Smoke and Mirrors

Rhysand Harknes & Dylan White | 11/02/2023 - Ore 18:20

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    Rhysand Harkness
    There is nothing unforgivable about such a masterpiece.
    La luce ambrata del tardo pomeriggio sgocciolava dalle finestre, tinteggiando i corridoi di pietra con un tenue nitore dalla sfumatura lilla.
    I passi di Rhysand Harkness erano scanditi dal rigido ticchettio dei tacchi. Un suono cadenzato ed elegante, che ricordava quello di un bastone da passeggio.
    Passando per quei corridoi, l'ombra di Rhysand si stagliava più scura in contrasto con il tenue bagliore d'oro effuso dall'esterno, mentre i suoi capelli bianchi e viola catturavano la luce restituendone spicchi e mezzelune quasi rutilanti.
    Il mento appuntito della Strega era leggermente sollevato, lo sguardo affilato dritto davanti a sé. Nel momento in cui vedeva qualcuno che, per un motivo o per l'altro, ricordava di riconoscere, Rhysand si premurava di rallentare l'andatura, sorridere cortesemente e salutare. Chiedeva anche se andasse tutto bene e, se la domanda gli veniva restituita, lui addolciva il sorriso e annuiva di poco.
    Il tutto era studiato affinché il suo passo non si fermasse, ma procedesse in una versione rallentata di quella marcia decisa ed elegante, la divisa che ondeggiava pigramente attorno alle sue gambe, incorniciando i polpacci snelli avvolti dai pantaloni della divisa. E mentre la Strega si dirigeva verso l'ufficio del Professor White, la sua mente non riusciva a non rimuginare sui dubbi che desiderava esporre all'insegnante.
    Come era naturale aspettarsi da lui, Rhysand aveva inviato un gufo al Vicepreside con largo anticipo per accordare un incontro a seconda delle comodità del docente. Presentarsi di punto in bianco nel suo ufficio sarebbe stato estremamente scortese, oltre che poco pratico. L'insegnante sarebbe potuto andare di fretta o, come era ragionevole desumere, avere altri affari più impellenti ai quali attendere.
    Rhysand voleva poter giovare di più tempo, sempre secondo i termini e le condizioni del professor White, e non tollerava l'idea di risultare sgradevole, specie davanti alle persone che avrebbero valutato e stimato i risultati del suo percorso didattico.
    Forse la questione che lo attanagliava sarebbe stata più calzante se sottoposta all'insegnante di Storia della Magia, ma Difesa Contro le Arti Oscure era stata sin da subito la sua materia preferita in assoluto ed era certo che il signor White avrebbe compreso il motivo alle spalle di quell'incontro.
    Un dubbio immenso, che nella sua placenta aveva fecondato una miriade di altre elucubrazioni senza risposta.
    Il concetto di eccezione era estremamente limitante.
    Un'inutile etichetta- come tutte le etichette, del resto.
    L'eccezione non era altro che una probabilità rara, un insieme di fattori che difficilmente si sarebbero potuti mettere assieme se non tramite la spontaneità del caso.
    Ma il solo fatto che una cosa fosse accaduta la rendeva reale, al di fuori della recinzione ambigua della teoria.
    Era una fattualità ineccepibile.
    Bastava solo ricreare le condizioni di esistenza che l'avevano resa possibile al principio.
    Harry Potter era sopravvissuto alla Maledizione Assassina.
    L'equazione poteva sembrare complessa, ma ogni incognita era decifrabile, con i giusti passaggi.
    Per Rhysand Harkness non esisteva mistero al quale non si potesse dare una spiegazione logica. Lasciare le cose al caso era sinonimo di pigrizia intellettuale e, cosa ancora più grave, negligenza.
    In un mondo ampio e ricco di misteri come quello in cui vivevano i Maghi, Rhysand vedeva un numero inesplorato di possibilità sprecate.
    Domande a cui nessuno aveva voluto davvero rispondere, forse per convenienza, forse per ignoranza.
    Ma da dove veniva la Magia?
    Era un fattore genetico che si poteva ereditare, al pari di quelli dimostrati da Mendel? E cosa in questo fattore rendeva possibile l'applicazione della propria volontà sulla realtà?
    Tutti dicevano che la differenza tra un Mago e un Babbano stava nel sangue, ma qualcuno si era preso la briga di osservare queste differenze con la lente di ingrandimento?
    Era nel plasma?
    Nei globuli rossi? Nei bianchi?
    Nelle piastrine?
    Rhysand escludeva che la natura della Magia derivasse da un fattore splancnico.
    E poi, togliere la bacchetta ad un mago lo rendeva impotente quanto un Babbano, se si prendeva in esame l'insieme di esistenza che conteneva al suo interno i Maghi Occidentali.
    A Uagadou, i Maghi e le Streghe usavano la magia senza bacchetta. Qualcosa che nel mondo occidentale era ritenuta un'eccezione straordinaria, in Africa era invece cosa di tutti i giorni, al limite del banale.
    Ed eccolo lì, il cavillo. Il piccolo mostro che si nascondeva tra le righe.
    Era il contesto a cambiare la realtà percepita.
    Se questo concetto si poteva applicare sui modi di fare magia, non poteva essere lo stesso relativo a ciò che era considerato proibito?
    Rhysand sapeva che le Maledizioni Senza Perdono vennero rese illegali nel 1717. Prima di allora, quei tre incantesimi erano ritenuti pericolosi, ma legali quanto un Wingardium Leviosa.
    Era cambiato il contesto.
    E così era cambiata la percezione.
    A Durmstrang si studiavano le Arti Oscure, a riprova del fatto che per produrre una medicina, devi partire dal veleno che intende neutralizzare.
    Allora perché esisteva la paura, in quella realtà plasmata dal Ministero della Magia? Una realtà manipolata affinché i Maghi potessero essere più duttili e facilmente controllabili, limitati nelle potenzialità e obbligati ad essere legati a doppia mandata ad un oggetto che, se rimosso, li avrebbe resi inermi come petali di rosa.
    Naturalmente, tutto questo grande riflettere non era nato dall'oggi al domani. Rhysand soleva spesso intelaiare lunghi intrecci di concetti, basati sui dubbi che spuntavano come fori nell'elaborato arazzo delle sue conoscenze.
    Rhysand entrò nell'Aula di Difesa Contro le Arti Oscure e venne subito accolto da un silenzio quasi assordante. Passeggiando lungo l'aula dalla lieve curvatura, trovò quasi strano vederla così spoglia, priva degli studenti e delle esercitazioni che la arricchivano. Strano, sì, ma anche rilassante. La stessa quiete imposta dalla biblioteca, ma senza tutta la tensione generata dalle sessioni di studio intensivo che molti vi praticavano.
    Raggiunta la porta dell'ufficio del Vicepreside, Rhysand si fermò. Sistemò il nodo alla cravatta blu notte e lisciò la divisa, lo stemma della Casa dei Corvonero che occhieggiava nella flebile luce. Bussò un paio di volte- e lo fece con la dovuta moderazione- e attese che il professor White gli concedesse l'ingresso.
    Emise un piccolo sospiro, nulla di troppo teatrale, poi si rilasso e attese diligentemente con le mani dietro la schiena.
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    «Il colpevole è stato trovato Abram.» Scandì Dylan, il tono lento e serio, pregno della gravità che chiamava il caso. «Ho chiesto al professor Blackwood di occuparsene. Con discrezione naturalmente. Abbiamo il nome dello studente.» Il viso del vecchio preside si sollevò lasciando andare la visione della scrivania, immacolata dagli oggetti per sollevarsi verso il volto del collega e amico – o ritenuto tale da parte dell’anziano mago – manifestando stupore. Uno studente. Non se lo aspettava. Nessuno se lo aspettava come nessuno poteva immaginare che dietro a quando successo la notte di Halloween ci fossero in realtà due maghi adulti: Dylan e proprio il collega messo a capo della task force, Edmund. Il giovane Serpeverde era stato una semplice pedina in quel gioco superiore, una pedina che Dylan non aveva esitato a sacrificare nel momento in cui non si fosse più rivelata utile. Il ragazzo poi, povero stolto. Aveva avanzato pretese, aveva avanzato minacce. Lui. Minacce. Un miserabile moccioso da niente che aveva appena imparato a castare due incantesimi pensava di poter mettere in scacco due maghi della portata del vicepreside e del suo secondo. Arrogante e pure tanto, troppo sciocco. Mikhail Romanov era stato espulso, ufficialmente parlando, ufficiosamente, invece, era stato sistemato. Ogni briciolo di quell’esistenza inconsistente era stato rimosso con precisione come una traccia di fastidioso pulviscolo al di sopra della sua immacolata giacca. Non era rimasto nulla di quel ragazzo. Se ne era occupato personalmente prima di lasciarlo nelle mani di alcuni suoi contatti fidati che ne facessero scomparire... beh quanto ne rimaneva. Una forma di vita senziente non era ciò con la quale si poteva indicare il ragazzo. Era stato piuttosto semplice poi, i signori Romanov stessi erano terrorizzati dal loro stesso figlio. Persone deboli, prive di nerbo, che non erano state in grado di plasmare e modellare quella giovane vita dandole uno scopo, una linea. Che spreco. Avrebbe potuto fare e ambire a di più, Dylan vi aveva letto del potenziale ma l’ego smisurato del ragazzo lo aveva spinto a compiere il passo più lungo della gamba relegandolo allo stato di inutile.
    «Chi?» La voce di Edevane giunse al suo orecchio stanca ma piena di un dolore profondo, primitivo. Quell’uomo teneva davvero ai “suoi” ragazzi. Era come se fossero i figli che non aveva mai potuto avere. Toccante, se solo Dylan avesse avuto un cuore. Dylan che avrebbe dovuto comprendere quel sentimento ma guardava alle spalle dell’uomo dall’alto della sua saccenteria che lo portava ad inquadrarlo unicamente con stentato giudizio. Scialbo, fragile... inutile. Un vecchio, assolutamente inadatto al comando e ancor di più al ruolo che era stato chiamato a ricoprire ma, fortunatamente per lui, c’era Dylan a vegliare sui loro interessi. O così l’anziano mago credeva. «Uno dei miei», ostentò vergogna, ripudio, «Mikhail Romanov.» Scosse il capo. «Ho fallito, Abram.» Figurarsi. «No... No Dylan, no», insorse l’anziano sbarrando i grossi occhi dalle iridi scure quanto quelle del mangiamorte. «No, tu... Non è colpa tua. Non colpevolizzarti.» Giammai. Edevane allungò una mano tremante circondando l’avambraccio del vicepreside. «Hai fatto del tuo meglio. Purtroppo, non è possibile salvarli tutti. Non è possibile portarli nella luce per quanto esso rimarrà un nostro grande rammarico.» Il suo forse. Ma chi la voleva poi la luce? Tsk.
    Si richiuse la porta alle spalle lasciando che lo sdegno si disegnasse sui lineamenti affilati del viso e prese la strada passeggiando per i corridoi fino a quello che era il suo studio nei pressi dell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure. «Signor Coleman, la prego», con lo sguardo cinereo inchiodò il giovane Serpeverde intento ad afferrare un quadro dalla cornice. «non è già lo zimbello della casa. Non mi costringa a toglierle altri punti, davvero, lei non lo vuole.» Magnanimo da parte sue concedergli la possibilità di ritirare le sudicie manine – sicuramente appiccicose – balbettare un qualcosa prima di darsela a gambe. «E non corra», fiato sprecato. «Ahia!» Il ragazzo si fermò piegandosi su sé stesso, le mani premute contro il capo mentre ignaro della fonte subiva il potere di Dylan sprigionarsi come una fitta di forte emicrania. «La maledizione di Serpeverde, signor Coleman», sollevò in un tilt le sopracciglia prima di oltrepassare il ragazzo conscio che non avrebbe più corso, almeno per qualche giorno.
    Sfogarsi su quel povero primate era stato un piccolo capriccio, parlare e reggere la parte con il preside era sempre e da sempre stato sfiancante. Si sedette alla scrivania poggiando la schiena contro lo schienale, insieme al capo sul poggiatesta e chiuse gli occhi rilassandosi. Rimase per lunghi attimi così, a meditare e distendere la mente nel silenzio del suo studio. Lì dove gli studenti e gli altri membri del castello erano sufficientemente lontani da non aggredire la sua mente costringendolo ad ascoltare ogni singolo pensiero. Lì c’era silenzio, lì c’era pace. Fino a che qualcuno i pensieri di qualcuno non palesarono la propria presenza dietro la porta. Aprì gli occhi mettendosi in posizione d’attesa scostando il busto dallo schienale, pronto a ricevere, alla scrivania. «Avanti.» La porta si aprì sul vicepreside, le dita congiunte innanzi il viso che si sciolsero per un breve attimo ad indicare le comode poltroncine a disposizione. «Signor Harkness, prego. A cosa devo questa visita?»
     
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    La porta si aprì davanti agli occhi di Rhysand, mostrando l'ufficio del Professor White. Il Vicepreside sedeva dietro la scrivania, le dita unite in una guglia contemplativa.
    Rhysand aveva sempre trovato estremamente interessante il professor White. Non che gli altri docenti non avessero suscitato in lui curiosità o ammirazione, ma la figura del Vicepreside aveva qualcosa di... indecifrabile. Forse perché in lui, Rhysand scorgeva una figura piena di risposte, un idolo posto sull'altare di quella conoscenza che andava cercando e che poteva dispensarla secondo i propri capricci e desideri.
    Era come se, in qualche modo- un modo sotterraneo, inafferrabile e misterioso, sepolto sotto strati di coscienza- dalle decisioni del professor White dipendesse il destino della Strega.
    « Buonasera, professore » salutò, educato e composto, prima di varcare la soglia con il beneplacito del Vicepreside. « la ringrazio per aver accordato di ricevermi, malgrado i suoi impegni. » disse con sincera gratitudine.
    Rhysand non era mai stato un lecchino, con gli insegnanti. Alcuni studenti solevano fare serenate così lunghe e stonate da fare male alle orecchie. Era inutile comprarsi i docenti, se non ti degnavi di aprire un libro nelle loro materie. Non era nella sua indole, adulare inutilmente. Spesso e volentieri, a ben pensarci, non trovava che gli esseri umani in generale fossero degni di adulazione, salvo rare eccezioni che potevano al massimo beneficiare di un commento costruttivo o un complimento ben riposto.
    Tra le ambizioni di Rhysand vi era quella di insegnare e fino a quel momento, non aveva trovato un solo professore ad Hogwarts che lo avesse convinto del contrario.
    Rhysand si sedette davanti all'insegnante e accavallò elegantemente la gamba sinistra sulla destra. Sì aggiustò la riga dei pantaloni in un gesto automatico, mentre teneva gli occhi grigi sul signor White. « Mi piacerebbe sottoporre alla sua attenzione alcuni dubbi raccolti durante il mio percorso di studi, signore. »
    Diretto, senza troppi fronzoli, benché il tono fosse quello calmo e tiepido di sempre e la forma... be', piuttosto desueta, per un ragazzo della sua età.
    « Sono molto confuso riguardo alle restrizioni accademiche vigenti in Gran Bretagna. Non riesco a capire cosa definisca davvero il significato di Proibito, specie per quanto riguarda l'istruzione di giovani maghi e streghe. »
    Fece una piccola pausa, senza smettere di guardare l'insegnante dritto negli occhi. La schiena dritta, le dita intrecciate sul ginocchio.
    « So che potrà sembrare una domanda banale, ma più ci penso e più la risposta non mi appare semplice... ciò che vorrei sapere, però, è la sua opinione, se riterrà opportuno condividerla con me. »
    Per Rhysand, molti rapporti erano basati su interazioni puramente accademiche. Non esistevano passioni comuni o discorsi col cuore in mano, come farebbero due amici davanti ad un boccale di Burrobirra. Esisteva l'intero universo della conoscenza e tutti i suoi proseliti che vi si smarrivano nel tentativo di seguire un interminabile canto di stelle e limiti invisibili.
    Alcuni studenti potevano andare nella sezione proibita con un permesso.
    Gli Auror potevano adottare le Maledizioni Senza Perdono, se la situazione lo richiedeva.
    Quindi il proibito era un concetto duttile a seconda della circostanza? Non sarebbe dovuto essere un dogma immutabile?
    « Avevo valutato se venite da lei o andare dall'insegnante di Storia della Magia, ma alla fine ho convenuto che lei sia la persona più adatta, se mi è permesso. Forse anche per via della mia affinità alla sua materia. »
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    Non era una visita inaspettata quella del ragazzo, tutt’altro. Il giovane Corvonero aveva spedito una missiva con il mezzo più classico d’uso al castello: un gufo. Un gufo nero per l’esattezza e di proprietà dello stesso ragazzo che legato alla zampa possedeva la cordiale richiesta del giovane, posto in una grafia perfettamente leggibile ed ordinata come il ragazzo che la possedeva. Il ragazzo chiedeva un incontro, privato ovviamente, con il docente ed era per questo motivo che Dylan si trovava nel suo studio presso l’aula di competenza ad attenderlo. Aveva preferito lasciare la presidenza, aveva preferito allontanarsi dai pensieri del vecchio mago moribondo che ancora una volta andava prendendosi il peso delle informazioni che il sottoposto aveva lui passato. Dylan aveva finto la sua parte, aveva ostentato delusione verso il ragazzo incriminato e maggiormente verso sé stesso che non era stato in grado di salvarlo dal terribile piano che aveva ideato gettando la scuola in quell’illusione collettiva che aveva destato così tanto scalpore. Peccato che quell’illusione non era affatto stata opera del giovane Romanov, anzi, il diretto responsabile era lì che andava accarezzandosi la barba perfettamente curata sorridendo sornione godendosi quell’ennesima parte del piano che andava perfettamente incastrandosi incasellandosi come le tessere d’un puzzle. Ognuna al suo posto, nonostante quei frangenti di presunta imprevedibilità che il mago (ed il suo aiutante) avevano saputo gestire e convertire in un vantaggio verso quelle che erano le loro ambizioni.
    Sospirò sciogliendo l’intreccio delle mani per passarsi la punta delle dita a massaggiarsi gli occhi. Nonostante tutto era stanco e lo sforzo quotidiano richiesto all’uomo per mantenere quella parte, e con essa la posizione che ne derivava, erano ingenti. Era una costante recita votata al doppio gioco, un costante teatrino nella quale ogni parola, ogni gesto, andava soppesato alla perfezione per impedire perfino all’ombra di un dettaglio indifferente di risultare l’inizio di una briciola disseminata che avrebbe potuto portare lui (e non solo) alla rovina. Une pressione costante che si ripercuoteva sul corpo dell’uomo che, per quanto privo di oggettività nei riguardi della sua persona – descritta unicamente come la magnificenza – era soggetto alle debolezze umane. Si godette la pace, il silenzio privo dell’intrusione di pensieri sconosciuti e riprese fiato allentando l’espressione verso una più rilassata fino a che l’educato bussare e una nuova ondata di pensieri non bussarono anch’essi alla soglia della sua attenzione. Si sistemò meglio a sedere invitando l’appuntamento previsto a varcare l’ingresso e, afferrando una piuma che intinse nel calamaio, tirò un segno nell’agenda aperta sull’ordine del giorno. Lo studente salutò, ringraziò, con sentita gratitudine – cosa da non sottovalutare considerato il tenore dei coetanei che abitavano quel castello , qualcuno persino della casa del ragazzo – e prese posto come da indicazioni sistemandosi ulteriormente la divisa in un gesto che non passò inosservato agli occhi del mago oscuro. Aveva notato quel giovane con modi d’altri tempi e, come tutti quelli che avevano solleticato la sua attenzione, Dylan non aveva mancato di premiarlo con placidi riconoscimenti che avrebbero solleticato una mente ricettiva. Ed eccolo lì, esattamente dove aveva sperato che fosse a seguito delle piccole briciole disseminate durante le lezioni.
    «Mi piacerebbe sottoporre alla sua attenzione alcuni dubbi raccolti durante il mio percorso di studi, signore.» White annuì, gli occhi scuri brillanti come pietre d’ossidiana accese dalla curiosità e con il palmo invitò il giovane Corvonero a proseguire. Il ragazzo fece un ulteriore pausa prendendo un respiro e Dylan, ascoltandone non solo le parole ma anche i pensieri lo percepì selezionare accuratamente le parole formulando la domanda che più gli premevano in cuor suo. «Non riesco a capire cosa definisca davvero il significato di Proibito, specie per quanto riguarda l'istruzione di giovani maghi e streghe. [...] Ciò che vorrei sapere, però, è la sua opinione, se riterrà opportuno condividerla con me.» La sua opinione, ambizioso non c’era che dire. Inclinò il capo lateralmente soppesando le parole del ragazzo. «La sua domanda non è affatto banale signor Harkness. Può forse sembrarlo all’apparenza ma solo uno sciocco la sottovaluterebbe. Qual è il significato di proibito? La risposta più semplice che ci viene in mente è il suo corrispettivo sinonimo, vietato. Ma cosa definisce cosa sia o meno vietato? La risposta qui è più complessa in quanto non è secca, non è precisa, ma racchiusa in un ideale se così si può dire. Questo ideale è rappresentato dal nostro sistema governativo della quale possiamo essere più o meno simpatizzanti», e lui non lo era di certo, «ma che guida la nostra società alla civiltà. Senza di esso, senza la magistratura ci sarebbe l’anarchia e una società che si rispetti e possa chiamarsi tale distinguendosi dalle bestie sono necessarie le leggi e le norme. Mi segue signor Harkness?» Un lieve sorriso verso il ragazzo i cui occhi verdi si riflettevano attenti nei suoi. «Tutto questo preambolo per dirle cosa? Semplicemente che è il Ministero a decidere cosa sia giusto, corretto e lecito e quanto invece proibito. Per quanto immagino lei potrà convenire con me che il sistema stesso possiede delle zone grigie nella quale le azioni assumono una connotazione come dire... borderline E quanto amava Dylan proprio quelle zone d’ombra nella quale muoversi, agire. «Immagino lei abbia preferito me al collega in quanto l’argomento specifico investe proprio le Arti Oscure. È di questo che vuole avere la mia opinione, non è vero? In merito a queste specifiche restrizioni?» Tornò ad intrecciare le dita poggiandosi allo schienale dell’elegante poltrona. «Le pongo quindi questa domanda. Cosa è giudicabile oscuro, signor Harkness?» Dalle dita intrecciate sollevò a congiungersi gli indici alla quale puntellò le labbra. In base alla risposta del ragazzo si sarebbero aperte due strade precise di cui una di gran lunga interessante ma stava al ragazzo giocarsi bene le sue carte.
     
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    Gli occhi di Rhysand erano attenti, vigili, allacciati a quelli scuri del Vicepreside. Senza che nemmeno se ne accorgesse, si ritrovò ad aprire le orecchie e a raddrizzare la schiena, osservando con sguardo vigile il volto dell'insegnante. Le sue dita ebbero un leggero spasmo, perché cercarono fogli e piuma per scrivere. Si ricordò solo un secondo momento di non essere davvero a lezione, ma non poté attivare la sua modalità di assorbimento delle conoscenze, nel momento in cui il professor White cominciò a parlare.
    Rhysand era abituato a stare al passo con gli insegnanti, come se fosse sempre sotto dettatura vocale. Riusciva ad ascoltare ciò che dicevano e a riportare le loro parole sulla pergamena, scrivendo in quella grafia fitta e minuscola che gli consentiva di riempire pagine e pagine e pagine, tanto da farle risultare quasi completamente nere.
    In quel momento, dovette accontentarsi di immagazzinare la spiegazione del professore senza concedersi il lusso di poterle rivisitare in un secondo momento. Il momento ritagliato era un "qui ed ora" e si pentì della sua scelta di non aver portato il blocco con la piuma-prendi-appunti.
    Rhysand annuì alla prima domanda retorica dell'insegnante. Non ve ne era la necessità, ma non riuscì a farne a meno.
    Così come aveva convenuto con Rey, il concetto di Proibito era duttile, manipolabile, modellato a seconda di chi deteneva il controllo delle leggi, sociali e morali. Ogni definizione di Proibito era figlia del periodo in cui veniva coniata.
    Nel periodo in cui Lord Voldemort era al potere, a cavallo tra il 1997 e il 1998, Hogwarts era divenuta una scuola di Arti Oscure. La Materia stessa era insegnata, con membri dei Mangiamorte dietro la cattedra.
    Per un breve momento, il concetto di Proibito si era ribaltato. Le Maledizioni Senza Perdono venivano insegnate in classe, mentre Harry Potter era divenuto l'Indesiderabile Nemico Numero 1.
    Rhysand poteva vedere che lì risiedesse il cavillo del sistema, ma era dell'idea che fosse dannatamente fastidioso.
    « Sì, signore. Ammetto che è anche per questo motivo che mi sono recato da lei » disse, annuendo leggermente. « Per combattere un nemico è giusto conoscerlo a fondo. Immagino che questo valga anche per le Arti Oscure... » ipotizzò Rhysand, non vi era nessuna inflessione nella voce, né di effettiva ipotesi, né di constatazione ferma. Era un tono neutro, come il suo sguardo metallico ancora fisso su quello dell'insegnante.
    « Qualcosa di ignoto » fu la risposta a bruciapelo che Rhyand diede al professore. « La mancanza di luce, letterale o figurata, genera oscurità, che sia su un luogo o su un concetto di cui si sa poco o nulla. L'Ignoto è ciò che spaventa di più l'essere umano. Per questo ciò che è ritenuto oscuro viene temuto e, pertanto, reso Proibito? »
    Le mani di Rhysand si strinsero, mentre un lampo di rabbia gli attraversò la mente. Detestava con tutto se stesso l'approccio oscurantista e ostruzionista che era stato applicato alla conoscenza.
    « Ma l'oscurità non è per forza sinonimo di male, no? So di averle sottoposto un quesito di natura gnoseologica e che la verità è radicata in un concetto dalle mille sfaccettature. Potrebbe addirittura non essere una sola verità, però, dato che abbiamo constatato poc'anzi che il concetto di Proibito è cangiante » rifletté Rhysand, puntellandosi il mento con l'indice pallido. « Signore, spero di non farle una domanda invadente e nel qual caso le chiedo scusa, ma... lei cosa ne pensa, al riguardo? »
    Forse poteva sembrare una domanda sciocca. Chiedere ad un insegnante cosa pensasse relativamente alle scelte del Ministero? Doveva essere ovvio e scontato, ma Rhysand sapeva che molti insegnanti avessero un'idea propria di come le cose sarebbero dovute andare o, semplicemente, avevano un intimo pensiero accademico che camminava parallelamente rispetto a quello imposto.
    Era così che Rhysand amava apprendere. Sentire le opinioni di chi ne sapeva più di lui. Non gli importava se fossero opinioni buone o cattive, negative o positive, l'importante era assorbire il più possibile, studiarle, analizzarle fino all'osso, per affinare il proprio spirito critico.
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    C’era poco da dire o da fare, Dylan amava quel genere di attenzioni. Bramava vedere quei ragazzini pendere dalle sue labbra, pendere da qualsiasi frase fosse uscita dalla sua bocca. Vedere i loro occhi animarsi, le loro menti azionarsi e quei pensieri agitarsi spasmodici nel tentativo di imprimere a fuoco quelle sue parole quasi fossero legge. Amava quel riguardo e, in qualsiasi cosa facesse, Dylan ricercava quel risultato. Doveva dire però che con i ragazzini non era semplice. Era più facile ammaliare gli adulti, i suoi simili soprattutto quasi un gioco da ragazzini. Un adulto, a parte rari casi, aveva capito cosa volesse, cosa bramasse nel profondo della sua anima e per il mago oscuro leggere quelle menti era fin troppo semplice com’era fin troppo semplice modulare il proprio tono affinché il discorso permeasse lì dove aveva intenzione di pizzicare determinate corde inconsce. Con i ragazzini questo lavoro era più complesso. Se da un lato veniva semplice sottovalutarli, errore che aveva fatto anche il White, dall’altro aveva presto imparato che quelle menti non essendo del tutto formate si stancavano velocemente. Le passioni si susseguivano scalzandosi in un vortice d’idea rette e contrarie che potevano attrarli in un primo momento ma, al primo passo falso, stancarli definitivamente. Era un lavoro, un lavoro di fino per il mago mantenere la loro attenzione sufficientemente alta e, allo stesso tempo, fare una cernita di chi valesse davvero la pena seguire. Molti possedevano la scintilla, il potenziale, ma davvero pochi erano destinati alla vera grandezza. Alcuni possedevano sì il male nella loro anima ma solo pochi avevano la stoffa per essere qualcuno più del bullo la cui attività più alta sarebbe stata tormentare il Tassorosso di turno. Questi ultimi al White non interessavano. Erano carne da macello, non se ne faceva nulla – o relativamente poco – per quello che era il suo disegno ma, persone come il giovane Corvonero, potevano stuzzicare la sua attenzione ed in positivo. Considerato il tema e considerato il suo dilemma il mago ipotizzò con un certo ragionevole dubbio che il ragazzo, per quanto particolare fosse, doveva essere incappato in uno dei suoi libri. “Bene.” Un appena accennato sorriso sollevò l’angolo delle labbra celato in parte dalle dite poste innanzi al suo visto ed in parte dalla barba curata.
    «Corretto signor Harkness» concesse annuendo al Corvonero. Era esattamente ciò che insegnava alle sue lezioni con impeto quando richiamava la classe all’ordine quando, troppo stanchi, perdevano di vista il focus con la quale li poneva di fronte ad ogni prova pratica. Le loro menti lo accusavano di sadismo e di certo c’era della verità in questo, ma molto era dettato da quella che era la sua visione nei riguardi dell’insegnamento della materia: bisognava conoscere il nemico per poterlo combattere. Sapere, non si stancava mai di ripeterlo, è potere. Proprio per questo motivo non vedeva di buon occhio quelle che erano le direttive date dal ministero in merito alle Arti Oscure. La censura non era la risposta e faceva parte della magia esattamente come tutto il resto.
    «Molto bene, sì. Nelle sue parole c’è molto di vero. L’uomo, il mago, per quanto straordinario esso sia possiede comunque la paura. La paura ci porta a compiere delle scelte e, nel caso più esteso della società, queste scelte sono fatte» o almeno così avrebbe dovuto essere, «a favore del bene della comunità. Ma cosa è giusto? E cosa allo stesso tempo sbagliato?» L’uomo sciolse l’intreccio delle dita e con un movimento elegante prese la sua bacchetta adagiata sulla scrivania distesa orizzontalmente davanti entrambi. «Prenda un diffindo. Mi dica, a cosa serve tale incanto?» Attese la risposta perfettamente conscio che il ragazzo sarebbe stato in grado di definire correttamente l’uso dell’incantesimo. «È un incantesimo semplice. Innocuo, talmente basilare da essere insegnato al primo anno di scuola.» La bacchetta si mossa sinuosa disegnando nell’aria tra loro la vaporosa figura di un animale, un dolce coniglietto le cui sembianze erano appena tratteggiate dal fumo. «Eppure, lo stesso incanto, può essere potenzialmente mortale...» Un colpo netto del catalizzatore e sul collo dell’animale si creò un solco che finì per accasciare la creatura che si dissolse, morta, nell’aria. «Cosa ci fa capire questo?» Dylan poggiò nuovamente la bacchetta ponendola parallela all’agenda chiusa.
    «Ma l'oscurità non è per forza sinonimo di male, no?» Un altro sorriso da parte del mago oscuro mentre il ragazzo si lanciava in una disamina priva di un punto di fine. Cercava risposte Rhysand, cercava un parere e lo chiedeva alla persona meno appropriata per condurlo sulla retta via.
    «Trovo che il concetto di giusto o di sbagliato sia labile e trovo che la censura non sia appropriata», non nelle Arti Oscure quantomeno. «Trovo che un mago debba essere formato completamente almeno al principio», almeno a scuola, «e che sia il sapere, il completo sapere, la cultura formatasi, la guida ricevuta a formarlo nell’individuo che poi sarà. Lei, signor Harkness, cosa vorrà essere?» Cosa voleva farne delle Arti Oscure poiché, era chiaro, l’interesse, il fascino, c’erano. Ma a che pro? Mera cultura? O c’era anche un desidero d’applicazione?


    Edited by Dragonov - 10/7/2023, 01:09
     
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    Rhysand aveva conosciuto la paura il giorno del suo ultimo compleanno. Il 31 Ottobre del 2022. Un dono maledetto gli era stato concesso e Rhysand era stato stravolto da ciò che era avvenuto nella sua testa. Il mondo si era rivoltato, il Caos si era insinuato nella sua vita, capovolgendo ogni cosa. Ma fu da quella propsettiva distorta che Rhysand riuscì a vedere più chiaramente se stesso e questo... questo lo aveva terrorizzato a morte.
    Perché ciò che aveva visto gli era piaciuto.
    L'essere umano può reagire in due modi, davanti alla paura: paralizzarsi o agire. C'era chi agiva fuggendo, chi lottando. Chi aveva avuto paura delle Arti Oscure, aveva deciso di fuggire. Perché quello non era un vero e proprio duello, non era nemmeno una battaglia tra luce e tenebre. Solo un governo ostruzionista che voleva mantenere il potere per sé.
    Tutto qui.
    Cosa era giusto e cosa era sbagliato? Chi poteva dirlo veramente? Rhysand sapeva che le cose che potevano essere giuste per lui, non lo fossero necessariamente per Roy, per esempio. O per il Professor White o per chiunque altro. Allora perché il Ministero si era abrogato il diritto di decidere per Rhysand? Perché il Ministero poteva decidere cosa fosse giusto e cosa sbagliato, se era comunque un solo uomo a gestirlo? Una sola persona, come Rhysand, come Roy o come il Professor White.
    Era tutto così sbagliato... tutto così ingiusto.
    « Recide di netto ciò che il mago desidera » rispose subito Rhysand, senza battere ciglio o cambiare espressione. La risposta giunse senza che ebbe bisogno di pensarci su. Vide il professore agitare la bacchetta con un movimento elegante e dalla punta della stecca vennero rilasciate serpentine di fumo. Dalla nebbiolina vaporosa prese forma la sagoma di un coniglietto. Rhysand osservava quella figura con la sua solita aria neutrale, tuttavia con un lampo rapito negli occhi. Riusciva a seguire perfettamente il discorso del Vicepreside-. Vide il coniglietto venire decapitato e non ebbe la minima reazione. Poi, i suoi occhi si inchiodarono in quelli del professore, grigio su nero, un coltello che affondasse nelle tenebre.
    « Che l'utilizzo di uno strumento dipende da chi lo impugna, non necessariamente dalla sua funzione originaria o la natura che ci si aspettava avesse alla sua creazione.
    Incendio può dare in pasto una foresta intera alle fiamme similmente ad un Ardemonio, Depulso può essere usato per causare commozioni cerebrali o un impatto tale alla colonna vertebrale da generare una paralisi permanente alla vittima. Lumos può accecare fino a bruciare le retine. Persino gratta e netta, utilizzato all'eccesso, potrebbe scorticare la pelle sino all'osso... »

    Ci aveva pensato, Rhysand, spinto da quella folle necessità di capire quanti palliativi potesse garantirsi, quante... Sostituzioni momentanee avrebbero potuto soddisfarlo, pillola per pillola, prima di arrivare finalmente alla tanto agognata Maledizione Cruciatus.
    E la lista andava avanti, andava avanti lungamente. « Le Maledizioni Senza Perdono potranno anche avere una natura nefasta, ma anche altri incantesimi possono sopperire alle loro funzioni » terminò.
    Poi il Professor White rispose alla sua seconda domanda. Rhysand cercò di rimanere neutrale, ma un lampo gli attraversò lo sguardo. Il volto rimase impassibile, ma i suoi occhi... i suoi occhi rivelarono in quel momento più di quanto non avessero fatto in tutti i suoi anni di vita. Rhysand era sempre stato riservato, tranquillo, accompagnato da un'espressione di criptica cortesia, come il volto della Mona Lisa. Ma in quel momento, nelle sue iridi plumbee sembrò riflettersi un incendio.
    Un incendio che era stato innescato dal Professor White, il quale stava ancora giocherellando con l'accendino.
    « Io voglio sapere, signore. Penso ergo sono. Ciò che penso, dipende da ciò che so, perché la mia vita è sempre stata basata su questo: la soddisfazione della conoscenza assoluta. Senza vincoli, senza paure, senza... Proibizionismo. »
    Fece una pausa, assaporando le sensazioni di quella allucinazione sulla punta della mente.
    « Recenti avvenimenti mi hanno fatto capire che manca un tassello fondamentale, in me. E questa situazione non cambierà, se prima non cambieranno le cose nel sistema.» Non poteva dire apertamente ciò che aveva rivelato a Rey qualche mese prima. Tuttavia, il ricordo di quel preciso scambio di battute emerse, come evocato da un coro blasfemo, sulla superficie della mente di Rhysand, invadendo i suoi pensieri come l'oscurità durante un'eclissi solare.
    "Amo fare del male e voglio farlo ancora"
    Non poteva dirlo all'insegnante e farsi mandare nel Dormitorio con la raccomandazione di farsi vedere da un Medimago e uno bravo, tra l'altro.
    Rhysand doveva dirla, quella cosa... Solo con parole diverse.
    « Ho provato qualcosa di forte, solo che non era reale. Non so come ricreare quella sensazione in un mondo che sia tangibile... E questo mi sta facendo sentire »
    (Arrabbiato)
    « perso »
    Guardò l'insegnante. L'uomo si era rivelato più meritevole di prima della stima di Rhysand. Anche il Professor White sosteneva che il metodo di istruzione attuale fosse fallato, incompleto, imperfetto.
    « In virtù di ciò che mi ha detto, mi chiedo... se dipendesse da lei » fece poi, senza abbandonare il tono di cortesia e rispetto nei confronti del Mago. Tuttavia, si era aggiunto qualcosa di più, una specie di ammirazione, mista ad una supplica sottile. « Ce le insegnerebbe, le Arti Oscure?»
    Un attimo di silenzio, poi Rhysand aggiunse, spinto da un moto che era più forte di lui.
    « Signore. »
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    Quel ragazzo lo stava affascinando senza se e senza ma. Sembrava essere lui, proprio lui ciò che stava aspettando in quegli anni passati a seminare. In quegli anni passati a spandere briciole nascondendole in ogni piccola insenatura che fosse in una frase scelta o in un’azione o, come aveva già attirato in precedenza, nei libri introdotti nell’ampio archivio del castello. Il ragazzo era inespressivo, neutrale e le sue parole s’approcciavano al docente come mera curiosità accademica ma Dylan, grazie al suo potere innato, era in grado di leggere oltre quella facciata riuscendo a cogliere quelle piccole espressioni gesti che ad un occhio non allenato rischiavano di fuggire. Lui aveva colto. L’interesse c’era ed ora si trattava unicamente di guadagnare la fiducia del ragazzo quel tanto da riuscire a schiudere lo scrigno dei desideri più reconditi che custodiva con una certa cura. “Bravo.” Apprezzava quelle difese, seppure blande. Il ragazzo non era in grado di proteggersi, non ancora perlomeno e poi perché avrebbe dovuto? Ignaro non poteva di certo sapere che ogni suo pensiero, che avidamente reprimeva nelle parole che esprimeva, era perfettamente udito dall’uomo il cui blando sorriso rimaneva adagiato sulle sottili labbra. Un sorriso di soddisfazione per i progressi nel suo disegno che finalmente arrivavano. Blackwood, su questo fronte, si era rivelato completamente inutile limitandosi ad eseguire gli ordini d’apparenza che gli affidava. Cominciava un po’ a dubitare del ruolo del sottoposto e non escludeva di farlo fuori se entro l’anno non avesse cominciato a portare dei risultati realmente concreti che esulassero dalle sue richieste. Doveva mostrarli il suo valore in quel progetto.
    «Precisamente» annuendo con il capo elargì un nuovo sorriso al ragazzo facendosi eco nelle parole in una seconda ripetizione di quella parola pronunciata con soddisfazione. Doveva dargli un contentino per tenerlo a sé ma doveva rimanere nel suo ruolo, nella sua posizione ed in ciò che ci si aspettava da essa. «Ergo ciò che ci andremo a domandare è: perché una è meno scorretta dell’altra? La natura, come abbiamo visto è malleabile ma la differenza sta nell’uso. Se il diffindo possiede una natura potenzialmente letale è anche vero che possiede una natura più blanda o “bianca”, se preferisce. Il suo uso non si limita unicamente a ferire ma, dosando, ci è utile anche nelle azioni quotidiane. Lo stesso non può dirsi delle Maledizioni Senza Perdono che ha appena nominato signor Harkness. Queste possiedono unicamente una natura oscura, ne converrà con me. È la mancanza di questa duale natura a far di loro l’eccezione che le rende illegali.» Ecco la differenza tra il bene ed il male, ciò che il ministero con la sua maledetta censura cercava di contenere. L’irreversibilità di tali scelte, di tali incantesimi. Dopo l’uso di una Maledizione Senza Perdono non era possibile tornare indietro poiché si era già macchiati del o dei più profondi crimini nei riguardi dell’individuo. Quelle Maledizioni era l’annichilimento dell’altro, l’asservimento... il piacere. Quel giovane, quindi, cosa cercava?
    Amo fare del male e voglio farlo ancora. Ed eccola lì la risposta. La reale risposta. Il piacere. Quella ricerca di piacere che trovava il suo appagamento nella prevaricazione sul prossimo. Rhysand si nascondeva dietro quella dialettica forbita, dietro quel giro di parole che volevano “incolpare” la smania verso il sapere – tipica della sua casa d’appartenenza – come il reale motore propulsore verso quel sentimento ma la sua mente, i suoi occhi dicevano altro, raccontavano un’altra storia. Una storia perversa che chiamavano a scomodare una dichiarazione che l’uomo non avrebbe mai potuto fare ad alta voce, non in quel contesto e non con quella blanda conoscenza. Il mago aveva conquistato il ragazzo ma lo stesso, ora, era il ragazzo a doverlo ottenere. Non era arrivato dov’era a seguito d’azioni sconsiderate.
    «Perché le Arti Oscure signor Harkness? Cosa pensa di trovare in esse?» Inclinò il capo, il sorriso svanì lasciando il posto ad una seria linea retta che andava accentuando l’attenzione dedicata al giovane Corvonero. «È solo per l’attrazione generata dal proibito?» Sollevò le sopracciglia, incuriosito. «O è l’ambizione e la superbia a spingerla realmente? Non che ci sia qualcosa di male nella brama del potere» della supremazia. Gli occhi neri dell’uomo si strinsero analizzando il viso dell’altro. Voleva le Arti Oscure? Bene, avrebbe però dovuto guadagnare la sua fiducia e, se fosse riuscito nell’intento, poteva starne certo, Dylan gli avrebbe consegnato le chiavi per dar fuoco a quel mondo.
     
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    La risposta del signor White riguardo alle Maledizioni Senza Perdono provocò in Rhysand una fitta di dolore. Un dolore nato dalla rabbia, che lo portò a stringere i pugni sui braccioli, sbiancando le nocche già di per sé pallide. Per il resto, la sua espressione rimase immutata e, per dirla tutta, ci mise un po' anche Rhysand stesso a rendersi conto del lampo di odio che gli infiammò l'animo.
    La repressione della magia era qualcosa che non riusciva a tollerare. C'erano giorni in cui Rhysand abbandonava del tutto la sua bacchetta, tentando invano di praticare incantesimi semplici senza di essa, come facevano a Uagadou. E si arrabbiava, frustrato da quei fallimenti, perché la sua struttura fisica era ormai abituata ad allacciarsi alla bacchetta per lasciare uscire la magia.
    Per quanto Rhysand fosse affezionato alla sua bacchetta, non poteva tollerare l'idea di non sapere come disfarsene, come usare la magia liberamente.
    Libertà. Questa era la parola chiave.
    Perché il Ministero bandiva le Arti Oscure, che erano insegnate a Durmstrang e imponeva l'uso di una bacchetta, che non esisteva a Uagadou?
    Rhysand si era dato delle risposte e aveva trovato nella proibizione un sinonimo di repressione.
    Controllo.
    Senza la bacchetta, un incantesimo come Prior Incantatio sarebbe stato inutile. Nessuno avrebbe potuto tenere conto degli incantesimi scagliati dal mago o la strega, posto che non vi fosse una variante meno specifica che lo permettesse anche in assenza di catalizzatore.
    E le Arti Oscure... le Arti Oscure davano potere assoluto, piacere assoluto. Questo era ciò che aveva capito, parlando con Rey quella sera sulla torre di Astronomia. Ed era la natura insita in questi due aspetti a renderli così spaventosi: una strega senza controllo, senza vincoli... senza perdono.
    Rhysand poteva capire le motivazioni del Ministero alle spalle della decisione di non insegnare le Arti Oscure, ma perché bandirle del tutto? Perché creare attorno ad esse un alone di mistero così esotico, così attraente?
    Rhysand avrebbe voluto chiedere di più, ma alla sua domanda successiva, si trovò davanti ad un risvolto inatteso.
    Il Professor White replicò alla Strega con una domanda, senza rispondere alla sua. Per un attimo, la natura suspiciosa del Corvonero gli fece chiedere se ci fosse stata una sistematica schivata del quesito, da parte dell'insegnante. Un lampo di sospetto gli danzò nelle iridi, prima di spegnersi.
    Era ovvio. Dylan White era un professore di Difesa Contro le Arti Oscure. Era naturale che ponesse le mani avanti in quel modo. Quindi sì, la domanda di Rhysand era stata volutamente accantonata, ma per una più che ottima ragione.
    Da qui in poi, Rhysand capì di dover giocare al meglio le sue carte.
    Era buffo, pensare che Rhysand fosse andato dall'uomo per delle risposte e ora era il signor White a fare le domande.
    Rhysand era giovane. Forse più incline a certe tendenze rispetto ai suoi coetanei, ma non aveva ancora vissuto il mondo. Non come lo aveva fatto Dylan White, senza ombra di dubbio.
    Aveva dovuto metabolizzare, capire da che parte fosse girato, cercare di orientarsi in quelle nebbie di confusione e realizzazione.
    Rhysand ci aveva messo mesi a recarsi dal professore, ma in fondo al cuore sapeva che prima o poi avrebbe fatto quel passo avanti, sapeva che prima o poi avrebbe fatto domande scomode.
    Lui desiderava sapere, inghiottire voracemente ogni singolo segreto del mondo, fino ad essere sazio.
    Ma la fame di Rhysand era di quelle insaziabili, instancabili. Più aveva e più ne voleva...
    E in quel momento stava morendo di fame, perché non aveva niente. Voleva sapere, aveva bisogno di sapere, ma voleva anche qualcos'altro, qualcosa di più elevato.
    Provocare dolore elevava l'anima, era l'arte più sopraffina che esistesse... E Rhysand voleva bearsi di quel balsamo catramoso, crogiolarsi nel petrolio di quel piacere luciferino.
    « No... cioè, forse. Non mi sono mai ritenuto una persona particolarmente superba, ma di sicuro non so accontentarmi » replicò, perché Rhysand si era sempre ritenuto troppo attento, troppo metodico, per ricadere in quel genere di carattere. « O forse è proprio la mia sete di sapere, a farmi peccare di hybris . Voler scovare ogni incognita, sapere sempre cosa c'è dopo la prossima pagina, senza mai fermarmi. »
    Pur mettendosi in discussione, Rhysand sentì che non fosse quello il posto in cui doversi incasellare.
    « Non ho una particolare attrattiva per il potere in sé. Credo, se posso permettermi, che nel mio caso sia più complicato di così. Di sicuro la fascinazione per il proibito mi ha sempre stimolato a passare la maggior parte del mio tempo libero attaccato ai libri, ma ancora non ci siamo. Sento che non è questa, la risposta da dare alla sua domanda. »
    Rhysand ammutolì per un attimo. Avrebbe potuto dirglielo apertamente, ma sarebbe finita più che male per lui. Rhysand non voleva mentire, ma nemmeno dire la verità e questo era un gran bel problema.
    « Mio nonno dice sempre che ciascuno di noi è chiamato da qualcosa. Può essere un concetto, un talento, una vocazione o un difetto, persino. Questo richiamo può plasmare il destino di qualsiasi individuo, perché che venga ascoltato o ignorato cambierà drasticamente il corso della sua esistenza. Perché le Arti Oscure, mi chiede? Forse perché mi chiamano, forse perché sono un accademico dannatamente curioso e prima o poi questa curiosità mi farà cacciare nei guai. Conosco bene i limiti, signor White e non li ho mai superati... è che in quanto tali, non riesco a farmeli piacere. »
    Era la versione più delicata della verità che fosse mai riuscito a confezionare. Era stata necessaria una piccola omissione, ma quello era un tassello che Rhysand era stato in grado di toccare solo con Rey o con se stesso, durante le lunghe ore notturne di dissociazione.
    Sorrise cortese al professore, inclinando appena il capo di lato.
    « Sono certo che lei possa capirmi, d'altra parte, studia questo argomento da moltissimo tempo. Forse, in un certo senso, anche lei ha risposto ad un richiamo. »
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    La rabbia che interessante reazione agli occhi del mago oscuro che, con sguardo attento ma allo stesso tempo imperturbabile osservava le reazioni del giovane Corvonero. Il ragazzo si presentava calmo persino più misurato rispetto all’impeto che sconvolgeva generalmente i suoi coetanei ma, come Dylan ebbe modo di constatare, era unicamente una questione legata all’argomento trattato. Era sì la norma quella di Rhysand di rimanere pacato ma perché non erano mai stati toccati i suoi principi più profondi, quelli, come poteva adesso apprezzare, riuscivano a smuovere quell’animo altrimenti all’apparenza apatico. Lo sguardo del mago si posò sulle mani del ragazzo, su quelle dita chiuse con foga tanto da sbiancarne le delicate nocche, a stringere i braccioli della poltroncina in lussuosa pelle di drago e, assottigliando lo sguardo, con discrezione, espanse l’aura costituita dal suo potere che gli avrebbe permesso d’agganciare le sinapsi del Corvonero auscultando, quasi fosse una radio, quanto la mente del giovane nascondeva preziosamente al mondo esterno. Quali erano i suoi pensieri più reconditi? Cosa smuoveva il suo animo? Dylan lo avrebbe presto saputo.
    «… di sicuro non so accontentarmi. […] Voler scovare ogni incognita, sapere sempre cosa c'è dopo la prossima pagina, senza mai fermarmi.» L’uomo rise gentilmente a tale affermazione. «L’ambizione è una qualità che, signor Harkness, verrà sempre vista come un pregio nella mia aula» concluse il docente badando bene di sottolineare quelle parole che, se il ragazzo fosse stato attento, avrebbero funto da balsamo e da incoraggiamento verso quello che poteva rappresentare un tratto intrinseco ed inconscio del ragazzo. Un tratto che avrebbe potuto approfondire senza temere di peccare in superbia agli occhi del docente pensando che, così facendo, avrebbe ottenuto l’effetto contrario.
    «Non ho una particolare attrattiva per il potere in sé», ecco questo invece era deludente e solo un attento sguardo e un’ancora più approfondita conoscenza dell’uomo rappresentato da Dylan avrebbe permesso d’intuire che, dietro l’espressione da poker, si nascondeva quella punta d’insoddisfazione nei confronti della risposta ottenuta ma questo non doveva rappresentare un freno, tantomeno un motivo d’esclusione quanto una sfida. Dentro Rhysand quella componente era presente poiché i suoi desideri erano chiari, talmente udibili da stupire il mago oscuro che nemmeno il ragazzo potesse udire l’aria attorno a loro pregna di quelle silenziose urla rappresentate dal suo desiderio: “amo fare del male e voglio farlo ancora.” Rhysand voleva quel dolore, voleva possedere il potere d’infliggerlo e non era questa la scintilla che il White andava cercando? Andava solo esplorata, andava solo portata alla luce, andava solo spinto il ragazzo a fidarsi di lui…
    «Qual è allora la risposta?» Cosa cercava da lui? Dylan lo sapeva, lo sentiva e lo apprezzava ma i tempi non erano ancora maturi perché il giovane potesse confidargli un tale piacere così apertamente e nemmeno lui. Avrebbero atteso, Dylan avrebbe aspettato e coltivato quella giovane mente traendola a sé, prendendosene cura e trasformando il giovane secondo il suo disegno di perfezione. La materia base c’era. «Qual è il suo canto?» Lo imbeccò gentilmente facendo eco a quelle parole, a quel concetto che, con difficoltà, stentava ad uscire dalle labbra del ragazzo. Cercava le parole, cercava il modo di affascinare e comprare la fiducia dell’uomo ignorando che, il suo io, lo aveva già fatto per lui.
    «Forse, in un certo senso, anche lei ha risposto ad un richiamo.» Qualcosa del genere in un certo senso. Per lui il richiamo e il motore di tutta quella vicenda era stata la sete di potere. La voglia d’arrivare a possedere e comandare l’intero mondo magico. Un progetto ambizioso, dannatamente folle ma che bramava con ogni fibra del suo essere.
    Si prese del tempo. Dylan si poggiò allo schienale, lo sguardo posato sulle dita intrecciate, le labbra schiuse mentre dagli occhi poteva leggersi quella mente che elaborava che pensava. Schioccò la lingua e, sollevando lievemente l’attenzione di nuovo al giovane parlò nuovamente.
    «Devo quindi immaginare che lei, a prescindere dalla mia risposta, continuerà a perseguire questo richiamo. Dico bene? Continuerà a documentarsi accendendo alla biblioteca o ponendo altrettanti quesiti ai miei colleghi che, tengo a sottolineare, potrebbero non possedere le medesima apertura mentale» lo sguardo adesso andò fondendosi, andò incatenandosi a quello del ragazzo. «Questo potrebbe metterla in una posizione molto scomoda mio caro ragazzo. Deve sapere che il nostro preside» una lieve pausa contrita quasi a voler indirizzare un pensiero verso l’anziano mago ammalato, che perfetta recita White! «Il preside Edevane segue molto pedissequamente la linea ministeriale su questo fronte. Mi sento quindi in dovere di scoraggiarla dal perseguire individualmente questo genere di attività.
    Tuttavia preferirei che, se il suo istinto le dice di perseverare, lei desse sfogo a questa particolare inclinazione accademica»
    come no «con la supervisione di qualcuno. Perciò, le propongo un’offerta signor Harkness. Le permetterò di studiare le Arti Oscure ma lo farà esclusivamente sotto la mia supervisione, siamo intesi?» Osservò il giovane attendendo la reazione, attendendo che quelle parole permeassero e sedimentassero nel suo animo. Osservando come il suo io reagiva a quella possibilità. «Non è una possibilità che concedo a chiunque e non vorrei mai che la sua carriera scolastica possa subire delle alterazioni per il bigottismo di certi colleghi… Oh mi perdoni, non è mia intenzione riferirmi così in merito ai colleghi.» Un distillato di pura falsità che dietro le più nobili intenzioni - di mera copertura - nascondeva un secondo fine che avrebbe sicuramente giovato per entrambi. «Cosa ne pensa?»
     
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    Il sole morente scavava le nuvole per affossarsi oltre l'orizzonte. Il cielo bruciava nel trionfo del suo tramonto invernale e quella luce ambigua era impigliata nelle labbra di Rhysand, catturata dai suoi occhi metallici, riflessa in tutto il suo fulgore da un lampo di eccitazione che catturò soltanto il suo sguardo, ma che fu così palese da essere quasi più chiaro di un grido a squarciagola.
    Il cuore gli batteva furente nel petto, tanto che per un attimo ebbe quasi la sensazione di perdere il contatto con la realtà. Batté le palpebre un paio di volte, come se non fosse stato certo di aver udito davvero le parole del Vicepreside.
    Il cosmo intero avrebbe dovuto dargli un gran pizzicotto, perché Rhysand non era sicuro di essere sveglio. Il risultato ottenuto andava oltre ogni sua aspettativa, oltre ogni suo più selvaggio desiderio. Selvaggio, come il lampo nei suoi occhi, come la luce del tramonto che andava a fuoco, non con agonia ma con follia glorificatrice.
    Capì allora che il professor White doveva essere molto più che un insegnante scolastico. Non un professore qualunque, relegato al suo ruolo dalle mura scolastiche, ma un professore vero, un mentore a tutto tondo.
    Nessuno- Rhysand ne era certo- avrebbe proposto una cosa del genere ad uno studente, ma il professor White doveva aver visto con gli occhi della logica e in maniera molto più intelligente di qualsiasi altro. Perché sì, Rhysand avrebbe continuato con ogni mezzo pur di apprendere le Arti Oscure, pur di distruggere ogni limite e divorare ogni informazione. Il fatto che il Vicepreside si fosse offerto di tutelare il suo viaggio, di istruirlo al Proibito di persona, lo rendeva ancora più meritevole di prima della stima e della fiducia di Rhysand.
    « S-signore... io... non ho parole » balbettò stupidamente Rhysand, sentendo in ritardo persino la propria voce. Poi capì di doversi dare un contegno, capì di dover dare sin da subito al professor White la prova di non star commettendo una scelta avventata. « La ringrazio per questa opportunità. Non ho alcuna intenzione di deluderla. »
    No, Rhysand era pronto a sacrificare tutto: il cibo, il sonno, l'igiene personale, persino, pur di tenere impeccabile la sua media scolastica ed apprendere le Arti Oscure in segreto.
    Quella era l'occasione di una vita e avrebbe fatto di tutto pur di farla valere.
    Capì che era giunto il momento di andare. Per un attimo, sentì le gambe molli e pensò co una nota di allarme che se si fosse alzato, sarebbe crollato sulla scrivania dando una bella botta col mento. Invece si alzò con la sua solita eleganza, fluida e sinuosa, chinando il capo verso il professore in segno di rispetto.
    « Con permesso, signore. La ringrazio ancora per l'opportunità e il tempo che mi ha dedicato. »
    Rhysand fece per voltarsi e incamminarsi verso la porta. Quando le dita toccarono il pomello, si rese conto di non aver risposto alla domanda del professor White.
    Aprì la porta e si voltò verso il Mago.
    Quale era il suo canto?
    Ci pensò su un attimo, poi capì che la risposta era banale quanto incredibilmente illuminante, per lui. Era sempre stata sotto al suo naso e, da dopo Halloween, aveva cercato di farsi riconoscere con estrema ferocia.
    « L'oscurità » disse Rhysand. La luce esterna finì di morire nei suoi occhi, prima che il tramonto venisse inghiottito dalle fauci della sera.
    L'ombra purpurea si depositò sul suo sorriso. Poi Rhysand fece un ultimo cenno di congedo e si chiuse la porta alle spalle.
    Witch ◆ Ravenclaw ◆ N. E ◆ 16 yo ◆ schedaPensive |

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