Posts written by Ellen.

  1. .
    «Te lo farò sapere al più presto. » Percisamente non appena sarebbe evasa dal carcere. Avevano molto di cui parlare e c'erano dei dettagli da definire circa il contratto che stava per proporle. Ellen non aveva alcun dubbio sul fatto che avrebbe accettato non solo la sua proposta, ma anche gran parte delle sue condizioni. Era ovvio che chiunque si sarebbe comportato allo stesso modo. Chi mai vorrebbe marcire in prigione? E poi, per due persone come loro, assetate di vendetta, la reclusione era una tortura insopportabile. Chloe fremeva per farla pagare a chi l'aveva tradita, e Ellen non poteva che comprenderla appieno. Anche lei desiderava annientare i suoi nemici, proprio come aveva già fatto con sua madre e suo figlio. Sebbene le loro storie fossero diverse, il fuoco della vendetta bruciava con la stessa intensità in entrambe. «A tempo debito lo faranno.»Sorrise sorniona. Pregustava già l'attimo in cui Daphne, con gli occhi carichi di disperazione, avrebbe ammesso di essere come lei. E se il ragazzo di cui si era innamorata era come la donna che aveva davanti, beh, era un' ulteriore prova a sostegno della sua tesi. Perché sua figlia era naturalmente attratta dalle tenebre. Non conosceva personalmente il figlio di Chloe, ma dai frammenti di ricordi di Daphne e dalle voci che circolavano, si delineava la figura di un ragazzo enigmatico, avvolto da un'aura di oscurità. D' altronde, sua madre era una Mangiamorte, e come dice il proverbio, la mela non cade mai troppo lontana dall'albero. Certo, era plausibile che l'erede dei Moore non avesse subito le stesse atrocità di Daphne, né fosse stato testimone di efferati omicidi per mano della madre. Di conseguenza, non covava dentro di sé lo stesso odio di sua figlia, sentimento necessario per cedere al male. C'era d'aspettarselo; d'altronde, Ellen era sempre stata più incline a gesti estremi rispetto a Chloe. E poi, quelle morti erano state necessarie, non certo frutto di un capriccio. «Onesto, dici? Intressante. Mia figlia è il contrario, non mi racconta mai niente.» Finse rammatico. In realtà non le importava minimamente se Daphne continuava a tergiversare. Avrebbe comunque scoperto tutto leggendole la mente. L'unica vera complicazione sarebbe stata se sua figlia avesse ereditato il potere di Ginevra. Quello era un mistero che ancora doveva svelare, non solo perché Christopher non si era lasciato sfuggire una parola a riguardo, ma anche perché nella mente di Daphne non aveva trovato alcun accenno alle lezioni private con il vicepreside. Era come se la sua mente inconsciamente si barricasse contro le sue intrusioni. Se già partiva così, era quasi certo che sarebbe diventata una mentalista di alto livello come lei. Non c'era da stupirsi, dopotutto le donne dei Blackwood possedevano un talento mentale fuori dal comune, sebbene spesso ottenuto a caro prezzo a causa della maledizione che da generazioni gravava su di loro: sacrificare i secondogeniti per preservare il talento magico della famiglia. Se ciò non accadeva, era semplicemente perché questi ultimi non erano mai nati. Non che questo fosse un probiema; del resto, Ellen aveva ucciso tante persone nel corso della sua vita per accrescere il suo potere.
    «Di certo converrai con me che questo non sia il luogo più adatto per avere dei chiarimenti. Per quello c'è il té. » Rispose con un sorriso enigmatico, imitando quello di Chloe. Cosa si aspettava, che le raccontasse ogni dettaglio in quei pochi minuti a disposizione? L'impazienza, in simili circostanze, era nemica del buon senso. E poi, prima di svelare il suo piano, Ellen doveva essere certa della lealtà di Chloe. Non se ne faceva niente della sua gratitudine o delle sue promesse vane. Per questo aveva preparato un documento speciale da farle firmare. Come previsto, accettò. Ellen si voltò poi verso l'Auror corrotto, un uomo dal volto cinico e dagli occhi spenti, ormai completamente asservito al suo volere. Con un semplice cenno del capo, gli trasmise le istruzioni. L'Auror annuì con obbedienza, comprendendo perfettamente il compito che gli era stato affidato. «Ti verrà dato poco prima di tornare in cella e, dopo averlo firmato, avrai una bacchetta.» Le spiegò brevemente quello che sarebbe successo da lì a poco. Per il resto doveva cavarsela da sola, non che questo fosse un problema: con il talento che aveva, una volta evasa difficilmente l'avrebbero ritrovata. «Tra poche ore» concluse Ellen, fissando Chloe con i suoi occhi glaciali «ci rivedremo. E a quel punto, tutto avrà inizio.» In un silenzio carico di tensione, le due donne si guardarono negli occhi, siglando un patto silenzioso di lealtà e determinazione. Non aggiunse altro, si erano giò dette tutto. E poi il tempo che avevano a disposizione era finito. A quel punto, Ellen si alzò elegantemente dalla sedia su cui era seduta e, con passo deciso, si diresse verso l'uscita. Dopo aver raccolto con cura i suoi pochi effetti personali, rivolse un sorriso dolce alla vecchia guardia che l'aveva accolta ad Azkaban. In fondo, era una delle poche persone che avrebbe visto prima di morire, essere educati era il minimo, no?



    Edited by Ellen. - 7/5/2024, 00:00
  2. .

    ellen Nei salotti eleganti e opulenti dell'alta società, le donne combattevano una battaglia silenziosa e subdola, una ben diversa da quella combattuta dagli uomini sui campi di battaglia. Il loro era un mondo di apparenze ingannevoli e di duelli verbali raffinati, dove l'arma più letale era la lingua affilata e l'intelletto acuto. In questo spietato gioco al massacro, non c'era spazio per la debolezza. Le donne dovevano essere astute, navigate e pronte a sferrare colpi di fioretto con impeccabile eleganza. Ogni parola doveva essere scelta con cura, ogni gesto calibrato alla perfezione. Un solo passo falso poteva rivelarsi fatale, condannando la malcapitata al ostracismo e al disprezzo. Ed Ellen, di quel mondo fatto di apparenze e sottili frecciate, ne era la regina. Il suo regno era stato consolidato grazie al matrimonio con il suo ex marito Aleksander, un politico di fama. La sua influenza si era così ampliata, permettendole di muoversi con ancora più abilità tra le insidie dell'alta società. Le sue conoscenze e la sua esperienza nel mondo della politica le avevano permesso di affinare ulteriormente le sue arti oratorie. Chi meglio di un uomo avvezzo all'inganno e alla persuasione per insegnarle i segreti della manipolazione verbale? Tra l'altro, era anche una Legilimes esperta, capace di leggere le menti altrui. Anticipava ogni mossa dei suoi avversari, risultando sempre più potente, spietata e astuta. Nessuno avrebbe mai sospettato il male che si celava dietro quel viso angelico mentre, con passo elegante, si dirigeva verso Mayfair per partecipare a un piccolo ma significativo evento di beneficenza a cui erano attesi importanti esponenti dell'alta società londinese. Donare qualche spicciolo in cambio di contatti preziosi era un affare ben riuscito per Ellen. A quell'evento, in particolare, sarebbero stati presenti Auror, ex Auror e persino Ministri della Pace. Il suo scopo era duplice: da un lato, raccogliere informazioni importanti per mettere in atto i suoi piani senza correre il rischio di essere scoperta; dall'altro, costruirsi l'immagine di una donna rispettabile e impegnata. L'opione pubblica era importante. E poi era stato proprio a un evento del genere che aveva conosciuto l'Auror che l'aveva aiutata a far evadere la sua cara amica Chloe. Tutto stava procedendo perfettamente secondo il suo piano. Ora non le restava che finalizzare i dettagli del contratto e consegnarlo a Daphne. Sua figlia avrebbe toccato il cielo con un dito; dopotutto, era sempre stata una madre premurosa e l'aveva promessa in sposa al suo attuale ragazzo. Già immaginava la sua reazione, era così prevedile. Merlino, era tutto così facile che quasi si annoiava.
    Poco distante dalla porta di ingresso dell'edificio in cui si sarebbe tenuto l'evento di oggi c'era un uomo che indugiava ad entrare. Si trattava di Anthony Crolwey, un Auror di comprovata esperienza che, con grande sorpresa di tutti, aveva abbandonato il suo incarico. Le dimissioni di un Auror non erano un evento frequente, e in genere, dietro una scelta simile si nascondeva una motivazione ben precisa. Pur raccogliendo frammenti di informazioni dai pettegolezzi che circolavano, Ellen non sapeva appieno le ragioni che lo avevano spinto a compiere quel gesto. Perché non scoprilo? Potrebbe rivelarsi una pedina da usare. Gli Auror, acerrimi nemici dei maghi oscuri, rappresentavano un ostacolo considerevole per le loro attività. Per questo motivo, era fondamentale per loro infiltrarsi in quel mondo e comprenderne i meccanismi. Anche in questo caso doveva ringraziare il suo ex marito: Aleksander, infatti, aveva frequentato l'Accademia per Auror, fornendole informazioni preziose e contatti utili. Ginevra aveva fatto un'ottima scelta. Quella donna, prima di soccombere alla follia e intraprendere la via della redenzione, era stata una Mangiamorte di prim'ordine. Pace all'anima sua. Sfilò gli occhiali dal viso e li ripose con cura nella pochette. Poi, con passo deciso, si diresse verso l'uomo dalla chioma fiammeggiante e dal ciuffo ribelle. Era un tipo decisamente fuori dal comune, ma come diceva il saggio: mai giudicare dalle apparenze. Dopotutto, anche lei era una maestra nell'arte dell'inganno. «Mi scusi, è qui che si tiene l'evento di beneficenza?» Sorrise cordiale, formulando una domanda apparentemente banale. Con astuzia, evitò di rivelare la propria identità. Il suo obiettivo iniziale era scoprire se Crolwey avesse idea di chi lei fosse e poi, in base alla sua reazione, avrebbe deciso come agire.

    ellen vivian blackwoodposta timeline

  3. .
    Sorrise crudele di fronte alle parole della donna mostrando, per un attimo, la sua vera natura. Le sue priororità erano decisamente cambiate e la sua vita, in seguito alla morte di sua madre e di quell'abominio che aveva messo al mondo, era notevolmente migliorata. Ora mancavano solo due cose per raggiungere la perfezione: la disfatta definitiva degli Andersen e la sottomissione di sua figlia. Questi due obiettivi erano inestricabilmente legati perché il suo caro ex marito sarebbe crollato sotto il peso del dolore e del rimpianto per il trattamento che, in tutti quegli anni, aveva riservato al sangue del suo sangue. Aleksander, grazie all'aiuto di Daphne, avrebbe gradualmente recuperato la memoria. La sua dolce bambina avrebbe insinuato il dubbio nella mente di suo padre, portandolo ad interrogarsi su molte delle scelte che aveva fatto in quegli anni. Era solo questione di tempo prima che tutto ciò accadesse. Ellen, infatti, era consapevole del fatto che sua figlia avesse già riacquistato parte dei ricordi che le aveva cancellato e sapeva anche che la sua prima mossa sarebbe stata quella di mettersi in contatto con quell'uomo. Uniti dall'odio comune che nutrivano per lei, avrebbero cercato di eliminarla. Peccato che lei fosse sempre un passo avanti agli altri. Daphne era troppo innamorata del figlio di Chloe per scegliere di rompere con lui e legarsi al figlio del Primo Ministro, richiesta che il suo ex marito avrebbe quasi sicuramente avanzato. Povero ingenuo. Vista la situazione, Daphne avrebbe firmato il contratto che lei le avrebbe presentato, cadendo volontariamente nella sua trappola. Ah, com'era facile manipolare le persone facendo leva sulle loro debolezze. L'amore, poi, era la più potente di tutte. Certo, non era da escludere che Daphne, invece, la soprendesse decidendo di allontanarsi da Hunter per il suo benestare. Dubitava, però, che ciò potesse accade4re perché sua figlia era come lei: quando decideva che qualcosa o qualcuno le apparteneva, lo considerava suo per sempre. Inoltre, in casi estremi, le donne della famiglia Blackwood rischiavano di sviluppare una pericolosa ossessione per la persona amata. Ad Ellen non era successo, ma a Ginevra sì. E sarebbe successo anche a Daphne viste le premesse. Per realizzare il suo piano, però, necessitava della collaborazione di Chloe. Socchiuse impercettibilmente gli occhi quando affermò di volersi arcettare di ciò che le stava dicendo. Poggiò i gomiti sul tavolo e la osserverò con un falso sorriso dipinto sulle labbra. «Molto buone. Ma per accertartene di persona prima devi venire a bere un té con me. » Altrimenti sarebbe anche potuta restare in carcere per il resto della sua vita. Tra le due, chi aveva bisogno di aiuto non era di certo lei. Per fortuna, la sua vecchia amica non era una sprovveduta. Aveva sempre avuto una mente acuta e una capacità di osservazione fuori dal comune. Non le ci volle molto per capire la situazione in cui si trovava: era in trappola, con le mani legate e la libertà negata, per questo le sue richieste erano limitate. «Neanche Daphne sarà un membro della tua famiglia o, per meglio dire, di quella dei Moore. Portano entrambi un cognome che non gli si addice affatto, non credi?» Dopo aver ottenuto ciò che voleva dagli Andersen, sua figlia sarebbe tornata ad essere una Blackwood a tutti gli effetti. Una vittoria su tutti i fronti, che avrebbe sancito la sua supremazia. «Hunter sarà disposto a essere tuo? Credi davvero ti ascolterà senza battere ciglio? I ragazzi di oggi sono molto testardi, con mia figlia ho dovuto usare le maniere forti per farmi ascoltare e comunque si continua a sbattere i piedi per terra.» Si comporta così anche perché sa che mi serve e non posso ucciderla. E poi mi dispiacerebbe mettere fine alla linea dei Blackwood dopo tutta la fatica che ho fatto per metterla al mondo. Le parole che pronunciò ad alta voce risuonarono nella stanza fredda e silenziosa. Se Ellen era egocentrica e sicura di sé, era anche una donna realista. Sapeva che se non voleva uccidere Daphne, doveva trovare un modo per sottometterla, per piegarla al suo volere. E l'unico modo che aveva per farlo era quello sfruttare il legame che aveva con il corvonero. Al contrario, la mangiamorte davanti a lei emanava un'inquietante sicurezza. Sembrava quasi certa di poter manipolare suo figlio come un burattino, convinta che il contratto che le aveva proposto non fosse altro che un lasciapassare per la libertà. Se le sue convinzioni fossero giuste o meno, lo avrebbe scoperto una volta evasa. «Comunque sono d'accordo sulla prima codizione. Per quanto riguarda la seconda» Con un'eleganza innata, si sporse in avanti e fissò lo sguardo in quello della sua interlocutrice. Ellen era sempre stata diffidente, abituata a navigare le acque infide del potere e a non fidarsi mai completamente di qualcuno. Le parole, da sole, non sarebbero bastate a convincerla. «non tanto. Mi capisci, non è vero?» Inclinò la testa di lato, assumendo un'espressione di falso rammarico. «Sono venuta qui per farti evadere, e lo farò, ma prima il mio collaboratore ti fornirà un foglio che dovrai firmare. Sai, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.» Soprattutto se si teneva conto della particolare abilità di cui era dotata Chloe. Volendo, avrebbe anche potuto non farsi trovare mai. «Non preoccuparti, è solo una formalità. Detto questo, si c'è dell'altro, ma lo saprai a tempo debito.» La cosa più importante adesso era farla evadere, dopodiché avrebbero potuto discutere i termini del contratto e stabilire i reciproci vantaggi. «Accetti?» Quelle erano le condizioni, chiare e ineluttabili. Ellen le aveva offerto un biglietto di sola andata per la libertà, ma per averlo, doveva sottostare alle sue regole.
  4. .
    Era sempre stata gelosa delle sue cose, in particolare dei suoi gioielli e delle sue creazioni. Per diventare un'esperta nell' utilizzo della magia nera e imparare a catalizzarla all'interno di piccoli oggi, ci aveva messo anni e, di certo, non avrebbe mostrato la punta di diamante della sua collezione a un uomo che aveva appena conosciuto e del quale non sapeva niente. Poteva anche essere il braccio destro di Christopher, ma questo non lo rendeva degno di fiducia anche perché, prima di tutto, era di lui che non si fidava. La loro era sempre stata una partita a scacchi giocata ad armi pari nella quale, prima o poi, uno dei due avrebbe fatto scacco matto. Lei si sarebbe assicurata di sospingere il re solitario verso il bordo della scacchiera, per poi dichiarare, in quanto regina, shah mat, ovvero " il re è morto." Non poteva, tra l'altro, leggere la mente del suo interlocutore e ciò la metteva ancora più sull'attenti. Doveva capire con chi aveva a che fare e, soprattutto, quali erano le sue debolezze per sfruttarle a suo vantaggio. Per queste ragioni e non solo, aveva suggerito di approfondire la loro conoscenza. Sorrise sorniona, finì il contenuto del suo bicchiere, sospirando per il piacere provocatole dal leggero bruciore dell'alcol e si leccò le labbra. La sua era una provocazione che non dovrebbe essere sfuggita ad un pozionista che, naturalmente, prestava attenzione ai dettagli. «La pensiamo uguale su molte cose, Ethan.» Era un soggetto interessante. Si chiese se dietro quell'apparente controllo, non si nascondesse un uomo folle e crudele. Spesso, erano proprio le persone di quel genere le più spregevoli e, in quella categoria, rientrava anche lei. Non era un caso se Daphne tremava quando perdeva la pazienza: diventava, infatti, un'arpia senza scrupoli e, su di lei, sfogava la sua rabbia attraverso la maledizione Cruciatus. Proprio come, tempo fa, aveva fatto su quell'essere che aveva messo al mondo quando questi osava avvicinarsi. Per fortuna, ora che era morto, non avrebbe più dovuto guardare il faccia il suo errore.«Allora può includermi tra i suoi clienti. Ovviamente» Si piegò leggermente, fissandolo con i suoi occhi di ghiaccio. «mi aspetto che le mie richieste abbiano la priorità.» Inclinò leggermente il capo e sorrise con falsa dolcezza. In caso contrario, avrebbe cambiato fornitore e Ethan si sarebbe anche potuto sognare di mettere le mani sul pezzo migliore della sua collezione: un soppressore di magia che, una volta attaccato alla pelle di un mago, lo privava dei suoi poteri, trasformandolo in un inutile babbano. Ucciderlo sarebbe stato un gioco da ragazzi. Aveva pensato di usare quell'oggetto su sua figlia ma, alla fine, aveva cambiato idea: lei sarebbe stata la spettatrice di quella tortura. Doveva solo decidere chi avrebbe presto il suo posto.
    Quando Ethan la invitò a ballare, accettò, facendo scivolare la mano sulla sua. Sicura di sé, si alzò dalla sedia e si lasciò elegantemente guidare al centro della pista da ballo. Con le mani entrambe le mani poggiate sui suoi fianchi e, le sue, introno al suo collo, Ellen ondeggiava a ritmo di musica. Grazie a quel contatto così ravvicinato, ebbe modo di sentire la tonicità del suo corpo. Non male. Quello, però, non era abbastanza, ci voleva ben altro per farla cedere; non si era, infatti, mai concessa ad un primo incontro con un uomo e, di certo, non lo avrebbe fatto neanche adesso. Una donna del suo calibro andava trattava in un certo modo, non a caso, pochi potevano vantare di aver condiviso il letto con lei. Qualcosa le diceva che con il socio di Christopher si sarebbe divertita, ma non per questo gli avrebbe permesso di averla subito. "Però posso mostrarle che intenzioni ho adesso." Sorrise maliziosa a quelle parole e, non appena posò le labbra sulle sue, le schiuse per accogliere la sua lingua che, prepotente, affondò nella sua bocca. Rispose con la stessa foga. Gli strinse i capelli quasi con violenza mentre la mano destra, lenta, prese a scivolare lungo la sua schiena. Ci sapeva fare Ethan, era evidente, ma in quanto a seduzione era Ellen che ne sapeva una più del diavolo. Piegò leggermente la gamba destra in modo tale che questa sfiorasse la sua intimità, prima di mordergli il labbro inferiore e leccarglielo. Sì, si sarebbe decisamente divertita con lui. «Ha reso molto chiare le sue intenzioni.» Gli sussurrò. Si staccò, poi, da quel corpo caldo con naturalezza, ponendo fine a quel contatto intimo e, come se niente fosse successo, si congedò. «Ora devo proprio andare, ma sono certa che ci rivedremo molto presto.» Socchiuse languidamente gli occhi e tornò al tavolo dov'erano precedentemente seduti. Dalla borsa, tirò fuori il suo cellullare e lesse il messaggio che il suo braccio destro le aveva mandato: Non si sa quasi nulla delle sue attività. Sorrise compiaciuta. Questo rendeva il tutto più interessante.


    Conclusa e.e
  5. .
    «Nove anni fa non potevo aiutarti, avevo delle cose importanti di cui occuparmi e ostacoli da eliminare.» Sorrise sorniona e non si scompose più di tanto nell'udire quella precisazione intrisa di un leggero sarcasmo femminile. A quei tempi, era ancora sposata con Aleksander e sua madre controllava ogni sua mossa. Tra l'altro, il fatto che fosse una mentalista di chiusura, non le permetteva di anticipare le sue mosse. Era una delle poche in grado di tenerle testa in una battaglia mentale, e disfarsi di lei non era stato affatto semplice; per fortuna il cancro l'aveva indebolita ed Ellen, da brava figlia, per non farla più soffrire, le aveva regalato una morte priva di dolore con l'Anatema che uccide. Daphne, non volendo, aveva assistito a quella scena che, ovviamente, non aveva esitato a farle dimenticare. Sua figlia, però, come aveva previsto, aveva ereditato il dono dei Blackwood, rivelandosi una mentalista e, come tale, stava lentamente recuperando i ricordi. Non sapeva se avesse ricordato anche la morte di quell'essere che aveva messo al mondo per volere di Ginerva. Com'è che si chiamava? Ah sì, Ludde. Per la seconda volta, il suo bellissimo corpo era stato deformato, quei mesi erano stati un inferno per lei. Aveva bisogno solo di un erede, non di due. La sua bambina era quasi perfetta: fredda, distaccata, cinica e priva di sentimenti - o almeno quello era l'obiettivo - peccato che quella spina nel fianco di sua madre le avesse rovinato i piani. Per cosa poi? Redimersi. Patetico. Per questo le aveva insegnato ad amare. Eppure, al loro primo incontro, aveva scorto in lei l'oscurità che tanto cercava. Daphne era la sua copia sputata e, per quanto lo negasse, lo sapeva anche lei. In fondo, stava pensando di ucciderla, e questo la diceva lunga sul suo conto.
    Ellen aveva già programmato la vita della sua bambina, tra cui il tipo di uomo che avrebbe dovuto sposare. Per uno scherzo del destino, si era innamorata del figlio di Chloe, il quale aveva tutte le carte in regole per poter essere approvato dalla matriarca dei Blackwood. «Puro da generazioni, come dev'essere.» Aveva fatto pagare caro a sua figlia il bacio con quel mezzosangue, anche se ci era andata leggera perché aveva scorto, in lei, il pentimento. Tradire gli ideali che sua nonna le aveva insegnato era stato un duro colpo. Con Hunter, invece, molti problemi non se li era fatti. Era stata anche brava ad arruffianarsi la sorella. «Sono molto innamorati e mia figlia è alquanto, come dire» Si passò un dito sotto il mento con fare pensante. «legata alle cose che ama, la definirei persino possessiva. Non lascerà andare tuo figlio molto facilmente, e noi sfrutteremo proprio questa cosa se le condizioni sono favorevoli.» Le due si scambiarono uno sguardo di intesa. Daphne credeva che non la conoscesse, quanto si sbagliava. Era pur sempre sua madre, nonché Legilimens. Sapeva dei suoi sentimenti più profondi, dei suoi desideri e delle sue pulsioni. Perché era come lei. Ragionava come lei. L'unica cosa della quale era all'oscuro riguardava il tipo di potere che aveva ereditato. Se era quello di Ginvera, sarebbe stato un problema in futuro ma, per adesso, non era nemmeno in grado di proteggere la sua mente da lievi pressioni esterne. Ne aveva ancora di strada da fare. Attualmente, il suo mentore era Christopher e, ovviamente, con un mago del suo calibro di progressi ne avrebbe fatti, però lei avrebbe potuto insegnarle cose che a scuola erano proibite, se solo avesse smesso di essere così testarda. Doveva spezzarla, con le buone o con le cattive anche perché, per ora, le serviva e non poteva ucciderla. «Ci tengo particolarmente. Perché, ormai, do per scontato che mia figlia resterà molto a lungo con il tuo viste le premesse.» Poteva anche avere qualche amante, se lo avesse voluto, ma questo dopo un figlio. Prima doveva assicurarsi di produrre un erede. «Un mentalista di cancellazione, interessante.» Nella sua famiglia mancavano, era ora di rimediare. Le brillarono gli occhi dall'eccitazione, era tutto così facile, così perfettamente in linea con i suoi piani. «La berrai molto presto.» Era ora di passare alle trattative. «Pensavo di ufficializzare il legame dei nostri figli. Sono così innamorati che una futura promessa di matrimonio e un contratto da firmare farebbe proprio al caso loro, non trovi, Chloe?» Così, le loro famiglie sarebbero state legate e quell'inetto del suo ex marito non avrebbe potuto fare niente: Daphne non avrebbe mai rinunciato ad Hunter per il figlio del Primo Ministro. Era chiaro. Tra l'altro, sarebbe stato un problema se una famiglia così potente e con tutte quelle conoscenze si fosse messa in mezzo per difendere la futura nuora. Gli accordi tra i purosangue, infatti, garantivano - anche se in certa misura- la fedeltà e la collaborazione di un alleato perché, per il suo mantenimento, c'erano delle condizioni da rispettare. Quello che i loro figli e la donna davanti a lei avrebbero firmato, sarebbe stato, però, un po' diverso dagli altri perché, su di esso, sarebbe stato lanciato un incantesimo vincolante di magia nera.


    Edited by Ellen. - 5/1/2024, 00:42
  6. .
    La donna che stava osservando e, con la quale, se le condizioni lo avessero permesso, avrebbe stipulato un accordo, era stata tradita dai suoi stessi compagni. Dopo la caduta del Signore Oscuro, i mangiamorte, liberi dal dominio di un dispotico mezzosangue, avevano iniziato ad agire singolarmente, ricercando un potere che li rendesse superiori agli altri in termini di magia, soldi e influenza. Alcuni si alleavano per il raggiungimento di uno scopo comune, ma i tradimenti erano all'ordine del giorno e, di solito, era il più debole - o il meno furbo - a pagarne il prezzo. Chloe non rientrava in nessuna di queste due categorie: era stata, infatti, volutamente sacrificata poiché, il reale obiettivo dei suoi "alleati", era sempre stato quello di sbarazzarsi del capoauror allora in carica - suo marito - insieme a tutte le informazioni che aveva raccolto su di loro. Avevano, quindi, incastrato sua moglie, colpendolo dove faceva più male. Ellen, quelle persone, le conosceva e sapeva anche dov'erano situate. Per quanto riguardava, invece, la sua singolare amicizia con la donna in questione, era tutto da attribuirsi al suo ex marito,il quale, grazie al ruolo che ricopriva, le aveva permesso di ampliare la sua rete di conoscenze e, tra queste, c'erano le mogli di diversi auror. Aleksander aveva molti contatti con quel mondo dato che, prima di intraprendere la carriera politica, aveva frequentato l'accademia per gli auror. Era lì , infatti, che aveva incontrato Cristopher. I due erano amici di vecchia data. A sua volta, lei aveva conosciuto Chloe e adesso, per uno scherzo del destino, Daphne si era innamorata proprio dell'erede dei Moore. Tutto questo giocava a suo favore e se Hunter si fosse rivelato un mentalista come credeva, avrebbe fatto scacco matto. «Stavo cercando di essere gentile in nome dell'amicizia che ci lega, Chloe.» Sorrise falsamente. Se aveva passato nove anni in carcere era, in parte, anche colpa sua per essersi fidata delle persone sbagliate. Tra l'altro, non aveva elaborato neanche un piano di riserva, ma ciò non era altri che la conseguenza di una fiducia malriposta. Lei, però, stava per offrile qualcosa a cui non avrebbe potuto rinunciare: la libertà. «Potresti averla prima di quanto pensi.» La osservò e, quando capì il peso di ciò che le aveva appena detto, si sporse leggermente in avanti e annuì con la testa, come a volerle confermare che sì, aveva una proposta da farle. Una proposta nella quale, i soggetti principali, erano proprio i loro due figli.
    Non appena si riferì al suo, l'espressione che aveva sul viso cambiò gradualmente. Chloe era una donna piuttosto possessiva, se n'era accorta col tempo e, in particolare, lo era nei confronti del suo secondogenito. Solitamente, i figli maschi erano i preferiti delle mamme. E pensare che il suo l'aveva ucciso. Pace all'anima sua. Così facendo, Daphne aveva ottenuto il potere che le spettava di diritto eppure, nonostante il regalo che le aveva fatto, la sua dolce bambina voleva ucciderla. Sei proprio come me, piccola mia. Per farsi ubbidire, l' aveva torturata e le aveva svelato la vera natura di sua nonna, ma come ogni Blackwood che si rispetti, si era rifiutata di chinare il capo. Meglio così, una vittoria facile l'avrebbe annoiata. « La fortuna è dalla nostra parte.» Tra tutti gli studenti di quella scuola, Daphne si era innamorata proprio del figlio di Chloe e, conoscendola, era certa che, il suo, fosse un amore che sfiorava l'ossessione. Era quasi impossibile, per la sua bambina, legarsi davvero a qualcuno, ma quando succedeva, come nel caso di sua nonna, diventava ossessionata da quel legame. Ora che si era concessa, in tutti i sensi, ad un ragazzo, a che livelli sarebbe potuta arrivare? Non vedeva l'ora di scoprirlo. « A parte che mia figlia ha sempre avuto buon occhio. L'ho educata personalmente, quindi la cosa non mi sorprende.» Non avrebbe mai potuto mettersi con un sanguesporco o con un mezzosangue, di quello se n'era assicurata anche Ginevra. Sua madre, infatti, pur essendo una mangiamorte pentita, non avrebbe mai potuto accettare che sua nipote mettesse fine alla purezza secolare dei Blackwood, per questo, sin da piccola, le aveva detto di concedersi solo ad un purosangue come lei. Ed era ciò che aveva fatto. «Questo legame che c'è tra loro potrebbe esserci molto utile.» Prima di organizzare quell'incontro, si era assicurata che, tra di loro, le cose fossero serie. Daphne non avrebbe mai intrapreso una relazione se, alla base, non ci fosse stato un sentimento talmente forte da farla cedere. Tuttavia, non aveva voluto dare nulla per scontato; la generazione di oggi era diversa dalla loro, molte cose erano cambiate, i maghi si erano evoluti, eppure la tradizione dei contratti matrimoniali tra famiglie purosangue restava assoluta. Ed era proprio a quello che Ellen puntava. « Da quel che so stanno insieme da un anno, sono molto innamorati e anche Emilie sembra approvare. Fidati delle parole di una Legilimes.» Chloe sapeva sia del suo dono, sia della maestria con il quale lo usava. Non a caso, quelle informazioni le aveva ricavate direttamente dalla mente della diretta interessata senza che quest'ultima se ne accorgesse. «Prima di dirti altro c'è una cosa che devo sapere.» Poggiò i gomiti sul tavolo e la guardò seria. Se volevano negoziare, suo figlio avrebbe dovuto essere in possesso di un talento ben preciso, in caso contrario, non sarebbe stato utile alla causa. «E' possibile Hunter sia un mentalista?» La maledizione dei Blackwood, lei, non era stato in grado di spezzarla perché l'uomo che aveva scelto si era sposato con una sudicia sanguesporco. Ellen, però, aveva tutta l'intenzione di liberarsene per dimostrare quanto fosse potente e, perché no, anche di avere dei piccoli nipotini mentalisti da plasmare e sfruttare per vendicarsi dell'insolenza di sua figlia. Il suo scopo principale, tuttavia, era avere accesso non solo ai segreti custoditi dagli Andersen, ma anche a quelli dei Moore. Il suo ex marito, una volta recuperata la memoria, avrebbe fatto di tutto per recuperare il rapporto con sua figlia. Di tutto. E il prefetto di corvonero, per amore, cosa sarebbe disposto a fare? Erano queste le cose su cui avrebbe fatto leva per ottenere ciò che voleva.



    Edited by Ellen. - 23/12/2023, 00:22
  7. .
    Più la conversazione andava avanti, più l'interesse relativo alle attività di quell'uomo aumentava. Ellen era attratta da tutto ciò che era oscuro, malvagio e Ethan faceva decisamente parte di quel mondo.Fino a che punto, lo avrebbe scoperto solo in seguito.
    Con le gambe accavallate e i gomiti poggiati su di esse, lo ascoltava con attenzione. Di tanto in tanto, guardava di sfuggita le sue labbra per studiarne il contorno poi, impercettibilmente, inumidiva le sue con la punta della lingua. Lo stava provocando per il semplice gusto di farlo. Se ne sarebbe accorto? O avrebbe continuato a parlare facendo finta di niente? Intanto, poggiò la schiena contro il morbido schienale di velluto e sorrise appena, soddisfatta della risposta appena ricevuta. «Sono d'accordo con lei. » Alcuni conti andavano regolati personalmente. Ellen aveva molte armi a disposizione e, tra quelle, c'era la spilla che aveva creato. Per ora, solo Christopher aveva avuto l'onore di vederla e di testarne gli effetti: era un oggetto pericoloso in grado di privare un mago della sua magia, ma occorrevano anni per fabbricarne una, per cui andava usata con discrezione. Attualmente ne aveva solo due e non aveva alcuna intenzione di venderle, al massimo avrebbe messo la terza -attualmente in produzione- sul mercato. Non a caso, i suoi futuri soci avrebbero messo all'asta altri pezzi della sua collezione. «In parte sì, ma anche perché, nelle mani sbagliate, potrebbe essere pericoloso. » Pronunciò soavemente l'ultima parola. Lasciare le frasi a metà era uno stratagemma a cui ricorreva spesso per tenere alta l'attenzione del suo interlocutore e incuriosirlo. Come volevasi dimostrare, Ethan si mostrò interessato alle sue creazioni, ma era ancora presto per scoprire tutte le sue carte. Doveva aspettare. In fondo, la pazienza è la virtù dei forti, no? «Dobbiamo conoscerci un po' meglio e, se ci sarà modo, le mostrerò i miei pezzi migliori.» Sorrise sorniona mentre, con eleganza, si portava il bicchiere alle labbra. Bevve un lungo sorso di quel liquido ambrato e, quando percepì un lieve bruciore alla gola, sospirò. Aveva sempre trovato quel leggero pizzicore estremamente piacevole. Ora, come avrebbe reagito Ethan di fronte a quel gesto innocente era tutto da vedere. Intanto, ripose il bicchiere sul tavolo e, come se nulla fosse, riprese a parlare. «Conduco personalmente i miei esperimenti. Ne traggo più piacere.» Non c'era niente di meglio che vedere la volontà delle persone spegnersi e affidarsi a lei. Era divertente manipolare le menti deboli e indurle a fare ciò che voleva, il che, con il suo potere, era alquanto facile. I sentimenti erano una debolezza su cui faceva leva spesso, per questo aveva insegnato a sua figlia il controllo dell'irrazionale. Giorno dopo giorno, sarebbe diventata sempre più simile a lei, peccato che quella stronza di sua madre le avesse rovinato i piani. Ma tutto ciò, adesso, non aveva alcuna importanza: Ginevra era morta e Daphne, presto o tardi, avrebbe intrapreso il cammino che aveva scelto per lei.
    Era solita essere sempre un passo avanti agli altri, per questo cercò di penetrare la mente dell' uomo che aveva davanti, ma qualcosa le sbarrò la strada. Non insistette più di tanto, e virò la conversazione su un altro argomento di suo interesse: i veleni. Gliene occorrevano di diverso tipo e, dato che Ethan era un esperto in materia, sarebbe stato stupido non avvalersi dei suoi servizi. «Avrà presto mie notizie allora.» Ellen, però, avrebbe negoziato solo con lui, la presenza di una terza persona non era sarebbe stata ben accetta. Per quanto, infatti, le marionette che aveva a disposizione nella sua gioielleria le fossero utili, preferiva sbrigare alcune faccende per conto suo.«Che sia solo lei a farsi trovare.» Lo guardò maliziosamente, lasciando che la sua mente immaginasse scenari che, forse, avrebbero potuto realizzarsi. Le sue parole, però, avevano un ulteriore scopo: fargli capire che, se mai avesse deciso di diventare una sua cliente, avrebbe dovuto avere la priorità su tutti. Una donna del suo calibro non era seconda a nessuno. «Sì, non mi sfugge mai niente.»Girò il corpo di tre quarti e poggiò la mano sulla sua, accettando il suo invito. Si lasciò guidare al centro della sala e gli permise di toccarla più intimamente. Non impose alcuna distanza, né si mostrò restia al suo tocco: voleva vedere fin dove avrebbe osato spingersi. Avvicinò, quindi, il viso al suo e fece in modo che, tra le loro labbra, ci fossero solo pochi centimetri. Era un uomo che teneva alla forma, come Christopher, o uno che si lasciava guidare dall'istinto quando aveva una donna come lei tra le braccia? «E dopo questo ballo, Ethan, che intenzioni ha?» Gli accarezzò i capelli alla base della nuca e puntò i suoi occhi azzurro ghiaccio nei suoi. Ellen usava spesso le sue doti femminili per ottenere ciò che voleva, tuttavia, le volte in cui si era realmente concessa, si contavano sulle dita di una mano. Aveva standard piuttosto alti e gli uomini che erano in grado di soddisfarli erano pochi. Ethan si era rivelato un uomo piacevole e di bell'aspetto, ma non era ancora riuscito ad accendere in lei un desiderio tale da farle desiderare di essere altrove. Adesso che erano così vicini, ne sarebbe stato in grado?


    Edited by Ellen. - 14/12/2023, 23:58
  8. .
    24 dicembre, ore 20.

    Le onde del Mare Nord si infrangevano violente contro gli enormi massi sui quali, imponente, si ergeva la fortezza di Azkaban, la prigione per la comunità magica della Gran Bretagna. A differenza di qualche anno fa, per volere del ministro Kingsley Shacklebolt, i Dissenatori erano stati rimpiazzati dagli auror a causa della loro pericolosità. Una scelta che, sicuramente, sarebbe andata a vantaggio di molti. Era lì che, la sera della Vigilia di Natale, Ellen Blackwood, in tutta la sua eterea bellezza, varcava la soglia di quel luogo dimenticato da Dio. La pelle diafana e i capelli biondi erano un pugno nell'occhio in quel posto privo di colori: sembrava un angelo mentre, con il suo tailleur rosso, si dirigeva al banco della sicurezza per consegnare la bacchetta. Come di consueto, ogni uomo lì presente, si voltò per ammirarla. Tuttavia, sul viso di alcuni, era presente una palese espressione di sdegno: "cosa ci fa qui, questa donna?", "Chi si crede di essere?", " Perché è venuta qui vestita in quel modo?" Quelli dovevano essere i pensieri che aleggiavano nelle loro stupide e ritardate menti. Ellen non aveva neanche bisogno di usare il suo potere per capirlo, e nemmeno si sarebbe scomodata, visto che, dell'opinione di quegli auror, non gliene importava niente. Li guardò con indifferenza, alzando impercettibilmente il sopracciglio sinistro di fronte alle divise vecchie e sgualcite che avevano indosso. Le davano una sensazione di sporco, come i topi. Stavano gradualmente assumendo l'aspetto dei detenuti rinchiusi in quel carcere di massima sicurezza, il quale, tuttavia, aveva perso il suo primato dopo le evasioni di massa dei Mangiamorte del '96 e del '97. Tra l'altro, fra i tanti estimati auror che lavoravano lì, ce n'erano di corrotti e di facilmente manipolabili, ed Ellen si era servita proprio di quelli per mettere in atto il suo piano.
    Quando si trovò davanti una spessa porta nera, la aprì senza indugio ed entrò. Dietro il banco della sicurezza, era seduto un uomo di sessant'anni con una profonda cicatrice sul viso che la squadrò dalla testa ai piedi; non le chiese chi fosse, lo sapeva già, la esortò invece, con tono perentorio, a consegnargli la bacchetta. Non le era piaciuto affatto il modo in cui le aveva parlato: la maleducazione che aveva dimostrato nei confronti di una donna come lei non sarebbe rimasta impunita. Socchiuse gli occhi, sorridendo falsamente, e poggiò il catalizzatore sul banco, il quale venne preso e riposto all'interno di un cassetto. Solitamente, i visitatori sarebbero stati sottoposti ad ulteriori controlli ma, grazie alla sue conoscenze e alla reputazione della sua famiglia, ciò non avvenne; le fu, invece, concesso di recarsi direttamente nel luogo in cui avrebbe incontrato il detenuto da lei richiesto. Si accomodò comodamente su una sedia in legno, accavallò con eleganza le gambe e attese in silenzio la sua visita. Dopo qualche minuto, una donna dai lunghi capelli corvini, la pelle chiara e gli occhi verdi segnati da profonde occhiaie si sedette di fronte a lei. Con estrema calma, poggiò i gomiti incatenati sul tavolo e la fissò. Non era cambiata molto in quegli anni: i suoi modi, così come il suo portamento, erano regali, tra l'altro, era riuscita a mantenere anche una certa dignità all'interno di quel carcere. Non si era lasciata spezzare. Sorrise, lei e Chloe Laincourt avevano molte cose in comune, più di quante pensasse. «Chloe, mi fa piacere rivederti. Come stai?» Domande di circostanza, necessarie per sviare l'attenzione della guardia che le stava sorvegliando. Di lui si sarebbe sbarazzata a breve. Prima di recarsi in quel posto, aveva preso tutte le dovute precauzioni per far sì che il suo piano andasse a buon fine. «Abbiamo tante cose da darci, tu ed io.» Era certa che la donna avrebbe appreso il significato che si celava dietro quelle parole. Un tempo, avevano lottato insieme per una causa comune, e avrebbero continuato a farlo se suo marito avesse tenuto la bocca chiusa. Chloe era una subdola, avrebbe potuto usare molti modi per mettere a tacere quell'uomo, proprio come aveva fatto lei con Aleksander, eppure, persino quando aveva capito che era stato proprio lui, il capoauror - suo marito - a dare l'ordine di arrestare i soggetti coinvolti nell'attacco al Ministero, aveva scelto altrimenti. Per fortuna la sua debolezza era morta. Adesso nessuno avrebbe potuto intralciare i loro piani e, per questo, avrebbe dovuto ringraziare anche sua figlia che, ignara, le aveva fornito l'occasione perfetta per controllarla. Era già da tempo, ormai, che Ellen era a conoscenza dell'amore che Daphne provava nei confronti del suo ragazzo. Glielo aveva letto nella mente durante i loro incontri e, se le aveva permesso di continuare quella relazione, era perché lo riteneva degno di entrare a far parte della sua famiglia. Hunter Moore era un ottimo partito: era un ragazzo a modo con una media eccellente, prefetto, purosangue da generazioni e Chloe, sua madre, era un'ottima alleata. Il pacchetto era quasi completo, tuttavia, per decidere se proseguire, aveva bisogno di scoprire qualcosa sul suo conto. «Ad esempio» Si sporse in avanti, parlando a bassa voce in modo che solo lei potesse sentirla. «come si sono conosciuti i nostri figli.» Sorrise sorniona, andando diritta al punto. Le visite, in quel posto, erano piuttosto brevi ed il tempo scorreva veloce. Osservò la donna davanti a lei la quale, non appena si parlò di suo figlio, assunse un'espressione che Ellen conosceva molto bene. Proprio ciò che voglio.

  9. .
    Gli uomini, quando si trattava di affari, erano presuntuosi. Anche suo padre era così: credeva di essere il migliore, eppure, se i suoi investimenti avevano avuto successo era stato grazie a sua madre. Era lei la mente. Infatti, se Ellen era un'imprenditrice di successo, lo doveva anche lei. Prima di morire, le aveva insegnato molte cose utili. Peccato che sua figlia fosse così stupida da non capire che, la cosa migliore che avrebbe potuto fare, era stare zitta, ubbidire e cercare di essere come lei, in tutto. Solo così avrebbe avuto successo nella vita, ma si ostinava a non ascoltarla, quella nullità. Le avrebbe fatto molto male. Tornando all' uomo davanti a lei, Ethan, si era accorta che, come lei, la stava studiando. La conversazione che stavano avendo era una partita a scacchi che nessuno dei due era intenzionato a perdere. Conoscere le debolezze e i punti di forza di un potenziale socio, nel loro ambiente, era importante, così, in caso di successo e, in particolare, di tradimento, avrebbero saputo esattamente cosa fare. «I segreti che il Mondo Magico custodisce sono davvero tanti, non trova?» Sorrise sorniona. «Che si tratti di magie o oggetti, sarebbe bello poterli scoprire tutti e, da come ne parla, anche lei mi sembra interessato.» Voleva capire che collezionista era questo Ethan e, soprattutto, cosa volesse ottenere dalla vendita di quegli artefatti. Soldi? Potere? Dal suo punto di vista, erano necessarie entrambe le cose. Ellen era abbastanza potente, ma non bastava. Voleva di più. Era avida di potere, e non si sarebbe fermata fin quando non l'avesse ottenuto, anche se ciò significava lasciare una scia di cadaveri dietro di sé. Incluso quello di sua figlia. Non voleva arrivare a tanto, era pur sempre sangue del suo sangue e, tra l'altro, aveva la stoffa per diventare bella e potente come lei. Doveva solo volerlo. Doveva solo lasciare che l'oscurità dei Blackwood la inghiottisse. «Mi dica, Ethan, in che modo si sporca le mani?» La vera domanda era: lei uccide? Ma non sarebbe stato elegante da chiedere, non al loro primo incontro almeno. Ellen aveva bisogno di marionette di un certo tipo da aggiungere alla sua collezione, compresi i suoi soci. Non avrebbe sprecato il suo tempo con gente mediocre. Tuttavia, era consapevole del fatto che nessuno dei due avrebbe svelato completamente le proprie proprie carte. Anche quello faceva parte del gioco «Mi auguro lo stesso, ma sono certa che succederà presto.» Christopher non avrebbe organizzato quell'incontro se non fosse stato davvero interessato. Se c'era una cosa che quell'uomo non tollerava erano le perdite di tempo. Come lei d'altro canto. Ethan sembrava piuttosto incuriosito dalla sua attività, proprio quello che voleva ottenere. Sorseggiò il suo drink, con calma, e solo quando lo ebbe poggiato elegantemente sul tavolo rispose. «Nella mia gioielleria, ma quelli più interessanti fanno parte della mia collezione privata. Non tutti possono vederli.» Le sue creazioni, intinse di magia nera, erano esposte solo durante serate di gala accuratamente organizzate. Poi c'erano volte in cui poteva far vedere, in un incontro privato e con clienti selezionati, la sua mercanzia su appuntamento. Ellen era molto selettiva, e poi, non tutti potevano permettersi di comprare i suoi gioielli. Tuttavia, gli scarti umani erano fatti per essere utilizzati come cavie per i suoi esperimenti. La parte che preferiva. Fino ad ora, aveva testato gli effetti dei suoi gioielli sulle persone, però, ultimamente, aveva allargato i suoi orizzonti e li aveva testati sugli animali. Eppure, ciò che più di tutto le interessava, era capire come le creature, in particolare vampiri, mannari e sirene, avrebbero reagito. Sarebbe stato molto utile riuscire a controllarli. «Qualcuno, ma terrò sicuramente conto del suo suggerimento, Ethan.» Non aveva mai sperimentato nulla sulle benshee, a quanto pare era arrivato il momento. «Molto.» Lo lusingò. Nutrire l'ego degli uomini, fargli credere di essere importanti e di pendere dalle loro labbra era facile, così com'era facile manipolarli grazie a quelle convinzioni. Ellen, però, era brava a controllare le persone anche grazie al suo dono. Tentò di leggere la mente dell'uomo seduto davanti a lei, ma non riuscì a penetrarla. Abbiamo un occulmante esperto o, peggio ancora, un mentalista di chiusura. La peggior specie. Avrebbe potuto forzarlo ad aprire la sua mente, ma sarebbe stato controproducente per i suoi affari. Giocavano ad armi pari, come con Christopher. «Fa bene, essere cauti è un pregio.» Lasciarsi controllare dai sentimenti era una debolezza, glielo aveva detto molte volte a quell'ingenua di sua figlia, eppure, per quanto si sforzasse, non ci era ancora riuscita. Povera cara, era ancora inesperta, e lei, da brava madre, le avrebbe fatto capire quanto fosse sbagliato seguire i consigli della sua cara nonna. «Più di ogni altra cosa, i veleni mi hanno sempre affascinato. Sarei ben lieta, in futuro, di saperne di più.» Sorrise sensuale, poggiando i gomiti sul tavolo e chinandosi leggermente in avanti, cosicché il profondo scollo a V mettesse in evidenza il solco tra i seni. «Molto famigliare. Capisco perfettamente cosa intende dire, anche io trovo particolarmente stimolante sperimentare le mie creazioni. Abbiamo qualcosa in comune. » Da come parlava, era chiaro a che tipo di sperimentazioni si riferisse. Christopher aveva un socio alquanto singolare. Inoltre, il fatto che fosse un esperto di veleni lo rendeva idoneo a ciò che stava cercando. Sicuramente, si sarebbero rivisti in futuro.
    Aveva chiesto al suo tirapiedi di cercare informazioni su di lui, informazioni che avrebbe voluto comprovare leggendogli la mente, ma ciò, almeno per ora, non era possibile. Dopo aver mandato velocemente il suo sms, ripose il cellulare nella pochette e tornò alla loro conversazione. Elle lo stava mettendo alla prova, faceva domande allusive per capire la personalità di quell'uomo e, fin ad ora, le sue risposte l'avevano soddisfatta. «Quanto mistero.» Socchiuse gli occhi, leccandosi impercettibilmente le labbra con la lingua. «Peccato sia così difficile mettersi in contatto con lei, così, se mai volessi, non potrei contattarla.» Passò il dito sul bordo del bicchiere ormai vuoto, fingendo un'espressione di rammarico. Lo stava invitando a dirle come farsi trovare. "Le piace il pianoforte?" No, odiava quello strumento, le ricordava Ginevra. Sapeva suonarlo, così come Daphne, perché era stata costretta ad imparare a farlo. Ellen, però, preferiva l'arpa. «A chi non piace?» Mentì, perché una donna di classe ama qualsiasi strumento di musica classica. Le apparenze prima di tutto. «Vuole invitarmi a ballare per caso, Ethan?» Inclinò la testa di lato e lo guardò diritto negli occhi. Maliziosamente.

  10. .
    Ellen aveva deciso di fare affari con Christopher e il suo braccio destro, Ethan, non solo per conoscere le persone giuste e ampliare la sua clientela, ma anche per arricchirsi. Di suo, possedeva già una grande ricchezza, merito dei suoi predecessori che tra proprietà sparse per il mondo, ville, terreni, case e gioielli dal valore inestimabile, avrebbe potuto vivere di rendita se solo avesse voluto. Ma perché accontentarsi? Perché non spingersi oltre e accrescere il proprio patrimonio? In fondo, erano i soldi a far girare il mondo, e più ne aveva, più sarebbe stato facile corrompere le persone, soprattutto i poveri e i più disperati che, per aiutare un parente malato o, semplicemente, per vivere una vita agiata, avrebbero fatto di tutto, persino leccarle la suola delle scarpe. Ed era proprio sulla disperazione e l'avarizia della gente che Ellen faceva leva, solo che era diventato così semplice soggiogarli e farli diventare delle marionette, che aveva deciso di cambiare target, aveva bisogno di essere stimolata e i clienti del vicepreside di Hogwarts facevano proprio al caso suo. Diverse erano le ragioni che spingevano quei maghi a pagare ingenti somme di denaro per mettere le mani su un raro artefatto: alcuni erano collezionisti, altri ex mangiamorte fanatici del Signore Oscuro, poi c'erano ministri, avvocati, medici, donne e uomini che volevano accrescere il loro potere o vendicarsi di qualcuno e, per farlo, avrebbero pagato qualsiasi prezzo, anche vendere la propria anima al diavolo. Ed Ellen era ben felice di fare da tramite. «Gli oggetti in vendita devono essere molto rari» Lo guardò e sorrise sorniona, spingendo leggermente il busto in avanti. «quindi, se possibile, mi piacerebbe sapere da dove provengono e da chi li comprate.» Christopher non si era lasciato sfuggire nemmeno il nome di uno dei suoi fornitori, era sempre cauto e riservato, soprattutto negli affari, ma se aveva chiesto al suo collaboratore di incontrarla, non era proprio per fornirle quel genere di informazioni? Era il minimo per una collaborazione come si deve. E poi, anche se non lo avrebbe mai ammesso, sapeva di aver bisogno di lei per controllare e sfruttare le altre famiglie purosangue e il Ministero, perché, anche se era stata via molti anni, restava pur sempre la regina dell'alta società inglese ed essere la falsa amica di donne potenti aveva i suoi vantaggi; infatti, sapeva, spesso con largo anticipo, i movimenti dei mariti o degli amanti di quest'ultime perché, com'è noto, gli uomini sono esseri semplici e facilmente manipolabili, un po' di moine, del sesso, e un bicchiere di vino, e i loro segreti erano svelati. Ovviamente, c'erano anche delle eccezioni, e con loro, Ellen, entrava in affari.
    «La punta di diamante della mia collezione è una spilla, ma le descriverò le caratteristiche una volta diventati soci.» L'aveva mostrata a Christopher per fargli vedere di cosa era capace, ma era un oggetto che, di certo, non avrebbe mostrato a chiunque. Prima dovevano firmare un accordo, e poi dopo avrebbe fornito tutte le informazioni necessarie. Qualcosa all'uomo che aveva davanti, però, poteva dire. Era evidente che non fosse uno sprovveduto, sapeva il fatto suo, e per avere a che fare con l'erede dei White doveva essere subdolo quanto lui. Ciò stava a significare che al diretto interessato avrebbe riferito solo le cose che riteneva interessanti e che lo avrebbe fatto a modo suo. «Recentemente sto lavorando a un nuovo prodotto, un gioiello in grado di controllare la mente creature, ma devo ancora provarlo.» Posò i suoi occhi azzurro ghiaccio su di lui e, prima di continuare, bevve un altro sorso del suo drink. «Consigli su cosa testarlo?» Aveva già una lista di possibili canditati, ma voleva vedere se Ethan era in grado di fornirle qualche suggerimento interessante, magari qualcosa a cui non aveva pensato. Sperò si rivelasse all'altezza delle aspettative. Sarebbe stato un vero peccato dire al suo futuro socio di avere un collaboratore mediocre, Ellen cercava le eccellenze, e si rifiutava di entrare in affari con persone che non lo erano. Per questo aveva sempre detto a quella stupida di sua figlia di selezionare bene le sue amicizie, cosa che, per ora, sembrava aver fatto stando alle sue fonti. Il suo rendimento scolastico era impeccabile, ma le aveva disubbidito mancandole di rispetto e, a tempo debito, l'avrebbe rimessa al suo posto ricordandole a chi doveva la sua ubbidienza. Era da un po' che non la torturava, si sarebbe decisamente divertita. «Quindi è lei che seleziona gli articoli, molto interessante Ethan.» Socchiuse languidamente gli occhi e sorrise maliziosa, passandosi la lingua sotto al palato, incuriosita dalle attività illecite di quell'uomo. Doveva avere dei contatti sparsi un po' ovunque per riuscire ad ottenere quegli oggetti così rari, oltre ad una conoscenza minima delle proprietà magiche e del valore di vendita di ciò che andava a proporre. E poi, il fatto che fosse un pozionista, lo rendeva idoneo all'uso, ma prima doveva verificare un paio di cose. «E che tipo di pozioni produce?» Gliene servivano di vario genere, alcune delle quali, se non eri esperto in materia, come lei, erano di difficile produzione. Aveva bisogno di veleni particolari, pozioni oscure e, perché no, anche di qualcosa di innovativo da testare. «Mi chiedo se i nostri interessi siano simili.» Abbassò di un tono la voce, rendendola più melodiosa e dolce. «Sì, sono d'accordo, spaziare è la cosa migliore, soprattutto se puoi farlo su oggetti e persone.» Avrebbe colto l'allusione? Perché non scoprirlo adesso? Usò il suo potere ma non riuscì a penetrargli nella mente, c'erano delle barriere piuttosto alte a proteggerla. Aveva a che fare con un mentalista di chiusura o un occultamente, la tipologia di mago che meno preferiva. In quel caso, sarebbe stato più difficile capire se affidarsi a lui per le pozioni, Ellen non era incline a fare affari con chi non poteva controllare o soggiogare. «Mi scusi un attimo.» Dalla tasca prese il suo cellulare, un oggetto alquanto utile per comunicare velocemente, e mandò un messaggio al suo tirapiedi, Micheal, chiedendogli di indagare su un certo Ethan,scrivendo in dettaglio ciò che, fino ad ora, aveva appreso su di lui e la possibile clientela a cui si rivolgeva. Quelle informazioni le avrebbe dovute avere in serata, altrimenti sapeva cosa gli aspettava. Ripose elegantemente il telefono nella borsa e tornò a guardare il braccio destro di Christopher. «Quanto esattamente è riservato nelle cose che fa, Ethan?» Vediamo se superi il test.

  11. .
    Se Daphne sperava in un rapporto madre-figlia forte e amorevole, si sbagliava di grosso. Lei era e sarebbe rimasta per sempre solo un mezzo per arrivare ad un fine che interessava ad Ellen, e nemmeno troppo importante. I modi per arrivare allo stesso obiettivo erano sempre diversi, sua figlia rappresentava il metodo più semplice che avrebbe sollevato meno problemi ma, se avesse fatto troppe storie, non ci avrebbe pensato due volte a liberarsi di lei e prendersi ciò che voleva da sola. Restava comunque la sua prima scelta perché, in fin dei conti, la sua vita le apparteneva, se credeva fosse un suo diritto viverla come meglio credeva, allora, stava sbagliando di grosso. Come l'aveva messa al mondo, l'avrebbe spazzata via, ma sembrava che il concetto non fosse ancora entrato in testa in quella testolina piena di idee ottimiste e presunzione, troppo presa dal lato sentimentale della vita. Era debole. Le cose sarebbero dovute cambiare prima di risultare inutile. Per il momento si sarebbe ancora divertita ad impersonare i panni della mammina amorevole, pur sapendo che non era una recita riuscita, non volendo nemmeno che risultasse credibile, solleticando ancora di più il fastidio della figlia
    -Non potevo certo rinunciare alla carriera solo perché sono anche una madre- Ellen non era il tipo di persona che rinunciava a niente, soprattutto visto e considerato quanto poco importante fosse quel ruolo per lei -Ho provato a rimanerti accanto anche se così distanti, ma tu mi hai sempre respinta. Mi hai ferita- si portò una mano al cuore, incrinando i lineamenti in un'espressione triste quanto finta. Dio, e c'era chi davvero pensava quelle cose. Patetici. L'idea che sua figlia sarebbe potuta diventare una persona del genere le faceva accapponare la pelle, fu solo un motivo in più per godere di quella leggera tortura mentale che, poco dopo, le inflisse. Vederla li, che si contorceva pur di non urlare, le faceva quasi tenerezza. Come se emettere anche solo un suono avesse il potere di farla apparire esile e fragile, no. Era tutto il resto a renderla tale. La sua ostinazione nel fare la sentimentale, il suo modo goffo di cercare di nascondere il suo odio per lei, il modo in cui si lamentava come una bimbetta per la sua assenza. Era questo suo voler dipendere dai sentimenti che la smuovevano a renderla debole e, purtroppo, non lo capiva. Un vero peccato, perché il potenziale lo aveva, ma non sembrava abbastanza forte da poterlo sfruttare. E a proposito di potenziale, fu più che felice di mostrarle l'ultima aggiunta alla sua collezione personale, una fantastica creatura in grado di prevedere il pericolo che le avrebbe fatto molto comodo fino a quando non fosse stata in grado di ottenere qualcosa di più affidabile, di più potente. Gli occhi di un veggente, per esempio. Tuttavia era un dono raro, la maggior parte delle persone che millantavano di possedere l'occhio interiore non erano altro che ciarlatani alla stregua degli impostori che leggevano le carte alle fiere di quegli insetti di babbani. Solo un nome, al momento, le veniva alla mente che potesse davvero vantarsi di quel titolo ma, la O'Hara, non era certo una sciocca sprovveduta e, grazie al suo stesso dono, non era certo qualcuno su cui poteva mettere le mani senza sforzi. No, serviva qualcuno di più docile, più inesperto, da ingabbiare e piegare al suo volere. Il giorno in cui ci sarebbe riuscita, allora si che avrebbe avuto davvero per le mani qualcosa che le sarebbe stata utile per raggiungere ogni punto prefissato, forse più della sua stessa figlia.
    “Il vostro legame è forte?” tra tutte le domande che avrebbe potuto fare, quella la lasciò parecchio stupita. Le sopracciglia si sollevarono mentre uno sguardo pietoso si posava sulla bionda seduta davanti a lei. Cosa importava della qualità del loro legame? Forte o debole che fosse, le avrebbe mostrato ciò che voleva. Era una domanda così strana da non riuscire a capirne il senso
    -Sei così dipendente dai legami- le sputò la risposta quasi disgustata -Come se questi influissero sul risultato- continuò ad osservarla scuotendo il capo. Le grinfie di sua madre erano così radicate in quella ragazza da farla addirittura sragionare. Ghignò alla domanda successiva, quando cominciò ad interessarsi alle cose giuste
    -Succede quando hai una collezione come la mia, in molti vorrebbero metterci le mani ma, si da il caso, che questi molti non lo faranno- terminò lapidaria sollevando appena il mento, ergendosi in tutta la sua statura, gonfiando il petto sicura delle sue capacità. Continuò a tenere gli occhi glaciali fissi su di lei, senza osservarla veramente, cercando di capire quanto lavoro ci sarebbe stato da fare per estirpare tutte le fesserie sentimentali che albergavano in quel corpicino così fragile, indecisa se spezzare prima quello o la sua mente. Infine un sorriso le incurvò le labbra, delicato, appena accennato, mentre si dava da sola della sciocca perché sapeva bene a cosa avrebbe puntato per prima cosa. Avrebbe rotto ogni legame a cui teneva così tanto, anche se avesse voluto dire eliminare altre persone, distruggendo quello che restava del suo cuoricino che ancora batteva per gli altri e, a quel punto, nemmeno ci sarebbe più stato bisogno del resto.
    -Fai bene a fidarti- le alzò il mento con la punta di un dito quando la vide sporgersi verso di lei, incastrando i suoi occhi in quelli della figlia, non più glaciali ma simili ad un cielo in tempesta -E ti dimostrerò tutto il mio immenso amore tenendoti con me- si piegò avvicinando il volto a quello della più piccola delle due -Per sempre- poi, quasi a rallentatore, un sorriso maligno si allargò sul suo viso prima di risollevarsi e mettere nuova distanza tra le due. Merlino com'era capricciosa, sempre a voler avere l'ultima parola e a fare storie. Non aveva la minima idea di come fosse una vita infernale ma, se proprio ci teneva, gliene avrebbe dato un assaggio. Le penetrò di nuovo nella mente decisa a farle provare un minimo di quello di cui parlava, e ancora una volta si sforzò di non lasciarsi sfuggire un fiato perché credeva che fosse quello a dare soddisfazione ad Ellen, non aveva capito che la soddisfazione era la mera consapevolezza di starle facendo del male e che, se avesse voluto, avrebbe potuto fare molto peggio -Principessa, tu non sai nemmeno cosa sia l'inferno- tuttavia, se avesse continuato così, lo avrebbe scoperto molto presto. Faceva la stoica, si credeva invincibile, forte di quegli insegnamenti che la sua cara nonnina le aveva impartito, ma cosa sapeva di sua nonna? Niente, perché tra tutte le stronzate sentimentali che le aveva inculcato, si era dimenticata di metterla al corrente sul tipo di persona che era stata, non le aveva rivelato nulla di ciò che aveva fatto nella sua vita, tanto meno di quello che aveva fatto alla stessa Ellen. Così glielo rivelò, contenta di servirle quella doccia fredda che l'avrebbe risvegliata dai suoi sogni infantili“Non ti credo” Ellen rise, rise di gusto, divertita da tutta quella situazione. Non faceva male quanto a Daphne, aveva superato tutto da un bel pezzo e, ricordava, non aveva fatto male neppure allora, troppo addentro a quell'oscurità in cui ora cercava di trascinarci la figlia. Si beò di quegli occhi lucidi, consapevole di starle facendo più male ore di quanto non avesse fatto poco prima torturandola. Trasudava soddisfazione mentre teneva lo sguardo fisso sulla giovane Serpeverde, pronta a mostrarle il destino che la stava aspettando. Era inciso nel suo DNA. Non poteva scappare. Schioccò la lingua contro il palato quando le diede della bugiarda. Non aveva motivo per mentire, non in quel momento e, soprattutto, non le piaceva che la contraddicesse
    -Si, vorrei che tu fossi come me- tornò seria, assottigliando lo sguardo ora alterato dal fastidio che non aveva fatto altro che aumentare dall'inizio della loro conversazione -Vorrei che tu fossi forte e diventassi degna di quello che hai ereditato, ma se pensi che ti stia mentendo, sei solo più stupida di quanto immaginassi- non ci pensò due volte, estrasse la bacchetta e la puntò contro la figlia lasciando che la rabbia si mischiasse alla magia che fece fluire
    -Crucio- pronunciò la formula quasi con un ringhio, stanca di quei capricci. Voleva farle male, voleva che soffrisse, voleva che finalmente assaporasse quell'inferno di cui tanto parlava. Voleva vederla contorcersi davvero e scoprire quanto fosse disposta a sopportare prima di cedere alla verità che aveva sotto il naso ma che fingeva di non vedere: non poteva nulla contro di lei, non al momento. La osservò con sguardo impassibile fino a quando non si stancò di quello spettacolo che già troppe volte aveva osservato in altre persone, non le faceva più ne caldo ne freddo
    -Ma se proprio ci tieni, lascia che te lo mostri- si sedette di nuovo sulla poltrona accavallando le gambe con fare elegante mentre attendeva che la ragazzina si ricomponesse e poi, senza alcun preavviso, penetrò di nuovo la sua mente, lasciando scorrere i ricordi di Ginevra e tutte le situazioni che l'avevano vista protagonista, le torture, gli insegnamenti, persino la sorellastra che era stata uccisa per mano di quella donna che Daphne amava. Le mostrò ogni cosa importante, e lo fece sorridendo dell'orrore a cui stava andando in contro la figlia. Ora, forse, avrebbe fatto meno la spavalda. Eppure non si fermò li, dopo tutto quel fastidio che le aveva creato era giusto che anche Ellen si prendesse qualcosa. Terminate le visioni delle sue memorie, rimase ancora a vagare nella mente di Daphne, cercando di leggervi qualcosa di utile o, ancora meglio, scoprire alcuni di quei legami di cui si faceva forte
    -Direi che per oggi abbiamo imparato abbastanza, puoi andare se lo desideri, a meno che tu non voglia restare o chiedermi altro- era stato un incontro fruttuoso, fastidioso ma anche divertente. Il prossimo sarebbe stato anche meglio.

  12. .
    Uccidere un figlio, quale atto ignobile. Un gesto degno delle peggiori menti criminali, forse addirittura malate, ma non le importava di dare una definizione a quello che l'affliggeva. La sua malattia era la brama di potere, una dipendenza nata fin dalla più giovane età perché, caso vuole, fu la sua stessa madre a creare in lei quell'assuefazione ed Ellen, al contrario di Daphne, era stata abbastanza forte da poter perseguire quella via. Non lo aveva mai voluto quel bambino, non era nei suoi piani e, anzi, ogni volta che lo guardava si ricordava di quella notte di debolezza in cui aveva ceduto ai desideri dell'uomo che aveva sposato. Un brivido le attraversò la spina dorsale per quell'ammissione di fragilità, non avrebbe mai dovuto assecondarlo, così non avrebbe dovuto rimediare in seguito a quello stupido errore dai capelli biondi. Eppure non le era pesato farlo, non aveva battuto ciglio guardando la vita abbandonare gli occhi di quel bambino che aveva dato alla luce, ed era sicura che avrebbe provato la stessa dose di niente se, un giorno, avesse mai dovuto farlo anche con quella che ora era la sua unica figlia. Per quanto la riguardava Daphne non aveva diritti, l'aveva creata, le apparteneva e, finché avesse avuto uno scopo e lo avesse perseguito senza opporre eccessiva resistenza, sarebbe potuta stare tranquilla che non sarebbe arrivata a tanto. Tuttavia, la ragazzina sembrava non comprendere quanto poco valore avesse la sua vita per la donna che le stava di fronte. Daphne era un mezzo per arrivare ad alcuni dei suoi obiettivi, ma non era certo l'unico per una donna come Ellen che non si faceva scrupoli a prendersi ciò che voleva con la forza. Quello che le offriva era la possibilità di rimanere in vita e, addirittura, insegnamenti utili, non di certo cose che avrebbe imparato tra i banchi di scuola, in cambio chiedeva solo un servizio da parte sua, una cosa da nulla, le bastava essere la nipote di quei disadattati degli Andersen e fornirle alcune cosette che avrebbero fatto parte della sua eredità. Un prezzo assai basso a ben pensarci, ma la ragazza pareva non rendersene minimamente conto, continuando a tirare una corta che, presto o tardi, si sarebbe spezzata e, nelle condizioni in cui entrambe stavano ora, Daphne non aveva alcuna possibilità.
    -Non direi che non mi sono interessata- corrucciò appena le sopracciglia chiare, quasi stupita di quella asserzione priva di fondamento -O non ti avrei nemmeno scritto- ok, si, se ne era andata, ma non per questo aveva mai mollato la presa sulla figlia, mantenendo una presenza costante con quelle lettere a cui aveva sempre risposto in modo tagliente senza preoccuparsi delle conseguenze -Ma forse la mia assenza ti ha ferita troppo, non credevo avresti sentito così tanto la mia mancanza- sorrise sorniona imputando il suo atteggiamento ad un affetto nei suoi confronti quando sapeva benissimo che era stata solo la rabbia a dettare quelle risposte. Rise di come fece spallucce mostrando disinteresse per come la madre aveva ricevuto le informazioni sulla sua carica scolastica, quando solo pochi secondi prima sottolineò come avrebbe voluto informarla lei stessa. Era così inesperta, se solo avesse fatto meno capricci le avrebbe insegnato come mentire decentemente e come non mostrare ciò che nascondeva nel profondo, a meno che non avesse voluto. Proprio come stava facendo la Blackwood in quel momento in cui con la bocca diceva una cosa, mostrandosi gentile e disponibile, mentre con sguardi e linguaggio del corpo lasciava intendere tutt'altro perché non le interessava nascondere niente anzi, il fatto che la figlia sapesse quanto fastidio le stava creando la divertiva, perché solo uno sciocco avrebbe continuato a sfidarla senza avere nulla in mano per poterla contrastare e, purtroppo, la ragazzina si stava dimostrando tale.
    Sorrise con tenerezza nel vedere come si sforzasse nel non voler mostrare il dolore, per non darle quella soddisfazione, ma la vedeva contorcersi ferendo la sua stessa carne, e quella era un'ammissione silenziosa che le dette comunque motivo di goderne. La osservò ancora sollevando le sopracciglia con uno sguardo sorpreso appena accennato, non tanto per il suo sforzarsi di non aprire quella maledetta bocca che avrebbe volentieri schiaffeggiato, quanto più per il modo di emularla ricalcando le sue stesse movenze. Ridacchiò, era una cosa che aveva fatto fin da bambina e la cosa non poteva che farle piacere. Che la emulasse pure, se ne era in grado, che seguisse le sue orme e diventasse lei stessa la donna che tanto detestava. Si cominciava con poco, con i piccoli gesti da nulla, e poi si sarebbe trasformata in un'assassina dal sangue freddo. Forse. Se avesse smesso di essere una debole.
    -Tranquilla, Daphnne. Lo saprai presto- tagliò li il discorso ridacchiando. Sembrava non rendersi conto che, così come era entrata nella sua mente per provocarli quel pizzico di dolore, avrebbe potuto farlo per estrarne le informazioni che voleva con la stessa difficoltà con cui sbatteva le palpebre. Le aveva solo dato la possibilità di farlo lei stessa, evitando così che scavasse nella sua mente alla ricerca di ciò che le interessava, evitando così che si imbattesse in altro ma, ancora una volta, non sembrava essere stata furba. Volle credere che la rabbia e il disgusto che provava per lei la stessero accecando, facendola sragionare, si aggrappava a questo pensiero per non credere di aver fatto fuori il figlio sbagliato, doveva ancora darle il beneficio del dubbio. Eppure Daphne voleva prove, voleva vedere con i suoi occhi, a quale scopo? Voleva solo sapere contro chi si metteva, come se questo non fosse stato già chiaro, o voleva un assaggio di quello che anche lei avrebbe potuto utilizzare se solo avesse accettato di rimanere sotto la sua ala? Poco male, non aveva alcun motivo di nascondere ogni cosa alla sua giovane, bellissima, figlia, qualcosa poteva ancora condividerlo. Il Demiguise, creatura affascinante, aveva faticato non poco a trovarlo e aveva dovuto utilizzare diverse frecce al suo arco per riuscire a metterci le mani sopra ma, come tutto quello che voleva, alla fino lo otteneva. Ed infatti eccolo li, impaurito e rinchiuso in una gabbia, presto sarebbe riuscita a piegare anche la sua volontà per essere la sua personale guardia del corpo magica, una specie di torretta di guardia dal pericolo che verrà. Chissà se alla ragazza seduta, che fissava quella creatura, fosse chiaro che da qualche parte in quella casa c'era una gabbia con il suo nome sopra nel caso Ellen fosse stata costretta a chiudercela lei stessa. Che lo guardasse bene, perché quell'animale orrendo sarebbe potuto essere la sua unica compagnia per molto tempo.
    -Sei preparata, mi fa piacere!- ora si che era contenta, finalmente mostrava un lato di sé che le interessava -Hai ragione, c'è un'interpretazione per tutto, ma quando sei preparata al pericolo è più facile contrastarlo- ad un avvertimento di quella piccola creatura si sarebbe fatta trovare con le difese alzate, pronta ad affrontare qualunque cosa avesse provato a scalfirla -E poi, diciamo che ho una vaga idea di quali siano le situazioni da cui mi devo ben guardare- sorrise ancora ancorando gli occhi glaciali in quelli meno austeri della figlia, aveva imparato a sue spese quali erano le situazioni che potevano ritorcersi contro di lei, era difficile che si facesse cogliere impreparata perché, da brava criminale quale era, a suo modo, sapeva di non dover sottovalutare mai nulla, e aveva sempre un piano B.
    -Il mio amore per te non è mai cambiato, è rimasto invariato da quando sei nata fino ad ora- ovvero nullo. La guardava e non vedeva nulla se non il mezzo per raggiungere un fine. Ma non era colpa di Ellen, non del tutto almeno, era diventata così solo grazie ad altri. Doveva molto a quelle persone, l'avevano resa forte e indipendente, avevano fatto in modo che fosse sempre preparata, l'avevano fatta diventare imperturbabile e, a parte i limiti fisici, avevano estirpato in lei ogni tipo di debolezza emotiva. Nessuno avrebbe mai potuto far leva sulla sua coscienza -É forse per questo che ce l'hai con me? Temi che io non tenga a te? Come sei dolce- poteva stare tranquilla, Ellen ci teneva alla sua giovane figlia, magari non nel modo in cui Daphne avrebbe voluto, ma la considerava ancora una pedina importante. Eppure quella sciocca continuava a sfidarla! Era colpa sua se ora si vedeva costretta a farle provare ancora una volta una punta del suo potere mentale, e doveva ancora ringraziare tutti i maghi del paradiso se non si era avventata su di lei con tutto il potere di cui disponeva, o a poco le sarebbe servito graffiarsi la pelle e mordersi la lingua per evitare di darle una soddisfazione, cosa di cui nemmeno le importava. Se solo avesse voluto le sarebbe bastato anche solo puntarle addosso la bacchetta e cruciarla li sul posto, facendola cantare come un uccellino, ma non le importava. Non le sarebbe servita a nulla se fosse stato un guscio vuoto privo di raziocinio, e dubitava sarebbe riuscita a fermarsi in tempo se avesse lasciato che il fastidio che le provocava avesse preso il sopravvento. Poi si fermò, quando la domanda sincera la colse impreparata. Finalmente aveva smesso di fare la stoica e aveva cominciato a chiedere quello che voleva, era ora
    -Tua nonna?- le sopracciglia scattarono verso l'alto. Di tutto quello che poteva chiedere, era quello il suo primo pensiero? Lo stupore lasciò il posto alla rabbia, prendendo atto di quanto quella donna avesse corroso la mente della nipote con stupidi sentimenti tanto forti da persistere dopo anni dalla sua scomparsa. Quindi rise, incapace di trattenersi rise di gusto mentre la ragazza si riprendeva -Davvero non lo immagini?- in realtà i motivi erano diversi, da un lato quella donna stava cercando di distruggere i suoi piani, provando a salvare la stessa Daphne dal suo destino, dall'altro vi era comunque una certa dose di vendetta che permeava nelle volontà di Ellen, per tutto ciò che l'anziana le aveva procurato.
    -Chi credi mi abbia insegnato la maggior parte di quello che so?- chiese ancora divertita di come stava per spezzare l'immagine che la ragazzina aveva di quella donna -E chi credi mi abbia insegnato come prendermi quello che mi serviva?- sarebbe stata una doccia fredda -Che succede, bambina? Per tutto questo tempo hai cercato di diventare come lei, invece che come me? E chi credi avesse le mani sporche del sangue di mia sorella?- ghignò ancora, non che avesse mai provato grandi sentimenti per la sorella ormai deceduta -Mi chiedi perché l'ho uccisa, quando le mie azioni di allora sono le stesse che ora vorresti compiere tu, o sbaglio?- si alzò, camminando lenta verso la ragazza, fermandosi davanti a lei ad osservarla dall'alto in basso, sovrastandola con la sua statura -Sei già come me, come noi, e nemmeno te ne sei resa conto?- un ultimo sorriso inclinando appena il capo verso la spalla. Non aveva alcun motivo per mentire, non le serviva. Quell'incontro si era rivelato interessante, ora Daphne avrebbe avuto molto su cui riflettere per decidere da che lato volesse stare. Non essere sciocca, tesoro.

  13. .
    Ellen parlava, di argomenti banali volti solo a fingere una conversazione che sapeva non interessava a nessuna delle due, e tutto ciò a cui riusciva a pensare erano gli occhi freddi con cui la figlia la fissava di rimando. Percepiva il gelo in quello sguardo, freddo quanto l'affetto che forse un tempo Daphne aveva provato per lei. Forse lo aveva fatto, forse le aveva voluto bene come una qualsiasi figlia, fino a quando non aveva capito che tipo di persona fosse la donna che chiamava madre. In realtà non era sicura che lo avesse capito sul serio, o tanti atteggiamenti avrebbe dovuto evitarli se fosse stata furba. L'idea di Ellen era che Daphne la stesse sottovalutando, cosa che avrebbe dovuto indisporla, invece trovava davvero divertente. La mente viaggiava già alla ricerca di modi fantasiosi per farle capire che, magari, avrebbe dovuto prestare più attenzione a certe cose. Ne aveva giusto qualcuno in mente e, allora, quegli occhietti taglienti avrebbero avuto un reale motivo per essere tanto distaccati.
    -No, non lo hai dimenticato- il sorriso divenne quasi affilato -E ricordi tutti i miei insegnamenti, o acquisire potere è un tuo particolare interesse?- si sporse appena in avanti posando le mani giunte sulle ginocchia accavallate. Doveva ammetterlo, aspetto a parte, Daphne non le ricordava troppo se stessa alla sua età. Si, il potenziale era li, sopito, lo stesso che aveva lei e che aveva imparato a sviluppare, ma nella più giovane era nascosta così tanta rabbia e così tanto rancore che si chiedeva come facesse a non esplodere. Colpa di sua nonna, la povera, falsa, Ginevra, che aveva infettato la mente di sua figlia corrompendola con puerile amore, rendendola debole e così manipolabile. Un peccato, uno sciocco tentativo di allontanare quella bambina da un futuro ormai prestabilito, ma se credeva che quel briciolo di affetto che le aveva fatto provare anni prima sarebbe bastato, si sbagliava di grosso. Sarebbe stato solo più doloroso, anche più faticoso, ma Ellen non dubitava che, presto o tardi, avrebbe raggiunto il suo obiettivo. Al costo di strapparle ogni briciola di affetto residuo, eliminando ogni persona le fosse mai stata cara, facendo desiderare di non provare più niente. Alla fine l'avrebbe spezzata, con le buone o con le cattive, e sarebbe tornata da lei, accettando il ruolo che aveva nel grande disegno, rassegnandosi ad un'esistenza al fianco di sua madre, almeno fino a quando le sarebbe stata utile.
    -Probabilmente, se ti fossi degnata di accettare uno dei miei inviti precedenti saresti riuscita a dirmelo di persona, non pensi?- il fastidio era percepibile nella sua voce -Se non avessi fatto i capricci come una ragazzina, non avrei dovuto venirlo a sapere dai tuoi professori- continuava a sorridere, come nulla fosse, nonostante il suo tono fosse così distante da quello che esprimeva il suo viso marmoreo. Quindi non si trattenne, espanse il potere mentale che padroneggiava con maestria da anni ormai, varcando le soglie della psiche della ragazza seduta davanti a lei, e giocando con essa come plastilina. Una delle peculiarità del suo dono, nonché quella che le dava più soddisfazione, era la capacità di far provare dolore, un dolore che rimaneva solo nella loro testa, che non lasciava tracce se non nella psiche, qualcosa di cui nemmeno avrebbero potuto accusarla, qualcosa che le regalava piacere e sollievo mentre la persona designata come vittima si raggomitolava, in genere su se stessa. Quindi lo fece, fece saggiare alla povera Andersen una piccola parte di quella esperienza che tanto la divertiva, inclinò appena il capo verso una spalla osservando la sue espressione mentre, la ragazza, cominciò a provare fastidio in tutto il corpo. Non era un dolore lancinante, non all'inizio. Cominciò piano, quasi come un prurito, per aumentare gradualmente fino ad arrivare al punto da avere l'impressione che il corpo venisse dilaniato, ma durò solo un paio di minuti. Non si perse un singulto, né un movimento, beandosi della vista di quella lezione che, presto o tardi, anche la più giovane delle due avrebbe dovuto imparare: non disubbidire. Rimase rilassata sulla sua poltrona, mantenendo quel sorriso serpentino sulle labbra, pronta a lasciarle respirare qualche altro attimo di rilassamento come non fosse successo nulla, come non fosse stata lei stessa a farle quel leggero solletico mentale. Riprese la conversazione come nulla fosse, chiedendole cos'avesse imparato a scuola, un mero espediente per capire a che punto fosse arrivata con White. Eppure la bionda non demordeva, continuando a fare la finta tonta. Avrebbe frantumato il suo spirito, presto o tardi -Tenta di nuovo, Daphne. Sono certa che ti verrà in mente qualcosa che meriti una menzione speciale- il sorriso lasciò il posto ad un'espressione seria, a tratti annoiata, mentre cominciava a rimirarsi le unghie laccate e curate. Per quanto ancora voleva andare avanti? Quella farsa iniziava ad andarle a noia, tuttavia ritornò ad indossare la maschera di poco prima, impersonando ancora una volta il ruolo della madre amorevole. L'obiettivo, in fin dei conti, era quello di riprendere Daphne sotto la sua ala e, da li, indirizzarla laddove ne avesse bisogno per portare a termine quello che si era prefissata. Poco alla volta le avrebbe eliminato quelle sciocche credenze inculcate da Ginevra, avrebbe smesso di essere debole, e finalmente le sarebbe tornata utile.
    “Perché non me lo mostri?” il modo in cui, testarda, si ostinava a provare a tenerle testa era sul filo del rasoio, in bilico tra sciocco diletto e incredibile disturbo. Non era mai stata come lei, certo erano entrambe testarde, ma Ellen aveva avuto l'intelligenza di apprendere da chi era più potente di lei, senza fare storie, senza fare domande. A testa bassa aveva lavorato e fatto cose che avrebbero fatto accapponare la pelle serafica della sua giovane figlia che, invece, aveva una morale, o almeno fingeva che fosse così. Glielo leggeva nella mente quell'odio che permeava dentro di lei, che la colmava e la faceva andare avanti, il suo desiderio di vendetta aveva già cominciato a corromperla, eppure credeva di essere migliore? Un ghigno si disegnò sulle labbra scarlatte, voleva così tanto liberarsi di sua madre, che nemmeno si rendeva conto che sarebbe diventata come la donna che tanto disprezzava, compiendo le sue stesse azioni. Sciocca, ingenua. Aveva ancora così tanta strada da fare, e non riusciva nemmeno a cogliere le occasione che le venivano messe sotto al naso.
    -Perché no?- domandò arricciando il naso prima di battere le mani davanti a sé per attirare l'attenzione del maggiordomo dagli occhi vitrei -Gustav, porta pure l'ultimo arrivo della mia collezione- l'uomo, a cui era stato di nuovo cambiato il nome, uscì di nuovo dalla stanza senza proferire parola, lasciando così le due donne di nuovo da sole a scrutarsi e studiarsi. Ellen si alzò, dando le spalle all'imponente camino spento che stava alle sue spalle, rimanendo al centro delle due sedute che avevano occupato fino a quel momento
    -Non è stato facile da reperire, sono certa che ti piacerà- gli occhi rimasero puntati sulla porta da cui, poco dopo, il maggiordomo rientrò portandosi dietro una gabbia di medie dimensioni, facendola atterrare ad un paio di metri da Daphne
    -Chissà se a scuola ve ne hanno mai parlato- la gabbia apparve vuota fino a quando, stimolato dalla punta della bacchetta dell'uomo, una creatura si rese di rese di nuovo visibile, mostrando il suo aspetto così simile a quello di un primate con la faccia rugosa e il pelo folto e lungo -É un Demiguise- Ellen avanzò girando attorno alla gabbia fissando l'animale affascinata -Creature incredibili e utili, sapevi che può prevedere il futuro?- tornò ad osservare la figlia, cominciando a camminare ora attorno a lei allo stesso modo di come aveva fatto con l'altra creatura -Possono prevedere il futuro, così..- si fermò dietro lo schienale su cui era poggiata la ragazza, si chinò e avvicinò il volto all'orecchio della figlia -..quando proveranno a mettermi in pericolo, io lo saprò- con un rapido gesto della mano intimò al maggiordomo di sparire e di portare con sé la gabbia. Il giorno in cui avrebbe messo le mani su un veggente, quel mostriciattolo sarebbe potuto sparire davvero. Magari ci avrebbe fatto un bel mantello.
    -Certo che sono tornata per restare- riprese posto sulla sua seduta poggiando le braccia sui due braccioli -Ti assicuro che niente potrà più tenermi lontana da te, niente- sorrise mostrando un calore assolutamente falso, ma quel sorriso si congelò sul suo volto, mentre le mani strinsero con forza i braccioli su cui erano posati
    -Daphne, tesoro- come un'onda d'urto direzionò di nuovo il suo potere verso la giovane donna -Non posso fare a meno di chiedermi a cosa tu ti stia riferendo- riprese le sue stesse parole mentre tornava ad infliggere dolore alla figlia. Nessun aumento graduale questa volta, fu totale, era una sensazione bruciante, quasi corrosiva, avrebbe eroso la sua mente dall'interno facendole credere di averle iniettato lava nel corpo -Dovresti essere un po' più specifica, quali spiegazioni ti servono?- e soprattutto con quale coraggio le chiedi? La pretesa era quasi simpatica, ma non per questo diminuì il controllo sulla sua mente. Chissà se riusciva a parlare con quella sensazione di gola in fiamme. Continuò così per qualche minuto ancora, godendo delle sue espressioni, stanca ormai di giocare quella pantomima inutile. Si fermò, continuando ad osservarla ad occhi socchiusi, era ora di finirla -Parla chiaro, basta giochi. Cosa vuoi sapere?- e chissà che non le avrebbe risposto in modo sincero.

  14. .
    L'uomo davanti a lei appariva sicuro di sé e rispettava gli spazi altrui il che non era scontato. Molti uomini, soprattutto alle feste, avevano il vizio di farle un baciamano non richiesto anche di fronte alle loro mogli, tutto pur di toccare la sua pelle diafana. È buona educazione che le labbra non tocchino, né sfiorino, la mano della donna a meno che tra i due non ci sia un rapporto intimo, o quantomeno confidenziale, da permettere all'uomo di prendersi una tale libertà, tuttavia, erano pochi quella che seguivano l'etichetta e i rampolli della nuova generazione di maghi purosangue erano molto più disinibiti e poco interessati alle tradizioni. Per questo c'era stato un aumento di nascite di mezzosangue, esseri che, ai suoi occhi, non erano migliori dei babbani perché nelle loro vene c'era sangue impuro. Sperò che sua figlia non si fosse avvicinata a quei plebei che, malauguratamente, la scuola di Hogwarts accoglieva. Per il modo in cui l'aveva cresciuta avrebbe dovuto scegliere più saggiamente le sue amicizie, così come i suoi amanti e, se ciò che aveva detto la figlia di una sua vecchia conoscenza era vero, Daphne si stava frequentando con qualcuno ma questo lo avrebbe scoperto a tempo debito. Ovviamente, se non in linea con ciò che si aspettava, avrebbe fatto in modo di separarli perché la futura erede dei Blackwood non poteva mischiarsi con gente di bassa lega. Se voleva divertirsi avrebbe dovuto scegliere sempre e solo maghi purosangue, di famiglie importanti e ricche, come aveva fatto lei dopo aver adempito ai suoi doveri. Peccato che nella sua lista non potesse vantare Christopher White, ma il loro era sempre stato un rapporto controverso: da una richiesta di matrimonio mai avvenuta adesso erano soci in affari, il che era decisamente meglio. Era stato proprio lui a metterla in contatto con l'uomo che aveva davanti, da quel che sapeva abile pozionista. Non era riuscita a trovare molte informazioni su di lui, questo Ehtan sembrava muoversi nell'ombra, un tipo discreto dunque, proprio quello che le serviva. «Sono lieta di sentirlo.» La creazione che gli aveva mostrato l'ultima volta aveva decisamente catturato la sua attenzione. La loro collaborazione sarebbe stata molto proficua. «Non posso dire altrettanto di lei, mi ha solo fatto cenno delle aste di cui vi occupate.» Il vicepreside di Hogwarts non parlava mai più del dovuto, si esponeva solo quando la persona con cui stava avendo a che fare aveva conquistato la sua fiducia e, naturalmente, sapeva sempre di chi fidarsi grazie al suo dono. Nel suo caso, però, questo non era possibile perché anche lei era una Legilimes e questo, insieme al loro passato, complicava ulteriolmente le cose. Giocavano un'eterna partita a scacchi e nuove pedine erano state aggiunte alla scacchiera, tra cui sua figlia, la loro collaborazione e Ethan.
    «Prego.» Gli diede il permesso di chiamarla per nome. «Voglio ampliare la vendita di alcuni oggetti di mia creazione.» Aveva già i suoi contatti tra i mangiamorti e i fanatici del Signore Oscuro, ma Ellen era una donna ambiziosa e non si sarebbe di certo accontentata di vendere le sue meraviglie ad una cerchia ristretta di maghi oscuri londinesi. Voleva espandersi, accrescere il suo potere e riuscire a mettere le mani su formule e oggetti interessanti e le aste facevano proprio al caso suo. «E poter osservare in prima persona artefatti rari, sa sono una collezionista.» Di magia nera. Sorrise sorniona e bevve un sorso dal suo bicchiere, leccandosi le labbra e facendo attenzione a non sbavare il rossetto. Christopher non le aveva dato informazioni dettagliate sui prodotti che vendevano, sapeva solo che i clienti che li compravano spendevano cifre esorbitanti per averli e che li utilizzavano per i loro loschi fini. Tra loro dovevano esserci maghi potenti che ricoprivano posizioni importanti, e se uno di essi lavorava per il Ministero novergese tanto meglio, aveva un conto in sospeso con il suo ex marito. Per ora, però, si sarebbe limitata a conoscere persone che, in futuro, le sarebbero potute essere utili. Altre marionette da aggiungere alla mia collezione. «Entrambe le cose ma mi dica, Ethan» Si sporse leggermente in avanti, passando un dito sul bordo del bicchiere e guardando in modo velatamente sensuale il suo futuro collega. Non esitò nell'usare le sue doti femminili; a volte lo faceva per vanto, altre per ammaliare altre ancora per sedurre o mettere alla prova, in questo caso, a seconda del modo di fare dell'uomo, avrebbe scelto quale. «lei che ruolo ha in queste aste? E in generale di cosa si occupa?» Voleva capire se poteva esserle utile per questioni più personali e, soprattutto, se era uno che sapeva tenere la bocca chiusa.

  15. .
    Le cerimonie, quale perdita di tempo, così svenevoli e, spesso, piene di falsità. Ellen detestava quel tipo di faccende, preferendo di gran lunga andare al sodo e ottenere quello che voleva senza dover per forza attraversare quel rito prolisso e pieno di fronzoli. Eppure, lo sapeva bene, spesso servivano. Un sorriso, una mano posata sulla spalla al momento giusto, finto interesse mostrato con domande di cui non avrebbe nemmeno ascoltato le risposte, erano tutte opere per spianarsi la strada e giungere al suo reale fine. In quella particolare situazione, tuttavia, non provava nulla di tutto questo. Non la strinse tra le braccia per ingraziarsi la figlia che, figurarsi, non si sarebbe mai arresa alla madre per puro affetto, né tanto meno stava cercando di fare la svenevole per ottenere favori, cosa che funzionava sempre molto bene con i gentiluomini dell'alta società. Uomini, bestie semplici. No, avvolse il braccio attorno le braccia della figlia senza nemmeno sforzarsi di nascondere la falsità dell'azione, solo perché la divertiva coinvolgere Daphne in quelle liturgie prive di ogni calore, sapendo bene che anche la figlia ne avesse consapevolezza
    -Ero lontana da qui, non dai miei affari- tornata sulla sua seduta, afferrò di nuovo il calice portandoselo alle labbra per nascondere il sorriso dovuto al rifiuto della sua gentile offerta. Che non si fidasse? Strano.
    -A fermarsi sempre nello stesso posto si rischia di fossilizzarsi sulle solite cose. Non sai quante informazioni utili si ottengono girando e parlando con le persone giuste. Non si smette mai d'imparare, non trovi?- persone, oggetti, incanti, tutte cose che le sarebbero state utili nei suoi numerosi affari che stava cercando di ampliare. Non faceva per lei accontentarsi di quello che già aveva, l'ambizione la spingeva a cercare di più e, quello che cercava, poi trovava. Prese ad osservarla, continuando a sorseggiare il suo champagne, prendendo tempo per studiarne i lineamenti, il portamento e la postura. Sarebbe stata un'ipocrita se avesse pensato che l'aspetto non era cosa importante, quello attraeva gli stolti e l'intelligenza li raggirava, servivano entrambe le qualità per arrivare lontano e, con sua somma soddisfazione, poteva dire che la ragazza ne possedeva almeno una, l'altra era da testare
    -Ma dimmi di te, so che sei diventata Prefetto, è uno splendido traguardo- che, di sicuro, non faceva sfigurare la stessa Ellen. La notizia le aveva fatto piacere, era bene che la figlia si distinguesse dal resto della marmaglia che infestava quella scuola, se così si poteva chiamare. Inoltre, contava molto sul fatto che Daphne ci prendesse gusto a voler emergere sugli altri. Nelle sue vene scorreva la stessa ambizione della madre, glielo si poteva leggere negli occhi glaciali che aveva ereditato. Tuttavia non era per certo per complimentarsi che aveva sollevato l'argomento, non l'aveva convocata per adularla. Piuttosto, voleva che fosse ben chiaro nella mente della principessina di casa che Ellen sapeva di lei. Quanto, non le era dato conoscerlo. Tuttavia la semplice informazione buttata li, con casualità, doveva farle intuire che qualcuno le riferiva i suoi movimenti. Non le sarebbe risultato facile nascondersi da sua madre -Imparato niente di interessante, a scuola?- sorrise di nuovo. Oh si, lei sapeva. Era ormai a conoscenza che, la sua erede, fosse stata presa sotto l'ala dell'attuale vicepreside, e quell'uomo, che conosceva da tanto tempo, non si sprecava mai a dare lezioni a ragazzini comuni. No, Christopher l'aveva informata del potere che si era, finalmente, manifestato, ed Ellen era curiosa di saperne di più, vedere a che livello fosse arrivata, se avesse il potenziale giusto, se ne fosse degna. Ciononostante, divertimento personale e curiosità a parte, non aveva apprezzato le risposte che aveva ricevuto quando aveva provato a mettersi in contatto con lei e, presto o tardi, gliele avrebbe fatte scontare tutte. Gli occhi, questa volta duri e non più divertiti, si trattenevano sul viso della giovane donna, pronti a cogliere segni di cedimento, di menzogne o di un semplice appiglio per darle la scusa di metterla in ginocchio con il solo uso della mente. A nessuno piaceva venire ignorati, ad Ellen men che meno. Le mani le prudevano dal desiderio di afferrarle il volto per costringerla a non distogliere lo sguardo, per farle capire che un comportamento del genere non le sarebbe stato concesso una seconda volta. Invece rimase immobile, lasciandola proseguire nella sua recita e, anzi, assecondandola. Un piccolo broncio sul suo viso ancora non segnato dallo scorrere del tempo, volto a simulare un'espressione di tristezza e compassione come se fosse possibile per lei dispiacersi per una cosa del genere
    -Così mi spezzi il cuore- quale? Faticava a non riderle in faccia -Immagino che non sia stato facile vivere con tuo padre e la sua nuova famiglia. Fatica ancora ad apprezzarti come meriteresti?- sbatté le lunghe ciglia scure, mostrandole uno sguardo che di compassionevole aveva solo l'intento, sbattendole in faccia come i rapporti tra la stessa Daphne e il padre non fossero dei migliori. Andersen, la sua seconda scelta. Fosse stata libera, avrebbe sollevato gli occhi al cielo nel ritrovarsi a dover parlare di lui, l'uomo che aveva sposato solo per mettere le mani su quelle piccole cosucce interessanti che la sua famiglia custodiva gelosamente. Peccato che, come moglie, non avrebbe avuto possibilità di arrivarci. Ed ecco che, Daphne, le sarebbe tornata più che utile. Ecco perché lo aveva manipolato, facendogli credere di innamorarsi di un'insulsa babbana, dando alla luce una seconda figlia ancora più insignificante. Per quanti figli avesse avuto da quella donna, nessuno di loro sarebbe mai stato degno di ereditare quei segreti, al contrario della sua Daphne. Ed ecco perché aveva continuato la sua opera di persuasione facendolo rivoltare contro la sua primogenita, così che, questa, sarebbe stata più propensa a voltargli le spalle.
    -Ora sono tornata- sorrise di nuovo, come una madre affettuosa avrebbe fatto -E la mia porta è sempre aperta per te nel caso la non ti trovassi bene- o nel caso avesse voluto imparare qualcosa di serio. Si sapeva qual era il detto, tieniti stretti gli amici, e ancora più stretti i nemici. Fosse stata furba avrebbe provato ad apprendere dalla stessa madre, cercando così di superare la sua maestra secondo i piani di vendetta che, era certa, avesse in mente, e chissà, magari avrebbe imparato ad apprezzare quelle arti come la stessa donna che ora le sedeva di fronte. Guardami, Daphne, era quello lo specchio che le mostrava il suo futuro. Era quello che l'attendeva, la donna che sarebbe diventata, così come la stessa Ellen non era poi tanto diversa dalla nonna che quella bambina aveva pianto, ma questo, Daphne, non poteva saperlo, ancora -Sono certa che ci divertiremmo insieme, e potrei mostrarti diverse cose che ho imparato in questi anni di lontananza- il sorriso si allargò mostrando la fila di denti perlacei in netto contrasto con il rossetto vermiglio
    “Cosa ti aspetti da me?” ogni cosa, ma, per cominciare, che smettesse di fare i capricci e cominciasse a seguire il suo volere. Questo, però, non poteva certo dirlo. Non poteva dirle che era solo una sua proprietà, una marionetta da muovere a comando come prolungamento del suo stesso braccio. Quindi posò il calice, ormai vuoto, e si cimentò nell'ennesimo atto recitativo
    -Per il momento, solo che tu possa perdonarmi per essermi allontanata per così tanto tempo- staccò le spalle dallo schienale per sporgersi leggermente avanti, quasi a voler fare un passo verso di lei -Puoi farlo?- come negare una cosa tanto piccola alla stessa donna che l'aveva portata in grembo e partorita, soprattutto quando parlava con tanta sincerità? Ed anche se lo avesse fatto, se glielo avesse negato, se lo sarebbe preso. La scena era quasi melensa. Ovvio, non poteva chiederle il perdono per averla fatta assistere alla morte dei suoi cari, non era sicura di quanto e cosa la bionda ricordasse e, in ogni caso, non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce pure se fosse stata sicura di quello che la sua memoria conteneva -E tu, invece? Ora che sono qui, di nuovo nella tua vita,- specificò perché suonasse quasi come una velata minaccia -c'è qualcosa che ti aspetteresti da me?-

47 replies since 15/3/2022
.
Top
Top