Showdown

with Rose.

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    Dylan
    26 Settembre.
    Non l’aveva cercata. Le aveva mandato alcune lettere, perlopiù velate minacce, ma poi anche queste ultime erano andate spegnendosi verso la fine di luglio e da lì un chiassoso silenzio stampa era cominciato. Dylan aveva dispiegato tutte le sue forze per cercare la figlia, messo scagnozzi alla sua ricerca in ogni angolo dell’Inghilterra arrivando perfino ad estendere le ricerche in Irlanda dove lui sapeva – e Rose di rimando pure – avere una seconda villa, chiusa, dove la ragazzina era nata prima di trasferire tutta la famiglia a Londra. Nemmeno lì aveva trovato la ragazza e nervoso aveva sfogato la sua rabbia con la prima persona capitata a tiro che gli uomini erano invece riusciti a trovare.
    Non era stato sorpreso però a settembre di vederla lì, esattamente come l’aveva lasciata a giugno. Emaciata e gli occhi castani contornati da spessi aloni violacei. Dylan non poté fare a meno di contemplarli nel momento in cui la ragazza non gli prestava attenzione. Non doveva aver passato una bella estate a dispetto di quelle che invece dovevano essere state le sue intenzioni. “Si fugge per andare in meglio” sentenziò dentro di sé spostando l’attenzione su di una mano alzata. «Prego», fece accompagnando le parole con un movimento della mano dando la parola allo studente che intendeva rispondere al quesito che pochi attimi prima aveva posto all’intera classe. «Sì, si potrebbe anche dire così ma, e la esorto a rifletterci, eticamente e moralmente cosa dovrebbe essere più giusto?» Domandò al Corvonero ma estendendo ancora una volta la domanda all’intera classe con un gesto d’apertura delle braccia. Gli piaceva quella parte più “filosofica” delle lezioni, quella dove soleva mettere in dubbio i dogmi posti dal ministero. Voleva che i ragazzi riflettessero, che, con gli strumenti che dava loro si ponessero determinati quesiti. Il suo scopo, in altre parole, era instillare sottilmente il dubbio verso quanto fatto e deciso dalla società e, attraverso le loro risposte, individuare gli studenti più affini ed inclini al suo metodo. Così facendo, forse, avrebbe trovato nuovi adepti alla sua causa.
    «Per oggi basta così. Giovedì la prima ora sarà d’interrogazione e, gradirei dei volontari che siano preparati questa volta o non accetterò più le vostre candidature», sentenziò fissandoli brevemente uno ad uno ma soffermandosi su quelle che erano le cariche – le “spille” – presenti in aula. «La seconda ora sarà di teoria. Cominciate a leggere il capitolo sul vampiro.» Annoiato tornò a sedersi dietro la cattedra dove osservò la classe a dita giunte. «Miss White, la prego, rimanga» ordinò gentilmente, la voce melliflua ma allo stesso tempo tagliente. Attese che tutti i ragazzi avessero lasciato l’aula ed il suo sguardo di posò sul volto apprensivo della signorina Métis che ritardava il momento, avvertì la mente caotica del signor Dragonov osservarlo dallo stipite d’ingresso ed in pochi secondi realizzare di intervenire. In poche rapide falcate affiancò la Corvonero prendendole la borsa e con un cenno rispettoso verso il docente la trascino all’esterno sussurrandole concitatamente qualcosa all’orecchio. Dylan s’alzò lentamente e con un movimento del polso comandò alla porta di chiudersi, un secondo movimento invece castò un incantesimo che tenesse le orecchie dei curiosi al di fuori di quanto stesse accadendo.
    Si avvicinò alla Tassorosso e si appoggiò con indulgenza un paio di banchi distante da lei. «Hai passato delle buone vacanze, figliola?» Le chiese continuando a tenere la voce melliflua. «Nemmeno una cartolina, Mia», scosse il capo, «non molto educato da parte tua», giunse le mani effettuando una pausa ad effetto ad hoc per studiare le reazioni della ragazza e, senza scrupolo, qualsiasi pensiero le passasse per il suo inutile, insolente cervello. «Mi hai fatto preoccupare.»
     
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    Lezioni. Quell’inizio di anno era davvero insolito sotto ogni punto di vista. Quando avevo pensato alle vacanze estive le avevo immaginate complicate e particolari ma non come erano andate. Ero nuovamente in classe mentre ogni tanto la mia mente si perdeva in viaggi sconosciuti senza senso con alcune immagini strane e orribili allo stesso tempo. Durante le lezioni ero abbastanza taciturna, rispondevo poco e facevo gli esercizi che erano da fare a volte con qualche difficoltà. Nelle lezioni di mio padre divenivo quasi un'ombra, lontana da quel mondo e forse anche un pochino lontana da lui ma allo stesso tempo presente. In silenzio e senza essere di presenza ingombrante, quasi come all’inizio della mia avventura ad Hogwarts, quasi come amava lui quando ero piccola. La voce di mio padre interruppe proprio uno di quei momenti in cui mi ero distaccata con la mente dalla lezione e mi fece ritornare alla realtà. Presi appunti su quello che avremmo dovuto leggere, i Vampiri, e poi iniziai a mettere a posto i libri e le varie cose sul banco. Anche questa lezione era terminata e feci un respiro che fu interrotto dalla voce di mio padre, il professore White, ma questa volta era per qualcosa di diverso, mi chiese di fermarmi in aula. La mia testa si sollevò con lentezza e il mio sguardo si fissò sul suo viso prima di posare delicatamente la matita nella borsa. Deglutì e i miei occhi vagarono andando a posarsi sulla mia amica Sky. La vidi andare via insieme ad Axel mentre l’intera classe si svuotava, e le feci un piccolo sorriso come a rassicurarla che andava tutto bene. Era chiaro che quel momento doveva arrivare ma non ero a conoscenza di quando e di come e non ero pronta ma non lo sarei mai stata. Ed eccoci qui. Rimasi ferma al mio posto senza dire una parola a fissare la cattedra dell’insegnante. Lo vidi alzarsi e chiudere le porte per poi venire nelle mie vicinanze. Il silenzio si impossessò della stanza e l’aria sembrava cambiare intensità. Fu proprio mio padre ad interrompere quel silenzio con la sua domanda che mi fece venire un leggero brivido lungo la schiena. Cosa avrei dovuto rispondere? Non sapevo cosa dire o cosa fare ero ferma a fissare il suo volto, ogni piccolo dettaglio, sembrava come se qualcosa nel suo viso fosse diverso o forse non avevo mai notato alcune piccole rughe d’espressione. Riprese a parlare e lo ascoltai ma sul finale mi venne quasi un sussulto “Mi hai fatto preoccupare”. Socchiusi la bocca come a voler chiedere scusa ma la voce si bloccò in gola. Nella mia mente si insinuarono diversi pensieri che mi sorpresero, non ero dispiaciuta che si fosse preoccupato. I miei occhi si spalancarono leggermente a questo pensiero “Non provo dispiacere, provo... provo... appagamento..!?” pensai “ cosa vuol dire?” Già cosa voleva dire? Lo sapevo bene cosa significasse, avevo sempre desiderato di vederlo preoccupato per me, questo mi avrebbe fatto comprendere che ci teneva, solo che... La sua espressione sembrava sempre la stessa e non riuscivo a comprendere se era la verità. “Sta mentendo o no?” pensai cercando di decifrare un qualcosa che non riuscivo a captare. Presi un piccolo respiro e con una voce debole e bassa provai a dire qualcosa, stare in silenzio non risolveva nulla. «Si, delle buone vacanze...» dissi mentre cercavo di controllare la mia mente e non far venire a galla il ricordo che mi torturava, il sangue della mia amica. «Le vostre vacanze?» chiesi istintivamente senza pensarci mentre nessuna espressione si disegnava sul mio viso. In quel momento anche se nessuno dei due lo avrebbe affermato ci assomigliavamo parecchio nella nostra distanza e differenza. Nuovamente provai a dire altro, era inutile tergiversare «Come vedete sto bene!» conclusi alla sua affermazione dell’essersi preoccupato. Bene, non ero in forma nemmeno un po’. Pallida, magra e con i segni di chi riposa male e poco, di una che ha qualcosa che la tortura dentro. Di certo non potevo dire diversamente, ammettere che metà vacanza era stata un vero disastro ed orribile. Il mio sguardo vagò su un banco vicino per poi incrociarsi con il suo per qualche istante. “Lo sta facendo...!” pensai. “ Lo so che mi stai leggendo...” Continuai a pensare, conoscevo bene mio padre almeno in quel dettaglio ma rimasi sorpresa dalla mia sfacciataggine. Da quando ero diventata così? Da quando avevo preso a parlarli nel pensiero? Mi morsi il labbro e rimasi ad attendere la sua reazione.


     
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    Con quella semplice mossa l’aveva colta in contropiede. Con la gentilezza, senza urlarle contro – sicuro non lo avrebbe fatto subito, o forse, non lo avrebbe fatto proprio – spiazzandola con quell’immagine da padre modello che si accingeva in posizione d’aperto ascolto a farsi raccontare l’estate trascorsa dalla sua figliola prediletta a cui aveva lasciato libertà di scelta per la meta delle sue vacanze, come se quello fosse un premio per la fatica alla dedizione allo studio che la ragazza aveva avuto durante l’anno. Se solo fossero andate così le cose. Quanto c’era di sbagliato in quella visione idilliaca? Tutto. Dylan gongolava di quell’immagine straziata di Rose. Si era vista allo specchio? Si guardava mai davvero? La osservò, prendendosi un momento per studiarla a fondo, clinicamente, mentre lo sguardo di lei non incrociava il suo. Gli occhi della Tassorosso erano spenti così come la pelle del viso, incredibilmente secca e pallida. Gli occhi cangianti poi, solitamente striati da venature dorate di gioia erano completamente scuri e mai, da quando era tornata al castello, l’aveva vista sorridere anzi, erano contornate da pesanti cerchi violacei che andavano via via inscurendosi con il passare dei giorni. Quasi non ci fosse un limite a quella disperazione. Non l’aveva mai vista in quello stato, nemmeno dopo i suoi metodi d’insegnamento all’educazione. Dylan non ne sapeva il motivo e la cosa lo infastidiva poiché c’era qualcosa – una sensazione – che gli impediva di leggere a fondo e appieno la Tassorosso. Come se un velo trasparente e gommato facesse da protezione al vero io della ragazza. Cos’era successo? Come? Perché? Più sorgevano quesiti e più andava irritandosi anche se, da un altro punto di vista aveva scoperto di goderne allo stesso tempo. Avrebbe capito la lezione finalmente? Avrebbe finalmente capito che al di fuori della sua protezione rimaneva unicamente un esserino patetico e inerme quanto insignificante?
    «Mia. Mia», cantilenò, «non mi piace che menti e io lo so», il polpastrello batté un paio di volte sulla pelle sottile della tempia. «Hai tenuto anche a specificarlo» sorrise sottilmente, cercando di dissimulare quanto quella provocazione non gli fosse affatto piaciuta ma tempo al tempo, si disse. In fin dei conti aveva meditato a lungo sulla gestione di quel confronto e l’unica cosa certa era che lui ne sarebbe uscito vincitore mentre la figlia, ancora una volta, sottomessa. Così doveva andare, così era l’ordine naturale delle cose.
    «Ho lavorato, molto. Nonostante tu sia in vacanza per Hogwarts non è lo stesso.» Una breve pausa per elargirle un nuovo sorriso, questa volta più mesto quasi a volerle dire “vedi tesoro? Papà lavora. Sempre.” A differenza tua che ti permetti di fare le ferie? A differenza tua che ti permetti di scappare da tutto e tutti a dispetto delle responsabilità? O ancora, a differenza tua che non conosci il senso del dovere e del vero sacrificio? A lei l’interpretazione non era quello il fondamentale. «Come avrai potuto vedere quest’anno ci sono insegnanti nuovi, materiali nuovi... È un lavoro trecentosessanta giorni l’anno mantenere gli standard qualitativi elevati. Il tuo futuro come quello di tutti i tuoi colleghi è molto importante anche se adesso non lo capisci ed anzi, Mia, cosa sono questi voti?» Le domandò inclinando il capo, facendosi più serio ma allo stesso tempo imprimendo nello sguardo e nel tono preoccupazione. «Ti ho educata migliore di così... Quasi non ti riconosco. Scappare di casa, evitare ogni contatto, non impegnarsi a scuola... cosa ti sta succedendo?» Continuò a chiederle con serietà, vero interesse all’apparenza. Nella realtà dei fatti anche quello era uno dei suoi infiniti trucchetti per infilarsi nelle pieghe di debolezza manifestate da lei, pieghe che avrebbero potuto abbattere quel tedioso velo che gli impediva di leggerla come voleva. «Ti sei guardata allo specchio? Sei uno straccio. Spero tu non lo stia facendo per l’ennesimo ragazzo...» Rise brevemente scuotendo il capo. Sicuro doveva c’entrare per l’ennesima volta uno di quegli adolescenti allupati che non vedevano l’ora d’infilarsi nelle grazie della ragazza per sferrare in realtà un colpo destinato a lui. Magari era tutto il frutto di una futile vendetta verso qualche punizione elargita, un modo per poter dire di avere il coltello della parte del manico. Questa era l’unica ragione per cui un ragazzo come Harris – quel maledetto cane che non faceva che ronzarle attorno – poteva interessarsi di una come sua figlia. Lo aveva punito, ripetutamente e, nonostante ciò, quel maledettissimo sangue sporco continuava a mostrarsi per l’essere di razza inferiore qual era. Se Dylan avesse potuto spezzargli la bacchetta lo avrebbe fatto senza esitazioni relegandolo ad una vita al pari di quella di un elfo domestico. Forse persino meno. Questo erano creature come lui. Senza contare i pensieri del ragazzo, Dylan li aveva avvertiti e ne era rimasto disgustato. Eppure, un elemento del genere continuava a regalare attenzioni di troppo a quella povera mentecatta, la quale, alla prima gentilezza, andava svendendosi scodinzolando una metaforica coda. Cosa doveva sopportare... «Inutile dire, che stai venendo meno al nostro accordo. Perché? Parlami Mia, cosa succede?»
     
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    In altre occasioni la conversazione tra di noi era partita calma e poi era sfociata in modo diverso, ma questa volta mi stava sorprendendo e allo stesso tempo mi straniva. Io ero emotivamente e forse anche psicologicamente sottosopra già di mio e lui... lui sembrava calmo, stranamente calmo. Nella mia mente avevo provato ad immaginare questo incontro sia durante i mesi estivi, sia nei giorni passati ad Hogwarts, ma l’unica cosa che riuscivo ad immaginare o che riuscivo a descrivere attraverso i miei pensieri erano i suoi occhi e la sua rabbia. Invece sembrava tutto surreale.
    Ero lì quasi un'ombra di me, come se fossi pronta a ciò che sarebbe potuto accadere. «Non mi piace che menti io lo so » a quella sua frase chiusi gli occhi per un secondo. Certo che sapevo che non gli andava a genio quando gli mentivo, lo sapevo da una vita era una delle regole fondamentali che dovevano essere rispettate a casa White. Rimasi li mentre le mie mani erano ferme sulle mie cosce, le dita non si intrecciavano tra di loro e nemmeno le gambe si muovevano. Ero come un'altra Rose che non aveva mai visto nessuno. La sua voce continuò a risuonare nell’aula«...Nonostante tu sia in Vacanza... » Nella mia mente la parola vacanza risuonò come se non ci fosse nessun altro pensiero. “Vacanza... sono stata in vacanza...” Già, ero stata in vacanza e non erano del tutto andate malissimo dopo un inizio particolare mi era sembrato che luglio fosse andato alla grande come se mi avesse sorriso ogni suo giorno e tutto sembrava diverso ma piacevole, almeno fino ad agosto, poi tutto era diventato nero e senza uscita. Ad un tratto lo vidi diventare ancora più serio e la domanda sui miei voti arrivò diretta ma allo stesso tempo dalla sua voce mi sembrava che stesse trasparendo della preoccupazione. Era preoccupato? Dopo aver abbassato lo sguardo lo rialzai verso di lui osservando il suo viso, fermandomi solo per qualche istante veloce sui suoi occhi. Non riuscivo a proferire parola, la mia gola era secca ed ero confusa, mi stava confondendo. Sapevo che aveva ragione sui voti e non l’avevo fatto di proposito, solo che mi era sfuggita la situazione di mano. Nemmeno io mi sentivo me stessa e a volte stentavo a riconoscermi, di fatti alla sua affermazione sottovoce dissi «Nemmeno io...» "mi riconosco". Mi morsi il labbro, uno dei pochi segnali che mi facevano sembrare la solita Rose «Mi spiace, io...» mi dispiaceva davvero e non capivo come era stato possibile arrivare a tanto. Rimasi ad ascoltarlo fino a restare sorpresa della sua domanda, davvero mi stava chiedendo se mi fossi guardata allo specchio? Non aveva la minima idea del mio orrendo rapporto con gli specchi e anche se fosse che di sfuggita mi ero soffermata sul mio viso, avevo notato le mie occhiaie, dormivo poco e male grazie agli incubi ma davvero stavo così male? Anche il mio amico Loki me lo aveva detto durante le lezioni. Spostai una ciocca di capelli dal viso e mi misi più dritta come se quello avrebbe potuto sistemare qualcosa. Doveva cambiare il mio umore e dovevo ritrovare la via da me solo allora anche il mio aspetto avrebbe trovato luce e sarebbe migliorato.
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    Le parole che fuoriuscirono dalla sua bocca mi fecero pensare.Un ragazzo? «No...»risposi diretta come a giustificarmi.
    Un mezzo sorrisetto si dipinse sul mio viso che sparì quasi subito. “Si, forse...Non so nemmeno come definirci... e poi come aiutarlo..?” pensai, dimenticandomi chi avevo davanti. La mia mente si era spostata e ultimamente mi succedeva spesso di non restare concentrata ma pensare a quello che era successo e a come poter aiutare le persone che avevo ferito. «Inutile dire, che stai venendo meno al nostro accordo. Perché? Parlami Mia, cosa succede?» Fu li che i nostri sguardi si incrociarono davvero e per lungo tempo. Mio padre, mi stava chiedendo cosa stava succedendo. Lui, che voleva sapere quello che mi stava affossando, quello che oscurava i miei pensieri e oscurava me. Viso contro viso, sguardi scuri che si incontravano. Tanto diversi ma così simili nei lineamenti e a volte nell’espressioni. Parlargli? Cosa avrei mai potuto dire, che ero stata così stupida da far del male alle persone a cui volevo bene? Che ero caduta nuovamente e per quanto cercavo di sollevarmi sembrava impossibile? Cosa potevo dire a lui che non scaturisse la sua rabbia? Quella calma mi destabilizzava, non ero abituata. Mi bagnai le labbra tra di loro e finalmente la mia voce si fece udibile, non alta ma bassa e quasi roca rispetto a quella solita «Io... Ho avuto difficoltà a riprendere il ritmo... mi dispiace. Sto riprendendo il passo e Vi prometto che recuperò tutto... non accadrà più.» Mi fermai un secondo prendendo fiato, ero preoccupata mio padre non era mai stato un uomo paziente e non amava chi veniva meno ai suoi accordi, almeno era quello che avevo sempre dedotto e provato sulla mia pelle. Un respiro leggermente più rumoroso uscì dalla mia bocca mentre nella mia mente il volo del Thestral prese forma, trattenni il respiro e strinsi i pugni quando provai la sensazione di paura che avevo percepito nel volare su un essere che non vedevo, ma poi scossi la testa e scacciai via quel ricordo. Mi schiarì la voce e alzai ancora lo sguardo verso di lui. I miei capelli ed i miei occhi non avevano cambiato sfumatura, in questo ero diventata bravina, (grazie all’aiuto che mio padre mi aveva dato con le lezioni private sul metamorfomagus) riuscivo a controllarmi, non sempre ma ci sarei arrivata. Dopo qualche istante provai a riprendere parola «Non succede nulla, sono sciocchezze, cose non importanti che sto risolvendo.» Per lui lo erano, ne ero sicura. Ogni cosa che mi era capitata era sempre stata classificata da lui come sciocchezza e quindi anche quello che avevo vissuto sarebbe finito nello schedario delle sciocchezze, se ce ne fosse stato uno. «Mi spiace apprende che non avete avuto riposo...» dissi senza pensarci su, però era vero, mi dispiaceva che mio padre non si fosse goduto le vacanze. In realtà non ricordavo lo avesse mai fatto. Mi ero fermata a spiegare o a giustificare i voti, ma non avevo accennato a quello che aveva affermato sopra, all’essere “scappata di casa” e al non avergli risposto.


     
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    Dylan
    Sospirò sonoramente, seccato, i palmi che ebbero una breve risalita verso l’alto per poi abbattersi frustrati all’altezza delle cosce strusciando contro il completo scuro d’alta sartoria. «Rose, Rose, Rose... stavi quasi andando bene», cantilenò criptico mentre discostava con crescente nervosismo lo sguardo plumbeo dal viso della figlia. Nemmeno se ne accorgeva lei? Dello sforzo che il mangiamorte stava impiegando per non prenderla letteralmente a schiaffi? Dylan stava usando una strategia diversa questa volta nonostante avesse comunque in serbo per lei qualcosa che la stolta Tassorosso mai si sarebbe aspettata. Tempo al tempo.
    «Ti ho detto. Di non mentirmi, Mia!» Scandì, questa volta con più ferocia nel tono. Non ammetteva che sua figlia lo prendesse così apertamente per i fondelli, che nessuno, si prendesse in realtà gioco di lui ma la giovane sembrava dimenticarselo a comodità. «Non costringermi a entrare nella tua testa con la forza. Non lo vedi? Sto cercando di venirti incontro, di essere comprensivo, di essere persino un genitore migliore ma tu cosa fai, Mia? Mh? Provochi, scalci... Ti comporti come una ragazzina viziata. Non è questo che ti ho insegnato!» L’ammonì severo. Il suo scopo era cercare di ottenere le informazioni che voleva senza l’utilizzo dei soliti metodi. Voleva evitare di usare il potere poiché, si era reso conto, la giovane non era ormai da molti anni più un semplice bambina. Era maturata e cominciava ad affacciarsi al mondo come una donna doveva, pertanto, trattarla come tale e quindi ad ogni azione sarebbe corrisposta un’azione più o meno violenta del caso. Era questo che forse Rose non aveva capito continuando a girare a largo le vere domande dell’uomo pensando, più che scioccamente, che evitando di proferire ad alta voce ciò che erano i suoi pensieri il mago si sarebbe fermato a questo: al silenzio, alle mezze spiegazioni. Stupida. «Non ci sono ragazzi ma vedo che... il signor Harris ti ha fatto compagnia durante queste vacanze.» Inclinò il capo mentre lo sguardo, due pietre d’ossidiana, andavano stringendosi mentre sondava la sua mente senza il minimo riguardo. Non ne aveva mai avuto d’altronde. Clelia, sua madre prima di lei, e Rose poi, erano considerate alla stregua di oggetti. Sue proprietà per cui non aveva bisogno del permesso per insinuarsi e rovistare nelle loro deboli menti prive di difese. Erano sue, sue e basta e vedere nei ricordi della ragazza il modo in cui quello schifoso tra i suoi studenti l’aveva presa, toccata, persino baciata a lei che era sua, lo mandava in bestia. «Menzogne, Rose. Continue menzogne... cos’altro c’è?» Domandò retorico stringendo maggiormente lo sguardo mentre, questa volta, aggiungeva una punta di dolore nella sua intrusione. «Vediamo... Mh, miss Métis?» Non vedeva i termini in cui la caposcuola neonominata di Corvonero c’entrasse in quella situazione poiché quello della figlia era stato solo un pensiero fugace, un tocco, ma di cui Dylan aveva percepito dolore e rimorso. Forse avevano litigato le due? Magari per quello sciocco di Harris. Per un cane... che disgusto! «io vorrei capire Rose perché. Perché non impari mai la lezione? Ricordi cosa ti avevo detto per quello stupido Grifondoro?» Quella feccia che osava condividere il loro cognome! «Cosa ti avevo detto in quell’occasione? Ripetimelo, per favore», anche lì una richiesta retorica celata dietro quello che era un ordine. In quell’occasione, Dylan, come aveva scoperto quell’ignobile tresca aveva immediatamente ordinato alla figlia di porvi un termine e poi, successivamente, era riuscito ad ottenere l’interdizione del ragazzo dalla scuola. Che goduria era stata quella placida vittoria. Un mostro, un’aberrazione, allontanato dal suo prezioso castello! Edevane era stato restio fino all’ultimo ma quando l’idiota aveva osato attaccare una ragazza di Corvonero, lì, non c’erano più state scuse a sostenerlo. «Non mischierai la nostra linea di sangue con quella di una bestia, in nessun caso, nemmeno per gioco e adesso fammi il piacere di darti una sistemata. Sei il fantasma di te stessa! Hai deciso che la tua vita non è più abbastanza? Sei vergognosa. Un disonore per la nostra famiglia. Sei una White non puoi permetterti di apparire debole come stai facendo... E per cosa lo stai facendo poi? Un ragazzo?!» Si concesse una breve pausa per scuotere il capo in direzione della ragazza a modo che assorbisse le sue minacce e che capisse che non stava scherzando, che non aveva mai scherzato. Aveva tollerato, soprasseduto su determinati atteggiamenti perpetrati alla fine del precedente anno ma non avrebbe più permesso una tale insubordinazione. «Voglio essere chiaro con te. Sono arrivato al limite della tolleranza. È tuo interesse essere una White? Perché di questo passo Rose... non credo di poterti continuare ad accettare.» Diseredata, questo sarebbe stato il suo destino. Era ciò che voleva? Priva di un soldo, priva di una rete familiare, letteralmente buttata in mezzo ad una strada e... senza il minimo rimorso.


    Edited by Dragonov - 6/11/2022, 16:49
     
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    Restai ferma mentre le sue parole andavano a indurirsi sempre di più. Mi morsi il labbro quando scandì la frase che mi entrò come un chiodo nelle orecchie. Da quando ero ad Hogwarts sembrava che il suo stato andasse come un altalena, non mi voleva tra i piedi eppure voleva sapere tutto di me ma allo stesso tempo dovevo essere la ragazzina che annuiva e stava ai suoi modi. Ero da sempre una bambolina, una di quelle di stoffa che non avevano mobilità nemmeno nella testa ma con gli arti morbidi così da essere mossi a proprio piacimento. Per anni mi aveva tenuta nella casa (delle bambole) a più piani con tante stanze e stoviglie di ottima fattura senza poter vedere nulla di quello che era fuori oltre quelle mura magiche. Poi una volta scoperto che esisteva altro oltre a quello che ero abituata a vedere, cambiò tutto sia per me che per lui, era come se ogni volta cercavamo entrambi di adattarci a quello che veniva. Non voleva che gli mentissi eppure era da una vita che lui non sapeva la mia verità. “Non è questo che ti ho insegnato!” il tono severo e i suoi occhi su di me erano come un macigno che andava ad aumentare di peso man mano che passava il tempo. “ No, mi hai insegnato a stare al mio posto e zitta...!” Pensai senza proferire parola ma consapevole fino in fondo che lui lo stava “leggendo”. Erano mesi che le parole mi pesavano e mi ero chiusa in un silenzio quasi assoluto se non per i doveri che avevo da adempiere, mentre la mia mente macinava e continuava a rivivere le scene e le situazioni con l’emozioni più brutte della mia minuscola esistenza. E poi avvenne una delle cose che avrei voluto non venissero fuori, non perché ci fosse del male ma perché sapevo bene cosa ne pensava lui e che non avrebbe assolutamente reagito bene. Al cognome di David i miei occhi incontrarono i suoi in un incontro di neri intensi mentre sospirai quasi come a dire “ti prego...” Rimasi ancora in silenzio senza dire niente mentre per quanto mio padre mi faceva la ramanzina ed era minaccioso, nella mia testa apparve l’immagine di David con il viso devastato e stanco che mi asciugava le lacrime da un volto con macchie di terra e di sangue secco di Sky mentre pronunciava il mio nome in un sussurro. Vivevo di quei piccoli gesti che per me significavano molto. Quell’immagine era di quella maledetta mattina dopo la trasformazione e di qualche attimo prima che succedesse ancora altro con Dragonov. E poi mio Padre nominò lei...Sky. I miei occhi si riaprirono di scatto puntandosi nei suoi «No.» si udì il suono provenire dalla mia bocca con un filo di voce ma decisa e perentoria. E nella mia mente, come succedeva da mesi ormai, dei flash di immagini si susseguirono, poche, confuse e allo stesso tempo terrificanti. Il viso di Sky che mi urlava contro, e poi un attimo dopo alberi e una porta e poi sangue. L’immagine che si vide bene con contorni chiari fu quella delle mie mani piene di sangue che tremavano. Tutto questo passò nella mia mente in pochissimi attimi mentre il mio respiro divenne accelerato. Strinsi i pugni sentendo la pressione delle mie unghie nella carne e scacciai via quei frammenti di immagini. La voce di mio padre risuonò ancora aiutandomi a tornare alla realtà ma non era una realtà migliore anzi. Mi chiedeva una cosa a cui non volevo rispondere, di fatti scossi la testa «Vi prego... no...» dissi quasi sconsolata quando nominò il Grifondoro a cui mi stavo legando tempo fa e che dovetti allontanare sotto preciso ordine. Il mio stato emotivo stava andando in confusione e le sue parole divenivano sempre più dolorose e taglienti. Si sommavano nella mia testa alle critiche e agli insulti che stavano piovendo da parte sua. Non volevo che finisse ciò che ancora non sapevo ben definire con David e non volevo rivivere anche in quel momento la situazione di Sky che era complicata e che ogni giorno mi faceva male...Mio padre poi finì la frase successiva “Un ragazzo?!” e in preda a uno stato emotivo completamente fuori controllo gli urlai contro «NON È PER UN RAGAZZO!» il busto si fece in avanti in direzione del viso di mio padre, senza andargli vicino, e i miei capelli cambiarono colore divenendo di un rosso intenso che parevano quasi accendersi per davvero. Per la prima volta dopo quasi due mesi la mia voce era uscita con potenza e velocità tanto da sentire quasi un graffio alle corde vocali. Con essa sembrava ci fosse tanta, tantissima rabbia repressa e non solo verso mio padre. Lui cosa ne sapeva di quello che era successo, cosa sapeva di quello che stavo provando e che avevo pensato di sparire da quella scuola che tanto avevo cercato di ottenere e che ci ero riuscita solo ai miei sedici anni.? Quanta rabbia repressa dentro un minuscolo corpo e non solo, quante emozioni e sentimenti contrastanti che si scontravano tra di loro mandandomi in confusione. Nel momento che pensavo fosse terminato la catastrofe, una frase detta in modo ben calcolato venne diretta verso di me. Fu quasi come vedere visivamente ogni parola arrivare vicino al mio petto e conficcarsi con violenza. “È tuo interesse essere una White? Perché di questo passo Rose... non credo di poterti continuare ad accettare.” In quel momento la mia mente si svuotò e così anche tutto il mio essere. Sentì il cuore saltare un battito e le mie braccia lasciarsi andare, seguendo la gravità, mentre le mani cadere come se fossero senza vita sulle mie cosce. Cosa aveva appena detto? Le labbra si socchiusero e gli occhi fissavano un punto ben preciso, le sue di labbra. “ Lui ti vuole bene tesoro, promettimelo...” fu l’unica frase che risuonò nella mia mente con la voce della persona che aveva amato tutto di me e di lui, mia madre.
    Come poteva dire di non potermi accettare? Come poteva dire questo... I suoi soldi non mi interessavano ma avevo cercato il suo amore per diciotto anni, avevo cercato LUI e per questo avevo provato diverse strade per arrivare a lui come: assecondarlo, essere invisibile, parlargli e fare la ribelle, come anche dire la mia senza temere le conseguenze ma nulla aveva raggiunto lo scopo, e adesso... Avrei voluto piangere ma non avevo lacrime come avrei voluto alzarmi da quella cazzo di sedia urlargli che non mi meritava e poi spaccare in mille pezzi la porta e andare via ma non avevo un briciolo di forza. In tutto quello stato lui mi aveva dato il colpo di grazia. Non gli importava di me ma solo delle apparenze e di quel maledetto cognome WHITE! "Elimina l'errore...!" Ecco che la voce di Atticus White, mio nonno, comparve ancora e adesso potevo sovrapporla al viso che avevo davanti. I miei capelli si spensero completamente diventando neri ma non pieni di luce, gli occhi si ingrigirono mentre nella mente il viso di mia madre sorridente si disegnò ancora una volta “ Vattene!” pensai con così tanta forza, rabbia e delusione che tutto divenne nero e il suo viso angelico sparì.




     
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    Dylan
    Rose era come un libro aperto. Il suo viso, espressivo, mutava ad ogni parola o gesto consentendo a chiunque ma maggiormente ad uno come Dylan di leggere le emozioni di quella ragazzina spaesata. Leggerle con un certo cinismo, freddezza nonostante l’uomo altri non fosse che suo padre. Un lieve ghigno sollevò le labbra del mangiamorte, era così semplice per lui richiamare nella testa della figlia cosa necessitava sapere. Gli bastava darle un accenno, la minima provocazione perché lei immediatamente cadesse nella trappola. «No?» Le chiese accondiscendente accarezzando dentro di sé l’idea di quanto poco avesse scavato e quanto fosse vicino alla verità, a cosa aveva fatto quell’inetta durante la sua fuga. Con un certo piacere apprese, dalla rapida sequenza di immagini che si svolse nella mente di Rose, che qualcosa non fosse andato nel verso giusto. Vide mani insanguinate, percepì urla, dolore, il tutto legato alla figura di quei tre ragazzi: miss Métis e quelle fecce indegne di sorbire ossigeno di Harris e del Dragonov. «Sì Rose, ti ho insegnato a stare al tuo posto e in silenzio ma ti sei mai domandata perché?» Dylan inclinò il capo stringendo lo sguardo che rivolse alla ragazza. Rose lo stava fissando di rimando mantenendo alto il piglio decisa e Dylan non poté fare a meno di constatare che quella era forse la prima volta che sosteneva i suoi occhi senza calare il capo come una povera sguattera qualsiasi. «Perché prima di parlare Rose, devi ascoltare. Devi sentire e valutare le situazioni. Lo devi fare con lucidità calcolando il fine ultimo delle azioni e non», come invece fai agitando la coda al primo che ti mostra compassione, «lasciando che siano le sensazioni di “pancia” a guidare il tuo discernimento.» Lasciò che una pausa calasse tra loro, che la lezioncina appena impartita sedimentasse nella sua testolina dura. Era forse la volta buona? D’altronde se il mangiamorte andava ad analizzare i fatti, per quanto sbagliati e duri potessero apparire all’esterno, il suo atteggiamento era da sempre servito a forgiare la tempra della ragazza e a ragione! Rose non lo capiva, ovviamente, ma ciò che il padre le stava impartendo era una semplice lezione di vita. A cosa sarebbe servito trattarla con i guanti di velluto se alla prima occasione l’avrebbero rivoltata come un calzino? La Tassorosso poteva anche fare resistenza ma ogni volta che sbatteva contro un muro le parole del padre sarebbero risuonate nella sua mente. Strinse le braccia al petto sollevando lo sguardo verso l’orizzonte dell’aula vuota preparandosi, mentalmente, ad affondare i colpi finali, quelli che, se le cose sarebbero andate come da sue previsioni, avrebbero rimesso la ragazza nei giusti binari. «È quello che hai fatto finora, Rose. Con la Lloyd, McCormac, quell’altro lurido cane e... adesso che staresti facendo con questi altri due? La invitava davvero a rifletterci per quanto entro breve le avrebbe fatto dono della risposta. Lo stesso. Lo zerbino. Permetti loro di farti del male, di abusare della tua persona e di sottovalutarti», rise brevemente, «lo stai rifacendo. Non impari mai. Per quanto tu ti faccia male continui a persistere e per cosa? Un ragazzo...» Scosse il capo con palese delusione e lì accadde l’impensabile. Rose scattò urlando a pieni polmoni, ribellandosi davvero per la prima volta. «NON È PER UN RAGAZZO!» Gli oggetti nella stanza cominciarono a vibrare, le ante degli armadi si aprirono violentemente. Dylan non si scompose sostenendo i connotati modificati dall’ira della ragazzina. Controllati. Nella testa di Rose quel comando sarebbe esploso provocandole una nuova fitta di dolore a cui sarebbe seguita la stoccata, non quella finale, ma c’erano vicini. Le chiese se aveva ancora intenzione d’arrecare vergogna alla loro casata, se intendeva ancora mostrarsi così debole, così inetta, così facilmente manipolabile come le aveva sempre accusato d’essere e tutta la collera, la furia di cui si era gonfiata la mora si sgonfiò, semplicemente, come un palloncino s’accasciò contro la sedia, le spalle basse non più in grado di reggere il peso, d’avere la forza per contrastare quel tiranno.
    «Bene», esclamò, prendendo la sua reazione come una resa al suo volere ignorando del tutto quelli che erano i sentimenti che andavano agitandosi nell’intimo della giovane. «Da oggi in poi, farai esattamente ciò che ti dico. Tornerai a comportarti come si conviene ad una persona nella tua posizione smettendo di disonorare il tuo casato. Potrà sembrarti tutta una pesante idiozia ma così non è e nemmeno immagini quali forze ogni giorno minino il nostro status. Non puoi permetterti di essere debole. Se non per i White almeno...» il suo tono si fece più sprezzante, altero, «fallo almeno per te stessa. Un po’ d’amor proprio! Ora vai.» Ne aveva abbastanza della sua espressione da cane bastonato. Dio quanto era inadeguata! Nemmeno nel suo momento peggiore Dylan aveva mai mostrato tanta remissività. «Un ultima cosa», infilò la mano nella giacca del completo e, dalla tasca interna, ne estrasse un piccolo biglietto. «Questo è per te», lo allungò verso la figlia. «Ora sparisci. Medita su quanto ti ho detto e torna se e solo se avrai preso la decisione giusta.» Finì per congedarla con un movimento della mano quasi a scacciarla via, quasi fosse una tediante mosca che finalmente smetteva d’importunarlo con il suo fastidioso ronzio.
    Nella busta Rose vi avrebbe trovato un biglietto scritto in una bella grafia elegante. Alfred, il maggiordomo di casa White, invitava tutte le persone che avevano conosciuto la sua Amelia a partecipare alla cerimonia funebre. Ebbene sì, Amelia era morta e ad ucciderla era stato proprio Dylan. La donna era scomparsa ma l’uomo vantava al suo servizio diversi agganci che avevano permesso di ritrovarla e nonostante l’avesse trovata priva di memoria aveva scelto, per puro capriccio, di neutralizzarla. Amelia era morta e Rose avrebbe capito d’essere rimasta sola. L’ultimo suo alleato era andato.
     
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    Tassorosso
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    lacrima
    Lui parlava e poi lasciava delle lunghe pause che facevano ancora più male delle parole stesse. Il dolore che provavo non era al pari di nulla in quella stanza tanto da farmi chiedere a me stessa se l’uomo che era dinanzi a me avesse mai provato dolore. Per un attimo sembrò che volesse dirmi che teneva a me e a quello che mi era capitato che volesse farmi capire che valevo e poi si perse nuovamente. Mi faceva sentire come in un turbine che gira e e gira e tu perdi completamente il senso dell’orientamento fino a finire confuso ai piedi dello stesso senza avere scelta. Quando esplosi come una bimba che non riesce a controllare i suoi stati d’animo la voce di mio padre mi risuonò in testa dandomi uno stop che fece male tanto da farmi portare le mani alle tempie e piegarmi in avanti come un piccolo riccio. La situazione era surreale ma allo stesso tempo troppo realistica. Deglutii abbassando le mani dalle tempie e alzando leggermente la testa mentre mio padre riprese a parlare mentre la paura ormai era dentro di me. Come poteva dire quelle frasi? Poco prima mi rimproverava di non sottovalutarmi e adesso era lui che aveva più considerazione di un cognome che di me, sua figlia a prescindere da come ero fatta. Stavo li ad ascoltare mentre continuava la sfilza di Status, casato e via dicendo... Avrei tanto voluto chiedergli “ ma io cosa sono per te?” ma la frase si fermò nella mia testa e le labbra non si mossero mentre la voce sembrò ritornare nel suo cassetto chiuso a chiave. Avrebbe letto il pensiero? Beh lo faceva sempre quindi ormai non me ne preoccupavo più di tanto. Aveva nuovamente deciso. Non era una scelta e lui lo sapeva bene mi stava solo manovrando ancora. Come entrambi sapevamo che sarebbe comunque finita in quel modo perché la sua orribile e stupida “Figlia” aveva il carattere della sua mamma e quindi non all’altezza della famiglia White. Che poi, che cosa stesse a significare ancora dovevo comprenderlo. Ero ancora seduta mentre i pensieri ruotavano nella testa che un minuscolo cenno della stessa andò a compiere un gesto di acconsenso ma così leggero e quasi impercettibile difficile da notare ma non certo difficile per mio padre ed era chiaro anche prima che tacitamente avevo acconsentito ancora una volta alle sue regole mentre sapevo e lo sapeva anche lui che era solo questione di tempo, era come prendere un pochino in giro entrambi ma consapevoli allo stesso tempo. Dopotutto ci speravo ancora... Ad un tratto mio padre mi diede qualcosa, una busta da lettera, era la prima volta in tutta la mia vita che mio padre mi dava qualcosa che sembrava anche importante. Mi alzai quasi senza ascoltare le ultime parole di mio padre perché ero intenta ad aprire la busta. Quando iniziai a leggere, solo dopo due passi mi bloccai sul posto mentre le mani mi tremavano e le gambe sembravano non reggere il mio peso. Non era possibile, non poteva essere vero. Barcollai appoggiandomi a un banco vicino che si spostò facendo un rumore assurdo. E la busta mi scivolò dalle mani e la lettera in se finì sul tavolo mosso mentre la busta ai piedi del professore. I capelli sembrarono quasi accorciarsi per poi ritornare della stessa lunghezza era una cosa che nei periodi dove non avevo minimamente il controllo del metamorfomagus e della magia stessa mi accadeva era in quel momento come regredire e gli occhi divennero color ghiaccio. «No...» dissi a voce bassa e tremante «Non è vero... come...com...e. Ti prego...» Non poteva essere, avevo rischiato tanto e con me anche Sky e Axel per nulla. Stavo pregando lui come mai prima, come a chiedergli di dirmi che era solo uno scherzo per punirmi. Lei doveva essere in salvo, lei era in salvo. Era in piena salute e non aveva malattie gravi e soprattutto perché nella testa mi si era formato un pensiero orribile? No, non poteva essere, mio padre non era così. Mi voltai lentamente a guardarlo mentre i miei occhi di ghiaccio si posarono su di lui. Avrei passato una vita con il rimorso per averle cancellato la memoria , avrei anche passato una vita in catene pur di salvarla, pur di saperla viva e felice. Mi mancava l’aria dovevo uscire, dovevo andare via da li. Ripresi le poche forze che avevo in corpo e mi mossi verso la porta senza salutare senza guardarlo ma con passo quasi da robot. Continuai a camminare per un pochino senza girarmi fino a fermarmi in un corridoio ed entrare in un bagno degli studenti e una volta li dentro misi le braccia sullo stomaco piegandomi su me stessa e piangendo le lacrime che avevo nel corpo. Piansi tanto da sentirmi male. Non presi parte a nessuna lezione dopo e a nessun compito da caposcuola che avevo. Rimasi per tre giorni interi così con una leggera febbre e saltando anche le lezioni di mio padre tanto che dovetti recuperare le sue e le altre, cosa che feci grazie alle mie compagne che mi diedero i loro appunti.

    Amelia non c’era più!
    E aveva portato via un pezzo di me con lei.
    Ero sola!



    CITAZIONE
    RIP Amelia! Ti ho voluto bene!

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    Chiusa! (con le lacrime)
     
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7 replies since 26/9/2022, 00:02   190 views
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