Posts written by DylanW.

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    Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts


    Direttore: Abram Julius Edevane (Ordine di Merlino Terza Classe, membro del Wizengamot, membro della Confederazione Internazionale dei Maghi)

    Egregio Sig.ina Wheeler O'Hara Halley,
    siamo lieti d'informarla che lei è stata selezionata per servire come Prefetto della Casa di Grifondoro. I suoi successi scolastici, le sue abilità e le risorse che possiede sono ciò che la Casa di Grifondoro stava cercando.
    Siamo certi che continuerà ad essere un modello per i suoi colleghi e che prenderà con responsabilità e serietà la carica che le viene affidata. Acclusa alla lettera troverà la spilla di Prefetto che dovrà essere apposta sulla sua divisa per tutta la durata dell'anno scolastico ed un riepilogo di quelle che sono le sue mansioni. Congratulazioni!

    Distinti Saluti
    Dylan Christopher Adam White
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    prefetto
    Riepilogo compiti:
    Prefetti: Tutti i prefetti saranno chiamati a svolgere almeno due turni di ronda notturna alla settimana. In ON verrà richiesto ai prefetti di svolgere almeno 2 role di ronda notturna o supporto agli studenti in un anno scolastico (pena la perdita della carica). Fra i doveri dei prefetti c'è quello di aiutare i nuovi studenti ad ambientarsi e al bisogno aiutarli a svolgere i propri compiti. I turni di ronda possono variare di settimana in settimana per evitare che gli studenti si organizzino fra loro per infrangere il coprifuoco durante i turni di determinati pg. I prefetti dovranno fare rapporto al loro caposcuola o capocasata, qualora sorprendessero studenti a compiere azioni proibite e pericolose (es: tentativi di entrare nel reparto proibito o rubare dalle scorte della scuola), nel caso in cui l'infrazione del regolamento fosse limitata all'aver ignorato il coprifuoco o altre piccole infrazioni, i prefetti si potranno limitare a rimproverare o riportare gli studenti nelle proprie sale comuni e avranno il diritto di dare piccole punizioni o rimuovere punti (non oltre i 10) senza dover far rapporto a cariche più alte. I punti rimossi vanno segnati nella sezione apposita.
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    Direttore: Abram Julius Edevane (Ordine di Merlino Terza Classe, membro del Wizengamot, membro della Confederazione Internazionale dei Maghi)

    Egregio Sig.ina Adersen Daphne,
    siamo lieti d'informarla che lei è stata selezionata per servire come Caposcuola della Casa di Serpeverde. I suoi successi scolastici, le sue abilità e le risorse che possiede sono ciò che la Casa di Serpeverde stava cercando.
    Siamo certi che continuerà ad essere un modello per i suoi colleghi e che prenderà con responsabilità e serietà la carica che le viene affidata. Acclusa alla lettera troverà la spilla di Caposcuola che dovrà essere apposta sulla sua divisa per tutta la durata dell'anno scolastico ed un riepilogo di quelle che sono le sue mansioni. Congratulazioni!

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    Dylan Christopher Adam White
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    caposcuol
    Riepilogo compiti:
    Caposcuola: Tutti i caposcuola saranno chiamati a svolgere almeno tre turni di ronda notturna alla settimana. In ON verrà richiesto ai caposcuola di svolgere almeno 2 role di ronda notturna o supporto agli studenti in un anno scolastico(pena la perdita della carica). Fra i doveri dei caposcuola c'è quello di aiutare i nuovi studenti ad ambientarsi e al bisogno aiutarli a svolgere i propri compiti, inoltre saranno chiamati a radunare tutti gli studenti della propria casata per riportarli nella sala comune o altri luoghi indicati da cariche scolastiche più alte della loro, in caso di emergenze. I turni di ronda possono variare di settimana in settimana per evitare che gli studenti si organizzino fra loro per infrangere il coprifuoco durante i turni di determinati pg. Ai caposcuola sarà concesso dare punizioni e rimuovere punti a loro discrezione a seconda della gravità della situazione (non oltre i 50). Dovranno far rapporto ai capocasata solo a seguito di gravissime infrazioni del regolamento (es: uno studente che entra nella foresta proibita in piena notte). I punti rimossi vanno segnati nella sezione apposita.
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    Direttore: Abram Julius Edevane (Ordine di Merlino Terza Classe, membro del Wizengamot, membro della Confederazione Internazionale dei Maghi)

    Egregio Sig.ina Crain Victoria,
    siamo lieti d'informarla che lei è stata selezionata per servire come Prefetto della Casa di Serpeverde. I suoi successi scolastici, le sue abilità e le risorse che possiede sono ciò che la Casa di Serpeverde stava cercando.
    Siamo certi che continuerà ad essere un modello per i suoi colleghi e che prenderà con responsabilità e serietà la carica che le viene affidata. Acclusa alla lettera troverà la spilla di Prefetto che dovrà essere apposta sulla sua divisa per tutta la durata dell'anno scolastico ed un riepilogo di quelle che sono le sue mansioni. Congratulazioni!

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    prefetto
    Riepilogo compiti:
    Prefetti: Tutti i prefetti saranno chiamati a svolgere almeno due turni di ronda notturna alla settimana. In ON verrà richiesto ai prefetti di svolgere almeno 2 role di ronda notturna o supporto agli studenti in un anno scolastico (pena la perdita della carica). Fra i doveri dei prefetti c'è quello di aiutare i nuovi studenti ad ambientarsi e al bisogno aiutarli a svolgere i propri compiti. I turni di ronda possono variare di settimana in settimana per evitare che gli studenti si organizzino fra loro per infrangere il coprifuoco durante i turni di determinati pg. I prefetti dovranno fare rapporto al loro caposcuola o capocasata, qualora sorprendessero studenti a compiere azioni proibite e pericolose (es: tentativi di entrare nel reparto proibito o rubare dalle scorte della scuola), nel caso in cui l'infrazione del regolamento fosse limitata all'aver ignorato il coprifuoco o altre piccole infrazioni, i prefetti si potranno limitare a rimproverare o riportare gli studenti nelle proprie sale comuni e avranno il diritto di dare piccole punizioni o rimuovere punti (non oltre i 10) senza dover far rapporto a cariche più alte. I punti rimossi vanno segnati nella sezione apposita.
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    Direttore: Abram Julius Edevane (Ordine di Merlino Terza Classe, membro del Wizengamot, membro della Confederazione Internazionale dei Maghi)

    Egregio Sig. Moore Hunter,
    siamo lieti d'informarla che lei è stato selezionato per servire come Prefetto della Casa di Corvonero. I suoi successi scolastici, le sue abilità e le risorse che possiede sono ciò che la Casa di Corvonero stava cercando.
    Siamo certi che continuerà ad essere un modello per i suoi colleghi e che prenderà con responsabilità e serietà la carica che le viene affidata. Acclusa alla lettera troverà la spilla di Prefetto che dovrà essere apposta sulla sua divisa per tutta la durata dell'anno scolastico ed un riepilogo di quelle che sono le sue mansioni. Congratulazioni!

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    prefetto
    Riepilogo compiti:
    Prefetti: Tutti i prefetti saranno chiamati a svolgere almeno due turni di ronda notturna alla settimana. In ON verrà richiesto ai prefetti di svolgere almeno 2 role di ronda notturna o supporto agli studenti in un anno scolastico (pena la perdita della carica). Fra i doveri dei prefetti c'è quello di aiutare i nuovi studenti ad ambientarsi e al bisogno aiutarli a svolgere i propri compiti. I turni di ronda possono variare di settimana in settimana per evitare che gli studenti si organizzino fra loro per infrangere il coprifuoco durante i turni di determinati pg. I prefetti dovranno fare rapporto al loro caposcuola o capocasata, qualora sorprendessero studenti a compiere azioni proibite e pericolose (es: tentativi di entrare nel reparto proibito o rubare dalle scorte della scuola), nel caso in cui l'infrazione del regolamento fosse limitata all'aver ignorato il coprifuoco o altre piccole infrazioni, i prefetti si potranno limitare a rimproverare o riportare gli studenti nelle proprie sale comuni e avranno il diritto di dare piccole punizioni o rimuovere punti (non oltre i 10) senza dover far rapporto a cariche più alte. I punti rimossi vanno segnati nella sezione apposita.
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    Dylan
    Dylan
    La rabbia che interessante reazione agli occhi del mago oscuro che, con sguardo attento ma allo stesso tempo imperturbabile osservava le reazioni del giovane Corvonero. Il ragazzo si presentava calmo persino più misurato rispetto all’impeto che sconvolgeva generalmente i suoi coetanei ma, come Dylan ebbe modo di constatare, era unicamente una questione legata all’argomento trattato. Era sì la norma quella di Rhysand di rimanere pacato ma perché non erano mai stati toccati i suoi principi più profondi, quelli, come poteva adesso apprezzare, riuscivano a smuovere quell’animo altrimenti all’apparenza apatico. Lo sguardo del mago si posò sulle mani del ragazzo, su quelle dita chiuse con foga tanto da sbiancarne le delicate nocche, a stringere i braccioli della poltroncina in lussuosa pelle di drago e, assottigliando lo sguardo, con discrezione, espanse l’aura costituita dal suo potere che gli avrebbe permesso d’agganciare le sinapsi del Corvonero auscultando, quasi fosse una radio, quanto la mente del giovane nascondeva preziosamente al mondo esterno. Quali erano i suoi pensieri più reconditi? Cosa smuoveva il suo animo? Dylan lo avrebbe presto saputo.
    «… di sicuro non so accontentarmi. […] Voler scovare ogni incognita, sapere sempre cosa c'è dopo la prossima pagina, senza mai fermarmi.» L’uomo rise gentilmente a tale affermazione. «L’ambizione è una qualità che, signor Harkness, verrà sempre vista come un pregio nella mia aula» concluse il docente badando bene di sottolineare quelle parole che, se il ragazzo fosse stato attento, avrebbero funto da balsamo e da incoraggiamento verso quello che poteva rappresentare un tratto intrinseco ed inconscio del ragazzo. Un tratto che avrebbe potuto approfondire senza temere di peccare in superbia agli occhi del docente pensando che, così facendo, avrebbe ottenuto l’effetto contrario.
    «Non ho una particolare attrattiva per il potere in sé», ecco questo invece era deludente e solo un attento sguardo e un’ancora più approfondita conoscenza dell’uomo rappresentato da Dylan avrebbe permesso d’intuire che, dietro l’espressione da poker, si nascondeva quella punta d’insoddisfazione nei confronti della risposta ottenuta ma questo non doveva rappresentare un freno, tantomeno un motivo d’esclusione quanto una sfida. Dentro Rhysand quella componente era presente poiché i suoi desideri erano chiari, talmente udibili da stupire il mago oscuro che nemmeno il ragazzo potesse udire l’aria attorno a loro pregna di quelle silenziose urla rappresentate dal suo desiderio: “amo fare del male e voglio farlo ancora.” Rhysand voleva quel dolore, voleva possedere il potere d’infliggerlo e non era questa la scintilla che il White andava cercando? Andava solo esplorata, andava solo portata alla luce, andava solo spinto il ragazzo a fidarsi di lui…
    «Qual è allora la risposta?» Cosa cercava da lui? Dylan lo sapeva, lo sentiva e lo apprezzava ma i tempi non erano ancora maturi perché il giovane potesse confidargli un tale piacere così apertamente e nemmeno lui. Avrebbero atteso, Dylan avrebbe aspettato e coltivato quella giovane mente traendola a sé, prendendosene cura e trasformando il giovane secondo il suo disegno di perfezione. La materia base c’era. «Qual è il suo canto?» Lo imbeccò gentilmente facendo eco a quelle parole, a quel concetto che, con difficoltà, stentava ad uscire dalle labbra del ragazzo. Cercava le parole, cercava il modo di affascinare e comprare la fiducia dell’uomo ignorando che, il suo io, lo aveva già fatto per lui.
    «Forse, in un certo senso, anche lei ha risposto ad un richiamo.» Qualcosa del genere in un certo senso. Per lui il richiamo e il motore di tutta quella vicenda era stata la sete di potere. La voglia d’arrivare a possedere e comandare l’intero mondo magico. Un progetto ambizioso, dannatamente folle ma che bramava con ogni fibra del suo essere.
    Si prese del tempo. Dylan si poggiò allo schienale, lo sguardo posato sulle dita intrecciate, le labbra schiuse mentre dagli occhi poteva leggersi quella mente che elaborava che pensava. Schioccò la lingua e, sollevando lievemente l’attenzione di nuovo al giovane parlò nuovamente.
    «Devo quindi immaginare che lei, a prescindere dalla mia risposta, continuerà a perseguire questo richiamo. Dico bene? Continuerà a documentarsi accendendo alla biblioteca o ponendo altrettanti quesiti ai miei colleghi che, tengo a sottolineare, potrebbero non possedere le medesima apertura mentale» lo sguardo adesso andò fondendosi, andò incatenandosi a quello del ragazzo. «Questo potrebbe metterla in una posizione molto scomoda mio caro ragazzo. Deve sapere che il nostro preside» una lieve pausa contrita quasi a voler indirizzare un pensiero verso l’anziano mago ammalato, che perfetta recita White! «Il preside Edevane segue molto pedissequamente la linea ministeriale su questo fronte. Mi sento quindi in dovere di scoraggiarla dal perseguire individualmente questo genere di attività.
    Tuttavia preferirei che, se il suo istinto le dice di perseverare, lei desse sfogo a questa particolare inclinazione accademica»
    come no «con la supervisione di qualcuno. Perciò, le propongo un’offerta signor Harkness. Le permetterò di studiare le Arti Oscure ma lo farà esclusivamente sotto la mia supervisione, siamo intesi?» Osservò il giovane attendendo la reazione, attendendo che quelle parole permeassero e sedimentassero nel suo animo. Osservando come il suo io reagiva a quella possibilità. «Non è una possibilità che concedo a chiunque e non vorrei mai che la sua carriera scolastica possa subire delle alterazioni per il bigottismo di certi colleghi… Oh mi perdoni, non è mia intenzione riferirmi così in merito ai colleghi.» Un distillato di pura falsità che dietro le più nobili intenzioni - di mera copertura - nascondeva un secondo fine che avrebbe sicuramente giovato per entrambi. «Cosa ne pensa?»
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    Dylan
    Quel ragazzo lo stava affascinando senza se e senza ma. Sembrava essere lui, proprio lui ciò che stava aspettando in quegli anni passati a seminare. In quegli anni passati a spandere briciole nascondendole in ogni piccola insenatura che fosse in una frase scelta o in un’azione o, come aveva già attirato in precedenza, nei libri introdotti nell’ampio archivio del castello. Il ragazzo era inespressivo, neutrale e le sue parole s’approcciavano al docente come mera curiosità accademica ma Dylan, grazie al suo potere innato, era in grado di leggere oltre quella facciata riuscendo a cogliere quelle piccole espressioni gesti che ad un occhio non allenato rischiavano di fuggire. Lui aveva colto. L’interesse c’era ed ora si trattava unicamente di guadagnare la fiducia del ragazzo quel tanto da riuscire a schiudere lo scrigno dei desideri più reconditi che custodiva con una certa cura. “Bravo.” Apprezzava quelle difese, seppure blande. Il ragazzo non era in grado di proteggersi, non ancora perlomeno e poi perché avrebbe dovuto? Ignaro non poteva di certo sapere che ogni suo pensiero, che avidamente reprimeva nelle parole che esprimeva, era perfettamente udito dall’uomo il cui blando sorriso rimaneva adagiato sulle sottili labbra. Un sorriso di soddisfazione per i progressi nel suo disegno che finalmente arrivavano. Blackwood, su questo fronte, si era rivelato completamente inutile limitandosi ad eseguire gli ordini d’apparenza che gli affidava. Cominciava un po’ a dubitare del ruolo del sottoposto e non escludeva di farlo fuori se entro l’anno non avesse cominciato a portare dei risultati realmente concreti che esulassero dalle sue richieste. Doveva mostrarli il suo valore in quel progetto.
    «Precisamente» annuendo con il capo elargì un nuovo sorriso al ragazzo facendosi eco nelle parole in una seconda ripetizione di quella parola pronunciata con soddisfazione. Doveva dargli un contentino per tenerlo a sé ma doveva rimanere nel suo ruolo, nella sua posizione ed in ciò che ci si aspettava da essa. «Ergo ciò che ci andremo a domandare è: perché una è meno scorretta dell’altra? La natura, come abbiamo visto è malleabile ma la differenza sta nell’uso. Se il diffindo possiede una natura potenzialmente letale è anche vero che possiede una natura più blanda o “bianca”, se preferisce. Il suo uso non si limita unicamente a ferire ma, dosando, ci è utile anche nelle azioni quotidiane. Lo stesso non può dirsi delle Maledizioni Senza Perdono che ha appena nominato signor Harkness. Queste possiedono unicamente una natura oscura, ne converrà con me. È la mancanza di questa duale natura a far di loro l’eccezione che le rende illegali.» Ecco la differenza tra il bene ed il male, ciò che il ministero con la sua maledetta censura cercava di contenere. L’irreversibilità di tali scelte, di tali incantesimi. Dopo l’uso di una Maledizione Senza Perdono non era possibile tornare indietro poiché si era già macchiati del o dei più profondi crimini nei riguardi dell’individuo. Quelle Maledizioni era l’annichilimento dell’altro, l’asservimento... il piacere. Quel giovane, quindi, cosa cercava?
    Amo fare del male e voglio farlo ancora. Ed eccola lì la risposta. La reale risposta. Il piacere. Quella ricerca di piacere che trovava il suo appagamento nella prevaricazione sul prossimo. Rhysand si nascondeva dietro quella dialettica forbita, dietro quel giro di parole che volevano “incolpare” la smania verso il sapere – tipica della sua casa d’appartenenza – come il reale motore propulsore verso quel sentimento ma la sua mente, i suoi occhi dicevano altro, raccontavano un’altra storia. Una storia perversa che chiamavano a scomodare una dichiarazione che l’uomo non avrebbe mai potuto fare ad alta voce, non in quel contesto e non con quella blanda conoscenza. Il mago aveva conquistato il ragazzo ma lo stesso, ora, era il ragazzo a doverlo ottenere. Non era arrivato dov’era a seguito d’azioni sconsiderate.
    «Perché le Arti Oscure signor Harkness? Cosa pensa di trovare in esse?» Inclinò il capo, il sorriso svanì lasciando il posto ad una seria linea retta che andava accentuando l’attenzione dedicata al giovane Corvonero. «È solo per l’attrazione generata dal proibito?» Sollevò le sopracciglia, incuriosito. «O è l’ambizione e la superbia a spingerla realmente? Non che ci sia qualcosa di male nella brama del potere» della supremazia. Gli occhi neri dell’uomo si strinsero analizzando il viso dell’altro. Voleva le Arti Oscure? Bene, avrebbe però dovuto guadagnare la sua fiducia e, se fosse riuscito nell’intento, poteva starne certo, Dylan gli avrebbe consegnato le chiavi per dar fuoco a quel mondo.
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    Dylan
    C’era poco da dire o da fare, Dylan amava quel genere di attenzioni. Bramava vedere quei ragazzini pendere dalle sue labbra, pendere da qualsiasi frase fosse uscita dalla sua bocca. Vedere i loro occhi animarsi, le loro menti azionarsi e quei pensieri agitarsi spasmodici nel tentativo di imprimere a fuoco quelle sue parole quasi fossero legge. Amava quel riguardo e, in qualsiasi cosa facesse, Dylan ricercava quel risultato. Doveva dire però che con i ragazzini non era semplice. Era più facile ammaliare gli adulti, i suoi simili soprattutto quasi un gioco da ragazzini. Un adulto, a parte rari casi, aveva capito cosa volesse, cosa bramasse nel profondo della sua anima e per il mago oscuro leggere quelle menti era fin troppo semplice com’era fin troppo semplice modulare il proprio tono affinché il discorso permeasse lì dove aveva intenzione di pizzicare determinate corde inconsce. Con i ragazzini questo lavoro era più complesso. Se da un lato veniva semplice sottovalutarli, errore che aveva fatto anche il White, dall’altro aveva presto imparato che quelle menti non essendo del tutto formate si stancavano velocemente. Le passioni si susseguivano scalzandosi in un vortice d’idea rette e contrarie che potevano attrarli in un primo momento ma, al primo passo falso, stancarli definitivamente. Era un lavoro, un lavoro di fino per il mago mantenere la loro attenzione sufficientemente alta e, allo stesso tempo, fare una cernita di chi valesse davvero la pena seguire. Molti possedevano la scintilla, il potenziale, ma davvero pochi erano destinati alla vera grandezza. Alcuni possedevano sì il male nella loro anima ma solo pochi avevano la stoffa per essere qualcuno più del bullo la cui attività più alta sarebbe stata tormentare il Tassorosso di turno. Questi ultimi al White non interessavano. Erano carne da macello, non se ne faceva nulla – o relativamente poco – per quello che era il suo disegno ma, persone come il giovane Corvonero, potevano stuzzicare la sua attenzione ed in positivo. Considerato il tema e considerato il suo dilemma il mago ipotizzò con un certo ragionevole dubbio che il ragazzo, per quanto particolare fosse, doveva essere incappato in uno dei suoi libri. “Bene.” Un appena accennato sorriso sollevò l’angolo delle labbra celato in parte dalle dite poste innanzi al suo visto ed in parte dalla barba curata.
    «Corretto signor Harkness» concesse annuendo al Corvonero. Era esattamente ciò che insegnava alle sue lezioni con impeto quando richiamava la classe all’ordine quando, troppo stanchi, perdevano di vista il focus con la quale li poneva di fronte ad ogni prova pratica. Le loro menti lo accusavano di sadismo e di certo c’era della verità in questo, ma molto era dettato da quella che era la sua visione nei riguardi dell’insegnamento della materia: bisognava conoscere il nemico per poterlo combattere. Sapere, non si stancava mai di ripeterlo, è potere. Proprio per questo motivo non vedeva di buon occhio quelle che erano le direttive date dal ministero in merito alle Arti Oscure. La censura non era la risposta e faceva parte della magia esattamente come tutto il resto.
    «Molto bene, sì. Nelle sue parole c’è molto di vero. L’uomo, il mago, per quanto straordinario esso sia possiede comunque la paura. La paura ci porta a compiere delle scelte e, nel caso più esteso della società, queste scelte sono fatte» o almeno così avrebbe dovuto essere, «a favore del bene della comunità. Ma cosa è giusto? E cosa allo stesso tempo sbagliato?» L’uomo sciolse l’intreccio delle dita e con un movimento elegante prese la sua bacchetta adagiata sulla scrivania distesa orizzontalmente davanti entrambi. «Prenda un diffindo. Mi dica, a cosa serve tale incanto?» Attese la risposta perfettamente conscio che il ragazzo sarebbe stato in grado di definire correttamente l’uso dell’incantesimo. «È un incantesimo semplice. Innocuo, talmente basilare da essere insegnato al primo anno di scuola.» La bacchetta si mossa sinuosa disegnando nell’aria tra loro la vaporosa figura di un animale, un dolce coniglietto le cui sembianze erano appena tratteggiate dal fumo. «Eppure, lo stesso incanto, può essere potenzialmente mortale...» Un colpo netto del catalizzatore e sul collo dell’animale si creò un solco che finì per accasciare la creatura che si dissolse, morta, nell’aria. «Cosa ci fa capire questo?» Dylan poggiò nuovamente la bacchetta ponendola parallela all’agenda chiusa.
    «Ma l'oscurità non è per forza sinonimo di male, no?» Un altro sorriso da parte del mago oscuro mentre il ragazzo si lanciava in una disamina priva di un punto di fine. Cercava risposte Rhysand, cercava un parere e lo chiedeva alla persona meno appropriata per condurlo sulla retta via.
    «Trovo che il concetto di giusto o di sbagliato sia labile e trovo che la censura non sia appropriata», non nelle Arti Oscure quantomeno. «Trovo che un mago debba essere formato completamente almeno al principio», almeno a scuola, «e che sia il sapere, il completo sapere, la cultura formatasi, la guida ricevuta a formarlo nell’individuo che poi sarà. Lei, signor Harkness, cosa vorrà essere?» Cosa voleva farne delle Arti Oscure poiché, era chiaro, l’interesse, il fascino, c’erano. Ma a che pro? Mera cultura? O c’era anche un desidero d’applicazione?


    Edited by Dragonov - 10/7/2023, 01:09
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    Dylan
    Rose era esattamente la definizione di snervante ai suoi occhi. Sembrava non ascoltare e, peggio ancora, sembrava non riuscire davvero a comprendere cosa le stava chiedendo e dove volesse portarla con i ragionamenti. Era ferma sulla sua assurda e patetica posizione con l’estenuante decisione, per ambo i lati per motivi del tutto differenti, di rimanervi. Snervante, per l'appunto. Se solo avesse ascoltato anche un decimo di quanto stesse cercando di dirle ma era, banalmente, fiato sprecato e Dylan non era rinomato di certo per la pazienza o l’inclinazione alla tolleranza. Il mago era quanto di più vicino ad un tiranno ci fosse sulla faccia della terra ed esigeva, dalla ragazzina e/o da chiunque lo circondasse, nientemeno che la perfezione. Peccato che Rose, in quanto adolescente, non vi si avvicinasse nemmeno lontanamente. Aveva una testa Rose e dei principi, dalla quale il mago si dissociava sentitamente, fin troppo radicati nel suo io. Chi diamine le aveva inculcato quelle cose malsane? Chi? Amelia? Fosse stata lei, beh, in quel caso avrebbe dovuto ucciderla molto, molto tempo prima. In quel caso avrebbe accettato di prendersi lui l’errore della valutazione di quel gesto. Avesse pensato prima a sbarazzarsi della donna forse le cose con sua figlia non sarebbero evolute in quel modo e forse, adesso, Rose, sarebbe stata esattamente la perfezione che bramava ma che non era. Sì, sbarazzarsi di Amelia così tardi era stato decisamente un errore. Tornò con l’attenzione alla giovane che allo stesso modo sembrava stare degnando della stessa attenzione l’avversario, squadrando e carpendo quanto ci fosse di celato nel linguaggio non verbale espresso dal corpo. Rose non avrebbe potuto leggere nulla di lui. La posizione era rimasta invariata. La schiena dritta come un fuso perfettamente poggiata contro lo schienale della sedia, le gambe composte al di sotto del tavolo e, al di sopra, le dita intrecciate sul piano lucido. L’espressione seria ed impassibile che non lasciava intravedere la benché minima emozione di quelle che si agitavano all’interno della mente di Dylan White.
    «[...] Forse solo un piccolo ricordo, insomma mi sembra il minimo dopo tutto. Sono una persona gentile, io!» Patetica. Quanto avrebbe voluto riderle in faccia sbeffeggiandola. Un ricordo. Era seria? Davvero non riusciva nemmeno ad intuire quali fossero i pensieri di uno come David Harris? Serviva il suo dono per comprendere l’ovvio? Le sopracciglia del mago si sollevarono impercettibilmente. Un caso perso, ecco cos’era Rose. Nonostante quanto avesse dato al maggiore degli Harris, nonostante quanto avesse poi perso, lei ancora sperava in qualcosa da parte del ragazzo. Incommentabile il livello di passività raggiunto dalla ragazza che si limitava ad accettare che lui l’avesse usata e gettata come carta straccia senza il minimo sentimento di vendetta, senza che la minima vena di rancore esacerbasse il sangue nelle sue vene istigandola a fare qualcosa – a quel punto – qualsiasi cosa. Invece niente, lei si limitava a sperare di lasciargli un ricordo, anche piccolo perché lei era gentile. No, lei era patetica! Una stupida ragazzina debole che alla prima parvenza di attenzioni si donava anima e corpo finendo per essere unicamente usata e gettata quando lo scopo era stato raggiunto. David cosa aveva ottenuto poi? La sua verginità? Forse quella meditata dal ragazzo era una sorta di rivincita sull’uomo, questo doveva credere a giudicare dai pensieri ostili che gli rivolgeva. Essersi presa l’onore di sua figlia doveva rappresentare per lui una sorta di vendetta e/o rivincita per il trattamento che gli veniva riservato. Povero illuso. Avrebbe pagato quell’arroganza, eccome se lo avrebbe fatto soprattutto nella sua aula.
    Logorato da quei discorsi finalmente ebbe una reazione e quella reazione si convertì esattamente nella palesazione della sua frustrazione nei confronti della figlia. Era stufo che quello schema si ripetesse all’infinito e proprio per quel motivo, nel loro ultimo incontro seppur a lezione, Dylan aveva posto quella condizione sbattendola fuori dalla famiglia, relegandola all’oblio sperando che in quell’ultimatum Rose si risollevasse comprendendo davvero cosa stava facendo di sé stessa e cosa volesse ottenere dal suo futuro. Un gesto estremo quello del mago ma dettato unicamente dal comportamento remissivo e fiacco di lei e ancora una volta lo aveva deluso. La Tassorosso aveva accettato il suo destino e, arresa a sé stessa ed alla vita, aveva continuato ad esistere mettendo un passo davanti all’altro cercando di sopravvivere ma non di vivere. Si era tenuta in piedi ma ciò che il mago oscuro aveva davanti era unicamente un involucro svuotato dalle intenzioni. Rose si atteggiava a forte, cercava di mostrarsi ai suoi occhi come risoluta, come cambiata, ma era proprio quando apriva bocca che tutto il meraviglioso castello di apparenze cadeva in pezzi sfasciandosi come delicato cristallo. Non era niente se non macerie.
    «Voglio rispondervi con sincerità. Vi dirò tutto quello che vi voglio dire e poi decideremo Decideremo? E cos’era il suo consulente? Non c’era nessun “noi” tra i due ma semplicemente un padre, che era Dylan, ed una figlia, Rose, che avrebbe semplicemente dovuto obbedire, obbedire e basta. Non avrebbe mai dovuto fare diversamente. Lui l’aveva sempre protetta ma le cose decadevano se lei non faceva la sua parte e la sua parte era proprio obbedire ai suoi comandi e lasciare che fosse lui a guidarla, non prendere sciocche iniziative che avrebbero danneggiato il loro casato! Eppure, da come parlava – e quanto parlava, non finiva più! – non sembrava comprendere un concetto così banale come quello espresso dal mago. Dylan le aveva chiesto di reagire, di smetterla d’essere così passiva e di lasciare che lui la plasmasse nella strega che avrebbe dovuto essere. Di forgiarla facendola rinascere dalla crisalide di quel corpo pesante, di quella forma mentis ottenebrante che la portava solo verso la distruzione per evolvere nella sua forma migliora indurita da una corazza che l’avrebbe preservata dal mondo e che le avrebbe dato gli strumenti per combatterlo e rispondere alle ingiurie utilizzando la stessa potenza di fuoco contro le offese alla sua persona se non addirittura maggiore ma lei no, lei parlava e blaterava di cose che non c’entravano nemmeno nulla con quanto le aveva detto. Completamente fuori luogo e contesto.
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    «Hai finito?» Sentenziò alla fine del lungo monologo privo di interruzioni che aveva concesso alla Tassorosso. L’aveva lasciata parlare, l’aveva lasciata sfogare, aveva persino lasciato che il filo del discorso e la pertinenza verso quanto le aveva proferito in precedenza si perdesse in quello sproloquio senza freni. Era rimasto fermo, impassibile, gli occhi fissi sulla sua figura e, nei suoi stessi occhi, quando lei aveva l’ardire di sollevare lo sguardo nel suo in tutta quella pantomima – almeno per lui – appena andata in scena. Sciolse l’intreccio delle mani per poggiarle compostamente una sull’altra, l’indice che andò sollevandosi, e, attraverso un accio non verbale richiamò al palmo la bacchetta. «Imperio Comandò roteando velocemente la bacchetta in direzione della figlia che immediatamente venne schiacciata dal peso della Maledizione Senza Perdono, nello specifico quella che privava la vittima del libero arbitrio. Rose sarebbe rimasta immobilizzata pronta a muoversi e aprire bocca – come un burattino. Ironico, no? – unicamente quando Dylan glielo avrebbe concesso. Avrebbe potuto utilizzare un qualsiasi altro incanto adibito allo stesso scopo ma questo era l’uomo: un mago oscuro, contaminato fin nelle ossa la cui possibilità di redenzione era pari allo zero. Ma Dylan non voleva essere redento, non gli importava e non aveva nemmeno mai preso in considerazione quella volontà. Lui era questo: malvagità, superbia e boria e non aveva la minima intenzione di cambiare, non gli interessava di cambiare e men che meno gli importava del parere della figlia o di quelle che erano le miserabili richieste di una bambina capricciosa incapace di rispondere al contesto. Sorrise, l’ironia del suo pensiero con quanto ne era poi scaturito lo divertiva, fin troppo. Rose era lì, spinta dall’incantesimo a prendere finalmente posto mentre le sue labbra rimanevano premute nel silenzio. «Te lo ripeterò un’ultima volta Rose poiché, evidentemente, non sono stato sufficientemente chiaro poco fa e in questi anni. Tu non puoi sbagliare. Non ti è concesso. Non puoi essere la stupida ragazzina che sei e fare gli stupidi errori privi di qualsivoglia valutazione che fai. Non puoi. Perché questi si convertono in un danno a noi, alla tua famiglia, alla tua immagine. Ora, è lampante che del tuo casato non t’importi nulla e diseredarti non abbia portato alla minima riflessione da parte tua sulla tua condotta ma Rose... Davvero, lo dico per te. Ti rendi conto di quanto sei patetica? Ti rendi conto di aver scelto tu di essere usata e gettata?» Sollevò un sopracciglio. Lui la risposta la conosceva già ed era stata decretata dalle stesse azioni della giovane. «Noi non dobbiamo né vedere né decidere nulla insieme perché l’opzione che ti ho dato è una ed una sola soltanto.» Si alzò, sfilando elegantemente con la bacchetta penzolante al fianco per raggiungere lei, immobilizzata sulla sedia ed ora con la bacchetta dell’uomo puntata alla gola, lo sguardo folle di un aguzzino che provava giovamento nel torturare fisicamente e mentalmente le sue vittime a dispetto di chi fossero. «Mi sono stancato di te. Mi sono stancato di questi tuoi sciocchi tentativi di ribellione. Sei una nullità. Una buona a nulla che non ha costruito nulla e che è stata solo in grado di piangersi addosso minacciando cosa? Di ucciderti?» Lo sbuffo di una risata abbandonò le sue labbra. «Fallo.» Sentenziò. «Se è così che devi vivere piangendoti unicamente addosso per l’esito delle tue stesse scriteriate scelte. Fallo. Ma io ti ho chiesto altro, ti sto offrendo altro.» Le afferrò il viso stringendo le guance nella sua stretta. «Ti offro il mondo Rose. Ti offro la forza e ti offro la guida per non essere più oppressa. Questo fa un padre. Ti offro la grandezza ma, la clausola, è che tu mi obbedisca. Tu faccia esattamente come ti dico e mai nessuno si prenderà gioco di te. Non vuoi? Vattene. Posso» Fece una smorfia, allontanandosi. «Concederti questo ma villa White, poi, chiuderà definitivamente le sue porte. Sarai sola davvero questa volta. Non ci sono vie di mezzo. Non ci sono alternative. O fai come ti dico o te ne vai. Prova a tediarmi con le tue chiacchiere e la prossima» giocherellò con la bacchetta, «sarà una maledizione diversa.» Semplice. Lapidario. Mortale.


    Edited by Dragonov - 2/8/2023, 01:49
  9. .
    Dylan
    Non era una visita inaspettata quella del ragazzo, tutt’altro. Il giovane Corvonero aveva spedito una missiva con il mezzo più classico d’uso al castello: un gufo. Un gufo nero per l’esattezza e di proprietà dello stesso ragazzo che legato alla zampa possedeva la cordiale richiesta del giovane, posto in una grafia perfettamente leggibile ed ordinata come il ragazzo che la possedeva. Il ragazzo chiedeva un incontro, privato ovviamente, con il docente ed era per questo motivo che Dylan si trovava nel suo studio presso l’aula di competenza ad attenderlo. Aveva preferito lasciare la presidenza, aveva preferito allontanarsi dai pensieri del vecchio mago moribondo che ancora una volta andava prendendosi il peso delle informazioni che il sottoposto aveva lui passato. Dylan aveva finto la sua parte, aveva ostentato delusione verso il ragazzo incriminato e maggiormente verso sé stesso che non era stato in grado di salvarlo dal terribile piano che aveva ideato gettando la scuola in quell’illusione collettiva che aveva destato così tanto scalpore. Peccato che quell’illusione non era affatto stata opera del giovane Romanov, anzi, il diretto responsabile era lì che andava accarezzandosi la barba perfettamente curata sorridendo sornione godendosi quell’ennesima parte del piano che andava perfettamente incastrandosi incasellandosi come le tessere d’un puzzle. Ognuna al suo posto, nonostante quei frangenti di presunta imprevedibilità che il mago (ed il suo aiutante) avevano saputo gestire e convertire in un vantaggio verso quelle che erano le loro ambizioni.
    Sospirò sciogliendo l’intreccio delle mani per passarsi la punta delle dita a massaggiarsi gli occhi. Nonostante tutto era stanco e lo sforzo quotidiano richiesto all’uomo per mantenere quella parte, e con essa la posizione che ne derivava, erano ingenti. Era una costante recita votata al doppio gioco, un costante teatrino nella quale ogni parola, ogni gesto, andava soppesato alla perfezione per impedire perfino all’ombra di un dettaglio indifferente di risultare l’inizio di una briciola disseminata che avrebbe potuto portare lui (e non solo) alla rovina. Une pressione costante che si ripercuoteva sul corpo dell’uomo che, per quanto privo di oggettività nei riguardi della sua persona – descritta unicamente come la magnificenza – era soggetto alle debolezze umane. Si godette la pace, il silenzio privo dell’intrusione di pensieri sconosciuti e riprese fiato allentando l’espressione verso una più rilassata fino a che l’educato bussare e una nuova ondata di pensieri non bussarono anch’essi alla soglia della sua attenzione. Si sistemò meglio a sedere invitando l’appuntamento previsto a varcare l’ingresso e, afferrando una piuma che intinse nel calamaio, tirò un segno nell’agenda aperta sull’ordine del giorno. Lo studente salutò, ringraziò, con sentita gratitudine – cosa da non sottovalutare considerato il tenore dei coetanei che abitavano quel castello , qualcuno persino della casa del ragazzo – e prese posto come da indicazioni sistemandosi ulteriormente la divisa in un gesto che non passò inosservato agli occhi del mago oscuro. Aveva notato quel giovane con modi d’altri tempi e, come tutti quelli che avevano solleticato la sua attenzione, Dylan non aveva mancato di premiarlo con placidi riconoscimenti che avrebbero solleticato una mente ricettiva. Ed eccolo lì, esattamente dove aveva sperato che fosse a seguito delle piccole briciole disseminate durante le lezioni.
    «Mi piacerebbe sottoporre alla sua attenzione alcuni dubbi raccolti durante il mio percorso di studi, signore.» White annuì, gli occhi scuri brillanti come pietre d’ossidiana accese dalla curiosità e con il palmo invitò il giovane Corvonero a proseguire. Il ragazzo fece un ulteriore pausa prendendo un respiro e Dylan, ascoltandone non solo le parole ma anche i pensieri lo percepì selezionare accuratamente le parole formulando la domanda che più gli premevano in cuor suo. «Non riesco a capire cosa definisca davvero il significato di Proibito, specie per quanto riguarda l'istruzione di giovani maghi e streghe. [...] Ciò che vorrei sapere, però, è la sua opinione, se riterrà opportuno condividerla con me.» La sua opinione, ambizioso non c’era che dire. Inclinò il capo lateralmente soppesando le parole del ragazzo. «La sua domanda non è affatto banale signor Harkness. Può forse sembrarlo all’apparenza ma solo uno sciocco la sottovaluterebbe. Qual è il significato di proibito? La risposta più semplice che ci viene in mente è il suo corrispettivo sinonimo, vietato. Ma cosa definisce cosa sia o meno vietato? La risposta qui è più complessa in quanto non è secca, non è precisa, ma racchiusa in un ideale se così si può dire. Questo ideale è rappresentato dal nostro sistema governativo della quale possiamo essere più o meno simpatizzanti», e lui non lo era di certo, «ma che guida la nostra società alla civiltà. Senza di esso, senza la magistratura ci sarebbe l’anarchia e una società che si rispetti e possa chiamarsi tale distinguendosi dalle bestie sono necessarie le leggi e le norme. Mi segue signor Harkness?» Un lieve sorriso verso il ragazzo i cui occhi verdi si riflettevano attenti nei suoi. «Tutto questo preambolo per dirle cosa? Semplicemente che è il Ministero a decidere cosa sia giusto, corretto e lecito e quanto invece proibito. Per quanto immagino lei potrà convenire con me che il sistema stesso possiede delle zone grigie nella quale le azioni assumono una connotazione come dire... borderline E quanto amava Dylan proprio quelle zone d’ombra nella quale muoversi, agire. «Immagino lei abbia preferito me al collega in quanto l’argomento specifico investe proprio le Arti Oscure. È di questo che vuole avere la mia opinione, non è vero? In merito a queste specifiche restrizioni?» Tornò ad intrecciare le dita poggiandosi allo schienale dell’elegante poltrona. «Le pongo quindi questa domanda. Cosa è giudicabile oscuro, signor Harkness?» Dalle dita intrecciate sollevò a congiungersi gli indici alla quale puntellò le labbra. In base alla risposta del ragazzo si sarebbero aperte due strade precise di cui una di gran lunga interessante ma stava al ragazzo giocarsi bene le sue carte.
  10. .
    Dylan
    «Il colpevole è stato trovato Abram.» Scandì Dylan, il tono lento e serio, pregno della gravità che chiamava il caso. «Ho chiesto al professor Blackwood di occuparsene. Con discrezione naturalmente. Abbiamo il nome dello studente.» Il viso del vecchio preside si sollevò lasciando andare la visione della scrivania, immacolata dagli oggetti per sollevarsi verso il volto del collega e amico – o ritenuto tale da parte dell’anziano mago – manifestando stupore. Uno studente. Non se lo aspettava. Nessuno se lo aspettava come nessuno poteva immaginare che dietro a quando successo la notte di Halloween ci fossero in realtà due maghi adulti: Dylan e proprio il collega messo a capo della task force, Edmund. Il giovane Serpeverde era stato una semplice pedina in quel gioco superiore, una pedina che Dylan non aveva esitato a sacrificare nel momento in cui non si fosse più rivelata utile. Il ragazzo poi, povero stolto. Aveva avanzato pretese, aveva avanzato minacce. Lui. Minacce. Un miserabile moccioso da niente che aveva appena imparato a castare due incantesimi pensava di poter mettere in scacco due maghi della portata del vicepreside e del suo secondo. Arrogante e pure tanto, troppo sciocco. Mikhail Romanov era stato espulso, ufficialmente parlando, ufficiosamente, invece, era stato sistemato. Ogni briciolo di quell’esistenza inconsistente era stato rimosso con precisione come una traccia di fastidioso pulviscolo al di sopra della sua immacolata giacca. Non era rimasto nulla di quel ragazzo. Se ne era occupato personalmente prima di lasciarlo nelle mani di alcuni suoi contatti fidati che ne facessero scomparire... beh quanto ne rimaneva. Una forma di vita senziente non era ciò con la quale si poteva indicare il ragazzo. Era stato piuttosto semplice poi, i signori Romanov stessi erano terrorizzati dal loro stesso figlio. Persone deboli, prive di nerbo, che non erano state in grado di plasmare e modellare quella giovane vita dandole uno scopo, una linea. Che spreco. Avrebbe potuto fare e ambire a di più, Dylan vi aveva letto del potenziale ma l’ego smisurato del ragazzo lo aveva spinto a compiere il passo più lungo della gamba relegandolo allo stato di inutile.
    «Chi?» La voce di Edevane giunse al suo orecchio stanca ma piena di un dolore profondo, primitivo. Quell’uomo teneva davvero ai “suoi” ragazzi. Era come se fossero i figli che non aveva mai potuto avere. Toccante, se solo Dylan avesse avuto un cuore. Dylan che avrebbe dovuto comprendere quel sentimento ma guardava alle spalle dell’uomo dall’alto della sua saccenteria che lo portava ad inquadrarlo unicamente con stentato giudizio. Scialbo, fragile... inutile. Un vecchio, assolutamente inadatto al comando e ancor di più al ruolo che era stato chiamato a ricoprire ma, fortunatamente per lui, c’era Dylan a vegliare sui loro interessi. O così l’anziano mago credeva. «Uno dei miei», ostentò vergogna, ripudio, «Mikhail Romanov.» Scosse il capo. «Ho fallito, Abram.» Figurarsi. «No... No Dylan, no», insorse l’anziano sbarrando i grossi occhi dalle iridi scure quanto quelle del mangiamorte. «No, tu... Non è colpa tua. Non colpevolizzarti.» Giammai. Edevane allungò una mano tremante circondando l’avambraccio del vicepreside. «Hai fatto del tuo meglio. Purtroppo, non è possibile salvarli tutti. Non è possibile portarli nella luce per quanto esso rimarrà un nostro grande rammarico.» Il suo forse. Ma chi la voleva poi la luce? Tsk.
    Si richiuse la porta alle spalle lasciando che lo sdegno si disegnasse sui lineamenti affilati del viso e prese la strada passeggiando per i corridoi fino a quello che era il suo studio nei pressi dell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure. «Signor Coleman, la prego», con lo sguardo cinereo inchiodò il giovane Serpeverde intento ad afferrare un quadro dalla cornice. «non è già lo zimbello della casa. Non mi costringa a toglierle altri punti, davvero, lei non lo vuole.» Magnanimo da parte sue concedergli la possibilità di ritirare le sudicie manine – sicuramente appiccicose – balbettare un qualcosa prima di darsela a gambe. «E non corra», fiato sprecato. «Ahia!» Il ragazzo si fermò piegandosi su sé stesso, le mani premute contro il capo mentre ignaro della fonte subiva il potere di Dylan sprigionarsi come una fitta di forte emicrania. «La maledizione di Serpeverde, signor Coleman», sollevò in un tilt le sopracciglia prima di oltrepassare il ragazzo conscio che non avrebbe più corso, almeno per qualche giorno.
    Sfogarsi su quel povero primate era stato un piccolo capriccio, parlare e reggere la parte con il preside era sempre e da sempre stato sfiancante. Si sedette alla scrivania poggiando la schiena contro lo schienale, insieme al capo sul poggiatesta e chiuse gli occhi rilassandosi. Rimase per lunghi attimi così, a meditare e distendere la mente nel silenzio del suo studio. Lì dove gli studenti e gli altri membri del castello erano sufficientemente lontani da non aggredire la sua mente costringendolo ad ascoltare ogni singolo pensiero. Lì c’era silenzio, lì c’era pace. Fino a che qualcuno i pensieri di qualcuno non palesarono la propria presenza dietro la porta. Aprì gli occhi mettendosi in posizione d’attesa scostando il busto dallo schienale, pronto a ricevere, alla scrivania. «Avanti.» La porta si aprì sul vicepreside, le dita congiunte innanzi il viso che si sciolsero per un breve attimo ad indicare le comode poltroncine a disposizione. «Signor Harkness, prego. A cosa devo questa visita?»
  11. .
    Dylan
    Perlomeno non negava, di questo Dylan poteva dargliene atto sentendosi sufficientemente generoso da permetterle di guadagnare punti (pochi, molto pochi) verso la riconquista della sua posizione tremendamente traballante nell’esito poiché l’uomo non le avrebbe dato, questa volta, il beneficio del dubbio. No, anche quello, Rose, avrebbe dovuto guadagnarselo sudandoselo con le unghie e con i denti. «Costruire?» Sulle labbra dell’uomo si tratteggiò l’ombra di un sorriso di scherno. Cosa aveva costruito fino a quel momento se non la sua stessa rovina? La sua disfatta, l’eliminazione di ogni privilegio costituito dal potere del loro cognome. «Non mi sembra tu abbia fatto solide costruzioni, anzi, le fondamenta hanno ceduto al primo soffio di vento», figurarsi alla tempesta, aggiunse mentre le dita della mano dominante mimavano un vento che era riuscito a spazzare quelle mura, un po’ come nella favola babbana dei tre porcellini: due avevano costruito i loro rifugi ergendo capanni fragili che, il lupo della storia, era riuscito a spazzar via col soffio del suo fiato. Solo uno s’era salvato e, fino a quel momento, il destino della giovane Tassorosso non andava accumunandosi a quel porcellino, affatto. Per le “costruzioni” di Rose era bastato un soffio estremamente flebile. Era stata quindi sbranata dal lupo (o lupi?) della sua storia, distrutta a più riprese esattamente come nella visione che aveva propinato a Dylan durante la fatidica lezione tenutasi i primi mesi di dicembre. Lì, Rose, si era mostrata al mago oscuro con un divertente monito di fondo: se persevererete in questa strada, padre, mi renderete preda e cibo del mio sposo. Piuttosto ironico, quindi, che lo avesse invece fatto con le sue stesse mani cadendo nella trappola da cui l’uomo l’aveva sempre messa in guardia. Dylan l’aveva sempre protetta cercando di salvarla da sé stessa, cercando con gli unici mezzi di sua conoscenza di educarla e prepararla alla vita ma Rose era stata testarda e infinitamente sciocca e questo aveva finito per costringerla a pagare le conseguenze delle sue azioni. Possibile che fosse ancora troppo sciocca o troppo orgogliosa per ammettere il suo stesso errore di valutazione? Piegò il capo incalzandola con la richiesta di una riflessione – ad alta voce – piuttosto semplice ma che lei sbagliò in toto: «Interessante. Chiedete cosa penso. Vediamo... Sono abituata ai diversi dolori fisici, fanno male certo, ma mi hai abituata bene in quel campo. Come l’essere lasciata sola, hai anche qui il privilegio di migliore insegnante. Volete che continui... Signor White?» Espirò, spazientendosi. «Non è ciò che ti ho chiesto, Rose», stupida, sciocca, mocciosa viziata. «Ti ho chiesto di meditare sulla questione specifica. Mi ripeto», cosa che, la ragazza lo sapeva, odiava molto fare. «Se ti avessi gettata e abbandonata come sostieni, non avresti nemmeno potuto varcare la soglia di questa casa. Ciò vuole dire, per semplice logica, che non sei stata gettata né abbandonata. Hai sempre avuto un appiglio ma sei stata troppo orgogliosa, persino presuntuosa per capire ciò che cerco d’insegnarti da sempre. Eppure, nonostante il tuo teatrino d’illusioni, non mi sembra che il signor Harris fosse effettivamente meritevole delle tue attenzioni o mi sbaglio?» Chiaro che non si sbagliava, anzi, era disgustoso il modo in cui i pensieri del ragazzo si soffermassero con insistenza verso una studentessa di Grifondoro completamente dimentico di ciò che aveva fatto e preso dalla piccola erede di casa White. Rose era stata usata, gettata da quel ragazzo che pensava d’amare e per la quale aveva mal pensato di gettare la sua vita. Un atto di fede, peccato fosse mal risposto nella persona più sbagliata che lei avesse mai potuto scegliere. «Ti sei allontanata, hai scelto di farlo. Hai scelto di non lottare per la tua posizione e di arrenderti», così aveva giudicato il suo atteggiamento Dylan e lo aveva trovato davvero estremamente deludente ma ciò portava ad un nuovo quesito che invece, arrivati a quel momento, solleticava l’interesse del mago oscuro: perché dopo tutti quei mesi Rose era giunta lì? Dal suo punto di vista la risposta poteva essere solo che una: necessitava di qualcosa. Aveva forse finalmente capito che il mondo lì fuori non era rosa e fiori come lo aveva sempre pensato? Che fosse aggressivo, crudo e crudele come le aveva sempre cercato d’insegnare? La grinta era ciò che aveva cercato di tirarle fuori, la perspicacia, l’intelligenza ma, fino a quel momento perlomeno, era stato tutto tempo sprecato.
    «[...] Chissà forse incontrarvi proprio come adesso», m’mh, tante belle parole ma quindi? Il succo? «Beh la bacchetta era necessaria, i vostri dipendenti sono comandati da voi, non potevo sapere quello che avrebbe potuto fare. Come avete spiegato a lezione, tenere alta la guardia.» Annuì, quella era stata una buona mossa che aveva nell’effettivo apprezzato proprio per i motivi da lei esplicati. «Corretto.» Le concesse. Magari in classe quell’uscita le avrebbe persino permesso di guadagnare una manciata di punti per Tassorosso ma, ahimè, non erano al castello. Niente punti. «In fondo avete già chi ben vedere a scuola o no?» Il sopracciglio dell’uomo scattò interrogativo mentre il potere, sempre attivo, sondava la mente inerme della giovane cercando le risposte a quella frecciata tutt’altro che sottile. I capelli di Rose virarono alla più chiara e fredda tonalità del biondo, il platino, chiaro riferimento alla sua prediletta: la prefetta Daphne Andersen. Non sapeva se deriderla o lasciare che quel teatrino andasse avanti. Piccola sciocca. Se solo si fosse impegnata davvero, se solo avesse seguito la strada che aveva segnato per lei allora si che sarebbe stata grande, allora sì che sarebbe stata lei la prediletta al posto della Serpeverde eppure, invece, debole come la madre si ostinava a seguire un sentiero che la stava lentamente e unicamente trascinando verso il baratro. Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso. Così diceva il detto e mai parole potevano essere più calzanti per esplicare la situazione della Tassorosso.
    «Hai provato la vita, Rose. Esattamente la vita.» Ringhiò infervorandosi per l’eccesso di confidenza che la giovane stava vantando e Dylan aveva presto esaurito la quantità di pazienza che le aveva concesso. «Cosa pensavi di ottenere razza di stupida? Mh? Cosa ti ho sempre ripetuto? Di valutare bene la gente della quale ti circondi. Lo hai fatto?» No, la risposta era sempre quella e mai come quel momento la giovane White appariva sola ed abbandonata a sé stessa. «Cosa ti aspettavi? Un premio? Te le sei cercate, Rose. Dalla prima all’ultima. Ho tentato di metterti in guardia, di crescerti coscienziosa del mondo che ti circonda ma è fiato sprecato, scegli l’autodistruzione per cosa? Mera ribellione?» Lasciò che dalla sua gola uscisse il cenno di una risata sprezzante. «Sei patetica.» E quella visione di lei lo disgustava. «Le cose son due. O te ne vai per sempre e scegli la tua rovina con le tue stesse mani, o finalmente Rose, decidi di ascoltarmi ma facendolo davvero perché io voglio e ho sempre voluto proteggerti e fare il tuo bene. Sono tuo padre», purtroppo o per fortuna stava a loro deciderlo. «Scegli ma... questa volta. Rifletti bene.»


    Edited by Dragonov - 18/6/2023, 02:49
  12. .
    Dylan
    «Che fosse scritto nel libro non lo metto in dubbio. Ma non è ciò che le ho chiesto miss Shiny. Le ho chiesto se è davvero consapevole delle conseguenze se dovesse anche solo provare a sperimentare con argomenti simili.» Come si soleva dire “uomo avvisato, mezzo salvato” e quello era proprio il caso specifico nella quale Dylan si trovava. Era necessario che l’uomo fosse sicuro che la ragazza avesse capito, che la consapevolezza fosse tale per cui, a prescindere, se fosse stato il caso specifico nessuno avrebbe potuto dire che lui aveva indirizzato quella fanciulla a compiere qualcosa di cui non era interamente consapevole. Miss Shiny doveva quindi essere cosciente di quanto il professore le avrebbe spiegato di lì a poco e solo poi, a mani di Dylan completamente pulite, avrebbe potuto, nel caso, scegliere quali erano le sue inclinazioni. Successivamente all’ulteriore conferma della ragazza il docente prese a spiegare sciorinando quelle che erano le varie informazioni riguardanti le tre maledizioni passando dalla loro origine, alla formula e a quello che era lo scopo originariamente destinato ad incantesimi di quel calibro. Ad hoc infiocchettò le varie informazioni seminando qualche commento quale “disdicevole”, “orribile” o “barbarie” giusto per rendere più credibile quella recita che lo voleva come l’integerrimo insegnante e vicepreside di quell’ambita scuola, così rigida che si dissociava nella maniera più assoluta dalle arti oscure esattamente come quel governo mollaccione e buonista voleva. Quanto li disprezzava Dylan quella classe politica al governo che altro non faceva che insozzare tutto con le loro sporche mani che altro non facevano che censurare, porre freni e paletti a quella che era la grandezza della magia. Destinare i maghi e la loro forza, il loro potere, alla segretezza poiché quella feccia, i babbani, non sarebbero stati in grado di apprezzare e capire quale era il loro posto nella catena alimentare, il fondo. Nascondersi per proteggerli, ma perché proteggerli? Era ciò che si domandava il mago oscuro e per la quale in passato, moltissimi anni prima, aveva dovuto scontare cinque anni di carcere per il suo gesto. Mai si era pentito di ciò. Quei babbani avevano meritato la sua bacchetta fendere l’aria e tramutare le parole in tortura, avevano meritato quella menomazione, quella sfigurazione, della loro persona e Dylan non avrebbe mai chiesto perdono, anzi, avrebbero dovuto ritenersi fortunati o il loro destino sarebbe stato ben più infausto rispetto a quanto potevano vantare al momento: la pazzia.
    La spiegazione si spostò sulla maledizione della tortura, l’ultima delle tre e la peggiore secondo il punto di vista del mago. Era la sua preferita in assoluto e forse non era l’unico a nutrire quel sentimento. L’espressione della ragazza mutò, gli occhi si sbarrarono e le pupille si dilatarono mentre l’attenzione veniva focalizzata al massimo possibile sull’uomo, sulla sua bocca che si muoveva. Il petto della ragazza, il suo respiro, si alterò, il ritmo incalzò mentre i pensieri prendevano la forma di un vortice che la assorbiva e la trascinava in un’estasi di piacere che lasciarono il docente oltremodo perplesso. La ragazza, la Serpeverde, stava provando piacere, piacere sessuale, all’idea, alla spiegazione che l’uomo ne stava facendo e Dylan, dal canto suo, non sapeva come catalogare quell’informazione. Da un lato trovava curiosa quella passione così profonda e primordiale dall’altro lo trovava perverso, inadatto. Anche lui aveva torturato e ucciso in passato ma mai per trarne quel tipo di piacere. Non era naturale e, soprattutto, non era lucido, non permetteva il pensiero lucido. Le passioni influenzavano la ragione e questo era una forma mentis che Dylan aborriva. La ragione era la spinta massima che avrebbe dovuto governare le azioni, null’altro. Puro pensiero razionale.
    «Mentre ascoltavo la sua spiegazione sulla maledizione cruciatus ho pensato a come potrebbe essere una simile tortura e mi chiedevo: la maledizione cruciatus è in grado di uccidere per il dolore insostenibile?» Il sopracciglio del docente svettò impercettibilmente verso l’alto. «Sì», sentenziò, privo d’inflessioni. «In base alla forma fisica della vittima è possibile che l’eccessivo dolore causato dalla maledizione possa portare alla morte. Infarto più presumibilmente... Ma tutto ciò è pura teoria, chiaramente», ciò che era successo alla sua ormai defunta moglie dodici anni prima ma questo la ragazzina non avrebbe potuto saperlo in alcun modo. In un eccesso d’ira, Dylan aveva colpito la donna. Aveva mantenuto l’incantesimo saldamente, così tanto che alla fine il cuore della donna aveva ceduto complice il decadimento fisico raggiunto dalle sevizie dell’uomo.
    «Se per lei non c’è altro, miss Shiny, le auguro una buona giornata. Purtroppo, i miei doveri verso questa scuola mi chiamano altrove ma non esiti a bussare ancora alla mia porta.» Un sorriso. «Sia gentile, chiuda la porta quando esce.» Detto ciò sollevò brevemente la sua valigia in pelle scura serrando le fibbie di chiusura che immediatamente scattarono al di sotto del suo tocco e dopo un ulteriore sorriso uscì dall’aula lasciandola la Serpeverde alla sua estasi.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.


    Edited by Dragonov - 8/5/2023, 07:58
  13. .
    Dylan
    Era da un po’ che Dylan attendeva quel confronto. Nonostante si ritenesse una persona paziente ed i fatti sicuramente vertevano a sostegno di questa sua caratteristica, si era riscoperto in un certo senso deluso da lei. Non che questo rappresentasse una novità di sorta. Di sua figlia Rose, da che ne avesse memoria, non era mai soddisfatto e questo stesso senso di inadeguatezza poteva dirsi trasferito alla sua progenie. A scuola, così come nella vita, la giovane Tassorosso era chiamata a fare sempre di più del cento per cento che era richiesto dagli altri, il suo standard era da sempre stato superiore, di ben oltre la soglia e lei aveva faticato per mantenere quelle aspettative ma più riusciva o a stento arrivava a quell’obiettivo stabilito e più quell’asticella che verteva alla perfezione veniva innalzata di un nuovo punto. Una nuova sfida. Un nuovo obiettivo e solo Dio era conoscenza di quanto la giovane odiasse le competizioni di qualsivoglia genere. Non era mai abbastanza, mai sufficiente e sempre dannatamente mediocre ai suoi occhi ma Dylan lo faceva per un unico motivo: lei era una White. Era la figlia di una lunga discendenza di purosangue dotati che era andata macchiandosi proprio a causa di un suo errore, un suo gesto. Suo di Dylan. Era stato lui a sposare una babbana, lui a mettere al mondo quella mezzosangue, eppure, sembrava che lo scotto fosse tenuto a pagarlo solo Rose. Il peso di ogni cosa sembrava essere sulle esili spalle della ragazza. Era terribilmente e dannatamente ingiusto ma a lui non importava minimamente di questo. L’unica cosa che l’altero vicepreside di Hogwarts considerava era ciò che la società magica avrebbe visto, richiesto e persino preteso da lei ma questo Rose non sembrava considerarlo. Quella sciocca ragazzina. Parlava di cose come la libertà, del poter crescere libera, di poter commettere i propri errori, sbagliare e da essi apprendere e correggersi. Come se lei avesse mai avuto quella possibilità di scelta! Stupida! Gli occhi dell’intera società magica erano puntati su di lei, gli occhi di Ellen la osservavano e la giudicavano mettendola a paragone con la sua di figlia, così madornalmente perfetta ed allo stesso tempo meritevole di gran lunga di tutte le attenzioni con la quale il mago oscuro la ricopriva. C’era materiale in quella ragazza dagli occhi di ghiaccio e i capelli biancastri, così tanto materiale da apprendere e sfruttare. Informazioni da annotare e tenere avidamente da parte come asso nella manica nel caso qualcosa di quanto avesse pedissequamente programmato non fosse andato per il verso giusto. Tutto era utile. Bastava unicamente stiparlo in un cassetto mentale che prima o poi qualsiasi informazione sarebbe tornata utile per uno scopo.
    Espirò e la nebbia scura si abbatté sul bordo del tavolo allargandosi in una coltre che andò via via scemando mentre perso, rifletteva su questioni inerenti alla figlia. Era stato stoico il suo silenzio. La caparbietà con la quale aveva accettato la sentenza senza nemmeno ribellarsi. Essa si era abbattuta ancora alle prime luci del mese di dicembre ed era stato uno spettacolo piuttosto triste quello che gli aveva riservato. Rose aveva tentato di ribellarsi alla sua visione, essa stessa gliene aveva servita una quasi a monito, quasi a volergli predire a quale fine l’avrebbe condotta se fosse stato lui a scegliere definitivamente per lei. Sarebbe stato un ottimo monito se il fato non si fosse rivelato per il grandissimo figlio di puttana che era. Era stato tutto piuttosto ironico, al limite del comico, quando invece, come soltanto aspettava accadesse, il rampollo di casa Harris si palesò essere la becera feccia che aveva sempre sostenuto fosse. L’aveva avvertita Dylan, però, la sciocca ragazzina aveva vantato di poterne sapere di più di un uomo adulto e navigato, aveva preferito rimanere ben puntata sulle sue convinzioni ed erano state proprio quest’ultime a ritorcersi amaramente contro. Gli aveva doppiamente disobbedito: uscendo con il canide in prima battuta e donando quanto di più puro e prezioso avesse, il suo onore. Si era macchiata del medesimo errore che aveva commesso Dylan – frequentare una persona dal sangue sporco – nonostante quanto impegno e sforzo avesse messo per preservarla, per proteggerla da sé stessa. «Ma io devo poter sbagliare, Padre!» Gli aveva urlato accorata una volta e al solo ripensarci la successiva nube di fumo emessa fuoriuscì con un colpo di risa. Sciocca, sciocca ragazzina... Che poteva mai saperne del mondo vero?
    «Signor White, signore?» Lo sguardo arcigno del mago si spostò sul domestico, «Alfred è di ritorno insieme alla signorina.» Un cenno del capo, un lento annuire pensieroso ed un nuovo sbuffo di fumo prima di giocherellare con il sigaro al di sopra del posacenere. Sollevò lo sguardo seguendo il movimento di figure che si presentò alla porta con sua figlia in testa a quella minuscola coda di persone. Camminava a testa alta, impettita. Forse essere così duro con lei era finalmente servito a qualcosa? La sua espressione non si scompose di un millimetro impedendo alla ragazza di leggere anche solo il minimo cenno di soddisfazione. Si limitava a studiarla. «Signor White», la corresse secco ma tuttavia privo di qualsiasi inflessione nel tono. Fu come se avesse corretto una qualsiasi affermazione di poco conto come, ad esempio, il lapsus nella spiegazione di uno studente. Tagliente ma allo stesso tempo precisa nella sua tempestività. Da quell’appunto Rose avrebbe sicuramente inteso che non erano previsti sconti alla sua pena nonostante il tempo e l’ardua punizione che si era trovata a ricevere e dover affrontare. Non le avrebbe permesso di cantare vittoria troppo presto né le avrebbe dato modo di pensare che ogni errore, di qualsiasi dimensione e tipologia, le fosse perdonato. Non quello soprattutto e non così semplicemente.
    Il viso e gli occhi della Tassorosso si spostarono per la stanza seguendo d’un primo acchito il rumore fatto da una domestica che sfuggiva alla tensione di quell’incontro e poi, quasi come nulla fosse, vagando a giudicare eventuali cambiamenti della dimora. Nulla era stato alterato, tutto era rimasto esattamente come lo aveva lasciato e visto l’ultima volta che aveva messo piede in quella casa. Non c’era un motivo particolare e Dylan non avrebbe comunque messo mano alla villa poiché già strutturata ed arredata secondo il suo volere. Con dei brevi quanto rapidi ticchettii del pollice colpì il tubicino di tabacco e lo sguardo della ragazza venne finalmente catturato dalla sua figura, dalla cenere e più nello specifico dal contenitore di raccolta: “... almeno lo usa, non ha buttato anche lui.” La percepì pensare con vivo risentimento. Un nuovo colpo secco di tosse, divertito. «Non sei stata gettata, Rose. Sei stata solo fautrice del tuo stesso destino o osi negare questo?» Adagiò il sigaro lasciando la posizione per intrecciare le dita al tavolo spostandosi sulla seduta che da sciolta e rilassata torno rigida, meditativa mentre studiava l’interlocutrice come se essa non fosse sangue del suo sangue.
    «Le vostre precauzioni funzionano come sempre.»
    «Esattamente», la incalzò zittendola, «questo, Rose, dovrebbe essere per te uno spunto di riflessione. Se ti avessi gettata e abbandonata», come ti ostini a pensare, «non avresti potuto nemmeno varcare la soglia di villa White.» Una breve pausa, «nemmeno puntando la bacchetta sul personale.» Sulle labbra apparve un lieve sorriso. «Cosa ti fa pensare ciò?» Stava seguendo il suo ragionamento? Comprendeva quanto nonostante tutto anche quella fosse stata l’ennesima punizione più severa? Per quanto si fosse sforzato, Dylan, non avrebbe mai potuto abbandonarla realmente: lei era il frutto di Clelia, della sua memoria. Il suo stesso aspetto ricalcava quello della donna, tranne che per gli occhi, quelli erano i suoi nonostante la metamorfomagia si palesasse principalmente da quel tratto.
    «Ebbene, cosa ci fai qui?» Era venuta a supplicare il suo perdono?
  14. .
    Dylan
    Aveva percepito quella presenza, ancora quando la mano della ragazza si era adagiato sullo stipite d’ingresso all’aula palesando a voce alta la sua presenza. Lì, Dylan, aveva terminato di sistemare i compiti raccolti dalla lezione precedente per inserirli nella sua valigetta scura di pregiata pelle di drago e nel contempo aveva accolto la ragazza affinché si avvicinasse, lì alla cattedra, ed esplicasse il motivo della sua visita. Era pesante mantenere la maschera, fingere che gli importasse un minimo di quei ragazzini capricciosi che abitavano il castello. Fingere che le loro curiosità, i loro problemi o anche solo i loro crucci gli importassero minimamente e che lui, l’adulto, il direttore di casa e vicepreside di quella prestigiosa scuola gestisse amenità come la loro scarsa educazione. Patetici, fosse stato per lui avrebbe rivoluzionato l’intero sistema scolastico abolendo tutte quelle stucchevolezze indette dal suo diretto superiore che, probabilmente affetto da una demenza senile che si rifiutava di essere diagnosticata, blaterava e ordinava provvedimenti che incentivassero la cooperazione e l’unione tra le case come quel dannato banchetto dove avevano unito le tavolate in un unico ferro di cavallo dove persino gli insegnanti erano stati chiamati a mescolarsi in quel supplizio. Quanto lo disprezzava. Se quei ragazzi si presentavano come degli smidollati che rabbrividivano al primo ostacolo era unicamente colpa di atteggiamenti di questo tipo ma quando Hogwarts sarebbe diventata sua tutti quegli ideali sarebbero stati messi al bando. Che si godessero la pacchia fintanto che durava.
    «L'argomento sono le maledizioni senza perdono, professore.» Un argomento leggero, un argomento per la quale qualsiasi insegnante di quella scuola si sarebbe messo sull’attenti e attenzione, anche Dylan aveva ben rizzato le orecchie e non solo. Il suo potere si mise maggiormente in ascolto nel tentativo di sondare quello che era il reale stato d’animo in merito all’argomento della ragazza. Vi lesse euforia, vi lesse entusiasmo, vi lesse passione. Tutto ciò che avrebbe potuto interessargli per i suoi scopi extra. Interruppe la sistemazione della cattedra e lentamente, fingendo una certa apprensione quasi una difficoltà, si voltò verso la ragazza, l’espressione corrucciata ad indicarle tutta la serietà richiamata dall’argomento in questione. Si poggiò con la parte finale della schiena alla cattedra come di consueto faceva durante le ore teoriche in classe quando, al posto di passeggiare tra i banchi, sedeva lì indentificando quello spazio frontale alla distesa di banchi come fosse un palco e lui l’attore protagonista pronto a dispensare sapere. Incrociò le braccia al petto facendo quasi per prendere parola e lasciò che l’altra continuasse a spiegare poiché la domanda naturale che le avrebbe posto sarebbe certamente come era venuta a conoscenza di un tale argomento oscuro. «Ho letto in un libro della biblioteca riguardo queste tre maledizioni», si affrettò quasi a dire lei ed il mago si mostrò esteriormente quasi contrariato come se, almeno all’apparenza, stesse meditando in merito all’inefficienza del personale ausiliario, al bibliotecario nello specifico, che aveva osato lasciare alla mercé di qualsiasi studente libri di quel calibro. Chiaramente non era affatto così, anzi, Warmswizzler era l’efficienza fatta a persona. Nessuno era più adatto di lui in quel ruolo che sembrava venerare con ogni fibra del suo essere. La biblioteca era il suo tempio e non esisteva modo di eludere la sorveglianza dell’uomo così come il rigoroso ordine vigente al suo interno. Lo stimava per questo, per questo suo rigore. Dylan amava il rigore, la disciplina erano per lui sinonimo d’ordine, di nerbo. Non era stato semplice eppure, il mago, era riuscito con i suoi mezzi ad ottenere una copia di un volume oscuro seppur facente parte di quelli a suo giudizio basici nel modo in cui trattavano l’argomento, persino delicati, e li aveva inseriti nell’elenco di quelli messi a disposizione dalla scuola facendo particolare attenzione a lasciarlo fuori dall’archivio proibito. Quello doveva essere un richiamo e la prima allodola sembrava essersi appena presentata. «Mi chiedevo tante cose, in primis cosa provano le vittime della Maledizione Cruciatus o della Maledizione Imperius» Fece la ragazza, gli occhi chiari che tradivano uno scintillio di fervente passione. Alzò una mano, interrompendo il suo discorso. «Miss Shiny lei lo sa che questa è magia oscura?» Gli occhi scuri s’incatenarono a quelli di lei. «Quella della quale lei mi sta parlando è magia ritenuta illegale nel nostro paese», smidollati, «è magia che se praticata la porterebbe in un unico posto soltanto: Azkaban. Sono stato chiaro? Voglio che per lei questo concetto sia estremamente chiaro. Non parliamo di semplice magia oscura, parliamo della magia oscura. Quella per eccellenza», sentenziò solennemente. Il disclaimer era stato dato, i puntini sulle “i” messe. Era importante ai fini della sua copertura che lui figurasse pulito, che le avesse spiegato le implicazioni di certi tipi di magia e che se la stolta avesse approfondito, o peggio, provato di suo pugno era unicamente una sua colpa nella piena consapevolezza di cosa avrebbe rappresentato compiere una tale avventatezza. Ma ora, dopo gli avvertimenti e unicamente dopo la conferma dell’altra poteva passare alla vera spiegazione.
    «Come le dicevo miss Shiny, questa è magia estremamente oscura. C’è un motivo se viene definita senza perdono ed esso è proprio legato alla conseguenza che hanno tali incantesimi sull’individuo. Puntano all’annientamento dell’Io della vittima. Ci pensi e mi segua nel ragionamento. La Maledizione Imperius e l’annientamento del controllo che la vittima ha del suo corpo, talvolta persino dei pensieri. L’Anatema di Morte, glielo suggerisce il nome stesso, e l’annullamento della vita. La soluzione finale rapida, indolore. E poi c’è la Cruciatus», si trattenne dal sorridere, era la sa preferita, «la maledizione della Tortura. L’annichilimento di mente e corpo causati dal dolore. La formula, Crucio, è la trasposizione letteraria di crocifiggere, torturare. È dolore miss Shiny, dolore nella forma più pura del termine. Immagini il suo corpo avvolto nelle fiamme, immagini che esso sia pugnalato da un’infinità di coltelli... questo si dice sia la Cruciatus. A mio giudizio la peggiore», migliore, «di tutte.» Fece una breve pausa lasciando che quanto detto attecchisse in quella giovane mente, lasciando che quelle parole, quelle nozioni, si depositassero in lei. Gli occhi della Serpeverde non avevano smesso di brillare un secondo, il suo fiato s’era fatto corto e Dylan fu certo che la giovane stesse provando dentro di lei un’emozione indescrivibile, qualcosa che il mondo al di fuori di loro, della loro bolla, avrebbe classificato come innaturale.
    «Resistere... mah», espirò portando nuovamente le braccia al petto, la mancina al di sotto della dominante protesa a sottolineare le parole pronunciate dall’uomo. «Ad una su tre le direi che è impossibile. Immagino conosca la storia del signor Potter, la casualità dietro all’eccezione. Non è la norma. Dicono sia necessaria una grandissima, immensa, forza di volontà per riuscire a contrastare l’imposizione della Imperius e chissà... magari anche una particolare storia personale e predisposizione potrebbero aiutare con la Cruciatus ma chi siamo noi per dirlo?» Accennò un sorriso quasi a sottolineare ancora una volta quanto quella pratica lì, nel Regno Unito, fosse bandita. Non che la cosa lo avesse fermato dall’utilizzarle in passato, tutt’altro.
    «C’è dell’altro che posso fare per lei?»
  15. .
    Buonasera Vivian,
    I tempi sono finalmente giunti a maturazione. Gradirei incontrassi il mio collaboratore poiché sono certo potrai trovare in lui un fidato complice per i tuoi lavori.
    Fammi sapere.

139 replies since 7/1/2022
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