottecchi, in pieno disagio. – Io… avrò da fare per un altro po’, qui. Probabilmente un’oretta. – pensai bene di informarla, in modo che potesse scegliere se tornare più tardi o sopportare comunque la mia presenza silenziosa.


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    Wilder Singh

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    21 anni - III anno

    clint
    Rain era…sua amica? Beh, allora non c’era molto da preoccuparsi… forse. Certo era assurdo come fosse capace di chiedere proprio ad una delle sue amichette di presentarsi al suo fianco. Forse avrebbe dovuto fare qualche indagine in più, perché, pensòà, la rossa avrebbe potuto prenderla davvero male, a quel punto. Come se quella scelta fosse stata fatta di proposito. – In testa a chi dei due? – cercò di comprendere, confuso. – Ti ha offesa? – ecco qua… allora il suo sentore si era rivelato corretto. Will non conosceva Marcel, se non a una certa distanza, ma le sue espressioni furbette lasciavano intendere le sue cattive intenzioni. Come si permetteva ad andare incontro alla sua dama solo per il gusto di darle fastidio? Si annoiava così tanto con Rain? O era stata lei a sguinzagliarlo?
    – No, dico davvero. Chiedimi tutto quello che vuoi. – Will sorrise, gentile, mentre la teneva per mano. Prendere parte a quel lento era riuscito, almeno, a quietare gli spiriti della mora. Will voleva fosse una bella serata per lei, se lo meritava; e il fatto che qualcuno volesse, probabilmente, rovinar tutto, era un colpo davvero basso.
    Per una buona decina di minuti, ondeggiando insieme a Mac, in un contatto che solo una situazione del genere avrebbe potuto rendere così intimo, Will si scordò di Rain. Forse scegliere di andarci con lei era stata davvero la cosa giusta, dopotutto. La giusta cura per dimenticare una persona troppo focosa per lui. Mac, coi suoi modi così eleganti e gentili, sembrava essere un mondo a parte, uno molto più affine a Will.
    Eppure, voltandosi casualmente nella loro direzione, non ci aveva più visto. Aveva deciso di tuffarsi in quel bacio, delicato quanto intenso, con due scopi principali: combattere ciò che sentiva, e fargliela pagare. Il biondo non sapeva quale delle due cose lo avesse spinto maggiormente a tuffarsi a lungo in quelle labbra. Per lo meno, chiudendo entrambi gli occhi, non avrebbe visto il suo volto probabilmente sbiancato dal duro colpo.
    – Non mi hai fatto niente, figurati… – Will ridacchiò nervoso. portandosi d’impulso due dita sul labbro inferiore. Si erano, però, divisi troppo tardi. Mac si era riavvicinata per un secondo bacio, notando nei suoi occhi qualcosa che non andava. – Non è nulla, devo avere un calo di pressione… – cercò di aggrapparsi alla prima scusa che gli era venuta in mente, portandosi una mano alla tempia per renderlo più credibile.
    Improvvisamente, Will non sapeva come sentirsi a riguardo. Il bacio con Mac gli era piaciuto, ma non era stato spinto dalla più genuina delle intenzioni. Si chiese se fosse così importante, e si disse che avrebbe potuto prenderlo come un primo passo verso un cambio direzionale.
    – Buonasera, Singh –
    Will si voltò di scatto, sbiancando per la seconda volta nel giro di cinque minuti.
    – Rossa. – fu l’unica cosa che riuscì a dire, raddrizzando al suo massimo la spina dorsale, prima che quella prendesse per mano Mac e la tirasse via dalle sue braccia. Ascoltò il suo monologo con espressione attonita, corrucciando la fronte ad ogni parola di più. La frase – Game over, Will – fu ciò che lo fece scattare in avanti, con l’obiettivo di farla bloccare sul posto.
    – È questo, per te, non è vero? Un gioco. – sibilò quasi, percependo un’ira crescente. – Mi duole dirti che non ho sedotto proprio nessuno, tantomeno abbandonato. Non è colpa mia se ti butti a pesce con ogni ragazzo ti mostri un minimo di gentilezza. – parole ironiche, visti i recenti sviluppi. – Mi pare che tu non abbia mosso un muscolo per scrivermi una lettera o venirmi incontro nei corridoi, comunque, nonostante ti piaccia venderti come la ragazza impulsiva che ama prendersi ciò che vuole, quando vuole. Chiunque avrebbe pensato, a quel punto, che tu non mi volessi per nulla. Cosa c’è, volevi essere inseguita? Il tuo ego ne aveva così tanto bisogno? – Will non era solito infervorarsi così, tanto meno la rossa lo aveva mai visto in uno stato simile. Ma tantomeno lui aveva conosciuto quella parte di lei, quella vendicativa e distruttiva. Una parte che non lo attraeva per nulla. – Quindi cos’è che hai fatto, eh? Portato Marcel al ballo per dimostrarmi qualcosa? E con quale coraggio vieni a dirmi che gioco coi sentimenti delle persone, dando per scontato cose che non ti riguardano? – Will eliminò la distanza che li divideva per guardarla dritta negli occhi, svettante su di lei. – La gelosia è una brutta bestia, Rain. Questa sicurezza mi sembra solo fuffa. E smetti di rimanere bloccata a sei mesi fa, come se fossi stato il primo e l’unico con cui tu hai giocato. Vai avanti. – delle parole che, da una parte, sembrò rivolgere quasi a sé stesso. In quel momento, il Singh era contento di essersi fermato ai baci, con lei, in modo che non potesse rinfacciargli anche quello. E di non dover collegare la sua prima volta a una vipera del genere. – Hai proprio ragione. Game over. – Will la oltrepassò, rivolgendosi ora a Mac. – Sei libera di seguire lei e il suo compagno fake, se vuoi. Per quanto, a questo punto, non le consideri amicizie raccomandabili. Ma la scelta è tua. – il biondo avrebbe atteso giusto gli istanti necessari affinché ella si decidesse su cosa fosse meglio fare, prima di dirigersi, con lei o senza di lei, all’uscita di quella festa, che avrebbe per sempre ricordato come una grande delusione.



    Interagito con Mac, Rain, citato Marcel.
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    Wilder Singh

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    21 anni - III anno

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    – Mars? Che cazzo è successo? – Will gli poggiò le mani sulle spalle, scuotendo leggermente il suo compagno, piegando la testa e cercando i suoi occhi, ma questi erano fuggenti come ogni parte di lui in quel momento, senza che Will riuscisse a capire. Marshall si allontanò, superandolo, senza ulteriori spiegazioni; doveva essere successo qualcosa con quegli Harris, ma immaginò che gliene avrebbe parlato a tempo debito; quella sera, in dormitorio, o magari l’indomani. Se aveva dei problemi con qualcuno voleva saperlo, e in caso avrebbe fatto tutto il possibile per prestargli il proprio aiuto. I bulletti non gli piacevano, gli erano sempre stati profondamente sul cazzo, e quegli Harris non sembravano dissociarsi da quella categoria fastidiosa che era il Serpeverde medio. Solo Rain, per il momento, gli era sembrato che possedesse una certa luce dentro di sé, che ai suoi occhi la distingueva dal resto della casata. A proposito, dov’era adesso?
    Will si guardò intorno, girando sul posto, alla ricerca della testa rossa che meno di chiunque passasse inosservata, quella sera come, d’altronde, il resto del tempo. Se non erano la sua chioma e il suo rossetto fiammanti, il suo stile o la sua generale bellezza, era il suo carattere deciso a fare rimbombare la sua presenza come una cassa stereo ovunque ella passasse. Eppure, non riusciva a trovarla. Quando la vide parlare con Mac, la sua Mac, gli prese un colpo. “Che cosa diavolo si staranno dicendo?”, pensò allarmato. A distanza, vedeva quel sorrisetto tipico dell’Anhalt-Dessau che non preannunciava nulla di buono.
    Si fece dunque strada attraverso la folla di studente, impegnata a chiacchierare o a ballare, mentre le luci della festa accarezzavano la sua chioma bionda. Quando finalmente arrivò a destinazione, i due se n’erano andati; Mac era stata di nuovo lasciata a sé stessa, e un senso di colpa invase il Singh: non avrebbe dovuto allontanarsi, nonostante il suo desiderio fosse di aiutare un amico in difficoltà. Probabilmente, raggiungendo Marshall, aveva messo lei in difficoltà. In quel momento non riusciva neppure a decifrare la sua espressione.
    – Mac, tutto a posto. La situazione, per fortuna, non è sfociata in nulla di grave. Al solito, sono quei delinquenti delle serpi a far casino – si fece tremendamente vicino e le raccolse una mano nelle sue, piene di cicatrici, portandosela al petto. – Ho visto che ti hanno raggiunta. Erano amici tuoi? Cosa ti hanno detto? – Will fissava i suoi occhi azzurri in quelli neri di lei, cercando un qualche cosa di non detto; sembrava visibilmente preoccupato, perché non li aveva mai notati interagire prima di allora. Non che ci potesse mettere una mano sul fuoco, chiaramente.
    Una parte di Will pensava che volesse fargli un torto, visto che dal canto suo l’aveva praticamente ghostata per mesi. Non che lei si fosse fatta avanti al suo posto, comunque. Forse quei pensieri erano esagerati; non credeva davvero di essere così importante, per lei. Non per un semplice giorno d’estate… passato bene, sì… indimenticabile. Ma non per questo voleva dire qualcosa.
    Le portò una mano sulla guancia, sfiorandola delicatamente. – Vieni con me. È un ballo, allora balliamo. – la prese per mano e la condusse gentilmente al centro della pista, mentre, contemporaneamente, un abbassamento improvviso di luci e una musica lenta e piacevole si disperdeva per la sala. Con un gesto lento, occhi negli occhi, come a voler capire, passo per passo, se le sue iniziative le andassero bene, portò le sue braccia oltre il proprio collo; dopodiché, fece scivolare lentamente le mani sulla sua schiena, passandovi una larga mano in una carezza.
    – Puoi perdonarmi per prima? Non avrei dovuto allontanarmi. Puoi chiedermi qualunque penitenza, e la farò. – dondolavano lentamente, quando lui le poggiò il mento sopra il capo corvino, vista la differenza di altezza. Un gesto dolce che gliela fece sentire sua, anche solo per un momento, mentre le note della canzone scivolavano come acqua sui loro sensi, tanto che Will, a un certo punto, chiuse gli occhi, godendosi il momento.
    – Sembri così piccola – mormorò a bassa voce, sorridendo fra sé e sé. Quella sensazione gli piaceva, e anche tanto. – Posso avvolgerti... – la sua voce era calda e piacevole mentre le sollevava una mano, portando un palmo contro l’altro per poi circondarla con la sua.
    Quando rialzò lo sguardo da quel gesto, raggelò. Rain e Marcel si stavano baciando, a pochi centimetri da loro. Will si sentì avvampare dalla punta delle scarpe fino a quella dei capelli, e per un attimo non capì più niente.
    In un movimento rapido e inaspettato, per lei quanto per lui, le fece fare un casquette e la baciò, assicurandosi che il bacio fosse tenero e delicato, ma allo stesso tempo d’intensità maggiore rispetto a quello che aveva visto.
    Si assicurò che durasse abbastanza a lungo da farsi notare da Rain. Voleva che vedesse. Voleva che si ingelosisse, e che le fiamme dei capelli le arrivassero fino al cuore, dove in quel momento, lui, si sentiva distrutto.
    E lei doveva sentirsi come lui.
    Spezzata.




    Interagito con Marshall, Mac, citati Rain, Marcel e i fratelli Harris
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    Comù le metto qua nella loro scattosità

    gWUTyCv
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    Topo Gigio e Cucciolo <3
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    CITAZIONE (Skylee. @ 2/1/2023, 02:49) 

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    pioggia. Will` Giuro che dopo questo basta.

    È bellissima ma hai sbagliato testa
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    *sips tea*
75 replies since 10/7/2022
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